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I lavoratori della Wal-Mart del mondo si uniscono [1]
Di Wadi’h Halabi - PCUSA
Se c’è una “Corporation” che da sola può spingere all’unita internazionale dei
lavoratori, questa è la Wal-Mart. Questa ed altre – come la Target, la Nike, la francese Carrefour, ecc.
– alimentano la miseria, la disuguaglianza e la competizione tra i lavoratori
di tutto il mondo, ma il loro comportamento antisociale produce una resistenza
altrettanto globalizzata. Per essere efficace tale resistenza richiede
iniziative molto coordinate e la direzione dei partiti operai e dei sindacati
di tutto il mondo.
La “Wal-martizzazione” è un aspetto della “globalizzazione” capitalista che non
può essere capita fuori del contesto dei problemi dell’attuale fase del
capitalismo, della “sovrapproduzione” e della conseguente disoccupazione di
massa. Rivestono particolare interesse il tentativo di “Wal-martizzare” la
Cina, il lavoro di resistenza dei sindacati cinesi e gli sviluppi potenziali
per mettere fine alle pratiche della Wal-Mart presenti in quel paese.
Natura della crisi
La crescita della Wal-Mart è strettamente legata al ciclo delle crisi
economiche insito nel capitalismo. In ogni economia, per evitare le crisi si
deve mantenere un sostanziale equilibrio tra la produzione e la domanda sia dei
produttori che dei consumatori. Ma il capitalismo non può impedire che piccoli
squilibri degenerino in squilibri maggiori. Seguono le crisi che Marx ed Engels
definirono “crisi di sovrapproduzione”. La “sovrapproduzione” produce uno
squilibrio perché la produzione in eccesso non può essere venduta. E ciò
avviene non perché le merci prodotte non siano necessarie ai bisogni umani, ma
perché non generano profitti. È la fame, infatti, che accompagna la
“sovrapproduzione”di cibo. I capitalisti percepiscono l’impossibilità di
vendere i loro prodotti in maniera remunerativa come “sovrapproduzione” perché producono solo per arricchire se stessi.
Ne derivano perdite economiche, e con queste, tagli ai salari, chiusura delle
fabbriche e disoccupazione. Dalla fine della II Guerra Mondiale, gli indici
economici degli anni 1973-75, 1980-82, 1989-92, 1997-98 e 2001, segnalarono
l’aggravarsi degli squilibri nel mondo dell’economia capitalista che lo
sviluppo tecnologico ed dei monopoli hanno avuto l’effetto di amplificare, non
di correggere. La Wal-Mart è una figlia
dei monopoli, della “sovrapproduzione”, della povertà e della disoccupazione ad
essa associate e, a sua volta, porta in sé uno squilibrio ancora maggiore e
cioè altra povertà e disoccupazione.
Wall Street all’origine di Wal-Mart
In che modo Wal-Mart è una figlia dei monopoli? Cinquant’anni fa Wal-Mart non
esisteva ancora. La vendita al dettaglio era già largamente monopolizzata da
giganti come Sears e A&P. Oggi, Wal-Mart eclissa Sears, mentre la lotta
della A&P è del tutto irrilevante. Non è dunque la Wal-Mart un trionfo
della competizione, un tributo alla vitalità dell’economia degli Stati Uniti?
No. Sotto Wal-Mart c’è Wall Street, il capitale monopolistico.
Per capire questo processo ci si può riferire alla miracolosa rinascita
dell’industria giapponese dopo la II Guerra Mondiale. Dieci anni dopo la
guerra, Wall Street decise il
trasferimento di tecnologie verso il Giappone e investì silenziosamente, sia
direttamente sia attraverso massicci prestiti, per ricostruire quel sistema
industriale. Il suo immediato interesse era quello di bloccare l’avanzata del
socialismo in Asia. Il pezzo cruciale del puzzle era però che l’industria
giapponese non sarebbe potuta sopravvivere senza l’accesso al mercato
americano. Con tutto il parlare di “libertà di mercato” quello americano era e
rimane strettamente protetto da quote, tariffe, sanzioni e da altre
innumerevoli misure protezionistiche. Ma il mercato americano fu selettivamente
aperto all’industria giapponese. Dopo tutto Wall Street doveva trarre profitti
dalle “royalty” sui trasferimenti tecnologici, dalla proprietà diretta degli
interessi azionari e dal pagamento degli interessi sui prestiti. In più, ai
finanzieri, che distribuirono razzismo e sciovinismo nazionalistico a piene
mani, l’import asiatico servì a distruggere la base dei sindacati dell’United
Steel Workers, dell’United Auto Workers e di tanti altri sindacati operai. Il lavoro
ne fu, quindi, indebolito e deprezzato.
