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Mobilizzazioni di massa statunitensi: guerre e saccheggio finanziario

James Petras | petras.lahaine.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

25/11/2018

Introduzione

Negli ultimi tre decenni, il governo degli Stati Uniti ha ingaggiato oltre una dozzina di guerre, nessuna delle quali ha evocato celebrazioni popolari, prima, durante o dopo. Né il governo è riuscito a garantirsi il sostegno popolare nei suoi sforzi per fronteggiare le crisi economiche del 2008-2009.

Questo saggio prende le mosse dalle principali guerre del nostro tempo, vale a dire le due invasioni statunitensi dell'Iraq. Procederemo con l'analizzare la natura della risposta popolare e le conseguenze politiche.

Nella seconda sezione discuteremo le crisi economiche del 2008-2009, il salvataggio del governo e la risposta popolare. Concluderemo concentrandoci sui potenziali importanti cambiamenti inerenti ai movimenti popolari di massa.

La guerra in Iraq e l'opinione pubblica statunitense

Nel periodo precedente alle due guerre statunitensi contro l'Iraq, (1990-2001 e 2003-2011) non ci fu alcuna febbre di guerra a carattere di massa, né il pubblico ne celebrò gli esiti. Al contrario, entrambe le guerre sono state precedute da massicce proteste negli Stati Uniti e tra gli alleati dell'UE. La prima invasione irachena venne contrastata dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica statunitense, nonostante una massiccia campagna di propaganda di regime, sostenuta dal presidente George H. W. Bush.

Successivamente, il presidente Clinton lanciò una campagna di bombardamenti contro l'Iraq nel dicembre 1998 senza alcun sostegno o approvazione pubblica.

Il 20 marzo 2003, il presidente George W. Bush lanciò la seconda grande guerra contro l'Iraq, nonostante l'ondata di proteste in tutte le principali città degli Stati Uniti. La guerra è stata ufficialmente conclusa dal presidente Obama nel dicembre 2011. La vittoria dichiarata da Obama non riuscì a riscuotere il consenso popolare.

Sorgono diverse domande: perché l'opposizione di massa all'inizio delle guerre in Iraq? Perché tale opposizione non ha avuto la forza di proseguire? Perché il pubblico si è rifiutato di celebrare la fine della guerra del Presidente Obama nel 2011? Perché le proteste di massa alle guerre in Iraq non sono riuscite a produrre durevoli vettori politici per garantire la pace?

La sindrome da guerra contro l'Iraq

I massicci movimenti popolari che si sono attivamente opposti alle guerre in Iraq hanno le loro radici in diverse fonti storiche. Il successo dei movimenti che hanno posto fine alla guerra del Vietnam, l'idea che l'attività di massa potesse resistere e vincere era solidamente radicata in ampi segmenti del pubblico progressista. Inoltre, i movimenti sostenevano con forza l'idea che i mass media e il Congresso non erano da considerarsi attendibili; ciò rafforzò l'idea che l'azione diretta di massa fosse essenziale per invertire le politiche belligeranti presidenziali e del Pentagono.

Il secondo fattore che incoraggiava la protesta di massa negli Stati Uniti consisteva nell'isolamento internazionale in cui si trovavano gli Stati Uniti. I presidenti George H. W. e George W. Bush hanno affrontato un clima ostile e un'opposizione di massa in Europa, Medio Oriente e nell'assemblea generale delle Nazioni Unite. Gli attivisti statunitensi ritenevano di far parte di un movimento globale che avrebbe potuto avere successo.

In terzo luogo, l'avvento del presidente democratico Clinton non ha cancellato i movimenti di massa contro la guerra. Il terroristico bombardamento all'Iraq nel dicembre 1998 fu distruttivo e la guerra di Clinton contro la Serbia mantenne i movimenti vivi e attivi. Nella misura in cui Clinton ha evitato guerre su larga scala a lungo termine, ha altresì evitato di provocare la riemersione dei movimenti di massa durante la seconda parte degli anni '90.

L'ultima grande ondata di protesta di massa contro la guerra si è verificata dal 2003 al 2008. La protesta è esplosa poi subito dopo gli attentati all'11 settembre al World Trade Center.

La Casa Bianca ha sfruttato gli eventi per proclamare una "guerra globale al terrore", tuttavia i movimenti popolari di massa hanno interpretato gli stessi eventi come una invocazione a opporsi a nuove guerre in Medio Oriente.

I leader anti-guerra hanno attratto attivisti nel corso di tutto il decennio, immaginando di aver "accumulato" forze sufficienti da impedire al regime di Bush di lanciare una serie di guerre senza fine.

Inoltre, la stragrande maggioranza del pubblico non era convinta dalle affermazioni secondo cui l'Iraq, indebolito e circondato, stava immagazzinando "armi di distruzione di massa" per attaccare gli Stati Uniti.

Le proteste popolari su vasta scala hanno sfidato i mass media, la cosiddetta stampa rispettabile e hanno ignorato la lobby israeliana e altri signori della guerra del Pentagono che chiedevano un'invasione dell'Iraq. La stragrande maggioranza degli americani, non credendo di esser minacciati da Saddam Hussein, percepivano come minaccia maggiore il ricorso della Casa Bianca a una severa legislazione repressiva come il Patriot Act. La rapida sconfitta militare delle forze irachene e l'occupazione dello stato iracheno hanno portato a un declino delle dimensioni e della portata del movimento contro la guerra, senza intaccarne il potenziale di base e di massa.

