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Il 39° congresso del Partito Comunista di Ucraina (KPU)


Rassegna a cura di Mauro Gemma

 

Il 25-26 giugno 2005 si è svolto a Kiev il 39° congresso del Partito Comunista di Ucraina (KPU).

La rilevanza dell’avvenimento risiede nel fatto che i comunisti ucraini erano chiamati a dare delle risposte alla difficile situazione creatasi dopo la vittoria della “rivoluzione arancione” e il conseguente arrivo al potere degli esponenti più conseguenti di quella che alcuni tra gli stessi militanti del KPU hanno definito una “democrazia da occupazione”, intenzionata ad associare definitivamente l’Ucraina ai destini del sistema imperialista diretto dagli USA.

Il Partito Comunista di Ucraina si trova oggi anche a fare i conti con una grave crisi di militanza e di consenso elettorale, determinata fondamentalmente dalla linea “di basso profilo” assunta nel corso dei drammatici avvenimenti dell’inverno scorso. Pare proprio la posizione di sostanziale equidistanza – tenuta nella fase cruciale della crisi di fine 2004 – tra i due schieramenti (filo-russo e filo-occidentale) che si affrontavano nello scontro delle elezioni presidenziali, a determinare la disaffezione di una parte consistente dell’elettorato comunista, da sempre concentrato nelle regioni sud-orientali del paese a prevalente componente etnica russa o russofono, allarmato dagli orientamenti violentemente nazionalisti dei “rivoluzionari” eterodiretti di Viktor Juschenko, dall’odio etnico e religioso (sono di questi giorni le provocatorie e prepotenti incursioni “evangelizzatrici” degli “uniati” di rito greco cattolico nelle zone a prevalenza ortodossa) scatenato delle elites vittoriose delle regioni occidentali e,  per quanto riguarda in particolare la classe operaia, dagli scenari possibili (come sta puntualmente avvenendo dopo la vittoria degli ultra-liberisti filo-americani) di ristrutturazione selvaggia dell’apparato produttivo delle regioni industriali del paese, di drastico ridimensionamento della collaborazione economica con la Russia, e di penetrazione dei capitali occidentali.

Il risultato della scelta di neutralità rispetto ai “candidati borghesi” e del rifiuto di fare fronte comune con gli altri avversari della scalata NATO all’Ucraina – che ha provocato aspre discussioni all’interno del partito stesso - è stato un vero e proprio tracollo elettorale al primo turno delle elezioni presidenziali, che ha ridotto il KPU a dimensioni testimoniali. In seguito, la scelta di astensione nel secondo turno ha avuto come effetto quello di provocare lo spostamento di ampi settori della militanza comunista non solo verso formazioni comuniste minori che non hanno esitato, fin dal principio, in nome di istanze antimperialiste, a schierarsi con il candidato filo-russo Viktor Janukovic (ad esempio, il Partito Progressista Socialista di Ucraina di Natalja Vitrenko), ma anche verso alcune tra le stesse formazioni “borghesi” dell’Ucraina orientale (il “Partito delle regioni” dello stesso Janukovic, strettamente collegato con il partito “Russia Unitaria” del presidente russo), considerate, a torto o a ragione, più determinate nella lotta contro la deriva filo-NATO e ultra-liberista di Viktor Juschenko.

E’ così che nell’assise dei comunisti non sono mancati accenti fortemente preoccupati per la situazione gravissima venutasi a determinare nel paese e per la precarietà delle attuali condizioni del partito.

A onor del vero, lo stesso leader del KPU, Piotr Simonenko, nel rapporto politico  presentato a nome del Comitato Centrale, non ha nascosto il quadro di grandi difficoltà per il partito, descrivendo con notevole chiarezza lo scenario internazionale, in cui si inserisce la svolta filo-imperialista degli “arancioni”, rifiutando le banali asserzioni di equivalenza tra le politiche dell’imperialismo e quelle della Russia, e ribadendo l’opzione favorevole allo sviluppo dei processi di integrazione nell’ambito dello spazio post-sovietico.

Il gruppo dirigente del partito sembra però avere preferito, almeno per ora nell’imminenza delle elezioni parlamentari, non dare corso a un processo autocritico radicale rispetto alle scelte di non schieramento tra le forze borghesi, operate al momento del manifestarsi della crisi che ha infine portato al potere il gruppo di Juschenko e che ha permesso l’avvio del processo di definitiva integrazione coloniale nel sistema di alleanze politiche, economiche e militari dell’imperialismo. I commentatori più attenti non hanno comunque mancato di notare, analizzando sia la relazione di Simonenko che l’andamento del dibattito congressuale, l’apertura di qualche spiraglio, in vista delle elezioni parlamentari, in merito alla possibilità di future alleanze con partiti filo-russi, al fine di creare difficoltà all’attuale corso politico del paese.

 

Per offrire qualche elemento di informazione su un avvenimento certamente importante per l’insieme della sinistra europea (che, a dire il vero, è sembrata completamente spiazzata dal drammatico evolversi dei recenti avvenimenti in Ucraina), passato completamente inosservato nel nostro paese, si propone la traduzione di alcuni documenti.

Il primo è rappresentato dall’ampia nota redatta da un esponente del KPU, Vladimir Zujev, che illustra i momenti salienti del congresso e i suoi risultati più significativi e si sofferma sugli elementi pregnanti dell’analisi che i comunisti ucraini sviluppano in merito agli scenari della politica interna ed estera del loro paese.

Segue, in evidente polemica con lo stesso Zujev, un articolo di Jurij Dergunov, uno di quei marxisti dell’ex URSS che, in funzione antimperialista, accordano il loro sostegno critico al presidente russo e ad alcuni settori dell’apparato statale, impegnati, a loro avviso, in una politica rispettosa degli interessi nazionali e seriamente interessati allo sviluppo dei processi di integrazione tra le repubbliche dello spazio post-sovietico.

Conclude la rassegna il significativo capitolo della lunga relazione introduttiva di Piotr Simonenko, dedicato agli intrecci internazionali della vicenda ucraina.

 

M.G.

