www.resistenze.org - popoli resistenti - svizzera - 06-09-07 - n. 193

Riceviamo e volentieri pubblichiamo
 
Documento per il XIX Congresso Cantonale del Partito del Lavoro
 
Cambiare il nome per cambiare politica!
 
1. Introduzione
 
La modifica della denominazione non va intesa come un semplice cambio di etichetta. Essa al contrario si inserisce in un quadro politico che parte formalmente il 28 maggio 2006 in occasione del XVIII Congresso Cantonale di Osogna, quando il ringiovanimento del nostro partito si è reso evidente. Ringiovanimento che oggi spinge il Partito del Lavoro ad essere un partito con una propria identità, orgoglioso della sua storia e dei suoi valori, sicuro di sé nella pratica quotidiana e non subalterno, né ad una visione perdente identificabile con il concetto di “piccolo partito” né all’ingrato (e per certi versi sciagurato) ruolo di “pungolo a sinistra della socialdemocrazia”.
 
La richiesta di modifica del nome non è quindi un tentativo eversivo, non ha nulla a che vedere con l’intenzione di fare piazza pulita del passato: al contrario, rispettiamo l’importante storia sessantenne del Partito del Lavoro (già Partito Operaio e Contadino) e ancora prima del Partito Comunista Ticinese. In questi lunghi anni il nostro Partito ha visto la militanza di compagni che per quell’ideale, che è pure il nostro, hanno lottato e sofferto: è anche per rispetto a loro che hanno vissuto la vergognosa interdizione del Partito Comunista Svizzero e Ticinese che questa mozione viene presentata. Compagni, questi, che negli ultimi anni si sono visti “snellire” il partito sia nei documenti, sia nella progettualità, fino a renderlo quasi un gruppo di amici. Finalmente, quindi, intendiamo superare il difficile periodo che ha caratterizzato la seconda metà degli anni ’90 e per questo ribadiamo il pieno sostegno, nonché l’incoraggiamento a continuare in modo ancora più approfondito, sia al nuovo corso stabilito a Osogna, sia alla nuova Segreteria eletta dal Comitato Cantonale del mese di maggio.
 
2. Il nome
 
L’attuale denominazione potrebbe porre alcuni problemi che di seguito cerchiamo di evidenziare:
 
-         Anzitutto Partito del Lavoro non è un nome che i compagni pionieri hanno liberamente scelto: si è trattato di un’imposizione seguita alla misura decisa negli anni dell’ultima guerra mondiale da parte di un Consiglio federale con pieni poteri di vietare le attività del Partito Comunista Svizzero e di proibire la costituzione di un partito che avesse per obiettivo il sovvertimento dell’ordine costituito.
 
-         Sono numerosissimi i documenti del nostro partito che testimoniano come fra i compagni ci si sia sempre sentiti dei comunisti: ancora negli anni ’90, durante i periodi di massima crisi, si ammetteva la nostra identità comunista. Mantenere quindi un nome come Partito del Lavoro significa quasi prendere in giro la popolazione che al contrario chiede chiarezza nelle denominazioni così come nei programmi: i liberali sono uniti nel Partito Liberale; i socialisti nel Partito Socialista; i democristiani nel Partito Popolare (che è il nome originario dato da don Luigi Sturzo anche alla Democrazia Cristiana in Italia), i nazional-fascisti sono riuniti nel PNOS, Partito degli Svizzeri Nazionalisti. I comunisti invece no, loro preferiscono etichette artificiali. Tranne, ad esempio, i trotzkisti, i quali nel loro nome “Movimento per il Socialismo”, indicano – nel bene o nel male – un obiettivo di società da raggiungere. Ognuno è conscio delle difficoltà di accettazione di un nome tanto impegnativo come quello di “comunista” fra una popolazione educata ad aver paura dei rivoluzionari, eppure se siamo comunisti seriamente, non possiamo ridurci a fare meri calcoli elettoralistici. Sul breve periodo possiamo accettare anche delle sconfitte: in un’Europa in cui la caccia alle streghe è ritornata in auge, dove organizzazioni comuniste di importanti dimensioni vengono ancora bandite, possiamo prevedere delle difficoltà, ma anche capire il nostro dovere di dimostrarci risoluti nella lotta per le nostre idee.
 
-         Nella società attuale il termine “Lavoro” è quasi sconosciuto: con l’aumento dei fenomeni interinali, del precariato, e di tutte le altre forme di sfruttamento di classe, il termine “Lavoro” non soltanto potrebbe essere quasi visto drammaticamente come un privilegio di pochi, ma anche un fattore molto limitativo della realtà delle classi sociali più sfavorite. “Lavoro” – nella società capitalista – è sinonimo di lavoro salariato, di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di alienazione. Noi non siamo un partito di questo tipo di “Lavoro”, noi siamo al contrario un partito che, utilizzando gli strumenti di analisi del marxismo e il loro sviluppo leninista, disponiamo di un progetto di società ampio e articolato che non si limita a temi economico-sindacali, ma si estende a tutti gli aspetti della vita umana, così come l’esperienza socialista realizzata – pur con tutte le pecche e gli errori – ci ha permesso di imparare. Questo progetto di società si chiama socialismo prima e comunismo poi: la trasformazione socialista della società è l’unica alternativa reale al capitalismo nelle varie sue accezioni (sia esso di stampo liberista, sociale o liberal-umanista). E questa trasformazione può arrivare solo con la guida del Partito Comunista!
 