Naturalmente Wal-Mart crebbe in circostanze storiche diverse. La minaccia ai
profitti della “sovrapproduzione” non è così decisiva come quella di una
rivoluzione socialista. Ma l’impronta caratteristica di Wall Street è
riconoscibile su tutta la Wal-Mart. Oggi Wal-Mart erode le basi dell’United
Food and Commercial Workers (il Sindacati degli alimentaristi e del commercio)
dei Teamsters (camionisti) e di altre “Unions” e sfida anche l’enorme
Federazione Sindacale di Tutta la Cina e lo stesso Stato cinese.
Sam Walton aprì la prima Wal-Mart nel 1962 nella piccola Rogers in Arkansas,
pagando la maggior parte delle sue impiegate 60 centesimi all’ora quando la
paga minima era di 1,15 dollari. Verso la fine degli anni ’60, Walton era un
commerciante al dettaglio con una dozzina di negozi nelle piccole città della
regione. Le vendite erano meno dell’1% di quelle di Sears o di Kmart. La storia
della Compagnia mostra che in quei tempi Walton era alla disperata ricerca di capitali
per espandersi. Li trovò prima come prestiti della Republic National Bank di
Dallas, corrispondente delle banche di Wall Street e a queste subordinata.
Ancora più significativamente, nel 1969 la Massachussets Mutual Insurance ed in
particolare la White, Weld & Co, investirono nella Wall Mart. Wall Street mise allora i suoi denti sulla
piccola Wal-Mart.
Nel libro Empire of High Finance del1957,
Victor Perlo identifica la White, Weld & Co come una delle prime cinque
banche di investimento negli Stati Uniti dei primi anni ’50, parte di “un gruppo di Coporations [con] importanti legami con la First Boston Corp.
e le sue banche associate, tra le quali quelle dei Rockfeller”.
Successivamente la White, Weld & Co divenne sussidiaria della Merry Lynch,
ora nell’orbita dei Rockfeller.
Oltre alle sue attività di investimento la White, Weld & Co ha una storia
nella promozione di iniziative della classe dirigente contro il lavoro interno
e in favore di un’espansione imperialista all’estero. Come dice Thomas Reifer,
studioso dell’Università della California, la White, Weld & Co aiutò
finanziariamente quelli che furono chiamati i campi di addestramento militare
di Plattsburg per favorire l’ingresso degli Stati Uniti nella I Guerra
Mondiale. Francis Weld fu un membro dell’American Citizens Commitee a Londra,
legato alla National Security League, che lavorava per controllare il potere
dei sindacati in patria ed assicurare agli Stati Uniti la partecipazione alla
guerra e l’espansione oltreoceano.
Non dovrebbe sorprendere che l’antisindacale Wal-Mart mantenga oggi un gruppo
di lavoro al Pentagono, con sinistre implicazioni per le dozzine di paesi dove
opera.
Wall Street fu, quindi, il supporter di Wal-Mart fin quasi dalla sua nascita.
Per essere più sicura Wall Street investì anche in ogni altra impresa di
vendita al dettaglio negli Stati Uniti, ma Sam Walton poté mostrare la sua
superiorità nel mantenere bassi i costi della distribuzione.
Walton costruì una struttura molto centralizzata, con una considerevole libertà
di espressione dei manager fino a quando si arriva ad una decisione. Walton
fornisce ai manager e anche ai lavoratori tutte le informazioni tempestive -
sia sulle “prestazioni” dei loro negozi, che sulla Wal-Mart complessivamente -
che permettono loro di sviluppare un approccio ben informato alla soluzione del
problema di diminuire i prezzi e di far crescere i margini di profitto.
