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Il sabotaggio tecnologico di PDVSA e le dispersioni petrolifere nel Lago di Maracaibo


Jorge Hinestroza; Nicanor Cifuentes; Fendere Urdaneta; Bianca Medina; Luis Arciniegas; Ana M. Castigliano (*)
Maracaibo, Luglio 2003

Estratto e traduzione di Rossi Flavio

[testo completo in spagnolo]

Di fronte all'allarme promosso con le notizie di spargimenti petroliferi accaduti nel Lago di Maracaibo durante il mese di gennaio di 2003 e la conseguente "emergenza ambientale" decretata dal Governatore dello Stato Zulia, Manuel Roseti nel contesto delle mobilitazioni politiche convocate dai settori dell'opposizione al governo nazionale; preoccupati per gli ecosistemi che offrono sostentamento naturale alla società in cui viviamo, e la qualità della vita della popolazione; in qualità di membri della comunità accademica dell'Università dello Zulia, gruppi ambientalisti e organizzazioni popolari inserite nella trasformazione sociale della regione zuliana e del Venezuela, abbiamo condotto un'indagine che permetta di fare luce sui fatti associati alla paralisi arbitraria delle attività dell'industria petrolifera nazionale ad opera di un gruppo di direttori di PDVSA allineato alla strategia cospirativa denominata la Coordinatrice Democratica.
Il proposito di questo documento è descrivere la situazione causata dal black-out  petrolifero ed assumere la nostra responsabilità intorno a questi scandalosi fatti, inediti nella storia della nazione venezuelana, contribuendo alla descrizione ed interpretazione di aspetti tecnici, ambientali ed etici e le sue conseguenze, come passo previo e necessario ad una valutazione dettagliata che includa grandezze molto definite dell'impatto ambientale e socioeconomico della paralisi dell’industria  petrolifera. A questo scopo abbiamo portato a termine una serie di interviste, visite ed ispezioni ad installazioni industrie petrolifere del Lago di Maracaibo e ad aree adiacenti, e vagliato la documentazione pubblica e altre fonti rilevanti che si riferiscono a quei fatti. 

La paralizzazione totale della produzione industriale petrolifera:  un fatto inedito nella storia industriale petrolifera mondiale.

A partire dal 2 di dicembre del 2002, una parte del personale dirigente di Petroli del Venezuela, S. A., PDVSA, portò a termine la paralizzazione dell'industria petrolifera venezuelana, provocando come conseguenza la caduta totale della produzione di greggio e gas dell'ovest del paese. Questo  fatto incluse il fallimento deliberato dei piani previsti per assicurare la continuità operativa dell'industria, la sicurezza delle installazioni e i danni all'ambiente e alla salute delle persone. Questa serrata significò che più del 60 percento del personale di alto livello dirigenziale disertò il suo lavoro nelle attività routinarie. Gran parte dell'infrastruttura industriale petrolifera fu oggetto di un sabotaggio sistematico, che risalta per il carattere esperto della sua esecuzione, i cui autori approfittarono dell’incuria generale delle installazioni causata dall’abbandono dei lavori; inoltre, l'industria industria petrolifera fu oggetto di vandalismo e furto, che colpì, in generale, le operazioni di produzione di greggio, compressione e frazionamento di gas.
Tra gli altri aspetti rilevanti, risaltano la distruzione ed ostruzione di installazioni col proposito deliberato di causare spargimenti di idrocarburi negli ambienti lacustri e terrestri, e il deterioramento profondo del servizio di vendita di benzina e gas domestico alla popolazione

Operazioni di sabotaggio elettronico ed attentati diretti alle installazioni
Gli atti di sabotaggio evidenziarono la partecipazione del personale di fiducia, la cui professionalità offriva l’opportunità di riuscire a generare deliberatamente il collasso delle installazioni.  Il piano eseguito per fermare l'industria industria petrolifera nazionale trasse vantaggio dall'esperienza tecnica del personale qualificato e la disciplina industriale che accompagna gli aspetti organizzativi di questa corporazione, specialmente nel senso della subordinazione che predomina nelle catene di comando. Questo è particolarmente certo in quelle aree di maggiore complessità tecnologica sottoposte al sabotaggio, differenziandosi da quelle azioni che non meritano una conoscenza profonda sul funzionamento di certe installazioni, benché richiedano un'attuazione diretta tecnicamente. A questo, dovranno sommarsi le conseguenze derivate dal ritiro della vigilanza in terra e lago, specialmente, la massiccia ondata di furti e vandalismo che colpì l'industria durante la serrata. 
La logica generale del sabotaggio fu cominciare dalla paralisi delle operazioni finali del processo petrolifero, imbarco di greggio nei terminali portuali, per assicurare che ogni fase previa, rifornimento di carri armati, invio di greggio negli oleodotti, raccolta di petrolio in stazioni di flusso, etc., fosse successivamente paralizzato saturazione di greggio, fino ad arrivare alla fermata forzata dei pozzi, in generale. Questo fu accompagnato con il blocco di diverse installazioni chiave, come impianti compressori di gas, impianti di vapore, generatori elettrici,  compreso il tamponamento di oleodotti con greggio pesante, etc. la cui immobilizzazione avrebbe garantirebbe l'impossibilità di un rapido recupero della produzione, in caso di tentativo di ripresa.
Il carattere sistemico dei meccanismi e processi della produzione industriale petrolifera comporta necessariamente il blocco di certi componenti e conduce all’interruzione dell'insieme. Questo è specialmente significativo nel caso di sabotaggio delle stazioni di compressione di gas e impianti di frazionamento, dalle quali dipendono ramificazioni operative verso o da pozzi, gas lift, e gas associato, centrali elettriche (gas combustibile), gas della città, petrolchimico, e distribuzione di combustibili.

La partecipazione di INTESA nel collasso provocato a PDVSA fu determinante, considerando che questa impresa da 1997 controlla tutta l'infrastruttura; agevolazioni, squadre, partita a credito finanziatrice, geologica, tecnica, preventiva e di commerci dell'impresa e, inoltre, il personale di supporto tecnologico di  PDVSA, nel quale si trova la parte decisiva del controllo della produzione, raffinazione e distribuzione del greggio e dei suoi derivati. 
INTESA esercitò il suo potere di controllo computerizzato per paralizzare carico, scarico e stoccaggio di greggio nei differenti terminali di imbarco, come per fermare il funzionamento della maggioranza delle stazioni di flusso, impianti compressori, impianti di procedimento, pompe del combustibile, tubature automatizzate, etc., assicurandosi che la manipolazione delle reti informatiche fosse possibile solamente da parte dei possessori delle chiavi segrete di accesso al sistema, tutti impiegati di INTESA inseriti nel “blocco” che sequestrarono il sistema mediante un accesso clandestino preparato accuratamente in anticipo.