 

27 agosto 2005

 

 

“Il congresso del Partito e la “democrazia da occupazione”

di Vladimir Zujev

http://www.left.ru , luglio 2005

 

Il 25-26 giugno a Kiev si è svolto il 39° congresso del Partito Comunista di Ucraina. Il congresso è venuto a coincidere con una situazione molto complessa per il paese. Per la prima volta il nostro paese, in tutto il periodo della sua esistenza “indipendente”, si è trovato sotto il potere di una “democrazia da occupazione”. Questo è il nuovo termine, entrato recentemente nel linguaggio politico. Significa un sistema di gestione, mediante il quale la dirigenza del paese, che a parole dichiara principi democratici, ma che è giunta al potere con il sostegno esterno, politico, ideologico e, ciò che più conta, materiale, è sottomessa completamente ai suoi creditori.

I comunisti dell’Ucraina hanno esaminato al congresso gli errori commessi nel periodo della campagna presidenziale, elaborando nuovi approcci nella strategia e nella tattica di lotta al regime antipopolare dominante.


Il congresso del partito comunista rappresenta sempre per l’Ucraina un avvenimento non ordinario, significativo, poiché il partito comunista è stato e rimane una delle forze politiche di maggior rilievo del paese. Nel rapporto, presentato a nome del Comitato Centrale dal primo segretario del KPU Piotr Nikolajevic Simonenko, si è rilevato che la forza del partito conta su 95.872 comunisti. Nel paese ci sono complessivamente 8.549 organizzazioni di base, 750 comitati cittadini e rionali del KPU. Nel periodo del tesseramento sono entrate per la prima volta nel partito 7.819 persone. Il corpo parlamentare del partito consta di circa 4.700 deputati a tutti i livelli e, in particolare, i comunisti hanno 56 mandati nel Soviet Supremo. All’inizio dell’anno in corso molti abitanti dell’Ucraina e, in particolare, i partecipanti alla “rivoluzione arancione”, speravano che il cambiamento del potere avrebbe determinato un miglioramento della loro situazione. Ma hanno ottenuto solamente un rapido aumento dei prezzi di tutti i prodotti, prima di tutto quelli di prima necessità, la benzina e gli affitti. Per questa ragione la delusione e il malcontento della popolazione vanno crescendo, mentre l’euforia di quei cittadini, che nei primi mesi riponevano aspettative nella direzione del “presidente popolare” e nel lavoro del “governo di fiducia”, oggi è praticamente ridotta ai minimi termini. Ma del fatto che il favorito di Kuchma, l’attuale presidente Juschenko, avrebbe anche in seguito spinto il paese nel baratro dell’illegalità e della miseria, i comunisti, instancabilmente, avevano sempre messo sull’avviso i cittadini, ad iniziare dal momento della designazione di Juschenko a primo ministro. Come ha sottolineato Piotr Simonenko: “…il popolo è diventato la vittima dell’inganno e dell’autoinganno, perché non è ancora nella condizione di rendersi conto dei propri interessi di classe, ed anche di chi sono i propri nemici di classe”.


Il responsabile di una delle organizzazioni di partito ha raccontato al congresso che il KPU, nelle elezioni parlamentari del 1998, nella sua regione aveva ricevuto il 52% dei voti, nel 2002 era sceso al 27%, mentre nelle elezioni presidenziali del 2004 per il candidato del KPU ha votato solo l’8,6%. Il rapporto politico è stato così dedicato anche all’analisi delle cause degli insuccessi e alla ricerca dei modi attraverso cui rimuovere le tendenze non favorevoli al partito. Nel rapporto si è rilevato che oggi il KPU deve combattere su tre fronti.
Il primo: contro il regime filo-americano, nazionalista. Il secondo: contro l’opposizione della borghesia di destra (Partito delle regioni, Partito Socialdemocratico di Ucraina, Partito degli industriali e degli imprenditori). Il terzo: contro gli opportunisti di sinistra (Partito Socialista, Partito Comunista degli operai e dei contadini, Partito Comunista di Ucraina (unificato) e altri). Negli interventi al congresso si è sottolineato che ci si trova a lavorare in condizioni nuove, molto più complesse e intricate che nel passato. Oggi tutte le forze politiche, incluse quelle di destra, cercano di strumentalizzare gli slogan economici e sociali dei comunisti. Si capisce che tali slogan verranno agitati solo fino al giorno delle elezioni. Ma facendo affidamento su potenti risorse finanziarie, informative e di altro tipo, i nostri nemici prendono in giro il popolo, “scompaginando” le file dei tradizionali alleati dei comunisti.


Una delle questioni principali affrontate al forum dei comunisti di Ucraina è stata quella relativa agli “alleati”. Il congresso è giunto alla conclusione che il partito non doveva sacrificare le posizioni di classe sull’altare dell’alleanza con forze politiche di natura diversa. In merito alla possibilità di una collaborazione con il Partito delle regioni, guidato da V. Janukovic, Piotr Simonenko ha dichiarato che tale partito rappresenta gli interessi del grande (anche se regionale) capitale. E ciò influenza il rapporto che il KPU ha nei suoi confronti. Negli interventi dei comunisti si è evidenziato che, dopo la sfortunata campagna elettorale, da qualche parte si è manifestata sfiducia nelle possibilità di successo e si è determinato un clima di incertezza. Tanto più che i poteri hanno sempre cercato e continuano a cercare oggi di trascinare dalla loro parte o corrompere alcuni settori dell’attivo di partito, di provocare dispute interne, che allontanino dalla lotta politica concreta. Ma tali tentativi di minare l’unità del partito sono stati individuati in tempo e bloccati. Il partito rimane unito e compatto. E là dove i comunisti lavorano energicamente, con il totale impegno delle forze, si vedono anche i risultati. Nel rapporto presentato dalla commissione di verifica del congresso, si è fatto in particolare notare che la terza per numero di delegati, dopo le regioni industriali e densamente popolate di Donetsk
e Dnepropetrovsk (56 e 54 mandati rispettivamente), è la regione agraria di Zhitomir, con 41 delegati. Nel rapporto politico si è messo in rilievo come in questa regione si sia verificato il più rilevante afflusso di nuovi iscritti al partito. In questa regione, in due anni sono entrate 1.700 persone nel KPU. Le ragioni di questi importanti risultati sono diverse. Prima di tutto, c’è il fatto che la grande maggioranza dei dirigenti del partito dopo il 1991 non è passata di campo, ma è rimasta fedele ai propri principi. Per questo anche l’attivo dei quadri del comitato regionale pare sufficientemente saldo. La seconda ragione del successo dei comunisti di Zhitomir consiste nell’aver dato priorità alle questioni concrete. Là i nostri compagni godono della reputazione di persone che non si limitano a pronunciare bei discorsi ma che, ognuno nel proprio ambito, compiono azioni concrete necessarie alla gente. Il popolo risponde attribuendo la propria fiducia. Nella regione ci sono 269 deputati comunisti a vari livelli.


