www.resistenze.org - popoli resistenti - svizzera - 20-12-07 - n. 208

Contratto mantello e sciopero nell’edilizia in Svizzera
Conflitto, riflessioni e lotte a venire
 
di Giangio
 
Fonte: "Voce libertaria" (nr. 3, dicembre 2007, e-mail voce-libertaria@no-log.org).
 
Uno spettro si aggira in Svizzera, lo spettro dello sciopero nell'edilizia. Tutte le potenze padronali del settore, riunite nella Società Svizzera degli Impresari Costruttori, si sono riunite in una crociata a difesa degli interessi del capitale. Ma la rabbia investe i lavoratori, attraversa i cantieri e mobilità oramai diverse realtà, sindacali come appartenenti alla cosiddetta "società civile". Dopo diversi mesi di mobilitazioni locali, 20'000 operai sono scesi in piazza a Zurigo il 22 settembre. Da quel giorno, la lotta è ritornata sul piano locale: migliaia di lavoratori in piazza ai quattro angoli del paese, i cantieri si fermano e il sostegno alla lotta operaia si allarga. Dopo gli scioperi per il pensionamento a 60 anni (sempre nell'edilizia), dopo la storica lotta degli operai della Boillat di Reconvillier, un nuovo fronte si è aperto nel confronto contro la borghesia di questo triste paese! Tutto questo, a difesa del contratto mantello dell'edilizia, la convenzione collettiva nazionale che determina il quadro legale del contratto di lavoro, che doveva essere rinegoziato durante l’anno e che, a causa del ritiro delle delegazioni padronali dal tavolo delle negoziazioni, si ritrova caduco e privo di ogni valenza giuridica dal primo ottobre scorso.
 
Lungi dal definire unicamente i salari minimi previsti per i lavoratori del settore, il contratto mantello precisa gli orari lavorativi, prevede diverse forme di protezione contro il licenziamento, definisce i contorni di svariati aspetti quali assicurazioni infortuni, età di pensionamento e diritto a vacanze e giorni festivi, prevede il finanziamento e l'organizzazione di formazioni professionali e altre misure di sicurezza e protezione dell'integrità fisica dei lavoratori. Ma dietro la difesa del contratto mantello, la posta in gioco è ancora più alta: lottando a fianco degli operai edili si difende un rapporto di forza sociale globale che tende ad essere sempre più favorevole al capitale
 
borghese e sempre più distruttivo verso la popolazione nel suo insieme. Per questa ragioni altri settori si mobilitano assieme agli operai, e diverse realtà antagoniste (Il Molino, Revolutionnäre Aufbau e Intersquat, ad esempio) sfilano assieme a loro e organizzano azioni di sostegno. Quando l'attacco è frontale e globale, come quello portato in questo caso dal padronato, la risposta deve essere organizzata allo stesso livello e raggiungere la stessa violenza. Perché, più delle bancarelle della fiera SVP recentemente bruciate in piazza federale, è l'arroganza borghese la vera violenza che travolge il paese, e l'ora non è più al cristiano "porgere l'altra guancia", bensì alla popolare "barricata", sia essa intesa nella sua concezione sociale o piuttosto in quella fisica...
 
Molti aspetti di questo conflitto meriterebbero di essere presentati e analizzati, ma due risultano centrali e devono essere sottolineati: la necessità o l'inutilità eventuale di difendere un contratto mantello nazionale, e il ruolo del sindacato come arma di lotta oppure strumento inibitore del movimento sociale. Questi due elementi sono d'altronde intimamente legati l'uno all'altro.
 