Torniamo insomma a chiamarci comunisti perché lo siamo sempre stati, anche nei momenti più difficili. Ma torniamo a chiamarci comunisti non per una volontà di martirio, ma perché avevamo ragione! La storia – purtroppo, è il caso di dirlo – ci ha dato ragione e Marx non ha sbagliato di tanto vedendo lo sviluppo tragico del capitalismo dei giorni nostri, che in fatto di sfruttamento, alienazione e dominio non ha nulla da invidiare al capitalismo della prima industrializzazione. Benché i palliativi sociali oggi sono più sviluppati rispetto al 1848, quando Marx e Engels scrissero il Manifesto, a partire dalla crisi del 1973, ma soprattutto da quando ad Est il socialismo non esiste più, stiamo assistendo drammaticamente a una rimessa in discussione di ogni conquista sociale ottenuta con dure lotte e sacrifici negli anni del confronto Est-Ovest. Oggi più che mai, insomma, c’è bisogno di comunisti che sappiano portare avanti una vera politica comunista!
 
Qualcuno sostiene che il PdL sia nato come partito di area. Un’area che dovrebbe riunire tutti i compagni alla sinistra del Partito Socialista (PS). In realtà, se forse questa è stata l’intenzione nel resto della Svizzera (dove alla sinistra del PS esisteva la Federazione Socialista Svizzera di Léon Nicole, anch’essa poi bandita e confluita nella costituende del PdL), la storia del nostro partito in Ticino è fondamentalmente diversa. A testimonianza di ciò portiamo lo statuto del PdL adottato dal IX Congresso cantonale (tenutosi nel 1973 ad Ascona) e parzialmente modificato dall’XI Congresso cantonale (svoltosi nel 1977 a Biasca), il quale sostiene testualmente che: “Il Partito Ticinese del Lavoro è nel suo nucleo il vecchio Partito Comunista Ticinese, sorto ad opera delle forze più vive della tradizione socialista del Cantone risvegliate a nuovo impegno sociale e politico dall'entusiasmo popolare per la Rivoluzione d'ottobre, soppresso dalle leggi liberticide nel 1940, ma non soffocato negli anni della clandestinità, il Partito fu rifondato legalmente nel 1944 come Partito Operaio e Contadino; nome che, in un secondo tempo (1963) fu mutato in quello attuale di Partito Ticinese del Lavoro, anche per uniformarsi al nome del Partito Svizzero del Lavoro di cui è la sezione della Svizzera Italiana.”
 
Qualcun altro chiede inoltre che siano i Giovani Progressisti a fare per primi questo passo e modificare il proprio nome in Giovani Comunisti. Ma ciò è solo in parte condivisibile! In effetti i Giovani Progressisti sono una componente a tutti gli effetti del PdL (così come statutariamente sancito) e in questo nostro partito essi credono. Modificare il nome dell’organizzazione giovanile quando il partito “adulto” non ha il coraggio politico di porsi in quest’ottica, sarebbe uno strappo che non rientra nella volontà dei giovani militanti.
 
Concludendo questa parte sulla questione pura e semplice del nome, varrebbe la pena riflettere anche sulla situazione seguente: noi sosteniamo i compagni cubani offrendo loro la nostra solidarietà nella resistenza all’imperialismo nordamericano e allo sviluppo del socialismo sull’Isola; oppure sosteniamo i compagni italiani nel mantenere la falce e il martello come proprio simbolo e nel prestare attenzione agli effetti collaterali di unificazioni troppo repentine; ecc. Eppure, quando si tratta di noi stessi, prevale il timore di dirci chiaramente ed esplicitamente comunisti. Dove sta in questo caso la coerenza?
 
3. La politica
 
Nell’introduzione abbiamo già visto molto sommariamente alcuni problemi concettuali sul ruolo del partito. Di seguito intendiamo confutare l’idea secondo cui necessariamente con il cambio del nome rischiamo di diminuire ulteriormente il nostro elettorato e il nostro peso nel processo politico. Come detto prima ciò potrebbe anche avverarsi in un contesto di rinnovata pressione anti-comunista in Europa, ma assolutamente la modifica del nome non ne sarà la condicio sine qua non. Al contrario dovremmo pensare al valore simbolico che avrebbe la scelta di cambiare la nostra denominazione quando in Repubblica Ceca, candidata all’adesione nell’Unione Europea, è stata dichiarata illegale l’organizzazione giovanile del Partito Comunista di Boemia e Moravia, il terzo partito più forte del paese. Oppure pensiamo al valore simbolico di chiamarci comunisti quando certi partiti comunisti storici si stanno autodistruggendo in un processo di liquidazionismo ideologico come Rifondazione Comunista in Italia, il Partito Comunista in Francia e il Partito del Socialismo Democratico di Germania (dell’Est).
 