Nel proprio lavoro, i comunisti dell’Ucraina possono contare anche sul sostegno internazionale. Al congresso hanno partecipato dirigenti non solo dei partiti fratelli di Russia, Bielorussia e Moldavia, ma anche le delegazioni dei partiti comunisti del Vietnam, del Portogallo, della Siria, della Francia e di alcuni altri paesi. Dai delegati del congresso è stato accolto con grande entusiasmo l’intervento del presidente del CC del PCFR G. A. Zjuganov. Egli ha offerto un’analisi dettagliata della situazione in Russia, ha tratteggiato i compiti essenziali che il PCFR deve affrontare, la strategia e la tattica necessarie alla soluzione di tali compiti.


Il KPU ritiene di non essere stato in grado di raggiungere gli obiettivi posti nelle recenti elezioni presidenziali. Ma nel partito non c’è ombra di sconforto. C’è l’intenzione di rovesciare la tendenza all’arresto della crescita delle iscrizioni e alla perdita del sostegno degli elettori. E c’è la comprensione delle strade da percorrere in questa direzione. Ci sono segni importanti che dimostrano che si sta riconquistando la fiducia del popolo, come testimoniano anche i risultati dei sondaggi. Ma, come è stato detto nel rapporto politico, il partito non può permettersi di adagiarsi nell’ordinaria amministrazione e nel placido andazzo burocratico. Sia il rapporto politico che gli interventi dei delegati sono stati a tal proposito rigorosi e autocritici.

Al congresso è stato eletto il nuovo Comitato Centrale del KPU, di 163 componenti, e la nuova Commissione Centrale di Controllo, di 54. Al plenum organizzativo del CC primo segretario è stato nuovamente eletto Piotr Simonenko.


Simonenko ha ancora una volta voluto sottolineare che, dopo le recenti elezioni presidenziali del 2004, il partito ha tratto serie conclusioni. In particolare, egli ha affermato che nessuno è riuscito nell’intento di demoralizzare i membri del partito, il quale ha mantenuto la propria saldezza morale e organizzativa ed è intenzionato a sviluppare la propria iniziativa in tutte le direzioni. Il KPU deve però essere capace di adeguare la propria struttura politico-sociale alle esigenze dei lavoratori. Inoltre, il KPU, in vista delle elezioni, deve riempire di nuovi contenuti lo slogan “Tutto il potere ai soviet”. Per Piotr Simonenko, oggi lo slogan deve essere il seguente: “Tutto il potere ai soviet: ai soviet dei lavoratori”. Allo stesso tempo, Simonenko ha voluto sottolineare che il KPU dovrà cercare di ottenere il massimo di rappresentanza non solo nella Rada Suprema, ma anche nei Soviet locali, dal momento che, dopo l’introduzione della riforma costituzionale, il loro ruolo è significativamente cresciuto.

Tornando a quanto detto all’inizio dell’articolo, si deve ancora una volta notare che il risultato delle elezioni del 2004 in Ucraina è rappresentato dalla “democrazia da occupazione”. Il principale risultato della ripetizione del secondo turno delle elezioni presidenziali del 26 dicembre è rappresentato dal fatto che ora l’Ucraina si trova nello stesso campo della Georgia, dell’Afghanistan, del Kosovo e dell’Iraq. Di quale campo si tratta? Sono questi paesi che, per ragioni diverse si sono trovati in condizione di perdere l’indipendenza e la sovranità. In ciascuno di questi paesi non si sono svolte elezioni indipendenti, legali, poiché in essi il nuovo potere è stato imposto con la forza, mentre l’illegalità introdotta dall’esterno veniva mascherata da una parvenza di elezioni democratiche.


Di fatto, in tutti questi paesi si è attuato un colpo di stato, ma il cambio di regime si è realizzato, in primo luogo, con il sostegno di un intervento esterno, ed anche attraverso un sistema internazionale organizzato di riconoscimento della sua legalità. Il processo che ha portato al cambiamento di regime, in diversi paesi, negli ultimi decenni è mutato radicalmente ed ha assunto forme diverse. Se in precedenza il cambio di regime nelle “repubbliche delle banane” si realizzava attraverso l’utilizzo della sola variante della forza e rappresentava il risultato della “diplomazia delle cannoniere” e dell’intervento di truppe da sbarco, oggi i colpi di stato vengono compiuti in modo sempre più accurato e sofisticato. Esempio da manuale di cambio del regime dominante è rappresentato dalla cosiddetta “rivoluzione delle rose” in Georgia, dove una folla travestita da “volontari-attivisti” della società civile ha letteralmente scaraventato Shevarnadze fuori dal palazzo del parlamento – e dal potere. In seguito si è saputo che i “volontari-attivisti” erano stati addestrati per alcuni mesi da istruttori americani e che per il suo “impeto rivoluzionario” questa gente aveva ricevuto un lauto compenso.


Un classico, a proposito di cambio di regime, sono ormai diventate anche le azioni dei “rivoluzionari arancione” in Ucraina. Questi “Marat e Robespierre”, diretti da capi di stato stranieri e da organizzazioni intergovernative (tipo OSCE) e non governative create appositamente a tale scopo, hanno obbligato la dirigenza dell’Ucraina e gli organi supremi del potere ad assumere decisioni completamente anticostituzionali e contrarie alla legge. Un amaro riflesso di tale pratica è riscontrabile nell’aneddoto, circolato dopo la decisione di rifare le elezioni: “Rispettabili elettori, Vi invitiamo a non andarvene. Rimanete ai seggi elettorali. Poiché Viktor Juschenko non ha raccolto un numero sufficiente di voti, tra quaranta minuti si svolgerà il 79° turno delle elezioni”.