Questo sabotaggio informatico implicò l'utilizzo di modem nascosti all'interno di pareti e scrivanie per operare con accesso remoto, via telefonica. Si nota annotare l'uso della rete Internet per riuscire ad arrivare al intranet della corporazione, dove tanto le comunicazioni satellitari come quelle a microonde e radio sono parte del sistema. Tutta questo piattaforma tecnologica servì ai fini del sabotaggio: ostacolare il controllo delle operazioni da parte di chi continuava a lavorare, isolare Occidente rispetto agli uffici centrali di PDVSA a Caracas, distruggere i database concernenti le operazioni routinarie ed evitare l'identificazione di operatori in distinte installazioni e macchinari; eventualmente, sopprimere i sistemi operativi dei server, e finalmente, smantellare tutto quel sistema di informazione e controllo a distanza delle operazioni automatizzate. Questo condusse il personale che continuò nei suoi posti di lavoro ad un'incertezza totale intorno ai valori reali stabiliti nei punti di controllo dei processi, ed obbligò a presumere un eccessivo rischio nel maneggio delle installazioni, che li indusse a procedere alla verifica particolareggiata dei parametri di controllo degli impianti, prima di anticipare l'avviamento degli stessi; come conseguenza, la ripresa delle operazioni in questo caso fu molto lenta e minuziosa.

Il sabotaggio elettronico si accompagnò col blocco fisico diretto di installazioni per ostacolare la produzione di greggio; non tutta questa produzione ubbidisce ai controlli automatizzati, risultando ovvia la tattica di ostacolare un avviamento immediato delle operazioni industriali petrolifere, nel caso che i sabotatori perdessero eventualmente il controllo della situazione.
Si può notare che questo aspetto della combinazione delle forme di sabotaggio fu direttamente relazionato col carattere che assunse lo sviluppo delle manovre ed incursioni dirette a paralizzare il paese, secondo il criterio di partenza degli strateghi di quel blocco che presunsero che sarebbe bastata la paralisi dell'industria petrolifera venezuelana per sette giorni per liquidare il governo del Presidente Chávez. 

L'evoluzione dello “sciopero” presentò due fasi: la prima, dove l’assenza di comandi direttivi e mancanza di controllo dei sistemi automatizzati provocò lo sconcerto delle maestranze, e la paralisi della produzione. Questa situazione condusse ad una visione trionfalistica dei leader 
responsabili della serrata il momento in cui la produzione si portò a  "zero barili", fu precipitosamente applaudito cinicamente come un'evidenza dell'azione efficace della “Gente del Petrolio.” 

La seconda fase del sabotaggio sorse sotto l'influenza di iniziative di riordino direttivo e ripresa della produzione eseguite da parte del personale che non si unì alla serrata.
In contrapposizione, quel boicottaggio passò delle azioni "virtuali" dalle reti informatiche, alle azioni sul campo, nel terreno delle installazioni di terra e lacustri. Qui sembrano evidenziarsi azioni disperate degli strateghi e seguaci del movimento insurrezionale, per il carattere distruttivo delle stesse. Questa radicalizzazione fu un'azione disperata sorta a partire dal momento che si superò il limite dei sette giorni previsto per abbattere del suo carico al Presidente della Repubblica, insieme alle evidenti capacità di ripresa dell'industria. Si noti che le azioni di sabotaggio dirette che provocarono inquinamento ambientale per spargimenti di greggio nel lago e terra, e le esplosioni e gli incendi, succedono precisamente in momenti in cui la risposta di ripresa produttiva del personale aveva cominciato già a dare i suoi frutti, mentre le spiegazioni della “Gente di Petrolio” per fare vedere il fallimento del personale al lavoro si diresse a dimostrare l'inesperienza di chi assunse la responsabilità della produzione, il che successe durante la seconda settimana del mese di gennaio di 2003. Si deve valutare che la ripresa cominciò a verificarsi dopo che le Forze armate presero il controllo delle installazioni industrie petrolifere. Con tutto, buona parte delle azioni di sabotaggio possono catalogarsi come autentici atti terroristici, i quali si prolungarono durante i mesi di gennaio, febbraio e marzo, e diminuirono, benché non totalmente, nel mese di aprile, come evidenziarono danni agli oleodotti, e l'incendio deliberato per due volte consecutive della fossa di fanghi adiacente alla pianta di Ulé.

Si è saputo della partecipazione diretta di un insieme di imprese appaltatrici, con differenti gradi di coinvolgimento nella cospirazione ed esecuzione del sabotaggio delle installazioni, tra le quali raffigurano: VENEZUELA DIVER, COMASSO, SERVIZI OJEDA, CASCOPET, TUBOSERVICIOS, CORLAGO, LISCIO, PAPPAGALLO, SAMFORD,  CRAFT E TURISLAGO. 
L'enorme territorio abbracciato dalle installazioni petrolifere nello Zulia fu un fattore favorevole per il piano di sabotaggio, specialmente in quelle zone dove la custodia dell'Armata e la Guardia Nazionale non raggiunse l'effettività necessaria, o non fu presente. Il sabotaggio fu favorito dal dominio esterno del sistema di controllo informatico della produzione e la vulnerabilità che offre la collocazione dell'industria in un territorio di difficile vigilanza.

La situazione ambientale del Lago di Maracaibo e la provocazione deliberata di rovesciare petroliere 

Durante il mese di gennaio di questo anno furono pubblicate allarmanti denunce  di spargimenti petroliferi in volumi inusitati in acque del Lago e campi adiacenti. Bisogna segnalare che le notizie edite per la stampa nazionale furono presentate in modo distorto, erroneo, disordinato e confuso, presentando messaggi deformati della situazione.
Nonostante lo scarso valore tecnico dell'informazione manipolata, alcune organizzazioni ambientalisti, tali come Audubon del Venezuela, Vitalis, Azzurro, ed altre, "confermarono" la cosa sostenuta da il Governatore dello Zulia. Si diffusero allora comunicati firmati da varie organizzazioni ambientalisti con sede a Caracas, che appoggiarono questo supposto allarme ambientale nel Lago di Maracaibo, tali come Fujucavi, Fondazione Venezuelana Giuridica per la Difesa della Qualità di La Vita, Fondazione Scientifica I Addormentati, Fondazione L'Era Agricola, Fondazione Museo Del Mare, Fondazione Progetto Maniapure, Fundhonat, Fondazione Uomo E Natura, Nodo Ambientale di La Rete di Ispettori, Società Ecologica Venezuelana Vita Marina e l'organizzazione Vitalis, già menzionata.

In realtà, l'osservazione delle fotografie che si pubblicarono per illustrare le "denunce" danno uno scenario molto diversa la cui interpretazione risulta incoerente col contenuto allarmante delle dichiarazioni. Tale è il caso della denuncia di Juan Fernández, della "Gente del Petrolio”, Coordinatrice Democratica", circa uno spargimento che si diceva avesse raggiunto un'estensione di 30 chilometri. In generale, le versioni somministrate da organizzazioni ed esperti, edite nella stampa, radio, e televisione nazionale e regionale, soffrirono di incoerenze e contenuti errati il cui maggiore esponente fu già il caso del pozzo BA-1174, Bachaquero, erroneamente indicato in altre notizie col n. 13A1174.
Vari quotidiani segnalavano un getto di petrolio in fuoriuscita libera da quel pozzo, per un'altezza di dodici metri, che spinse chi denunciava a stimare in mille barili di petrolio al giorno (cifra smisurata) la quantità di greggio sparso nell’ambiente. Questo contraddicendo le realtà conosciute circa la vera capacità produttiva dei pozzi lacustri, senza contare che in questo caso il pozzo mostrò i segni evidenti di sabotaggio, una trazione destinata a provocare la rottura della testina, in modo che il greggio cadesse direttamente nel lago.
Risulta evidente la perfidia  del sabotaggio di questo pozzo, perché quel pozzo si trovava fuori servizio, cioè, senza operazione alcuna che potesse offrire il caso di imperizia, come invece si volle fare credere. In realtà, la violenta operazione che riuscì a rompere la testina del pozzo dovette utilizzare una forza di trazione possibile solo da un'imbarcazione di gran potenza, ed utilizzando una grossa corda del tipo utilizzata per l’attracco di rimorchiatori e grandi imbarcazioni, oppure con una corda di acciaio o "guaya."