Retaggio e allo stesso tempo motore della pace sociale, spesso espressione concreta della concordanza e della ricerca esasperata del compromesso che tanto contraddistinguono la “confederella” [Confederazione], la rete rappresentata da sindacati, associazioni padronali, commissioni tripartite e contratti collettivi di lavoro controlla e inibisce da più di mezzo secolo ogni movimento di protesta sociale. D'altra parte, è innegabile che diversi miglioramenti sono stati ottenuti all'interno di questo sistema (salari minimi settoriali, protezione dell'integrità fisica di lavoratori e lavoratrici tramite assicurazioni e formazioni professionali, assicurazioni sociali quali l’AVS con annesse parti padronali, ...) anche se è evidente che la situazione attuale resta insoddisfacente. Ma l'argomento padronale secondo il quale la pace sociale ha creato e difeso il benessere (tra l’altro tutto relativo!) del paese è improponibile e inaccettabile! La smisurata ricchezza elvetica, della quale beneficiano d'altronde direttamente soltanto determinati gruppi sociali, è dovuta principalmente al sistema bancario e al suo inviolabile segreto, alla spartizione del paese basato su un sistema partitico egemonico e lottizzatore, a una invidiabile posizione geografica e ad un largo e inesplicabile sentimento generale di autosoddisfazione e autocompiacimento coniugato a un’assenza quasi totale di dibattito politico. La pace sociale è piuttosto all'origine dell'istituzionalizzazione del precariato e della pauperizzazione di sempre più larghi strati sociali della popolazione. Lo scopo è quindi quello di difendere lo status quo, ma se postuliamo l'inaccettabilità del sistema attuale, allora perché difendere uno degli elemente sui quali questo stesso sistema è basato? Entrando nel dettaglio della questione del contratto collettivo, allora scopriamo che una parte importante dei lavoratori e delle lavoratrici del paese ne restano esclusi, lavorando in settori non coperti (per fare alcuni esempi, diversi rami dell'agricoltura o dei servizi, il lavoro domestico, una parte importante del lavoro su chiamata o temporaneo). Più generalmente ancora, considerando che sempre più spesso si cambia di settore lavorativo o orientamento professionale a ritmi sempre più rapidi, i lavoratori e le lavoratrici passano più tempo al di fuori delle suddette convenzioni collettive che coperti e protetti dalle stesse. In alcuni ambiti sindacali la riflessione su un diverso sistema di protezione dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla difesa ad personam e non solamente collettiva e indipendentemente dall'ambito professionale è in corso. Basata sul concetto francese di flexicurité (traducibile come "sicurezza nella flessibilità"), questa riflessione si prefigge di determinare la possibilità di difendere la persona in quanto tale e non in quanto lavoratrice di un determinato settore, limitandone l'alienazione rispetto alla sua propria realtà lavorativa e prefiggendosi di difendere (per quanto possibile) l'integrità attraverso la protezione dei diritti indipendentemente dall'attività professionale, dalla sua durata e dalle altre condizioni quadro (percentuale lavorativa, anzianità
 
professionale, ...). Lungi dal voler definire questo concetto come panacea o rimedio miracoloso, il fatto stesso che permetta di rispondere, per lo meno su un piano teorico, ad alcune tra le più evidenti ingiustizie contenute nel quadro definito dalle convenzioni collettive, merita che se ne discuta. Questo semplice esempio di discussione esistente dimostra che la riflessione non deve essere limitata alla difesa di un contratto o di una determinata condizione salariale, ma deve sempre e comunque andare oltre, senza esulare dal problema basilare del lavoro salariato e della dipendenza che questo crea sulla persona e, di riflesso, sull'intera popolazione.
 
Ma allora, una domanda sorge spontanea: il sindacato, qui e ora, può essere incluso in questa riflessione? Motore e guardiano del tempio del dogma della pace sociale e elemento essenziale del sistema di concordanza, può il sindacato rappresentare ancora una vera forza di coordinazione del "lavoratore", nella concezione più larga possibile del termine (salariato, precario o senza lavoro esso sia, per scelta o per costrizione)? Nella sua forma attuale - infeudato quale è al sistema partitico e diretto da lobbysti che nessun interesse hanno nella difesa di quei lavoratori che fingono di voler rappresentare - assolutamente no! L'esempio migliore (anzi peggiore) di questa tesi risulta dall'ultimo importante conflitto sociale vissuto dal paese, quello dell’impresa Boillat, per porre fine al quale (dopo più di un mese di sciopero generale) la direzione nazionale del sindacato maggioritario ha imposto ai lavoratori, tramite insopportabili pressioni e ricatti, di riprendere il lavoro, dichiarando poi che l'interesse prioritario rimaneva quello della "difesa della ... pace sociale" (Renzo Ambrosetti dixit). Ma, ancora una volta, un giudizio affrettato potrebbe risultare erroneo, visti i relativi progressi ottenuti, alcuni dei quali già esposti precedentemente, e l’eco ancora importante che il sindacato ha presso lavoratori e lavoratrici del paese. Senza entrare nel dibattito a proposito di vantaggi e svantaggi conseguenza di questo stato di fatto, il sindacato esiste, e il suo ruolo su determinati oggetti socio-politici è preponderante: questa forza non può quindi essere semplicemente ignorata e abbandonata. Anche a questo livello poi, delle realtà sindacali alternative esistono, e quindi anche le conseguenti possibilità di riflessione. Queste dovranno essere basate su postulati quali una vera gestione (per lo meno politica) del sindacato da parte dei lavoratori e delle lavoratrici, un'assoluta indipendenza dai partiti (grandi o piccini essi siano) e un rispetto di elementi essenziali sui quali non si può transigere quali l'apertura (verso l'abbattimento) delle frontiere.
 