Il cambiamento di tutti questi regimi mira alla creazione di stati, formalmente nazionali, ma eterodiretti. Per l’egemonia globale degli USA, che si estende oggi a tutto il mondo, la formazione di tale tipo di “nazioni” significa la costruzione di un particolare genere di “colonne portanti”, mediante le quali l’imperialismo americano aspira a creare uno spazio unico, un solo impero mondiale, diretto da Washington. La prova fondamentale del colpo di stato a suo tempo compiutosi in Ucraina e del passaggio a una “democrazia da occupazione” è rappresentato da tale fatto: l’ingerenza aperta, sfacciata e senza precedenti negli affari interni dell’Ucraina da parte dell’OSCE, del Consiglio d’Europa, di innumerevoli presidenti e inviati all’indomani del secondo turno delle elezioni, quando, in seguito alla proclamazione di V. Janukovic come vincitore da parte della Commissione Elettorale Centrale, si stabilì di far effettuare un terzo turno, in cui sarebbe stato poi  dichiarato presidente V. Juschenko, ancor prima di aver organizzato una nuova Commissione Elettorale Centrale.


Che la ripetizione delle elezioni in Ucraina sia dovuta ad una occupazione, si capisce dal fatto che le votazioni sono state messe sotto il controllo di più di 10.000 osservatori ufficiali di organizzazioni internazionali e stati esteri. Solo per fare un confronto, nel 1999 di tali osservatori ne arrivarono circa un migliaio. Se tale esercito di 10.000 osservatori stranieri non rappresenta una misura classica di occupazione, che cos’è allora un’occupazione? Nel giornale del nostro partito “Kommunist” sono state riprese le rivelazioni di uno dei leader “arancione” che, in un’intervista al giornale inglese “Guardian”, ha svelato i meccanismi attraverso cui si è manifestata la “spontanea energia delle masse”. Secondo quanto afferma costui, nel Maydan venivano distribuiti quotidianamente 5 tonnellate di minestra, 10.000 filoni di pane, 200 bombole del gas per il riscaldamento delle tende. E in vista delle elezioni si è proceduto all’istruzione come osservatori di circa 150.000 “ rivoluzionari arancione”, a cui sono state consegnate 10.000 videocamere per il lavoro nelle sezioni elettorali. Molti di questi “osservatori” si distinguevano per il portamento militare ed erano pronti all’occasione a fare uso delle armi. Tutto ciò, si capisce, non è stato certo pagato da Juschenko e dalla sua squadra. Esiste allora un
quarto fronte, in cui deve continuamente impegnare le proprie forze il KPU: la massiccia ingerenza dell’Occidente negli affari interni dell’Ucraina. In parole povere, una compera massiccia dei voti, degli strumenti di informazione di massa, ed anche la più sfacciata corruzione di funzionari statali di rango elevato a colpi di centinaia di milioni di dollari. Se si ritorna col pensiero al più recente passato, è possibile rammentare quanto la dissoluzione dell’Unione Sovietica sia stata favorita anche dalle attività di “agenti”, come Jakovlev, Shevarnadze, Gorbaciov e alcuni altri (è possibile ricordare anche il XXVIII congresso del PCUS, ma questa è un’altra storia).


Già oggi l’Ucraina (come anche la Georgia, l’Afghanistan, il Kosovo e l’Iraq) agli occhi dell’opinione pubblica mondiale si presenta come un paese senza indipendenza e in via di dissolvimento, vale a dire
un paese, che si è dimostrato incapace di riproduzione indipendente del potere, che non ha saputo mantenere la sovranità. Ne consegue un atteggiamento sprezzante da parte dei leader di altri stati nei confronti del nostro presidente, considerato una figura del tutto priva di indipendenza. Il destino di tali paesi è quello di essere diretti dall’esterno, la completa perdita di indipendenza e il passaggio dalla “democrazia da occupazione” all’occupazione fisica.


Tutti i segni distintivi di tale stato dipendente in Ucraina sono di fronte agli occhi: un potere estremamente indebolito dello stato, la disintegrazione di fatto del paese, la corruzione che investe tutte le strutture del potere, l’enorme influenza della criminalità, la qualità della vita della popolazione permanentemente in via di peggioramento e, come conseguenza, l’abbassamento della natalità e l’aumento della mortalità, l’insufficiente capacita di controllo delle strutture di sicurezza, l’impossibilità di un normale funzionamento delle infrastrutture dei trasporti e dell’industria. L’incremento dei prezzi incontrollato dallo stato dei prodotti alimentari essenziali, del gas, della benzina, dei trasporti, dei servizi comunali è solo un’ulteriore prova dell’inconsistenza del potere attuale. La sola vista del Procuratore generale dell’Ucraina che “balla” al suono delle direttive dell’ambasciatore americano rappresenterebbe un’infamia per un paese indipendente degno di questo nome…Recentemente, persino l’ex presidente traditore Kravchuk ha avuto modo di affermare che, se avesse saputo che il potere in Ucraina sarebbe caduto nelle mani di personaggi come i “rivoluzionari del Maydan”, non avrebbe mai sottoscritto gli accordi di Belovezh (che sancirono la fine dell’URSS nel 1991, nota del traduttore) (…)

 

 

“Domande senza risposta”

di Jurij Dergunov

http://www.left.ru , luglio 2005

 

Da tempo non mi capitava di leggere in “Left.ru” un articolo così contraddittorio come quello di Vladimir Zujev, dal titolo “Il congresso del Partito e la democrazia da occupazione”. Questo articolo è a suo modo importante, dal momento che mette in rilievo sia come alcuni membri del Partito Comunista di Ucraina interpretino i cambiamenti della situazione politica del paese, quanto la mancanza di considerazione dei propri errori, a dispetto delle solenni dichiarazioni di senso contrario.

Voglio cominciare dalla parte centrale dell’articolo di Zujev, in cui egli definisce il regime instaurato in Ucraina “democrazia da occupazione”.

