www.resistenze.org - popoli resistenti - svizzera - 04-09-10 - n. 330

da: rivistastrategos.wordpress.com:80/2010/08/25/intervista-la-svizzera-tra-neutralita-formale-e-imperialismo-latente/
 
Massimiliano Arif Ay ci spiega la Svizzera
 
Negli ultimi mesi, specialmente dopo la diatriba relativa al referendum per l’abolizione dei minareti musulmani e dopo l’incidente diplomatico con la Libia, la Svizzera è salita alla ribalta delle cronache, provocando una eco mediatica che ha risuonato ovunque nel mondo, provocando, di riflesso, anche da noi, un dibattito parimenti aspro. Molto poco si conosce della Svizzera, soprattutto in relazione alla sua posizione geopolitica e strategica, abilmente celata dietro un neutralismo ed un benessere forse di facciata. Abbiamo deciso di contattare Massimiliano Arif Ay, consigliere presso il Comune di Bellinzona e responsabile del Partito Comunista del Ticino, sezione ticinese del Partito Svizzero del Lavoro, per saperne di più.
 
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Benvenuto Massimiliano… si parla sempre molto poco della Svizzera in sede di politica internazionale, e la possibilità di saperne di più su questa realtà europea economicamente molto importante, mette sempre curiosità. E’ nota più o meno a tutti la tradizione politica collegiale e neutrale, notoriamente pacifica del tuo Paese. Molto meno nota ne è la collocazione geopolitica. Non molti anni fa, infatti, proprio attraverso il cosiddetto Partenariato per la Pace, sposato dal Ministero degli Esteri, la Svizzera è entrata a far parte di una sorta di struttura internazionale che raccoglie quei Paesi neutrali dell’area euro-atlantica e quei Paesi medio-orientali e mediterranei che intendono collaborare con la Nato. Qual’è attualmente la collocazione geopolitica della Svizzera?
 
Anzitutto vorrei fare alcune premesse circa la tua domanda. La tradizione collegiale svizzera, di cui parli, va secondo me vista, in realtà, come funzionale a un progetto consociativo che regge il sistema politico elvetico e che impedisce una reale alternanza democratica, in quanto esiste un perenne stato di “unità nazionale” fra tutti i maggiori partiti dalla socialdemocrazia all’estrema destra che permette di “spartire” la torta senza temere opposizioni e in pieno stile corporativo. Non condivido del tutto poi una visione della storia svizzera come una realtà notoriamente pacifica: basti pensare che il nostro esercito è altamente sovradimensionato, disponendo esso di un numero di soldati attivi di poco inferiore a quello dell’esercito tedesco. L’esercito svizzero, al di là della retorica, più che una milizia di popolo è un esercito borghese di leva (con ampi spazi di professionismo), funzionale al controllo sociale dei giovani e al progetto consociativo che vede nell’interclassismo uno dei suoi pilastri. Esso non è più neutrale, se non nella forma, infatti non solo è partner dell’esercito sionista di Israele, ma partecipa ad esercitazioni congiunte con le forze della NATO, invia i propri alti ufficiali negli USA per formarsi e di tanto in tanto esponenti dell’esercito statunitense sono di passaggio presso la caserma di Isone (Ticino), dove vengono addestrate le truppe dei cosiddetti “granatieri” (commandos di “milizia”, indottrinati secondo il motto fascista “semper fidelis” e con compiti di reprimere eventuali elementi dissidenti del proprio stesso esercito). Se poi pensiamo ai due servizi segreti di cui disponiamo con scopi di schedatura politica, l’immagine della Svizzera appare molto diversa rispetto al bucolico e illibato paesaggio alpino, immagine peraltro già compromessa dalle ricerche storiche degli ultimi anni, che hanno messo in evidenza come durante il secondo conflitto mondiale il nostro Paese non è stato realmente neutrale, ma ha lasciato transitare carichi di armi e di internati verso la Germania nazista. Il Partito Comunista per questo si pone come obiettivo strategico fin dal 1991 l’abolizione dell’esercito imperialista svizzero, mentre come obiettivo tattico e come “linea di massa” fra i giovani sta promuovendo una iniziativa di referendum popolare per abolire l’obbligo di leva, che avrebbe come esito che il principio della milizia (ancorato alla Costituzione come garanzia per evitare un esercito di mercenari) venga mantenuto ma reso volontario. La collocazione geopolitica della Svizzera è sempre stata molto chiara: dall’Ottocento la Confederazione è diventata la banca delle grandi nazioni colonialiste e poi imperialiste per diventare nel secondo dopoguerra la nazione che conservava i risparmi e i furti di tutti i presidenti/dittatori schierati con l’Occidente. La sua collaborazione geopolitica è quindi con l’Occidente imperialista e nel cuore d’Europa. La Svizzera è oggi il solo paese all’interno di una comunità di oltre 300 milioni di abitanti a non aderire all’Unione Europea (UE)… ufficialmente!
 