Terminare questa riflessione sul tema dell'apertura delle frontiere non è casuale, visto che l'elemento portante principale del conflitto esposto risulta essere proprio questo. Se la Società Svizzera degli Impresari Costruttori si è ritirata dalle negoziazioni relative al rinnovo del contratto mantello soltanto qualche settimana prima dell'entrata in vigore degli ultimi accordi sulla libera circolazione, non è probabilmente casuale. E se il sindacato maggioritario brandisce l'arma del rifiuto di questi accordi durante la prossima consultazione popolare, nemmeno. Per rimettere il minareto (ops, il campanile) al centro del villaggio, dobbiamo renderci conto che un eventuale ripiego del mondo sindacale nel ridotto alpino di “guisaniana” memoria avrebbe un impatto gravissimo sulla dinamica sindacale risultante dal conflitto. Come giustificare un eventuale rifiuto dell'apertura prendendo a pretesto la fine di un contratto mantello? Difendendo la capacità di controllo sui cantieri da parte delle commissioni paritarie? Improponibile poiché illusorio. Limitando la riflessione allo slogan del dumping salariale? Riduttivo. Volendo difendere il benessere socio-politico del paese? Ridicolo. Se l'argomento avanzato dalla direzione nazionale e da diverse sezioni cantonali del sindacato maggioritario è unicamente strategico, allora passi, perché nella situazione attuale non si può rinunciare a nessun'arma di pressione. Ma se ciò rispecchia una riflessione a lungo termine, allora le conseguenze (sociali come politiche) saranno gravissime. Anche a livello padronale la discussione è modulata attorno al tema della libera circolazione, e si può probabilmente riassumere con un semplice interrogativo. È più importante per il padronato elvetico (non riducibile ai soli imprenditori edili) avere la sicurezza dell'accettazione degli accordi bilaterali, con tutte le conseguenze che essi hanno sugli scambi commerciali, a livello ad esempio dell'industria farmaceutica, dell'orologeria o dei servizi?
 
Oppure è più utile attaccare il contratto mantello dell'edilizia, senza dubbio il più importante del paese (in quanto a presenza sindacale e tradizione storica nel settore e a benefici concreti previsti, oggettivamente superiori rispetto ad altri contratti), per poi abbattere come in un gigantesco gioco del domino i contratti degli altri settori?
 
Dalla risposta a questo interrogativo dipenderà la posizione del padronato in questo conflitto, e su questa posizione non abbiamo la benché minima influenza. La risposta del mondo sindacale è, per il momento, univoca e unitaria: lotta in difesa del contratto! Nella loro immensa maggioranza, i lavoratori del settore hanno adottato la stessa posizione. Resta da determinare il nostro posizionamento rispetto al conflitto. In merito ai due interrogativi sollevate nell'articolo, la risposta, allo stato attuale dello sviluppo dello stesso, non può essere diversa. Per quanto riguarda il ruolo del sindacato, se vi è un settore nel quale i lavoratori sono (per tradizione e per spirito di
 
appartenenza di classe) uniti e poco manipolabili dalle tendenze reazionarie presenti in alcune centrali, questo settore è proprio quello edile. Allora, fiducia e sostegno devono essere dimostrati ai lavoratori in lotta, nonostante i problemi esistenti nel mondo sindacale, alcuni dei quali sono soltanto stati trattati in questo scritto. Quanto al contratto mantello infine, e malgrado gli interrogativi sollevati precedentemente, fino a quando sarà sottomesso agli attacchi diretti e univoci del padronato, allora deve essere difeso, senza dubbi di sorta e con fermezza. Se e quando poi i lavoratori e le lavoratrici decideranno di ridiscuterlo, sulle basi esposte o sotto qualsiasi altro punto di vista, allora lo faremo, senza tabù e idee preconcette, nel pieno rispetto dei nostri ideali e delle nostre esperienze. Fino ad allora, sostegno agli operai edili e lotta dura contro borghesia e padronato!