Ma Walton si concentrò specialmente sul
costo del lavoro, mettendo i sindacati
fuori della porta. John Tate, un professionista dell’antitrust, giocò un ruolo
centrale nell’ascesa della Wal-Mart. Nella storia della Wal-Mart, il
giornalista del Wall Street Journal,
Bob Ortega scrive che per John Tate “l’antitrust
non era un lavoro; egli contrastò i sindacati con passione.” Seguendo la
storia di Ortega, nel 1970 ad un seminario di lotta ai sindacati organizzato da
Tate “deposero molte istituzioni che
avrebbero voluto seguire la cultura della Wal-Mart.”
La formula chiave fu quella di scommettere con dirigenti ed lavoratori a tempo indeterminato
sulla loro capacità di sfruttare i subalterni, in parte attraverso la
partecipazione azionaria e in parte con la disciplina. In questo modo i
dirigenti dei magazzini vendita, per raggiungere il bonus, hanno un interesse
ad impedire ai lavoratori di avere delle pause. Gli addetti agli acquisti hanno un interesse simile a tagliare i
prezzi o a ridurre i termini di consegna. Inoltre – attraverso la propaganda e
l’azionariato – è stato fatto credere ad uno strato di lavoratori di avere un
interesse nel mantenere bassi i prezzi, anche se ciò significa
supersfruttamento dei lavoratori precari dei fornitori e dei subappaltatori. In
un certo modo, dunque, Wal-Mart realizza uno spaventoso schema piramidale di
sfruttamento.
La spinta della sovrapproduzione
Come abbiamo detto sopra, nel 1973 i problemi dei capitalisti con la
“sovrapproduzione” volsero al peggio il mercato. I margini di profitto
crollarono, le perdite aumentarono, le retribuzioni diminuirono, i costi di
circolazione furono tagliati. Era arrivato il tempo della Wal-Mart.
Wall Street iniziò ad incanalare le sue risorse nell’espansione della
Compagnia, con prestiti ed investimenti in tecnologia e pubblicità. Il network
satellitario della Compagnia divenne secondo solo a quello del Pentagono. Ed
anche i suoi debiti salirono. Nel gennaio 2003 l’esposizione della Wal-Mart
ammontava a 55,3 miliardi di dollari, con un debito a lungo termine di 15,6
miliardi di dollari – maggiore di quello di molti paesi di media grandezza.
Dalla metà degli anni ’70, la stampa dei monopoli sostenne Wal-Mart come la
Compagnia che non poteva sbagliare nel
contenimento dei prezzi. Ma, nonostante la sempre maggior evidenza della
sistematica discriminazione e della violazione delle leggi sul lavoro, i suoi
prezzi non sempre erano i più bassi.
In meno di 30 anni Wal-Mart salì dal niente in cima alla lista di Fortune delle 500 maggiori
Corporations del mondo, con più di 1,3 milioni di dipendenti. Se però, state
cercando lavoro, Wal-Mart impiega quest’anno solo 700 mila dipendenti e ne
perderà molti altri per dimissioni, licenziamenti e turnover non reintegrato. E
salario e condizioni di lavoro saranno così scarse che avrete bisogno di un
secondo o di un terzo lavoro e dell’assistenza pubblica per mettere un tetto
sulla vostra testa o per pagare un avvocato divorzista.
Nel 2003 il fatturato di Wal-Mart raggiunse i 258 miliardi di dollari, 45
miliardi più che la Exxon Mobile. Ma i profitti di quest’ultima (n.2 della
lista di Fortune) di 21,5
miliardi di dollari, surclassano di 9 miliardi quelli di Wal-Mart. Oltre 200
tra le 500 Compagnie di Fortune
hanno maggiori margini di profitto nelle vendite. E il “supporto” di Wall
Street per chi arriva dopo diventa sempre più caro, come possono attestare le
Compagnie giapponesi.
Pratiche parallele, in casa ed all’estero
L’apparente opulenza mantiene gli Stati Uniti in un mondo separato da quello
della terribile povertà del Bangladesh o del Kenia e le differenze sono
realmente enormi. Ma fin d’ora emergono sorprendenti parallelismi nei
trattamenti di lavoro della Wal-Mart in patria e all’estero che riguardano sia
i lavoratori direttamente impiegati che i dipendenti dei fornitori e dei
subappaltori.