Dopo avere analizzato la condotta pubblica assunta dall'organizzazione "Gente del Petrolio - Coordinatrice Democratica" nei media privati, dove giornalmente furono acclamati i "risultati" della paralisi dell’industria petrolifera, e averla confrontata con la nostra osservazione indipendente sulla base dei fatti e condizioni in cui si verificarono gli eventi di inquinamento ambientale, esplosioni, incendi, incidenti di trasporti, etc., non  possiamo fare a meno di credere che i perniciosi effetti di questo sabotaggio furono diretti ad accreditarsi il trionfalismo della cosiddetta "disoccupazione civica nazionale."

La gestione di rischi alla salute ed ambiente nell'industria industria petrolifera merita speciale attenzione in relazione a questa situazione provocata da questa disoccupazione petrolifera direttiva, poiché incluse l'abbandono totale dei piani di contingenza dei servizi contro spargimenti di idrocarburi. I piani di contingenza sono procedimenti operativi  specifici e prestabiliti di coordinazione, all'erta, mobilitazione e  risposta davanti alla presenza o l'imminenza di un fenomeno pericoloso, questione per il quale si prevedono scenari definiti.
Il piano di contingenza contro incidenti petroliferi, progettato per combattere la fuoriuscita di greggio da sei fino a sessantamila barili, si trova nel cosiddetto Piano Nazionale di Contingenze contro Spargimenti Massicci di Idrocarburi (PNC).
Per sua natura, la direzione ed esecuzione dei piani di contingenza ricadono fondamentalmente nel personale direttivo, precisamente lo stesso personale con carichi di direzione in PDVSA che eseguì le azioni di paralisi dell'impresa, con la direzione di "Gente del Petrolio”. Questo li colloca in una particolare posizione di responsabilità tecnica, politica e morale, del processo che condusse al blocco di questa industria con le note sequele di danni inferti all'ambiente naturale, all’industria stessa ed al paese, con evidenti implicazioni legali di responsabilità penale e civile.

Essendo già nota la situazione degli spargimenti di greggio causati deliberatamente come parte del piano di attentati che si descrive in questo documento, il Ministero dell'Ambiente operò in forma generica e leggera. La versione che la fuoriuscita del petrolio non superava il livello di inquinamento abituale e l'infelice frase che la situazione ambientale del lago era "normale" non fece approfondire l'immagine quotidiana e tradizionale che molti zulianos abbiamo avuto di PDVSA come una "scatola nera", che esiste al di sopra di qualunque auditorio governativo, mentre si consolidò l'idea predominante che l'industria petrolifera mantiene una situazione di spargimenti cronici, conosciuti per i vicini del lago ed in generale per chi abbia mantenuto 
una relazione permanente con la vita del Lago di Maracaibo.

I danni abituali all'ecologia lacustre e terrestre danno un gigantesco, crescente ed inaudito passivo ambientale. Come dichiarò il titolare del Ministero dell'Ambiente, gli spargimenti 
successi nel Lago durante la serrata petrolifera non presentarono una frequenza  molto superiore ai periodi anteriori e fu osservata una situazione abituale in questo senso. 
E’ necessario segnalare che la storia delle aggressioni all'ambiente naturale nella nostra regione ha accompagnato permanentemente lo sviluppo dell'industria petrolifera, petrolchimica e carbonifera, per quanto non sia un’eccezione alla conosciuta caratterizzazione degli effetti di queste industrie negli ecosistemi, nel mondo intero.
Esaminando questa situazione alla luce delle azioni dirette come leve politiche, a perturbare la stabilità economica nazionale, non possiamo fare a meno di notare l'assenza di valori etici ecologici in quel movimento politico dentro il PDVSA, che incluse fattori di alto livello tecnico che arrivarono ad osare disertare dalle responsabilità nel piano di contingenze contro spargimenti e permisero l'esecuzione di attentati contro il Lago di Maracaibo, e misero in pericolo le comunità adiacenti a le installazioni delle industrie petrolifere. 

Questa nefasta azione contro l'ambiente con fini politiche troppo illegittimi, non solamente portò come conseguenza nuovi impatti negativi contro il lago, ma costituì anche una maiuscola violazione della fiducia che la popolazione vuole sostenere davanti alla gestione dei funzionari incaricati del maneggio e protezione delle nostre ricchezze naturali, e la sua preservazione per le future generazioni. A lato di questo disonorevole adempimento direttivo, vogliamo risaltare ed appoggiare ciò che sembra emergere come una nuova maniera di esporre l'etica delle relazioni pubbliche davanti all'ambiente comunitario regionale, espressa in  diverse dichiarazioni pubbliche di Félix Rodríguez, Direttore di PDVSA Occidente, nel senso che la popolazione deve conoscere la vera realtà dei rischi della produzione industriale petrolifera e contribuire alla protezione delle installazioni, a questo sommiamo le dichiarazioni del Ministro dell'Ambiente Ana Elisa Osorio chi segnalò che la gestione ambientale dell'industria industria petrolifera nazionale si farà e lo Stato riprenderà la sua autorità di supervisione sulla stessa.

Inoltre, vogliamo fare un riconoscimento a quegli impiegati di vario livello gerarchico di PDVSA che contribuirono a riattivare e mantenere attiva l'industria petrolifera a rischio della loro personale integrità, come evidenziarono gli attacchi ed affronti personali che affrontarono direttori,  supervisori e lavoratori di differenti aree, dove si arrivò ad attentati con armi, attacchi a veicoli in pieno lavoro, tumulti in campi petroliferi, installazioni, etc., come capitò nella Costa Orientale del Lago ed altri posti del paese.

Finalmente, è importante indicare che la ripresa e normalità produttiva  di PDVSA è una dimostrazione irrefutabile che le operazioni petrolifere funzionano in maniera continua, sotto il controllo operativo di un personale che dimostra preparazione, competenza tecnica appropriate, mentre la supposta pericolosità che fu denunciata da “Gente del Petrolio” attribuendone goffaggine ed inesperienza, è svanita come un'evidente menzogna.
Altro è invece il fatto che non stiamo presenziando ad un accrescimento di situazioni inedite di inquinamento, esplosioni ed incendi nell'industria industria petrolifera, bensì che osserviamo la conosciuta situazione di normalità produttiva, in un ambiente lacustre sottoposto a pressioni ambientali da tutti conosciute e denunciate da accademici, pescatori ed ambientalisti.
È importante rilevare che l'Università dello Zulia ha offerto informazione prodotta in interessanti investigazioni comparate, tra l’altro, con la pericolosità lavorativa e i danni alla salute della popolazione regionale.