Zujev scrive: “Il principale risultato della ripetizione del secondo turno delle elezioni presidenziali del 26 dicembre è rappresentato dal fatto che ora l’Ucraina si trova nello stesso campo della Georgia, dell’Afghanistan, del Kosovo e dell’Iraq. Di quale campo si tratta? Sono questi paesi che, per ragioni diverse si sono trovati in condizione di perdere l’indipendenza e la sovranità. In ciascuno di questi paesi non si sono svolte elezioni indipendenti, legali, poiché in essi il nuovo potere è stato imposto con la forza, mentre l’illegalità introdotta dall’esterno veniva mascherata da una parvenza di elezioni democratiche.


Di fatto, in tutti questi paesi si è attuato un colpo di stato, ma il cambio di regime si è realizzato, in primo luogo, con il sostegno di un intervento esterno, ed anche attraverso un sistema internazionale organizzato di riconoscimento della sua legalità. Il processo che ha portato al cambiamento di regime, in diversi paesi, negli ultimi decenni è mutato radicalmente ed ha assunto forme diverse. Se in precedenza il cambio di regime nelle “repubbliche delle banane” si realizzava attraverso l’utilizzo della sola variante della forza e rappresentava il risultato della “diplomazia delle cannoniere” e dell’intervento di truppe da sbarco, oggi i colpi di stato vengono compiuti in modo sempre più accurato e sofisticato”.


E’ difficile dire, in quale misura tale punto di vista possa essere definito proprio del Partito Comunista di Ucraina dopo le elezioni. In ogni caso, si distingue abbastanza nettamente dalle affermazioni di Piotr Simonenko fatte nel corso del medesimo congresso:

“Il regime ha mandato Kuchma in pensione, pagandogliela lautamente, ma il kuchmismo nella sua forma più detestabile continua a vivere in questo vergognoso sistema politico”.

“Sotto la copertura ideologica della rivolta dei milionari contro i miliardari si è realizzata la solita rotazione nella catena di comando tra l’una e l’altra delle squadre”

“Il regime dominante, ieri incarnato da Kuchma, ed ora da Juschenko, ha concentrato nelle proprie mani prerogative illimitate, ottenendo in sostanza un potere autocratico”.

Ed ecco il parere di un altro alto esponente del KPU, Gheorghij Kriuckov:

“Per il loro contenuto, gli avvenimenti del 2004 hanno rappresentato una contesa all’ultimo sangue – nell’ambito dello stesso assetto – tra due potenti clan criminal-oligarchici per il potere, per la spartizione della proprietà sottratta al popolo, per la conquista degli strumenti di informazione di massa”.


Ciò significa che Simonenko e Kriuckov di fatto confermano la loro tesi in merito all’equivalenza tra il regime di Kuchma e quello di Juschenko. Zujev prosegue, affrontando le questioni del ruolo che l’imperialismo ha avuto nel determinare l’arrivo al potere di Juschenko e il cambiamento del ruolo dell’Ucraina nel sistema imperialistico. E richiamando questi problemi, sembra comunque non accorgersi di quanto stonino con l’ode elevata al KPU.

Forse che gli ultimi mesi hanno rimosso dalla memoria il ruolo che il KPU ha giocato nella vittoria di Juschenko? Se l’attuale regime effettivamente rappresenta una “democrazia da occupazione”, perché fin dall’inizio il KPU non ha indirizzato i propri sforzi alla lotta contro gli “arancione”? Tali domande appaiono, in misura rilevante, retoriche, dal momento che già da tempo il KPU ha pronta la risposta circa l’inopportunità del sostegno dei comunisti a gruppi distinti di borghesia.


Zujev scrive che “il congresso è giunto alla conclusione che il partito non doveva sacrificare le posizioni di classe sull’altare dell’alleanza con forze politiche di natura diversa”. Perché allora dimentica altri episodi del congresso, ad esempio l’intervento di Leonid Grac? Di Grac si possono avere opinioni diverse, ma è difficile negare che fosse nel giusto, quando ha accusato il vertice del KPU di avere collaborato con “Nostra Ucraina” (il partito di Juschenko, nota del traduttore) e il Blocco di Julija Timoshenko (la miliardaria malversatrice, pupilla degli USA, oggi premier, nota del traduttore) nell’autunno del 2002. Tale critica non ha avuto alcun effetto.


E ancora si pongono nuove domande. Forse che a quel tempo, il partito non “ha sacrificato le proprie posizioni di classe”, sostenendo partiti borghesi? Come si concilia tutto ciò con l’affermazione per cui “del fatto che il favorito di Kuchma, l’attuale presidente Juschenko, avrebbe anche in seguito spinto il paese nel baratro dell’illegalità e della miseria, i comunisti, instancabilmente, avevano sempre messo sull’avviso i cittadini, ad iniziare dal momento della designazione di Juschenko a primo ministro”? Se ciò fosse stato noto già allora, perché il KPU ha avviato tale collaborazione? E, infine, perché allora il partito ha invece poi mantenuto così conseguentemente le proprie “posizioni di classe”, quando la questione essenziale era rappresentata dalla via di sviluppo che avrebbe imboccato l’Ucraina: o “la riproduzione indipendente del potere” o “la democrazia da occupazione” (termini utilizzati da Zujev)?


So di non essere il primo a porsi simili domande, ma sono convinto che occorra porsele almeno fino a quando i comunisti ucraini non si renderanno conto che l’Ucraina non sta sospesa nel vuoto, ma vive in un sistema imperialista. Senza comprendere ciò non è possibile capire la situazione non solo in Ucraina, ma anche in un qualsiasi altro paese del mondo. E se Zujev avrà l’onestà intellettuale di sviluppare le proprie posizioni in modo logico, arriverà da solo a tali conclusioni.

Senza tale “lavoro sugli errori” in linea di principio non è possibile la comprensione delle ragioni, per cui il KPU è venuto a trovarsi nell’attuale situazione di crisi, ma la dirigenza del KPU evidentemente non è in grado di compierlo. Altrimenti Simonenko non avrebbe affermato al congresso che “la campagna elettorale ha dimostrato che il partito dei comunisti è una forza politica qualitativamente nuova, poderosa, dinamica, che dispone di un programma adeguato, fondato su basi scientifiche”.

