www.resistenze.org - popoli resistenti - thainlandia - 03-06-10 - n. 322

da www.rebelion.org/noticia.php?id=106875 
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Lotta di classe in Thailandia
 
di Walden Bello - Inquirer.net
 
31/05/10
 
(Estratto)
 
Dopo più di una settimana dall’accaduto, la Thailandia è ancora scossa dall’assalto militare all’accampamento delle Camicie Rosse nel centro turistico della capitale Bangkok, il 19 Maggio. I capi e i militanti delle Camicie Rosse sono trattati come prigionieri di guerra e la base del movimento, come un paese occupato. Non ci sono dubbi, il paese è in stato di guerra civile e le guerre civili non sono mai piacevoli.
 
Le ultime settimane sono servite per convincere la classe media di Bangkok che le Camicie Rosse sono "terroristi" manovrati dal primo ministro espulso Thaksin Shinawatra, mentre al contempo hanno convinto le classi basse dell’inutilità della loro maggioranza elettorale.
 
"Pro-Thaksin" contro "Anti-Thaksin": questo discorso semplicistico nasconde, in realtà, ciò che - nelle parole di Mao - è una lotta di classe con caratteristiche tailandesi.
 
Tragedia epica
 
Sulle otto settimane della "Comune di Bangkok" si racconteranno un sacco di storie e come in tutte le tragedie epiche, la verità si mescolerà col mito. Ma non ci sono dubbi su di un fatto: la decisione del governo di lanciare i militari contro i manifestanti civili non può essere giustificata in nessun modo.
 
Si stanno ancora contando le vittime. Fonti governative dichiarano che durante gli scontri culminati nell’attacco del 19 maggio sono morte circa 52 persone. Si stanno ancora rinvenendo corpi, come i nove che sono stati trovati dalle squadre di soccorso venerdì nel grande centro commerciale "Central World", e nel Rajprasong Intersection, incendiato dai manifestanti. La conta finale probabilmente sarà molto più alta. Un soldato, per esempio, dice che il 20 maggio ha contato 25 cadaveri mentre andava con la sua unità di casa in casa per setacciare la zona di Siam Square in cerca di manifestanti.
 
Simpatizzanti delle Camicie Rosse accusano i militari di aver sparato indiscriminatamente e di aver mirato su persone - comprese due del servizio medico che sono state abbattute da fucili di grande potenza - all’esterno del tempio di Wat Pathum Wanaram, dove si erano rifugiati migliaia di simpatizzanti delle Camicie Rosse. Una relazione dell’accademico tailandese Pipob Udomittipong documenta il fuoco di un’unità militare, senza che ci fosse provocazione, contro un veicolo medico presso l’accampamento delle Camicie Rosse a Lumpini Park, alcuni giorni prima dell’assalto del 19 maggio.
 
Mentre le Camicie Rosse contano i loro morti, la classe media di Bangkok si riappropria dei 39 edifici e strutture che sono stati bruciati il 19 maggio. L’editoriale del Bangkok Post dice: "I residenti della città ricostruiranno e dimostreranno che la loro volontà collettiva è più forte dei terroristi che hanno devastato case e negozi".
 
Lotta di classe
 
I media locali e nazionali hanno presentato le Camicie Rosse come un'orda di contadini che ha invaso Bangkok provenendo dal nordest del paese. Secondo molti si tratta di un falso; si stima che i manifestanti fossero per il 70% di Bangkok e delle province limitrofe e solo per il 30% del nord, nordest e altre aree rurali. Quelli che hanno resistito nelle barricate delle Camicie Rosse e non hanno obbedito ai loro leader quando li hanno invitati a disperdersi pacificamente all’approssimarsi dell’operazione militare, erano in maggioranza giovani dei quartieri poveri di Bangkok, come quello di Klong Toey. Non si può negare che ci sia una forte componente di classe tra le Camicie Rosse e le Camicie Gialle, che costituiscono la base del governo. (...)
 
Chi ha dato ordini a chi?
 
Il primo ministro Abhisit Vejjajiva ha ordinato l’assalto, ma la domanda è: chi ha dato a Abhisit (da alcuni considerato sotto l’influenza d’importanti personalità dell’elite tailandese) luce verde? Apparentemente, i comandi dell’esercito non erano favorevoli all’assalto e la polizia, ampiamente a favore delle Camicie Rosse, neppure. "Prem", dicono molti sostenitori delle Camicie Rosse, riferendosi al generale Prem Tinsulanonda, il personaggio più influente del Consiglio Privato Reale. (...) Ma secondo alcuni analisti tailandesi le Camicie Rosse quando dicono Prem, vogliono indicare altri che stanno dietro di lui.
 