In realtà il nostro Paese (e in buona parte senza alcuna dignità e sovranità) recepisce passivamente praticamente tutta la legislazione europea attraverso gli accordi bilaterli che obbligano i legislatori di Berna ad applicare le normative comunitarie. E proprio perché i forzieri elvetici conservano parte dei risparmi degli Stati e dei dirigenti politici europei, probabilmente non vi è la necessità di aderire all’Euro, ma si continuerà a salvaguardare il valore di una moneta forte, esterna ma parallela all’area euro, ovvero il franco svizzero.
 
In merito all’integrazione europea della Svizzera i comunisti ne sono stati partigiani fino allo scorso anno, da allora è iniziato un processo di discussione che rende evidente un’evoluzione seriamente euro-scettica dei militanti. Molto più chiara la posizione del nostro movimento giovanile, la Gioventù Comunista che ha approvato una approfondita risoluzione in cui rifiuta l’adesione della Svizzera all’Unione Europea imperialista, liberista, anti-democratica e fondamentale irriformabile.
 
Di recente, in Svizzera, a seguito del referendum sul divieto di costruzione dei minareti musulmani, è riesplosa un’ondata di islamofobia senza precedenti recenti nel vostro Paese, che ha provocato una serie di ripercussioni anche molto gravi nell’ambito internazionale, a partire dalla crisi con la Libia di Muhammar Gheddafi. Quali sono le reali motivazioni di questo clima e quanto forte è, al di là del rumore mediatico, il peso specifico delle componenti più xenofobe e integraliste nel tuo Paese?
 
L’islamofobia è un fenomeno razzistico che cresce con la crisi economica, con le fasce deboli che si buttano all’estrema destra in un evidente esempio di “guerra fra poveri” fomentata dalla “destra sociale”, di stampo nazionalista e fascista, per favorire la divisione dei ceti popolari e della classe lavoratrice, come desiderato dalla destra borghese. In quest’ottica nel gennaio di quest’anno il nostro movimento giovanile ha mobilitato alcune centinaia di giovanissimi in una manifestazione contro il razzismo e la xenofobia e proprio per dare un senso di continuità a tutto ciò abbiamo segnalato per razzismo e istigazione alla violenza (due reati penali) al Ministero Pubblico della Confederazione un articolo di Giuliano Bignasca, leader della Lega dei Ticinesi, apertamente ostile nei confronti della popolazione rom: tutti gli altri partiti si sono ormai rassegnati a questo personaggio e ai suoi soldi che utilizza per fare una politica d’odio verso gli stranieri e i musulmani, noi non ci siamo stati!
 
La Svizzera è un paese retto da una democrazia semi-diretta. Quegli elementi di democrazia diretta di cui ancora disponiamo (benché lo scorso anno sia stato tolto il diritto all’iniziativa popolare legislativa!), ossia l’istituto giuridico dell’iniziativa popolare generica per modificare la Costituzione e l’istituto del referendum per rimettere al giudizio della popolazione una legge votata dal parlamento, non possono però essere in contraddizione con gli accordi internazionali che impegnano Berna. La proposta di vietare l’edificazione dei minareti in quanto discriminatoria e basata su un discorso apertamente nazionalista e razzista era palesemente anti-costituzionale ma le autorità hanno concesso la legittimità dell’iniziativa e hanno proceduto a far votare la popolazione. L’obiettivo era evidentemente quello di sfruttarlo come valvola di sfogo, pensando che l’estrema destra non vincesse. Berna ha dimostrato una grave sottovalutazione degli umori profondi del popolo svizzero bombardato di informazioni distorte e lontane dalla realtà e indirizzate a un atteggiamento unilateralmente contrario alla cultura islamica.
 
In merito alla questione Gheddafi va detto che al di là dell’interpretazione che si vuole dare alla vicenda, la Repubblica Araba di Libia Popolare e Socialista fornisce il 48,8% del petrolio utilizzato dalla Svizzera, e questo dovrebbe già far riflettere. Il nostro Paese non solo ha sbagliato tutto a livello di diplomazia, gettando nelle carceri ginevrine, con l’accusa di aver malmenato dei domestici, il figlio del presidente di un paese sovrano coperto dall’immunità diplomatica, cosa che certamente non sarebbe successa se ad aver picchiato la servitù fosse stato il figlio del solo ambasciatore degli USA! Questi due pesi e due misure hanno creato un contenzioso al limite dell’assurdo che ha reso evidenti le contraddizioni all’interno della nostra compagine di governo e all’incapacità di affrontare la situazione come si conviene. Addirittura si è saputo che parte (!!!) del governo aveva iniziato a preparare l’invio di un commando militare su territorio libico, il che sarebbe potuto essere facilmente interpretato come atto ostile se non di aperto tentativo di invasione da Tripoli.
 
Come rappresentante di un Partito molto ben strutturato e di lunga tradizione, anche a seguito delle ultime elezioni e in vista delle prossime nel 2011, che tipo di trasformazioni politiche potrebbero avvenire a Berna e come potrebbero cambiare gli equilibri all’interno della Svizzera?
 