I lavoratori sono bloccati nei magazzini tutta la notte. Bob Ortega, nella
sua storia, “In Sam We Trust”, della Wal-Mart, riporta che un lavoratore del
turno di notte, mentre ricostruiva le scorte, ebbe un collasso, ma “né i suoi compagni, né il personale
paramedico chiamato poterono aprire le porte del magazzino, finché la polizia
non andò a casa di un dirigente a prendere le chiavi”. Il lavoratore
morì. “Durante la causa legale
intentata dalla sua famiglia si scoprì che la Wal-Mart, nel turno di notte,
chiudeva manualmente le porte e le uscite di sicurezza – per prevenire i
furti”. Dopo un’inchiesta federale sulla salute e la sicurezza, Wal-Mart
accettò di cambiare la pratica della chiusura notturna delle uscite e pagò una
modesta ammenda di 6600 dollari.
Ciò accadde nel 1992, ma Wal-Mart non cambiò il suo comportamento. Nel gennaio
del 2004, un carrello elettronico schiacciò la caviglia di un lavoratore del
turno di notte. Il New York Times
riportò che la pratica del blocco delle uscite è ancora in atto “in circa il 10% dei suoi magazzini…”. A
detta del People’s Weekly Word “La
multinazionale sostiene che la chiusura delle uscite aumenta la produttività,
impedisce i furti e protegge i dipendenti dal (cosiddetto) crimine della zona”.
Forse non c’è una pratica più vile, in America e nel resto del mondo, della “costrizione” al lavoro notturno che
danneggia straordinariamente la salute ed il tessuto sociale. Un rapporto del
2004 estremamente sfavorevole alla “Wal-Martizzazione” della Oxfam
(maketradefair.com) rivela l’esteso uso del lavoro notturno – e della chiusura
delle uscite – per raggiungere le quote o i termini di consegna della
“squadra”.
Bob Ortega riferisce che nel Dicembre 1992, l’intervista di Brian Ross della
NBC a David Glass, presidente della Wal-Mart, mise in luce l’uso del lavoro
notturno e “bloccato” dei bambini nella fabbrica di vestiti a Saraka nel
Bangladesh. Ross mostrò a Glass “le fotografie in bianco e nero dei corpi di 25
bambini morti, bloccati durante un incendio che colpì la fabbrica due anni
prima. Meno di un anno prima la Wal-Mart vi aveva trasferito la produzione. “Glass rispose delicatamente, “Si, vi sono
cose tragiche che accadono in tutto il mondo””.
A proposito del lavoro minorile (di bambini), nel gennaio 2004 il New York Times riportò che un
rapporto interno della Wal-Mart trovò “estese
violazioni delle leggi sul lavoro minorile [americane] e stabilì i regolamenti per il tempo
necessario alla colazione ed al pranzo”. Nel luglio del 2000, in una
settimana di controlli su 25.000 dipendenti furono rilevati 1371 casi di
ritardi al lavoro di minori durante l’orario scolastico o per troppe ore al
giorno. Secondo il rapporto del febbraio 2004, sulle pratiche della
Wal-Mart, di Gorge Miller
rappresentante della California, non furono serviti 60.767 pranzi e “saltarono”
15.705 intervalli per la colazione. Si noti che queste migliaia di violazioni
furono registrate in una sola settimana su una piccola frazione dei dipendenti
della Wal-Mart. Oxfam reitera la documentazione sulle violazioni delle leggi
sul lavoro minorile e del diritto alle pause in tutto il mondo.
Sempre il membro del Congresso Miller, stima che “ogni 200 persone della Wal-Mart costano ai contribuenti federali
420.000 dollari all’anno” per cure mediche, assistenza domiciliare,
buoni alimentari e per altre necessità, perché i salari dei lavoratori della
Wal-Mart sono sotto il livello di povertà. Poiché in media ogni magazzino
impiega 350 dipendenti, i 420.000 dollari sono probabilmente una stima per
difetto. Questa sola compressione dei costi potrebbe rappresentare più del 15%
dei profitti della Wal-Mart nel 2002. L’”esternalizzazione” dei costi sociali è
pratica ufficiale della politica della Wal-Mart in tutto il mondo.