Due eventi hanno portato alla fine dei movimenti contro la guerra. I leader anti-guerra sono passati dall'azione diretta indipendente alla politica elettorale e in secondo luogo, hanno circuito e incanalato gli attivisti a sostenere il candidato presidenziale democratico Obama. I capi e gli attivisti del movimento contro la guerra credevano largamente che l'azione diretta non fosse riuscita a prevenire o porre fine alle precedenti due guerre in Iraq. In secondo luogo, Obama aveva lanciato un appello demagogico diretto al movimento per la pace, promettendo di porre fine alle guerre e perseguire la giustizia sociale a casa.

Con l'avvento di Obama, molti leader e seguaci della pace si sono uniti alla macchina politica di Obama. Quelli che non erano stati cooptati furono presto disillusi su tutti i fronti.

Obama ha continuato le guerre in corso e ne ha aggiunte di nuove: la Libia, l'Honduras, la Siria. L'occupazione statunitense in Iraq ha indotto la nascita di nuovi eserciti di milizie estremiste che hanno proceduto a sconfiggere gli eserciti vassalli addestrati dagli Stati Uniti fino alle porte di Baghdad. In breve tempo, Obama lanciò una flottiglia di navi da guerra e portaerei nel Mar Cinese Meridionale e inviò truppe aggiunte in Afghanistan.

I movimenti popolari di massa dei due decenni precedenti erano totalmente disillusi, traditi e disorientati. Mentre la maggior parte si opponeva alle "nuove" e alle "vecchie guerre" di Obama, lottarono per trovare nuovi sbocchi per le loro convinzioni contro la guerra. Mancando movimenti alternativi contro la guerra, erano vulnerabili alla propaganda bellica dei media e alla nuova demagogia della destra. Donald Trump ha attratto molti che si opponevano alla guerrafondaia Hilary Clinton.

Il salvataggio delle banche: la protesta di massa negata

Nel 2008, alla fine della sua presidenza, il presidente George W. Bush firmò un massiccio piano di salvataggio federale delle più grandi banche di Wall Street che si trovarono di fronte alla bancarotta a causa dei loro selvaggi maneggi speculativi.

Nel 2009 il presidente Obama approvò il salvataggio e sollecitò una rapida approvazione del Congresso. Il Congresso si attenne a un finanziamento da 700 miliardi di dollari, che secondo Forbes (14 luglio 2015) è salito a 7,77 mila miliardi di dollari. Durante la notte centinaia di migliaia di americani chiesero al Congresso di rescindere dal voto. Sotto l'immensa protesta popolare, il Congresso capitolò. Tuttavia il presidente Obama e i vertici del Partito Democratico insistettero: il disegno di legge fu leggermente modificato e approvato. La "volontà popolare" venne negata.

Le proteste sono state neutralizzate e dissipate. Il salvataggio delle banche è proseguito, mentre diversi milioni di famiglie hanno assistito al pignoramento delle loro case, nonostante alcune proteste locali. Nel movimento contro le banche, emersero rivendicazioni radicali: dalle richiesta di nazionalizzazione, alle sollecitazioni a far fallire le grandi banche e dirottare i finanziamenti federali verso cooperative e banche comunitarie.

Chiaramente la stragrande maggioranza del popolo americano era consapevole e agì per resistere alla collusione corporativa di saccheggio dei contribuenti.

Conclusioni: cosa bisogna fare?

Le mobilitazioni popolari di massa sono una realtà negli Stati Uniti. Il problema è che non sono state sostenute e le ragioni sono chiare: mancava un'organizzazione politica che andasse al di là delle proteste e rifiutasse le politiche del male minore.

Il movimento contro la guerra che era iniziato in opposizione alla guerra in Iraq venne marginalizzato dai due partiti dominanti. Il risultato fu la moltiplicazione di nuove guerre. Al secondo anno di presidenza di Obama, gli Stati Uniti furono impegnati in sette guerre.

Al secondo anno di presidenza Trump gli Stati Uniti minacciano guerre nucleari contro la Russia, l'Iran e altri "nemici" dell'impero. Mentre l'opinione pubblica è decisamente contraria, poco si è ripercosso nelle elezioni a medio termine.

Dove sono finite le masse contro la guerra e contro le banche? Direi che sono ancora con noi, ma non possono trasformare le loro voci in azioni e organizzazione se rimangono nel Partito Democratico. Prima che i movimenti possano trasformare l'azione diretta in trasformazioni politiche ed economiche efficaci, hanno bisogno di costruire lotte a tutti i livelli, dal locale al nazionale.

Le condizioni internazionali stanno maturando. Washington ha provocato paesi in tutto il mondo, viene sfidata dagli alleati e si trova di fronte a formidabili rivali. L'economia domestica è polarizzata e le élite sono divise.

Le mobilitazioni, come in Francia oggi, sono frutto di auto-organizzazione attraverso internet; i mass media sono screditati. Sta passando il tempo dei demagoghi liberali e di destra; la retorica di Trump suscita lo stesso disgusto che ha messo fine al regime di Obama.

Sono in vista le condizioni ottimali per un nuovo movimento globale che vada oltre le riforme frammentarie. La domanda è se è adesso o in un futuro di anni o decenni?


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