E’ certo che i documenti del congresso non offrono elementi per ritenere che il KPU in qualche modo stia riconsiderando il proprio ruolo nel sistema politico dell’Ucraina. Ma l’attività del KPU, in quanto partito “rispettabile” di tipo parlamentare, è condannata in partenza al fallimento. La conferma viene dal crollo elettorale del KPU. Qui non si tratta solo di “intensa propaganda manipolatrice” del regime, ma, in primo luogo, del partito stesso, che non è stato in grado di formulare con chiarezza una posizione coerente.


Non escludo che, nonostante tutto, il KPU abbia comunque tratto alcune lezioni. In ogni caso, il rifiuto del suo gruppo parlamentare di stare al gioco secondo le regole tradizionali in occasione della recente votazione del pacchetto di leggi, collegate all’entrata nel WTO, rappresenta un segnale che fa ben sperare. Per la prima volta dopo molto tempo, grazie al boicottaggio della votazione, le opinioni espresse dal KPU sono state descritte dai “media” con toni di odio e non di disprezzo o presa in giro.

E’ degna di nota anche la dichiarazione rilasciata da Simonenko il 9 luglio, secondo cui “se sarà necessario – so cosa pensa il popolo – noi ci rivolgeremo anche all’opinione pubblica e alla popolazione perché vengano utilizzati, in accordo con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, i metodi della forza in difesa dei diritti e delle libertà…Se fosse necessario useremo anche i pugni e abbiamo già dimostrato in parlamento che non staremo a guardare”.

Si capisce che sorgono domande in merito alla serietà di tale posizione e se non si tratti di una forma particolare di propaganda elettorale. E’ da troppo tempo che il KPU ha assunto una linea poco credibile, ragion per cui sarà molto difficile ristabilire l’autorità perduta, sempre che ciò sia possibile. Sta per scadere il tempo necessario per stabilire se il partito si trovi alla vigilia della sua rifondazione o se sia in procinto di estinguersi.

 

 

“L’Ucraina nel mondo contemporaneo globalizzato”

Dal rapporto politico presentato da Piotr Simonenko, leader dei comunisti ucraini, al XXXIX congresso del Partito Comunista di Ucraina (25 giugno 2005)

http://www.kprf.ru , 12 luglio 2005

 

Ciò che avviene in Ucraina rappresenta parte costitutiva organica dei processi su scala mondiale. All’Ucraina è capitato di trovarsi all’epicentro della contrapposizione strategica delle forze mondiali che combattono per il mantenimento e il rafforzamento della propria influenza e del proprio dominio.

Il dissolvimento dell’Unione Sovietica e la restaurazione del capitalismo nella sua sfera d’influenza hanno rappresentato la più grande tragedia del XX secolo, hanno provocato afflizione e sofferenza al popolo sovietico e a molti popoli del mondo. E’ stato distrutto l’equilibrio strategico su scala planetaria. La comunità progressista mondiale ha perso il suo principale sostegno.

Facendo sfoggio di frasi sulla lotta al terrorismo e sulla necessità di trasformare il mondo in un’unica grande comunità, conducendo la politica del ricatto e della forza, gli USA rapinano sfacciatamente le ricchezze altrui, schiacciano brutalmente coloro che non sono consenzienti, coloro che ad essi oppongono resistenza.

In tal modo, gli USA hanno in pratica instaurato un controllo totale su tutto il pianeta, esercitando il ruolo di gendarme mondiale.

 

E’ evidente che i complessi processi e tendenze, che si manifestano nel mondo contemporaneo globalizzato, influiscono attivamente anche sullo sviluppo degli avvenimenti in Ucraina. A partire da ciò, il Partito Comunista considera proprio compito la creazione di condizioni esterne favorevoli alla risoluzione dei problemi interni ed anche alla realizzazione della conseguente integrazione dell’Ucraina nella politica internazionale e nell’economia mondiale a livelli che corrispondano ai nostri interessi nazionali.

Su questo piano, noi comunisti osserviamo che, da un lato, gli USA e gli altri paesi dell’Occidente, ed anche le istituzioni internazionali, come la NATO, l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio intendono assoggettare completamente l’Ucraina alla loro arrogante politica della forza, fare del nostro paese un territorio semicoloniale sotto controllo, una sorta di riserva in Europa e, allo stesso tempo, un avamposto della NATO contro la Russia.

D’altro canto, noi assistiamo ai solerti e avvilenti tentativi del regime al potere in Ucraina di conquistare a qualsiasi costo i favori dell’Occidente, anche al prezzo della svendita dei nostri interessi nazionali.

 

Proprio allo scopo di rafforzare tali tendenze e la loro influenza nelle sfere della politica in Ucraina, di sostenere le forze nazionaliste di destra, e di assicurare loro il reclutamento di giovani, gli USA e i loro alleati hanno appoggiato e coordinato molteplici attività ostili agli interessi nazionali dell’Ucraina, come i “fondi umanitari”, i “centri”, i “comitati elettorali” e le altre strutture “non governative” e gli strumenti di comunicazione di massa “indipendenti”.

Dopo l’arrivo al potere di Juschenko e del governo a partecipazione nazionalista e socialista da lui controllato, la posizione dell’Ucraina nel contesto internazionale è peggiorata in modo significativo: il paese è venuto a trovarsi all’epicentro dei conflitti esterni.


Il passaggio dalla “multilateralità” alla diretta dipendenza dagli interessi strategici degli USA è stato possibile con l’avvento al potere di un regime “compradore” filo-americano, filo-NATO, che sta trasformando il territorio dell’Ucraina in piazza d’armi per la contrapposizione non solo nei confronti della Russia e dei suoi alleati, ma anche nei confronti dell’Europa unita.