Ininterrottamente, la serrata petrolifera, bloccando la produzione di idrocarburi ed ostacolando le operazioni di carico delle navi – cisterna che trasportano il greggio verso l'esterno, fermò le esportazioni e tagliò l'entrata di valute che il paese ottiene dal il petrolio. Come conseguenza, secondo le dichiarazioni ufficiali, la Nazione venezuelana soffrì un danno economico che ascese ad una perdita per il valore di 4 miladuecentosessantasettemilioni di bolivar (Bs 4.267.000.000,oo), cifra che si eleva a novemiladuecentoduemiliardi di bolivar, Bs. 9.202.000.000,oo, se sommiamo il costo della serrata e le sue ricadute sull'intera economia venezuelana.

Sabotaggio petrolifero, democrazia, sovranità e sicurezza nazionale

La situazione descritta mette di rilievo la vulnerabilità della sovranità e la sicurezza del paese nei confronti di interessi estranei alla Nazione, oltre a costituire un severo colpo ai diritti dei venezuelani alla partecipazione nella presa di decisioni degli aspetti strategici della vita repubblicana. L'insolita leggerezza di sommare la nostra principale industria a questa serrata nazionale riluce come arbitrio politico di chi si arroga illegittimamente la rappresentanza della maggioranza della popolazione per esercitare azioni insurrezionali contro il Presidente della Repubblica. 

La conseguenza immediata di questa serrata petroliera fu il taglio generalizzato di somministrazione di benzina, gasolio e gas domestico, tra gli altri prodotti derivati degli idrocarburi. Questo condusse ad una brusca e profonda caduta della qualità di vita della popolazione, inedita nella storia contemporanea del paese che si tradusse in una gran sofferenza della popolazione, principalmente dovuta alla conseguente penuria e rincaro di tutti gli articoli di prima necessità.
Il tentativo di impedire il rifornimento di combustile dalle petroliere nel porto di Maracaibo incluse l’allarmismo attraverso i media privati gridando al rischio di esplosione se si tentava la mobilitazione di queste navi. Questa manovra di terrorismo psicologico provocò molte ore di inquietudine nella popolazione locale, specialmente degli abitanti vicini al lago. Prominenti portavoce dell'opposizione apparvero nella televisione con predizioni di incidenti e roghi che avrebbe provocato a Maracaibo l'incendio dei 44 milioni di litri di benzina che trasportava la nave Pilín León.

La paralisi dell’industria petrolifera e la manipolazione mediatica che servì da supporto ideologico e propagandistico a questo vasto piano cospirativo, conformarono un  quadro esemplare di manipolazione politica che evidenziò tattiche terroristiche, come quelle che abbiamo descritto nel caso dello spargimento intenzionale di greggio e sabotaggio a diverse installazioni di alto rischio, e quell’allarmismo sopracitato.
La gravità di questo panorama acquisisce un significato specifico legato alla subordinazione del nostra principale industria ad imprese di filiazione straniera, con una condotta evidentemente contraria agli interessi dell'industria nazionale.

In questo punto, emerge un aspetto morale di somma importanza, perché deve prevalere un trattamento profondamente etico e trasparente che contribuisca a proteggere i valori bioetici umani e sociali dei venezuelani e l'integrità della Nazione.
Questo necessario atteggiamento etico deve basare la condotta del nostro sistema giudiziale che ridonderà nell’evitare l'espansione di una "cultura" dell'impunità nella manipolazione dei temi pubblici dei venezuelani, in questo ed in tutti i casi dove si evidenzi, come è stato il sabotaggio di PDVSA, una violazione all'integrità della Nazione Venezuelana. 

È di suprema importanza sottolineare che il tema petrolifero non è un problema strettamente tecnico, ridotto agli aspetti produttivi o agli effetti dell'inquinamento ambientale provocato nello sfruttamento degli idrocarburi, ma è riferito alle dimensioni politiche, economiche ed ecologiche centrali della vita nazionale, e pesa in maniera strategica nella vita di ognuno di noi, per quello che, in questa questione, la difesa degli interessi petroliferi venezuelani equivale a una necessaria politica dello stato espressa nella protezione di tutte le nostre risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili, l'aumento del nostro reddito petrolifero, la stabilizzazione del livello di produzione di greggio coi migliori prezzi, e la proprietà sociale, pubblica e sovrana di Petroli del Venezuela, associazioni produttive e commerciali che assicurino il controllo nazionale del prodotto petrolifero a beneficio equo di tutti i venezuelani, dove la privatizzazione sia solamente un meccanismo necessario per rinforzare la gestione dell’industria e non l'opportunità per riprodurre elite direttive che approfittano dei loro poteri funzionali per estorcere alla Nazione e beneficiare interessi transnazionali.

Nel principio del secolo XXI, la congiuntura di cambiamenti che vive PDVSA deve essere sfruttato come una formidabile opportunità di transizione verso una organizzazione produttiva, che svolga il ruolo di centro di irradiazione di innovazioni tecnologiche e sociali che si orienti allo sviluppo endogeno e sovrano di un'economia rispettosa dell'equilibrio ecologico, della diversità culturale e dell'equità sociale.

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Mg. Jorge Hinestroza, Docente ed investigatrice Area Ambientale, Facoltà di Scienze.
Br. Nicanor Cifuentes, Tesista della Laurea in Biologia Facoltà di Scienze.
MSc. Fendere Urdaneta, Docente ed investigatrice Area Ambientale. Facoltà di Umanistica ed Educazione.
MSc.. Bianca Medina - Investigatrice Area Ambientale. Facoltà di Umanistica ed Educazione.
Ing. Luis H. Arciniegas, Docente Area Computo. Facoltà di Scienze.
Dra. Ana M.Castigliano, Docente ed investigatrice Area Sociale. Facoltà di Scienze Giuridiche e Politiche.



 

La Universidad del Zulia
Facultad Experimental de Ciencias
División de Formación General


El sabotaje tecnológico de PDVSA y los derrames petroleros en el Lago de Maracaibo


Jorge Hinestroza; Nicanor Cifuentes; Hender Urdaneta; Blanca Medina; Luis Arciniegas; Ana M. Castellano (*)


Maracaibo, Julio de2003


Ante la alarma que se promovió con las noticias de derrames petroleros acaecidos en el Lago de Maracaibo durante el mes de enero de 2003 y la “emergencia ambiental” decretada por el Gobernador del Estado Zulia, Manuel Rosales en el contexto de las movilizaciones políticas convocadas por sectores de la oposición al gobierno nacional; preocupados por los ecosistemas que brindan sustento natural a la sociedad en que vivimos, y la calidad de vida de la población; en nuestra condición de miembros de la comunidad académica de La Universidad del Zulia, grupos ambientalistas y organizaciones populares comprometidas con la transformación social de la región zuliana y de Venezuela, hemos asumido nuestra responsabilidad de iniciar una indagación que permita esclarecer los hechos asociados a la paralización arbitraria de las operaciones de la industria petrolera nacional por obra de un grupo de gerentes de PDVSA alineados a una estrategia conspirativa de la denominada Coordinadora Democrática. Es de nuestra opinión que la complejidad de la situación planteada sobrepasa las fronteras de las relaciones entre el sistema técnico petrolero y el sistema físico ambiental lacustre, y comprende un conjunto de variables de carácter humano social, por lo que consideramos esta realidad bajo un enfoque político, ético y socio-ambiental, y por ende, indesligable de nuestra condición de venezolanos comprometidos con la defensa de nuestra soberanía como Nación y de nuestros derechos  económicos, políticos, sociales, culturales y ambientales.