La debolezza del Partito del Lavoro non è imputabile al nome, né l’attuale né quello futuro: essa è dovuta piuttosto agli aspetti che elenchiamo di seguito e che, seppure in fase di correzione, persistono tuttora: la scarsa o nulla preparazione politico-ideologica dei militanti e dei quadri, il metodo di lavoro a traino degli avvenimenti, ridotti quasi ad essere subalterni all’agenda politica degli altri partiti e privi della benché minima attrattività, la poca coesione interna dovuta anche a un sistema poco partecipativo di coinvolgimento della base, nonché la mancanza di temi e di documenti, in generale di reale dibattito politico. Il partito, insomma, deve essere quindi nelle condizioni di produrre un proprio discorso politico chiaro e non solo rispondere umilmente alle priorità imposte da altre entità sociali o partitiche, siano essi borghesi o progressiste, come invece siamo stati abituati in questi ultimi anni. Siamo convinti che il partito debba essere meno una struttura organizzativa, e più una struttura politica. Un partito non di funzionari, ma di compagni che partecipino, capaci di discutere, di analizzare e di fare politica. La democrazia interna non si riduce al voto ma alla riorganizzazione territoriale del Partito, alla partecipazione nei movimenti e nelle associazioni di massa, se necessario create da noi.
 
Il nostro fine è la trasformazione sociale, il rinnovamento socialista della società. Eppure questa tendenza a voler mantenere il vecchio nome solo per non rischiare di perdere consensi, ci porta ed essere come gli altri partiti borghesi, preoccupati quasi unicamente a non rimetterci punti sul piano meramente elettorale (sul corto periodo) e i conseguenti privilegi. Noi sottoscritti, lungi dall’essere fautori di un estremismo che – come ci continua ad insegnare il compagno V.I. Lenin – nulla ha a che vedere con il marxismo, approviamo il gioco parlamentare ed istituzionale, purché esso sia uno strumento e mai un fine: esso ci è utile per difendere le conquiste sociali e, nel limite del possibile, per raggiungerne altre. Non approvare questa analisi e ridurci quindi ad essere un partito intento a racimolare qualche scheda in più, giocando sul pressappochismo e sulla trasversalità, non può che portarci alla fine a produrre un discorso “entrista” in una forza progressista moderata con un forte peso elettorale e lì fungere da corrente interna “dura e pura”. Ma a questo punto ci chiediamo se non era meglio terminare la nostra esperienza di partito oltre quindici anni fa (durante il Congresso di Sessa del 1991, ad esempio).
 
Un altro aspetto che merita una riflessione è la nostra relazione con il Partito Svizzero del Lavoro (PSdL) di cui ci riconosciamo sezione ticinese. Anzitutto per la mera questione del nome, così come a Basilea il nostro Partito si chiama “Nuovo Partito del Lavoro” e nel Canton Vaud si chiama “Partito Operaio Popolare – Sinistra in movimento”, non si può dire che non sia data automonia alle sezioni, in base alla sensibilità politica e al contesto nel quale si opera, non solo riguardo al nome ma pure alle alleanze e alle tattiche politiche. Rendiamoci attenti, però, che questo legame (che ribadiamo) con il Partito nazionale non significa accettazione passiva della linea politica adottata dal PSdL. Lo abbiamo scritto e lo affermiamo nuovamente: non siamo scissionisti e non siamo estremisti. La modifica del nome deve portare con sé inevitabilmente anche un cambiamento nel modo di fare politica, e tutto ciò senza voltare in alcun modo le spalle al PSdL.
 
4. Conclusione
 
Il conservatorismo di certi compagni potrebbe portare a malumori nella base attiva: il partito chiede infatti – com’è giusto che sia – sforzi enormi ai nostri militanti dal lato della preparazione e della militanza stessa, senza però proporre una reale alternativa (sia essa sociale, sia essa organizzativa), se non quella di aumentare la nostra forza nel parlamento borghese. La nostra proposta invece, è quella di avere coraggio: cambiare il nome, per cambiare politica! Chiediamo quindi formalmente che il Congresso Straordinario di Locarno del 16 settembre 2007 possa discutere di quanto esposto e prendere una decisione in merito alla modifica della nostra denominazione.
 
Firmatari:
 
-   Massimiliano Ay (relatore) – Membro del Comitato cantonale e centrale
-   Rodolfo Pulino – Coordinatore dei Giovani Progressisti
-   Leonardo Schmid – Membro del Comitato cantonale e centrale
-   Mattia Tagliaferri – Membro del coordinamento dei Giovani Progressisti
-   Oliver Peter – Membro del coordinamento dei Giovani Progressisti
-   Stefano Moretti – Membro del Comitato cantonale
-   Simone Maffi – Membro del Comitato cantonale
-   Mosé Cometta – Membro dei Giovani Progressisti