Le “rivoluzioni dei colori” e il conseguente sviluppo degli avvenimenti in Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Uzbekistan offrono gli elementi per definire gli indirizzi dell’espansione americana nel territorio della CSI e, più in generale nello spazio eurasiatico:

- l’avvento al potere di regimi filo americani e l’affondamento di tutti i processi di integrazione nell’ambito della CSI;

- la riorganizzazione di tutte le istituzioni regionali esistenti e la creazione di nuovi organismi funzionali agli interessi della strategia USA;

- lo spiegamento – sotto forma di “rafforzamento della democrazia” nella CSI – sul territorio dei suoi satelliti di centri sovversivi “di opposizione” contro i poteri legittimi in Russia, Belarus, Armenia, Kazakhstan, Uzbekistan;

- il rafforzamento della presenza militare-politica degli USA nella regione al fine di una ridislocazione delle sue basi militari nei paesi di “nuova democrazia”, il metodico inserimento dei paesi della CSI nella NATO, la creazione di assi geopolitici contro la Russia e l’UE: “Asse del Mar Baltico e del Mar Nero”, GUUAM, “Polonia, Ucraina, Lituania” , “Gruppo di Vilnius” rafforzato, ecc.;

- il disarmo nucleare della Russia e la sua disintegrazione;

- la realizzazione del controllo sulle risorse energetiche eurasiatiche e sul loro trasporto nei mercati mondiali.

 

All’Ucraina in questo grande gioco viene attribuito il ruolo di uno degli oggetti e dei soggetti attivi per l’avvicinamento della strategia americana allo spazio post-sovietico. E’ proprio l’Ucraina, con il suo potenziale economico, la sua popolazione e il suo territorio, che è in grado di cambiare i rapporti di forza in Europa.

Nella sostanza, l’attuale potere in Ucraina rappresenta la “quinta colonna” degli USA e dell’Occidente, della loro alleanza politico-militare NATO, necessaria alla “crociata” contro la civiltà slava, per l’affermazione di un “nuovo ordine mondiale”.

I primi passi della politica estera di Juschenko, l’attività del Ministero degli affari esteri dell’Ucraina e del ministro Tarasjuk non lasciano dubbi sul fatto che lo scenario descritto sia in fase di realizzazione: procede con rapidità la rimozione dei meccanismi esistenti di regolamento e l’artificioso inasprimento della situazione nelle zone di conflitto nella Transdnistria, in Abkhazia, in Ossezia del Sud, nel Nagorno Karabakh, si fomenta l’isteria attorno ad un’inesistente minaccia all’indipendenza dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, si provocano conflitti interetnici ed interconfessionali in alcuni paesi post-sovietici.

L’Ucraina prova ancora una volta l’amara esperienza vissuta nei primi anni ’90: il dissolvimento dell’URSS, la rottura dei legami economici con i paesi fratelli, il propagarsi tra il popolo della convinzione del fascino della “democrazia occidentale” e del “paradiso capitalistico”. L’avventura si è conclusa con una spaventosa crisi economica, con l’impoverimento di alcune generazioni. L’Ucraina solo per miracolo ha evitato sanguinosi conflitti tra le nazionalità e le religioni.

Purtroppo, il nostro popolo non ha saputo trarre le opportune lezioni da questi tragici errori e al potere sono così arrivati i liberali, i nuovi-vecchi nazionalisti, gli estremisti insieme ai socialisti.

 

Non traendo le necessarie conclusioni storiche e politiche, l’Ucraina rischia di tornare all’instabilità dei primi anni ’90 del XX secolo, in una forma ancora più pericolosa.

Perché:

- si è introdotta, quale conseguenza, una linea che porta alla rottura dei legami economici e politici con la Russia e con gli altri paesi della CSI, si sta spingendo l’Ucraina verso il conflitto, prima di tutto con Russia e Belarus;

- l’Ucraina viene associata ai pericolosi progetti geopolitici americani di “democratizzazione” di alcuni paesi della CSI, il cui obiettivo è l’arrivo al potere di regimi filo-americani;

- la dirigenza politica dell’Ucraina ha instaurato una “dittatura filo-occidentale” ad indirizzo filo-americano, che condiziona tutti gli aspetti della politica interna ed estera;

- l’assoluta maggioranza del popolo dell’Ucraina è contro l’entrata del nostro stato nella NATO, mentre questo compito è considerato decisivo dai circoli dominanti degli USA, al fine di ottenere un cambiamento radicale dell’equilibrio geopolitico delle forze in Europa e nella competizione con la Russia.

 

La NATO, conservando la propria essenza aggressiva e l’indirizzo anti-russo, nel ruolo di gendarme mondiale è apertamente al servizio della promozione e della difesa degli interessi strategici di un vero e proprio super-stato. Nel vertice di Istanbul del 2004, il blocco della NATO ha sostenuto la formazione del corridoio geopolitico regione del Mar Nero – Caucaso Meridionale – Asia Centrale, che favorisca la realizzazione della difesa dei suoi interessi e della strategia americana delle cosiddette “rivoluzioni dei colori”.

L’obiettivo di tale strategia, per noi comunisti, è assolutamente comprensibile: rappresenta una ridistribuzione delle sfere di influenza, una spinta verso la “balcanizzazione” dello spazio della CSI, l’introduzione artificiosa di fattori di politica estera in grado di rafforzare la dipendenza dell’Unione Europea dagli USA.

Proprio per questo gli americani non lesinano i mezzi nella “preparazione e riforma” delle Forze Armate e delle strutture di sicurezza dell’Ucraina, cercano di manipolare le coscienze dei cittadini ucraini mediante strumenti di comunicazione di massa messi sotto controllo, che sottopongono a  bombardamento informativo le popolazioni del Centro, dell’Est e del Sud del paese.

L’ingresso nella NATO trasformerà il nostro paese in un “cavallo di Troia” della promozione degli interessi di questo blocco aggressivo ad Est e condurrà alla rottura dei rapporti amichevoli con la Russia.

Noi comunisti consideriamo tali azioni degli USA, della NATO e dei loro mercenari all’interno del nostro paese come un’aperta aggressione contro l’indipendenza politica ed economica, contro l’integrità territoriale del nostro stato.