El propósito de este documento es describir la situación ocasionada por el paro petrolero y asumir nuestra responsabilidad en torno a estos escandalosos hechos, inéditos en la historia de la nación venezolana, contribuyendo a la descripción e interpretación de aspectos técnicos, ambientales y éticos que formaron parte de paro y sus consecuencias, como paso previo y necesario a una evaluación detallada que incluya magnitudes muy definidas del impacto ambiental y socioeconómico de la paralización de la industria petrolera. Para este efecto, hemos llevado a cabo un conjunto de entrevistas, visitas e inspecciones a instalaciones petroleras del Lago de Maracaibo y áreas adyacentes, y examinado la documentación pública y otras fuentes relevantes que se refiere a estos hechos.

La paralización total de la producción petrolera de Occidente:  un hecho inédito en la historia petrolera mundial.

A partir del 2 de diciembre de 2002, una parte de la nómina mayor y personal ejecutivo de Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA) llevó a cabo la paralización de la industria petrolera venezolana trayendo como consecuencia la caída total de la producción de crudo y gas del occidente del país. Este hecho involucró la quiebra deliberada de los planes de contingencia previstos para asegurar la continuidad operativa de la industria en sus diferentes localidades, la seguridad de las instalaciones y los perjuicios al ambiente y la salud de las personas.

En Occidente, este paro significó que más del 60% de personal  de las nóminas altas desertó de su trabajo en las actividades operacionales rutinarias, lo cual conllevó al abandono, daños y colapso de la producción, manejo de crudo, gas, agua, vapor, y red eléctrica de la industria. Gran parte de la infraestructura petrolera fue objeto de un sabotaje sistemático que resalta por el carácter experto de su ejecución, cuyos autores aprovecharon la desprotección general de las instalaciones causada por el abandono de labores; junto a ello, la industria petrolera fue objeto de vandalismo y hurto masivo, lo cual afectó, en general, las operaciones  de producción de crudo, compresión y fraccionamiento de gas. Entre otros aspectos de importancia, resaltan la destrucción y obstrucción de equipos e instalaciones con el propósito deliberado de causar derrames de hidrocarburos en los ambientes lacustres y terrestres, y deterioro profundo del servicio de expendio de gasolina y gas doméstico a la población. En las inspecciones realizadas en el Lago de Maracaibo se observaron pozos y estaciones de flujo y áreas adyacentes frente a las costas de Tía Juana y Lagunillas. En tierra, además de estaciones de flujo, fueron inspeccionados pozos y balancines, líneas de flujo, estaciones de vapor, subestaciones y líneas eléctricas, pertenecientes a los campos de Tia Juana, Lagunillas y Bachaquero; además, se realizaron entrevistas a miembros del personal de la Gerencia de Operaciones Acuáticas y Departamento de Seguridad e Higiene Ambiental (SHA) del distrito Tía Juana. Asimismo, se analizó la versión de la Gobernación del Estado Zulia y de los responsables de la paralización de la industria petrolera, para lo cual hemos utilizado versiones publicadas por la prensa nacional.  A través de la  observación documental y de campo, junto con el examen del comportamiento de los actores relevantes  de esta coyuntura, se logró consolidar una información de base para nuestros análisis e interpretaciones, los cuales fueron elaborados considerando especialmente la lógica de las operaciones petroleras en el Lago de Maracaibo y en tierra, junto con información relativa al comportamiento histórico reciente de los derrames petroleros en el Lago y la descripción de los componentes ambientales lacustres y circunlacustres. Junto a este examen, se abordaron los aspectos éticos, políticos y sociales inmersos en dicha problemática. Las instalaciones y operaciones petroleras afectadas por abandono de labores y sabotaje en Occidente (estado Zulia) PDVSA Occidente para el año 2002 presentó un potencial de producción de 1,6 millones de barriles diarios de crudo y condensado y 1,5 millardos de pies cúbicos de gas. Para ese año se contempló la perforación de 267 pozos por parte de PDVSA y 187 pozos por parte de terceros, más el reacondicionamiento de 591 pozos por su parte y 165 pozos por parte de otras empresas. La producción arrojó un promedio de 1,4 millones de barriles diarios de crudo, manejándose directamente la explotación en los distritos operacionales Maracaibo, Tía Juana y Lagunillas, así como la administración y relaciones con las empresas que operan bajo convenios operativos en los estados Zulia, Falcón y Trujillo.

Para efectos de este análisis, conviene hacer un examen general del emplazamiento de las instalaciones petroleras en el Zulia, con el objeto de presentar una imagen clara de la magnitud y naturaleza del sistema técnico afectado, y el carácter de las operaciones llevadas a cabo para afectarlo en su conjunto.

En tierra, las instalaciones petroleras de PDVSA ocupan una superficie superior a los 1.600 Km2; comparativamente, es un área tres veces mayor que la ocupada por el municipio Maracaibo. Mientras que en el lago, estas instalaciones se sitúan en una superficie casi cuatro veces superior a esta ciudad, en alrededor de 7 mil kilómetros cuadrados, la mayoría concentradas frente a la costa Este, distribuidas en un área que abarca más de la mitad del Lago de Maracaibo.

El recorrido del crudo desde los pozos hasta el embarque hacia el exterior o hacia los centro de refinación se cumple a partir de la recolección del petróleo desde grupos cercanos de pozos con crudos similares los cuales son enviados hacia estaciones de flujo. Luego, por medio de tuberías laterales el crudo es enviado a estaciones principales (patios de tanques), donde son almacenados según sus características. Los oleoductos llevan el crudo ya fiscalizado hacia las plantas de procesamiento (refinerías) o hacia los terminales de embarque. Los poliductos transportan derivados del petróleo, tales como gasolina, gas licuado y diesel, mientras los gasoductos transportan gas natural. El gas natural obtenido de los yacimientos se lleva mediante tuberías laterales a plantas de fraccionamiento donde se separan el gas y la fracción conocida como gas licuado. El gas pasa luego por estaciones donde se aumenta su presión (estaciones de compresión) de manera que fluya hacia las industrias y las ciudades mediante sistemas de distribución. Mediante tanqueros y supertanqueros el crudo y otros productos se llevan desde los muelles de embarque hacia los puertos de cabotaje o hacia el exterior. Entre las facilidades de producción y servicios, en Occidente la industria cuenta con tres plantas de generación eléctrica, situadas en Punta Gorda, Las Morochas y Pueblo Viejo; decenas de subestaciones eléctricas de 115/34,5 kilovoltios en el lago y en tierra; medio centenar de subestaciones eléctricas de 34.5/6.9 kilovoltios en tierra; más de dos mil kilómetros de líneas de distribución y cerca de un millar de estaciones transformadoras de 6.9/0.48 Kilovoltios. Nueve patios de almacenamiento de crudo con una capacidad de un millón de barriles por día, están situados en las áreas denominadas Bachaquero, Lagunillas Norte, Lagunillas Sur, F6, E1, Ulé, Taparito, La Salina y H7 en Cabimas, que almacenan crudo de unos  5.600 pozos activos en tierra y alrededor de 6.000 pozos en el lago. Se estiman cerca de mil los pozos inactivos, algunos de ellos en espera de entrar nuevamente en producción. Además, unas 200 Estaciones de Flujo en tierra y alrededor de la misma cantidad de estaciones en el lago, 13 Plantas de Generación de Vapor, 4 Plantas de Compresión de Gas (Lago-1, Mot-1, Mot-2 y Barúa-5), la Planta de Fraccionamiento de Gas Licuado (GLP-Ulé), dos Patios de Almacenamiento de Materiales, uno en La Salina (Cabimas) y otro en Bachaquero.