Miller ed altri hanno sottolineato il fatto che, nonostante tutta la
propaganda, i prezzi della Wal-Mart non sono proprio i più bassi. Ma anche se
il prezzo di una scatola di detergente è minore del 10%, non ne ha la Wal-Mart
aumentato il prezzo, tagliando i salari del 20%? Miller sottolinea anche che
dalla recessione del 2001, il lavoro negli Stati uniti ha visto un marcato
spostamento dagli alti salari verso i bassi salari. Per esempio, nel New
Hampshire, che non ha ancora ricuperato i posti di lavoro persi durante la
recessione, i nuovi impieghi sono pagati con salari più bassi del 35% rispetto
ai precedenti, nel Delaware, i nuovi salari sono più bassi del 43%…
I parallelismi della “Wal-Martizzazione” nel mondo continuano: sistematiche
discriminazioni contro le donne; lavoro obbligatorio e straordinario non
pagati, restrizioni sulle pause per andare al bagno, massicci spostamenti della
manodopera, uso dei lavoratori immigrati, spesso realmente schiavizzati.
Oxfan riferisce che “Negli ultimi 6
anni, ci sono stati cinque procedimenti federali per schiavitù nel settore
agricolo in Florida”.Fortune
ha documentato l’uso di lavoratori immigrati schiavizzati nell’industria
dell’Asia capitalistica, per la produzione dei display dei telefoni cellulari
della Motorola e di altri prodotti.
E dovunque la “Wal-Martizzazione”
contrasta gli sforzi di organizzazione sindacale dei lavoratori, allungando la
lista nera e usando anche le squadre della morte.
Ironicamente, il sostegno di Wall Street alla Wal-Mart ha contribuito alla
massiccia sovrapproduzione di magazzini vendite e di supermercati negli Stati
Uniti e nel mondo. Nei precedenti 4
anni, Kmart, Ames, Bradlees and Calor’s hanno dichiarato bancarotta, lasciando
pesanti debiti e perdite di posti di lavoro. I 10.000 supermercati controllati
da Wal-Mart negli Stati Uniti, offrono una chiara illustrazione del legame tra
“sovrapproduzione”, perdite e disoccupazione e come le “soluzioni” del
capitalismo finiscano solo per aggravare i problemi.
L’influenza negativa della Wal-Mart sul lavoro negli Stati Uniti è largamente
provato. Questa influenza è grande
anche in Cina a causa del crescente numero di magazzini e dell’uso di fornitori
e di subappaltatori. Ma in Cina la Wal-Mart potrebbe trovare un degno
avversario.
Diversamente dalle aziende tecnologiche che portano know-how, ci sono pochi
riscontri che Wal-Mart vi contribuisca significativamente. Al contrario,
l’evidenza mostra che Wal-Mart deruba i lavoratori e lo Stato cinesi.
I salari orari in Cina sono ora maggiori del doppio di quelli dell’Indonesia,
Bangladesh e di molti paesi africani, eppure più dell’80% dei 6000 fornitori di
Wal-Mart nel mondo sono in Cina. Perché? Una ragione è che i lavoratori cinesi,
dagli ingegneri ai lavoratori delle catene di assemblaggio hanno una miglior
istruzione. E non sono stati istruiti a spese della Wal-Mart, ma dello Stato
cinese. Inoltre, quello Stato, che è un prodotto di una rivoluzione socialista,
ha costruito enormi infrastrutture, dalle autostrade e porti alle reti
elettriche. Queste infrastrutture diminuiscono considerevolmente i costi della
Wal-Mart che saccheggia le spese sociali della Cina per un ammontare di 15 miliardi di dollari, l’1% del PIL – oltre
agli approvvigionamenti annuì.
Una condizione che gli Stati Uniti posero all’ammissione della Cina nel WTO fu
l’apertura dei suoi mercati alla Wal-Mart e a catene di vendita similari.
Anche questo è contro il lavoro perché l’espansione dei magazzini Wal-Mart può
devastare rapidamente la relativamente primitiva rete di distribuzione cinese,
dai milioni di magazzini Mom-and-pop a quelli statali con radici nell’economia
nazionalizzata. In questo modo tale espansione contribuisce ad aumentare la
disoccupazione e l’instabilità del paese, impoverisce il lavoro e lo stesso
Stato cinese.