Qualcuno suggerisce che l’anziano re, il quale sarebbe malato, avrebbe a che fare con la scelta di forza. Ma quest’opinione è decisamente negata da Anand Panyarachun, figura politica molto rispettata. Quest’ultimo sostiene che nella sua esperienza da primo ministro il re ha sempre rispettato il suo ruolo costituzionale. "Questo è quanto è successo nel maggio del 92’, quando ha riunito Chamlong e Suchinda (i capi guerrieri) e chiesto loro di fare il bene della popolazione."
 
Ora, qualunque siano state le azioni del re in questa recente tragedia, la discussione sul ruolo della monarchia è più esplicita che mai.
 
Come si è arrivati a questo?
 
La democrazia e le sue disillusioni
 
Un punto di partenza è forse il maggio 92, quando la dittatura del generale Suchinda Kraprayoon diede inizio a una nuova era del governo democratico. Tra il 92 e il 97 le elezioni hanno prodotto tre coalizioni, ma quelle erano formazioni parlamentari dominate da leader ed élite di partito tradizionali che portavano voti clientelari, specialmente nelle aree rurali a causa del controllo delle fonti di ricchezza economica e burocratica. Si faceva ben poco per servire gli interessi dei poveri delle campagne e delle aree urbane.
 
Mentre la democrazia perdeva il suo prestigio, l’economia e l’area metropolitana di Bangkok s’integravano rapidamente nell’economia globale attraverso le reti finanziarie e di produzione. Il 10% del tasso di crescita del PIL tra il 1985 e il 1995 - il più alto del mondo secondo la Banca Mondiale - sembrava davvero impressionante, fino a quando si scoprì che mascherava forti disuguaglianze tra Bangkok e il resto del paese, tra la città e la campagna ed anche tra le classi sociali. Tra il 1988 e il 1994 - l’apice del boom che fece della Thailandia la "quinta tigre" asiatica - il reddito famigliare della popolazione ad alto reddito aumentò dal 54 al 57,5%, mentre quello della popolazione a basso reddito diminuì dal 4,6 al 4%. Se negli anni 60 il reddito di un agricoltore era un sesto di quello dei lavoratori di altri settori, agli inizi degli anni 90 era solo la dodicesima parte. Come disse un economista, la povertà divenne "un fenomeno quasi completamente rurale".
 
Il FMI e la crisi democratica
 
Ai contadini poveri si aggiunsero d’improvviso quasi un milione di tailandesi, gran parte dei quali erano parte della classe lavoratrice spinti nell’emarginazione dalla crisi finanziaria asiatica del 1997-98. Quando la globalizzazione si è inceppata, la democrazia parlamentare ha perso credito perché i governi tailandesi sembravano incapaci di proteggere il popolo e buoni soltanto a servire il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Invece di offrire un fondo di 72.000 milioni di dollari per pagare i creditori stranieri del paese, il FMI impose un programma di "riforme" molto severo che consistette in un taglio radicale di consumi, nel fallimento di molte aziende, nella liberalizzazione della legislazione sugli investimenti stranieri e nella privatizzazione delle imprese pubbliche.
 
Quando il governo di Chaovalit Yongchaiyudh esitava nell'adottare quelle misure, il FMI fece pressioni per cambiare il governo. Il secondo governo di Chuan Leekpai fu completamente supino alle indicazioni del FMI per i tre anni seguenti. La Thailandia ebbe un governo che non rispondeva alla sua popolazione ma a un’istituzione straniera. Non c’è da sorprendersi se il governo perse credibilità, dato che le misure del FMI non fecero che precipitare il paese nella recessione e nella stagnazione.
 
Le due facce di Thaksin
 
E’ stato in queste circostanze che Thaksin Shinawatra, un imprenditore di talento, navigato politico e straordinario comunicatore ha riscosso successo. Anche se Thaksin era stato beneficiato dalla globalizzazione in quanto uomo d’affari e grazie alla condizione monopolistica della sua azienda di telecomunicazioni privata, uno dei settori economici più globalizzati, ha capito che la crisi finanziaria catalizzava i timori popolari verso il libero mercato e creava risentimento verso le élite urbane e rurali che parevano accaparrarsi la ricchezza del paese , mentre cresceva la rabbia contro le istituzioni finanziarie internazionali. Quando diventò primo ministro nel 2001, Thaksin compì una serie di azioni sorprendenti e di effetto. Devolse il prestito del FMI al paese ed espulse il FMI dalla Thailandia, creò un sistema di sistema sanitario nazionale che permise alla popolazione di essere curata ad un prezzo politico di un dollaro, impose una moratoria al pagamento dei debiti dei contadini e creò un fondo da un milione in ogni villaggio a disposizione di qualunque investimento.
 