Alrededor de 42,693 Km. de tuberías de petróleo y gas conectan los cabezales de los pozos en Lago y Tierra con los puntos  de colección, distribución y transporte. Desde los patios de tanques, el sistema de oleoductos lleva crudo a las refinerías de Paraguaná a lo largo de unos 600 kilómetros, y hacia los terminales de embarque de La Salina, Bajo Grande y Puerto Miranda, con destino a la exportación.

La planta de fraccionamiento de gas licuado de Ulé a través de un gasoducto de unos 200 kilómetros de extensión alimenta la refinería de Amuay con butano. Igualmente, Ulé suministra gas doméstico a la ciudad de Maracaibo, y ofrece gas propano para las bombonas de gas de uso doméstico. En La Salina (Cabimas) y El Menito  (Lagunillas) se encuentran los Centros de Operaciones Automatizadas (COA) donde se ejerce el control computarizado de la producción. El sector informático de las operaciones petroleras reviste un carácter altamente estratégico, en tanto constituye un sensible y poderoso sistema de control de la producción de crudo, situada la mayor parte en el Lago de Maracaibo, e incluye también operaciones de las plantas de procesamiento tales como refinerías, fraccionamiento de gas, y otros sistemas como llenaderos de combustible, poliductos, entre otros. Junto a esto, la automatización también involucra las  operaciones administrativas, tales como nóminas de personal, sistemas de pagos a contratistas y suplidores, compra de materiales, ordenes de trabajo, etc. En este sentido, resalta el control absoluto de todos los sistemas automatizados de PDVSA que la empresa INTESA ha tenido, tanto de las operaciones en el lago y en tierra, como de los asuntos administrativos.


Operaciones de sabotaje electrónico y atentados directos a las instalaciones

La comisión de actos de sabotaje fue determinada en las acciones que evidenciaron la participación del personal de confianza, cuya naturaleza o condición brinda la experticia, capacidad y oportunidad necesaria para lograr deliberadamente los efectos de entorpecimiento o colapso de las instalaciones.

El plan ejecutado para detener la industria petrolera nacional sacó provecho de la experticia técnica del personal calificado y la disciplina industrial que acompaña los aspectos organizacionales de esta corporación, especialmente en el sentido de la subordinación que predomina en las cadenas de mando. Esto es particularmente cierto en aquellas áreas de mayor complejidad tecnológica sometidas al sabotaje, diferenciándose aquellas acciones que no ameritan un conocimiento profundo sobre el funcionamiento de ciertas instalaciones, aunque si requieran una actuación dirigida técnicamente.
A esto, deberán sumarse las consecuencias derivadas del retiro de la vigilancia en tierra y lago, especialmente, la masiva ola de hurtos y vandalismo que azotó la industria durante el paro. La lógica general del sabotaje fue comenzar por la paralización de las operaciones finales del proceso petrolero (embarque de crudo en los terminales portuarios) para asegurar que cada fase previa (llenado de tanques, envío de crudo por oleoductos, recolección de petróleo en estaciones de flujo, etc.) fuera sucesivamente paralizada por la inercia de la saturación de crudo, hasta llegar a la parada forzosa de los pozos, en general. Esto fue acompañado con el entorpecimiento de diversas instalaciones claves tales como plantas compresoras de gas, plantas de vapor, plantas de generación eléctrica, plantas de procesamiento, e inclusive el taponamiento de oleoductos con crudo pesado, etc. cuya inmovilización garantizaría la imposibilidad de una rápida recuperación de la producción, en caso de intento de reactivación.  El carácter sistémico de los mecanismos y procesos involucrados en la producción petrolera conduce a que el bloqueo de ciertos componentes necesariamente conduce a la interrupción del conjunto. Esto es especialmente significativo en el caso del sabotaje de las estaciones de compresión de gas y plantas de fraccionamiento, de las que dependen ramificaciones operativas hacia o desde los pozos (gas lift) y gas asociado, plantas eléctricas (gas combustible), gas de la ciudad, petroquímica, y distribución de combustibles.

La participación de INTESA en el colapso provocado a PDVSA fue determinante, considerando que esta empresa desde 1997 controla toda la infraestructura, facilidades, equipos, data financiera, geológica, técnica, presupuestaria y de negocios de la empresa y, además, el personal de soporte tecnológico de información de PDVSA, en el cual reposa el más decisivo control de la producción, refinación y distribución del crudo y sus derivados. INTESA ejerció su poder de control computarizado para paralizar la carga, descarga y almacenamiento de crudo en los diferentes terminales de embarque, así como para detener el funcionamiento de la mayoría de las estaciones de flujo, plantas compresoras, plantas de procesamiento, llenaderos de combustible, tuberías automatizadas, etc., asegurándose que la manipulación de las redes informáticas fuera posible solamente por parte de los poseedores de las claves secretas de acceso al sistema, todos empleados de INTESA sumados al “paro”, quienes secuestraron el sistema mediante un acceso clandestino preparado cuidadosamente con anticipación. Este contundente sabotaje informático implicó la utilización de módems ocultos en el interior de paredes y escritorios para operar con acceso remoto, vía telefónica. Cabe anotar el uso de la red INTERNET para lograr acceso a la intranet de la corporación, en donde tanto las comunicaciones satelitales como de microondas y radio son parte del sistema. Toda esta plataforma tecnológica sirvió a los fines del sabotaje: impedir el control de las operaciones por parte de quienes siguieron laborando, aislar Occidente con respecto a las oficinas centrales de PDVSA en Caracas, destruir la bases de datos contentivas de las operaciones rutinarias y evitar la identificación de operadores en distintas instalaciones y maquinarias; eventualmente,  suprimir los sistemas operativos de los servidores, desconfigurar los routers, y finalmente, desmantelar todo el sistema de información y control a distancia de las operaciones automatizadas. Esto condujo al personal que continuó en sus puestos de trabajo a una incertidumbre total en torno a los valores reales establecidos en los puntos de control de los procesos, y obligó a presumir un excesivo riesgo en el manejo de las instalaciones que les indujo a proceder a la verificación pormenorizada de los parámetros de control de plantas y equipos, antes de adelantar el arranque de los mismos; como consecuencia, el reinicio de las operaciones en este caso fue muy lento y minucioso. Como se afirmó antes, el sabotaje electrónico se acompañó con el bloqueo físico directo de instalaciones para impedir la producción de crudo, pues, no toda esta producción obedece a los controles automatizados, resultando obvia la táctica de obstaculizar, inclusive en el campo, un arranque inmediato de las operaciones petroleras, en caso de que los saboteadores perdieran eventualmente el control de la situación. Puede observarse que este aspecto de la combinación de las formas de sabotaje estuvo directamente relacionado con el carácter que fue asumiendo el desarrollo de las maniobras e incursiones dirigidas a paralizar la industria, especialmente bajo el criterio de partida de los estrategas del paro que presumieron que bastaría la paralización de la industria petrolera venezolana durante siete (7) días para liquidar el gobierno del Presidente Chávez.

