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Africa e America: Perchè Ferguson è il Congo

BK Kumbi * | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

26/08/2014

Come africani, spesso i nostri occhi guardano all'America perché per alcuni di noi è un'illusione che attrae, ma per gli altri l'occhio si concentra su come i neri appaiono sulla scena della realtà americana.

Per molti neri americani, come per la maggior parte degli americani, l'Africa è una terra di selvaggi; e questa idea ha particolare rilevanza tra la popolazione afroamericana perché mostra come è stato insegnato loro a odiare se stessi attraverso la figura del cosiddetto uomo originale, un uomo che è sub-umano.

Tuttavia, guardando le cose più da vicino, ci si deve chiedere se vi sia una reale differenza nel modo in cui siamo trattati. Le politiche imperialiste che colpiscono le popolazioni africane sono le stesse di quelle applicate nei confronti della popolazione nera negli Stati Uniti, proprio perché il principio di fondo è che il corpo dei neri deve essere sfruttato, vivo o morto che sia. Esso deve generare profitti.

Provengo da un paese, la Repubblica Democratica del Congo, dove più di 6 milioni di persone sono state assassinate e dove gli omicidi continuano ancora affinchè il mondo possa beneficiare delle ricchezze del paese, in particolare del coltan, un minerale usato per costruire i telefoni cellulari, ma utilizzato anche per la fabbricazione di armi che uccidono altri neri a migliaia di chilometri di distanza dalla loro terra.

La copertura mediatica di questa tragedia nel Congo è assente dalla maggior parte dei canali americani. Quando viene mostrata, è per dimostrare che ci sono neri che uccidono neri. Nessuna domanda sulle persone o i paesi che armano questi neri, e per quale scopo. I media corporativi preferiscono invece parlare della storia dei vari capobanda nella nostra regione che gli Stati Uniti assoldano per fare il lavoro e alimentare a livello internazionale la teoria dei neri che uccidono altri neri.

La cosa sorprendente è il modo in cui viene strutturata la storia, o il fatto che spesso non vi è alcuna narrazione di questo problema, ma solo silenzio. Quello che voglio rilevare nello specifico è la questione di come i nostri corpi diventino oggetti di spettacolo. Mentre di solito il silenzio circonda la tragedia congolese, c'è comunque un aspetto di questo conflitto che è presentato più di altri.

Il problema dello stupro come arma di guerra è un tema adorato da una certa "intellighenzia" americana e ha contribuito a migliorare l'immagine di alcune "celebrità" americane. I corpi mutilati di donne congolesi si sono convertiti in un'immagine pornografica, diffusa liberamente sotto un manifesto di lotta femminista e la narrazione di questa tragedia è ripresa dalle femministe bianche che in realtà lottano per i propri diritti in un ambiente capitalista.

Questo non viene fatto per aiutare le donne congolesi. Lo si fa inoltre per diffondere l'idea che sia un femminicidio e non un genocidio. La storia delle donne congolesi è per queste organizzazioni un modo di raccogliere fondi per scrivere e produrre documentari che a loro volta generano denaro e che inoltre, aspetto questo forse più importante, è un modo per riaffermare l'idea che l'uomo nero sia un selvaggio, un depredatore la cui violenza è atavica, folle. Egli è quindi l'unico strumento di sradicamento del suo essere nero.

Non è forse questa la narrazione utilizzata per spiegare agli afro-americani che sono loro stressi gli strumenti del proprio annientamento e della propria povertà? Non è forse questo che vogliono affermare i media corporativi quando utilizzano immagini false per sostenere che Mike Brown aveva rubato qualcosa da un negozio e che questa è stata la ragione della sua morte?

Abbiamo tutti bisogno di tenere gli occhi aperti sul modo in cui siamo trattati e presentati, e parlo di "noi" perché l'immagine trasmessa dell'uomo africano in Africa influisce necessariamente sul modo in cui è percepito l'uomo afro-americano.

Per coloro che ci guardano come fossimo in una gabbia, come diceva Patrice Lumumba, non vi è alcuna differenza tra un nero africano e un afro-americano [1]

Siamo noi che la facciamo questa differenza, perché pensiamo che per l'uomo bianco ci sono neri buoni e neri cattivi. Noi non guardiamo a noi stessi con i nostri occhi, ma attraverso quelli di un'altra persona che ci ha definito come non umani.

Quando il congressista della Georgia John Lewis dice che Ferguson non è il Congo [2], mostra quanto abbia interiorizzato questa idea. Mostra che per lui ci sono neri buoni e neri cattivi. Quando si riflette su ciò che accade a Ferguson, si vede proprio che Ferguson è il Congo.

La lezione di questa tragedia è come tutti noi ricostruiamo la nostra storia, come dobbiamo insegnare ai nostri figli a considerare preziosa la loro vita e le vite di coloro che gli somigliano, come dobbiamo insegnargli che sono esseri umani e fanno parte di questo mondo, anche se alcuni vorrebbero negare loro tale diritto.

* BK Kumbi è una storica e attivista congolese che vive a Ginevra, Svizzera

Note

1) Lumumba, il primo Primo ministro del Congo democraticamente eletto, nel 1960, nell'ultima lettera alla moglie prima del suo assassinio a 35 anni, scrisse: "Morto, vivo, libero o in prigione per ordine dei colonialisti, non sono io che conto. Conta il Congo, conta il nostro popolo per cui l'indipendenza si è trasformata in una gabbia dalla quale veniamo osservati dall'esterno"

2) Il 14 agosto, il membro del Congresso John Lewis, eroe del Movimento per i diritti civili, ha dichiarato: "La gente ha il diritto di protestare. Ha il diritto di dissentire. Ha il diritto di manifestare in maniera ordinata, pacifica e non violenta. Ferguson, Missouri, non è il Congo, non è la Cina, non è la Russia. Noi possiamo fare meglio."


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