Questo è il lato di Thaksin che gli ha fatto ottenere il favore delle masse povere ed emarginate. Ma esisteva anche un altro lato di Thaksin, quello che la maggioranza dei suoi sostenitori urbani e rurali non voleva vedere. In quanto magnate, Thaksin comprò letteralmente i suoi alleati politici, creando in questa fase una coalizione parlamentare potente e servizievole.
 
Quando sembrava aver trovato la formula per mantenere il potere sulla base di una forte maggioranza elettorale, Thaksin ha passato i limiti. Nel gennaio del 2006 la sua famiglia ha venduto la partecipazione di controllo delle telecomunicazioni tramite il gruppo Shin Corporation, per 1.870 milioni di dollari a un’organizzazione governativa di Singapore chiamata Temasek Holdings. Prima della vendita, Thaksin si è assicurato che l’affare rimanesse libero da vincoli fiscali. Questo fece sì che le classi medie di Bangkok manifestassero per chiederne le dimissioni. Sentendosi minacciate dallo sforzo di Thaksin per ridisegnare il panorama politico tailandese, l’establishment tailandese è salito sul treno della lotta alla corruzione. Incapace di rompere la maggioranza parlamentare di Thaksin o di abbatterlo con una protesta popolare, l’oligarchia ha usato i militari per espellere Thaksin nel Settembre 2006.
 
Il golpe e la crisi continua
 
La recalcitrante base popolare di Thaksin, impedì ai militari di stabilizzare il paese. Quando il regime patrocinato dai militari si è sciolto dopo il golpe, le elezioni hanno portato al potere due coalizioni parlamentari pro Thaksin. Frustrata nelle elezioni, l’alleanza fra oligarchia e classe media si è decisa all’azione diretta contro la presa del nuovo aeroporto internazionale di Suvarnabhumi da parte delle Camice Gialle anti Thaksin, nel dicembre del 2008. Contemporaneamente, misure giudiziarie cercavano di sciogliere il partito dominante pro Thaksin e di indebolirlo creando una nuova coalizione intorno ai Democratici, minoritari, guidati da Abhisit.
 
Arrivati a questo punto i seguaci di Thaksin si resero conto che avrebbero potuto restaurarne il potere solo come maggioranza politica e con dimostrazioni di forza come facevano le Camicie Gialle. Nella primavera del 2009 la guerriglia urbana che culminò con l’imbarazzante cancellazione della conferenza dell’ASEAN a Pattaya, durante la quale alcuni capi di Stato dovettero essere evacuati in elicottero, non riuscì però a sloggiare Absihit dal potere. Si risolse in una valida dimostrazione di forza delle Camicie Rosse che agli inizi di Marzo avevano cominciato il loro pressing.
 
A un passo dalla vittoria?
 
Secondo molti osservatori le Camicie Rose sono state a un passo dalla vittoria due settimane fa, quando hanno ottenuto l’elaborazione di un piano di riconciliazione in cinque punti da parte di Absihit, che comprendeva la promessa di scioglimento del Parlamento a settembre ed elezioni a novembre. Il governo sostiene che i fautori della linea dura tra le Camicie Rosse avrebbero sabotato l’accordo chiedendo nuove condizioni il cui obiettivo era far assumere la responsabilità ai capi del governo della morte di più di 20 persone durante scontri avvenuti il 10 aprile. D’altra parte, i capi delle Camicie Rosse sostengono che la fretta con cui il governo propose l’accordo non fu altro che un mezzo per prendere tempo e preparare l’intervento militare del 19 maggio.
 
Ciò che è certo è che la resa dei capi delle Camicie Rosse e la deportazione di migliaia di sostenitori alle province rurali d’origine non cancellerà la sfida del movimento. Un accademico simpatizzante delle Camicie Rosse sostiene che il risentimento da parte del personale militare, governativo e della polizia, che negli avvenimenti recenti hanno giocato un ruolo importante, creeranno una potente rete occulta in grado di proporre una nuova dirigenza per la fase di lotta successiva.
 
Ma la spinta principale verrà dal popolo. E’ chiaro che la Thailandia non sarà più la stessa. Un taxista ha riassunto la situazione attuale: "I ricchi di Bangkok credono che siamo stupidi, che la democrazia non ce la meritiamo. E’ vero, Thaksin è un corrotto. Ma è a nostro favore e lo ha dimostrato. I ricchi e la classe media ci vedono come il nemico. Se credono che siamo sconfitti si sbagliano, questa non è la fine, è solo la fine del principio".
 
 
Walden Wello, appena tornato dalla Thailandia, è membro del Parlamento delle Filippine e autore di Una tragedia siamese: sviluppo e disintegrazione della Thailandia moderna (Londra: Zed, 1998).
 
 

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