La evolución del paro presentó dos fases: la primera, donde la ausencia de mandos gerenciales y descontrol de los sistemas automatizados provocó el desconcierto del personal laborante, y la parálisis de la producción.
Esta situación condujo a una visión triunfalista de los líderes responsables de la paralización al momento en que la producción se llevó a “cero barriles”, lo cual fue precipitadamente difundido y aplaudido cínicamente como una evidencia de la acción eficiente de Gente del Petróleo.

La segunda fase del sabotaje surgió bajo la influencia de las iniciativas de reagrupamiento gerencial y reactivación de la producción ejecutadas por parte del personal de las nominas mayor y contractual y personal de contratistas que no se sumaron al paro. En contraposición, el boicot pasó de la acciones “virtuales” desde las redes informáticas, a las acciones de campo en el propio terreno de las instalaciones de tierra y lago. Aquí parecen evidenciarse acciones desesperadas de los estrategas y seguidores del movimiento insurreccional, resaltantes por el carácter destructivo de  las mismas. Al parecer, esta radicalización fue una acción desesperada surgida a partir del momento que excedió el límite de los siete días previsto para derribar de su cargo al Presidente de la República, junto a las evidencias de la capacidad de reinicio de la industria.  Nótese, que las acciones de sabotaje directo que provocaron eventos de contaminación ambiental por derrames de crudo en el lago y tierra, y a explosiones e incendios en tierra, ocurren precisamente en momentos en que la respuesta de reactivación productiva del personal laborante ya había comenzado a dar sus frutos, mientras que las explicaciones de Gente de Petróleo para hacer ver el fracaso del personal laborante se dirigió a demostrar la inexperiencia de quienes asumieron la responsabilidad de la producción, lo cual ocurrió durante la segunda semana del mes de enero de 2003. Debe cotejarse que la reactivación comenzó a verificarse después que las Fuerzas Armadas tomaron el control de las instalaciones petroleras. Con todo, buena parte de las acciones de sabotaje pueden catalogarse como auténticos actos terroristas, los cuales se prolongaron a lo largo de los meses de enero, febrero y marzo, y vienen decayendo, aunque no totalmente, en el mes de abril, como pudo evidenciarse con daños en oleoductos, y el incendio deliberado por dos veces consecutivas de las fosa de lodos adyacente a la planta de Ulé.

Se conoció de la participación directa de un conjunto de empresas contratistas con diferentes grados de compromiso y papeles cumplidos en la conspiración y ejecución del sabotaje de las instalaciones y actividades de la industria petrolera, entre las que figuran: VENEZUELA DIVER, COMASSO, SERVICIOS OJEDA, CASCOPET, TUBOSERVICIOS, CORLAGO, LISA,  PAPAGAYO, SAMFORD, CRAFT y TURISLAGO.
El amplísimo territorio abarcado por las instalaciones petroleras en el Zulia fue un factor favorable para el plan de sabotaje, especialmente en aquellas zonas donde la custodia de la Armada y la Guardia Nacional no alcanzó la efectividad necesaria, o no estuvo presente. El sabotaje fue favorecido por el dominio externo del sistema de control informático de la producción y la vulnerabilidad que ofrece el emplazamiento de la industria en un territorio de difícil vigilancia. La situación ambiental del Lago de Maracaibo y la provocación deliberada de derrames petroleros. Durante el mes de enero de este año fueron publicadas alarmantes denuncias de derrames petroleros en volúmenes inusitados en aguas del Lago y campos adyacentes. Hay que señalar que las noticias publicadas por la prensa nacional han sido  presentadas de una manera inapropiada, y por demás, errónea, desordenada y confusa, presentándose mensajes deformados de la situación. Los relatos noticiosos señalan cantidades de derrames sin ofrecer marco de referencia alguno, tales como “Ya suman 79 los accidentes ocurridos en las instalaciones petroleras en 42 días de paro cívico” publicado por Últimas Noticias  el 14 de Enero de 2003, agregando que “El gobernador del Zulia, Manuel Rosales, precisó que se han producido 17 derrames de crudo en las aguas del Lago de Maracaibo. siendo el más grave de ellos el del pozo 13A1174, ubicado en Bachaquero, que vierte mil barriles de hidrocarburo por día. Asegura que el chorro de petróleo sobrepasa los doce metros de altura.” También el 16 de enero se publicó que “Desde que se inició el paro, un promedio de 1,8 accidentes ocurren a diario en la industria petrolera; 82 en total, en 45 días de paralización. O el publicado por la Revista Petrofinanzas el 24 de enero, como sigue: “en los 53 días de paro en la industria petrolera se han producido 25 derrames en la zona de Occidente” . Uno de los titulares del diario  Ultimas Noticias, en forma simplista presentó una sentencia tan terminante como tendenciosa: “Hasta 10 años tomará revertir daños ecológicos” (Últimas Noticias Jueves 16 de Enero de 2003). Esta versión de los eventos ambientales denunciados no se tomó el cuidado de señalar algún tipo de precisión sobre la magnitud, sensibilidad y ubicación de los biotopos perturbados por los derrames, por lo que los mensajes presentan una información de baja calidad por su carácter genérico e inexacto.   Esta información, en nada contribuye como avance para una investigación pormenorizada, ya que, como es sabido, en estos casos, resulta obligatorio y responsable ofrecer, como mínimo, información puntual de las áreas concretas afectadas y su sensibilidad ecológica específica.  Lo cual era esperable considerando la experticia de los informantes, y las supuestas bases éticas de su denuncia. Inclusive, si tomáramos por separado algunos datos presentados en los mensajes publicados por los medios podríamos arribar a las ya conocidas conclusiones oficiales, de que los derrames mencionados solo alcanzarían un impacto moderado o bajo.  A pesar del escaso valor técnico de la información manejada, algunas organizaciones ambientalistas, tales como Audubon de Venezuela, Vitalis, Azul, y otras, “confirmaron” lo dicho por el Gobernador del Zulia. Inclusive, se difundieron comunicados firmados por varias organizaciones ambientalistas con sede en Caracas, que apoyaron esta supuesta alarma ambiental en el Lago de Maracaibo, tales como Fujucavi (Fundación Venezolana Jurídica para la Defensa de la Calidad de La Vida), Fundación Científica Los Roques, Fundación La Era Agrícola, Fundación Museo Del Mar, Fundación Proyecto Maniapure, Fundhonat (Fundación Hombre Y Naturaleza), Nodo Ambiental de La Red de Veedores, Sociedad Ecológica Venezolana Vida Marina y la organización Vitalis, ya mencionada. De hecho, la observación de las fotografías que se publicaron para ilustrar las “denuncias” arroja un escenario muy distinto, cuya interpretación resulta incoherente con el contenido alarmante de las declaraciones. Tal es el caso de la denuncia de Juan Fernández, de “Gente de Petróleo - Coordinadora Democrática”, acerca de un derrame que supuestamente alcanzó una extensión de 30 kilómetros. En general, asombrosamente, las versiones suministradas por las organizaciones y expertos, publicadas en la prensa, radio, y televisión nacional y regional, adolecen de incoherencias y contenidos errados, cuyo mayor exponente fue el caso ya mencionado del pozo BA-1174 (Bachaquero. erróneamente referenciado en otras noticias con el Nº 13A1174) que a través de un chorro que alcanzaba unos ocho metros de altura (El Universal, jueves 16 de enero, 2003 (otros diarios señalaban una altura de doce metros), que los denunciantes se atrevieron a lanzar la desmesurada afirmación de que “está dejando escapar alrededor de mil barriles de petróleo por día”, contradiciendo las realidades conocidas acerca de la verdadera capacidad productiva de los pozos lacustres, sin contar que en este caso el pozo mostró evidencias de haber sufrido una tracción destinada a provocar la rotura del cabezal, de manera que el crudo cayera directamente al Lago. Junto a esto, la evidencia resaltante del alevoso sabotaje de este pozo es que el mismo se encontraba fuera de servicio, es decir, sin operación alguna que pudiera ofrecer accidentabilidad por impericia de sus supuestos operadores, como se quiso hacer ver. De hecho, la violenta operación que logró quebrar el cabezal del pozo hubo de utilizar una fuerza de tracción solo posible desde una embarcación de gran potencia y utilizando una gruesa cuerda del tipo utilizado para atraque de remolcadores y grandes embarcaciones, o bien con una cuerda de acero o “guaya”. Después de analizar la conducta pública asumida por la organización “Gente del Petróleo - Coordinadora Democrática” en los medios de comunicación privados donde diariamente fueron vitoreados los “logros” de la paralización petrolera, y contrastarla con nuestra observación independiente de los hechos y condiciones en que se verificaron los eventos de contaminación ambiental, explosiones, incendios, accidentes de transportes, etc., no podemos menos que creer que los perniciosas efectos de este sabotaje fueron dirigidos a acreditarse el triunfalismo del llamado “paro cívico nacional”.