 

Con l’arrivo al potere dei nazionalisti e dei socialisti viene rilanciata la proposta di applicazione incondizionata da parte dell’Ucraina delle ricette del FMI. La dissennata realizzazione da parte dei governi dell’Ucraina delle concezioni liberal-monetariste e delle richieste del FMI ha già messo letteralmente in ginocchio l’economia nazionale. Il debito estero dell’Ucraina ammonta a 41,7 miliardi di grivne. Il giogo del debito  graverà pesantemente sulle spalle dei nostri figli, nipoti e pronipoti. Ecco perché noi ci pronunciamo per la rapida interruzione della collaborazione a carattere discriminatorio con il FMI.

La firma di accordi tra la Russia e l’Unione Europea, che prevedono la costruzione di gasdotti e oleodotti che evitano il passaggio per il nostro paese, viene interpretata dai comunisti come un avvertimento all’Ucraina perché si ritragga dalla partecipazione agli intrighi geopolitici “made in USA” e perché non venga adottata dalla squadra di Juschenko una politica apertamente filo-americana nella regione.

Il potere “arancione”, in contrasto con gli interessi nazionali, cerca perfidamente di agganciare il più rapidamente possibile l’Ucraina al WTO, di aprire il mercato interno alle merci di produzione straniera, minacciando così il totale annientamento della produzione di merci nazionali, in primo luogo dei settori più avanzati dell’industria.

 

Preoccupazione suscitano i tentativi del potere dei nazionalisti e dei socialisti di mettere sotto tutela la Chiesa Ortodossa e decine di milioni di fedeli.

Sconcertano le irresponsabili dichiarazioni di Juschenko e del Ministero degli affari esteri all’indirizzo di Belarus, Cuba, Uzbekistan, che possono creare discordia tra il nostro popolo e i popoli fratelli dei paesi in questione. Noi condanniamo con fermezza l’ingerenza nei loro affari interni, come pure la promessa di essere a fianco degli USA nell’esportazione della “democrazia all’americana” in questi paesi.


Il risultato della politica estera antiucraina della nuova dirigenza è rappresentato dal susseguirsi di ripetute sconfitte: gli infiniti viaggi di Juschenko e Timoshenko in Russia, in Turkmenistan, in Kazakhstan, nei paesi dell’Europa non hanno apportato (e obiettivamente non potevano apportare) effetti positivi all’Ucraina, dal momento che costoro non dispongono di una propria strategia di politica estera e attendono continuamente la trasmissione di ordini da Washington. Dopo aver esaurito in tre mesi tutto il bilancio annuale previsto per le visite all’estero, Juschenko non è riuscito né ad accordarsi sulla riduzione dei prezzi sul gas turkmeno, né ad ottenere l’appoggio del Kazakhstan per la realizzazione dei progetti per il trasporto del gas in funzione anti-russa e neppure a ricevere una risposta precisa dall’UE in merito alle scadenze dell’ingresso dell’Ucraina in questa organizzazione.

Sembrano essere messi in discussione anche i tentativi disperati di compensare le perdite nella cooperazione con la Russia nei settori spaziale e aeronautico, riorientando la collaborazione con gli alleati degli USA, in particolare con la Turchia.

Il nostro popolo è diventato ostaggio di una politica estera antinazionale da parte di un gruppo di marionette degli americani.

 

La posizione dei comunisti in merito all’entrata dell’Ucraina nell’Unione Europea, nel WTO e in altre istituzioni internazionali è questa: prima di tutto l’Ucraina deve tornare ad essere un paese dotato del rango di stato altamente sviluppato sul piano industriale ed agrario, poiché solo tale autorevole status potrà essere considerato quello di pari tra pari nelle organizzazioni internazionali utili al paese.


Il Partito Comunista di Ucraina, in quanto forza politica responsabile, che ha sempre difeso e continua a difendere gli interessi nazionali del nostro stato, basandosi sui principi dell’internazionalismo, gestirebbe la politica estera dell’Ucraina nel modo seguente:

- I comunisti appoggiano incondizionatamente lo status di estraneità ai blocchi dell’Ucraina, proclamato nella Dichiarazione sulla sovranità nazionale. Noi ci pronunciamo contro l’adesione dell’Ucraina alla NATO e per la creazione di un sistema europeo di sicurezza collettiva senza la NATO: “Europa senza NATO!”.

- Tutti i passi, collegati all’ingresso dell’Ucraina nel WTO, devono corrispondere prima di tutto agli interessi dei produttori nazionali e basarsi sugli interessi nazionali ed accordarsi con le posizioni dei nostri partner commerciali principali ed effettivamente strategici: Federazione Russa, Belarus e Moldova;

- I comunisti sosterranno una politica che consenta di raggiungere gli standard di vita europei in Ucraina, la realizzazione di rapporti paritari, rispettosi, reciprocamente vantaggiosi con l’Unione Europea. Allo stesso tempo, siamo convinti che oggi il principale obiettivo strategico dello stato sia quello di concretizzare gli accordi firmati in merito alla creazione e al funzionamento dello Spazio economico unico formato da Ucraina, Russia, Belarus e Kazakhstan. Il partito e il suo gruppo alla Rada Suprema faranno ogni sforzo per favorire una causa fondamentale per la politica estera dell’Ucraina.

- Per favorire la soluzione del problema del conflitto in Transdnistria, il KPU sosterrà una posizione, indirizzata all’unità del paese (la Moldova, nota del traduttore), al regolamento della situazione in una regione a noi così cara, dove cova sotto la cenere un conflitto artificiosamente creato dagli oligarchi allo scopo di utilizzare un assetto statale non riconosciuto  - lo stato della Transdnistria – quale “buco nero” per il contrabbando di armi, di narcotici, di automobili, per il riciclaggio di soldi sporchi.

- I comunisti appoggeranno unicamente quei passi, che corrispondano agli interessi nazionali dell’Ucraina e del suo popolo: ciò rappresenterà la strategia di politica estera del Partito Comunista di Ucraina, in quanto partito che sempre si è battuto per la difesa della sovranità, dell’indipendenza e della sicurezza nazionale del proprio stato.

Per rispondere alle sfide del nostro tempo il Partito Comunista di Ucraina invita alla compattezza e al rafforzamento dell’unità del movimento comunista e operaio, perché indirizzi i suoi sforzi al risveglio della consapevolezza e della volontà politica dei lavoratori, e contribuisca a una nuova decisa avanzata del socialismo.

 

Traduzioni dal russo