Ma questo esito non è inevitabile. La legge sul lavoro in Cina impone la
rappresentanza sindacale nei posti di lavoro con 25 o più dipendenti. Tutti i
magazzini Wal-Mart, e probabilmente una maggioranza dei suoi fornitori e
subappaltatori, stanno violando questa legge. I subappaltatori della Wal-Mart
sono noti per le condizioni di sfruttamento del lavoro, le violazioni degli
standard di lavoro e delle leggi, compresi gli abusi fisici sui lavoratori e il
non pagamento dei salari. Una inchiesta di Business Week ha
documentato molte di queste violazioni in Cina nel 2000 – e ha riprovato
apertamente Wal-Mart come parte responsabile, in ultima istanza, di queste
condizioni.
La Federazione Sindacale della Cina (All-China Federation of Trade Unions -
ACFTU) è in gran parte, nella forma attuale, un risultato della rivoluzione
socialista del 1949. La rivoluzione nazionalizzò l’industria e istituì
un’economia pianificata ma importanti questioni dello sviluppo economico non
furono risolte. Per questo motivo furono fatte grandi concessioni al
capitalismo. Ciò ha comportato difficoltà per l’ACFTU e anche cambiamenti
violenti. Una delle maggiori difficoltà consiste nel fatto che, diversamente
dalle imprese statali, il fondamentale interesse dei dirigenti di quelle
private è quello di agire contro i lavoratori.
L’ACFTU - l’equivalente cinese dell’AFL-CIO – sta affrontando la sfida. Diretto
dal nuovo presidente Wang Zhaoguo, il 14° Congresso Nazionale dell’ACFTU ha,
per prima cosa, emendato la sua costituzione stabilendo che la difesa dei
diritti dei lavoratori è il suo obiettivo fondamentale e punto fermo. Prima
questa era una delle molte non vincolanti funzioni sociali del sindacato,
assieme alla costruzione dell’economia, lo sviluppo culturale dei lavoratori,
ecc. Questo importante cambiamento può costituire la base per una “ripartizione
del lavoro” in Cina. Ed in realtà una maggior indipendenza dell’ACFTU e
migliori capacità di difesa rafforzano lo Stato e il potere dei lavoratori.
L’ACFTU ha richiesto la sindacalizzazione della Wal-Mart. La risposta dei
dirigenti della compagnia è stata quella di rifiutare la domanda e di ignorare
l’ACFTU. Questa sfida e le pratiche antisindacali dei suoi fornitori e
subappaltatori stanno ponendo le basi di una cooperazione tra l’ACFTU e molti
sindacati in diversi paesi dove opera Wal-Mart, Stati Uniti compresi.
Zhang Hongzun, presidente del potente sindacato di lavoratori dell’educazione
(22 milioni di iscritti), nell’ultima conferenza di questa estate dell’Asian
Pacific American Labor Alliance, ha detto a Roberta Wood del People Weekly World: “Se
possiamo sindacalizzare la Wal-Mart a Pechino, questo potrebbe essere un modo
di dare un aiuto al movimento del lavoro Americano. Ci piacerebbe produrre
assieme uno sforzo comune per i diritti dei lavoratori”.
La Cina è il paese dove la maggiore “Corporation” del mondo, può trovare pane
per i suoi denti. Concentrandosi sui comuni interessi dei lavoratori e
superando le barriere nazionali la forza del lavoro volgerà al termine
miserabili pratiche della Wal-Mart e dei suoi compagni. Questi interessi variano da lavori dignitosi e abitazioni
decenti, alla cura dei figli, all’istruzione per tutti, alla fine del disordine
causato dal lavoro notturno. Nel 1871,
la Comune di Parigi bandì tutti i lavori notturni non necessari. Le vittorie di
domani sono necessariamente sulle spalle della Rivoluzione socialista cinese del
1949 e prima di questa di quelle del 1917 e del 1871, che indicano la strada di
sempre maggiori lotte e vittorie. Con le iniziative dei comunisti e delle
organizzazioni sindacali, le maggiori “Corporations” del mondo saranno messe
fuori legge e sottomesse dalla crescita dell’unità internazionale del lavoro.
Wadi’h Halabi è un editorialista di
Political Affaire, rivista teorica del PCUSA (in rete, www.politicalaffairs.net).
Traduzione dall'inglese di Giuliano
Cappellini
[1] Grande catena di distribuzione, la Wal-Mart è al I posto della speciale classifica di Fortune (la rivista della finanza di Wall Street) delle 500 maggiori “Corporation” del mondo [NdT].