Il partito è in fase ristrutturazione e almeno dal 1989 non si può dire sia ancora sufficientemente radicato sul territorio nazionale. Inutile nasconderlo: c’è ancora lavoro da fare per superare la fase di destrutturazione revisionista (se non addirittura liquidazionista) da cui il movimento comunista occidentale è stato investito negli ultimi vent’anni. Nel Canton Ticino tuttavia abbiamo iniziano di buona lena già nel 2006 e stiamo ricostruendo la nostra presenza con un lavoro che unisca dialetticamente ricerca della nostra identità marxista-leninista (contro ogni revisionismo di stampo bertinottiano, per intenderci, che ci ha portato nel 2007 a cambiare nome da Partito del Lavoro a Partito Comunista) e di una linea di massa e di movimento all’interno delle contraddizione della nostra società. Non so bene, in tutta franchezza, quale cambiamento sia fattibile nella società elvetica, perché il sistema consociativo attuale impedisce di fatto delle modificazione non solo radicali ma pure parziali che siano tali. E’ vero tuttavia che come già approvato dal nostro congresso si sta aprendo anche in altre forze politiche una riflessione sul fatto che un governo in cui sono presenti tutti i partiti è destinato all’inazione: esso gestisce lo stato di cose correnti ma non può fare vere e proprie innovazioni. Si mette, anzi, nel solco di un continuo peggioramento delle condizioni di vita, simili in tutta Europa, tentando con iniziative tampone di rimarginare la ferita che colpisce le fasce sociali più deboli. Non ha tuttavia la forza e l’investitura per risolvere a fondo i problemi strutturali della società. Ciò rende corretta di fatto l’analisi marxista sulla necessità di un processo rivoluzionario a cui possiamo avvicinarci con una tattica riformatrice (e non riformista!) della struttura sociale ed economica del Paese. Di sicuro è che il nostro Partito deve diventare punto di riferimento credibile per chi ancora crede nei valori di una sinistra di trasformazione sociale che ancora faccia riferimento a un’analisi di classe della realtà.
 
Utilizzando poi i margini di azione che ancora esistono nel sistema politico elvetico che prevede non solo la possibilità di lanciare iniziative popolari e referendum, ma pure quasi ovunque un sistema elettorale proporzionale, riuscire a creare sulla base di alcune idee riformatrici forti (strutturali e non meramente riformiste!) un’unità popolare.
 
La vostra attività politica è principalmente incentrata sulle tematiche relative al mondo del lavoro, al sistema economico e finanziario e alla legalità istituzionale, con un occhio, fisiologicamente, sempre attento a quello che avviene nel mondo. Nel tuo Cantone, il Ticino, quanto sono sentiti ancora questi temi dalla società e quali sono le esigenze e le paure dei lavoratori, dei piccoli commercianti, della famiglie, e in generale dei produttori?
 
Forse tutto sommato il nostro partito è uno dei pochi che si occupa delle tematiche giovanili e studentesche. Inoltre cerchiamo di stare nelle contraddizioni sviluppando una linea di massa con le nuove generazioni, quindi siamo contro la leva obbligatoria (per le ragioni in parte evidenziate nella risposta alla prima domanda) e siamo per la depenalizzazione delle droghe leggere, creando coscienza anche da fattori che teoricamente sembrano irrisori e creando – per usare delle categorie marxiste – un rapporto dialettico fra struttura e sovrastruttura, cioè fra diritti civili e diritti sociali, ricordando che questi ultimi costituiscono però la priorità per una trasformazione dei rapporti di forza e nell’ottica di un superamento del capitalismo.
 
La società svizzera vive le paure e i disorientamenti propri della società europea. Il commercio al dettaglio soffre in Ticino come nel resto d’Europa dell’aggressione dei grossi centri commerciali. Significative battaglie operaie sono rimaste poche, anche perché ampi concentramenti industriali sono ridotti al lumicino e quindi la stessa composizione di classe nella società risulta alterata. Ciononostante, laddove gruppi di operai consistenti come quelli della Swissmetal a Reconveiler (Svizzera francese) nel 2006 e delle Officine ferroviarie di Bellinzona (Ticino) nel 2008 si organizzano contro le delocalizzazioni rispettivamente contro le ristrutturazioni neoliberali del servizio pubblico, la capacità di reazione non manca, questo anche grazie ad una presenza sindacale combattiva e continuata (che sia nel primo che nel secondo caso è stata però repressa dalla burocrazia sindacale socialdemocratica).
 
Il tema ecologico, poi, suscita molto interesse, ma spesso viene o utilizzato in ottica riformista del liberalismo (partiti verdi) o semplicemente come slogan (i socialdemocratici); noi per contro abbiamo deciso di studiare con occhi marxisti l’ipotesi di una “decrescita” come una serie di misure che incida nell’accaparramento di plus-valore da parte del capitalista e nel favorire la battaglia anti-imperialista.
 
 

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