La gestión de riesgos a la salud y ambiente en la industria petrolera merece especial atención en relación a esta situación provocada por este paro petrolero gerencial, ya que involucró el abandono total de los planes de contingencia de los servicios operacionales y contra derrames de hidrocarburos. Los planes de contingencia son procedimientos operativos específicos y preestablecidos de coordinación, alerta, movilización y respuesta ante la presencia o la inminencia de un fenómeno peligroso particular para el cual se tienen escenarios definidos con anterioridad. El plan de contingencia contra derrames petroleros, diseñado para combatir derrames de crudo desde seis hasta sesenta mil barriles, se encuentra expresado en el llamado Plan Nacional de Contingencias contra Derrames Masivos de Hidrocarburos (PNC), cuya coordinación en el área zuliana se incluye en la denominada  Área 1 cuya coordinación tiene su sede en Tía Juana.
“El Plan Nacional de contingencia contra Derrames Masivos de Hidrocarburos en Aguas (PNC) fue implantado en 1984 con la participación de Petróleos de Venezuela y los ministerios de Relaciones Exteriores, Relaciones Interiores, energía y Minas, Defensa, Transporte y Comunicaciones y Recursos Naturales Renovables. En 1986 se ratificó la coordinación de PDVSA mediante un decreto presidencial. Está diseñado para combatir derrames que involucren entre seis y 60.000 barriles de crudo o de productos de hidrocarburos. Para la aplicación del PNC el territorio nacional está dividido en 7 zonas, de las cuales la zona 1, con coordinación en Tía Juana, corresponde al Lago de Maracaibo, la zona 2, con coordinación en Cardón, corresponde al Golfo de Venezuela y la zona 7 con coordinación en Lagunillas/Casigua, abarca la Cuenca del Río Catatumbo desde la frontera colombiana hasta el Lago. El equipamiento del plan incluye barreras flotantes de contención, recolectores (desnatadores) movibles y autopropulsados, material absorbente de diferentes tipos, tales como rollos, chorizos y mantos. En otras zonas se emplean dispersantes, pero éstos están prohibidos en el Lago de Maracaibo. Además de diversas embarcaciones y gabarras de servicio, el plan cuenta en el Lago con una unidad especializada, la OLAMAC. Como apoyo se cuenta con programas de computación que simulan derrames y permite predecir su trayectoria y mapas de sensibilidad que indican en tierra las áreas pobladas, playas recreacionales y turísticas, manglares, zonas de moluscos y avifauna, y en el agua los vientos, corrientes, batimetría, corales y zonas de pesca.” [ Rodríguez, 2000] Por su naturaleza, la dirección y ejecución de los planes de contingencia recaen fundamentalmente en el personal gerencial, precisamente el mismo personal con cargos de dirección en PDVSA que ejecutó las acciones de paralización de la empresa, bajo la dirección de “Gente del Petróleo”. Esto les coloca en una particular posición de responsabilidad técnica, política y moral, del proceso que condujo a la paralización de esta industria con las conocidas secuelas de daños y perjuicios acarreados al ambiente natural, la industria misma y al país, con evidentes implicaciones legales de responsabilidad penal y civil.

En general, el objetivo de estos planes de contingencia es asegurar la continuidad operacional de la industria petrolera ante eventos que puedan ocasionar perturbaciones en la producción. En caso de paro laboral, es decir, paralización de actividades por parte de trabajadores de la nómina contractual, las actividades destinadas a contrarrestar el paro laboral implican una distribución previa de responsabilidades operacionales en el personal de nómina mayor, y, entre otras tareas, la protección de instalaciones críticas en tierra  y lago, complejos de plantas y centros de control. Este plan incluye un conjunto de premisas operacionales ligadas al ejercicio de guardias rotativas, aseguramiento de los servicios rutinarios en operaciones lacustres (transporte, suministro de materiales, combustibles, etc.) producción regular de crudo, suministro de gas a las plantas eléctricas y complejos de procesos, suministro de electricidad, agua, y otros.
Además, implica el control riguroso de entrada a centros de operaciones automatizadas (COA), junto con el uso regular de los equipos telemáticos para el control y protección tanto de la producción como del ambiente y las personas. Otra acción necesaria incluye el manejo estratégico del sistema de radio troncalizado para información confidencial. Muchos de los mecanismos y procedimientos que se encontraban bajo la responsabilidad estratégica de la nómina mayor para la ejecución de los planes de contingencia, cuyos principios operativos se fundamentan en factores clave de seguridad, protección ambiental e insumos de la producción, fueron sistemáticamente desmantelados, entorpecidos o destruidos. A este esquema de sabotaje se sumó la falla deliberada de los servicios contratados de embarcaciones  tales como lanchas y remolcadores en los diferentes muelles del lago, y de transportes terrestres, cuyas funciones involucran el transporte de personal, de materiales y equipos, combustibles, y actividades de mantenimiento y protección ambiental. Salta a la vista la responsabilidad de las empresas contratistas que se sumaron a este sabotaje.

Los planes de contingencia fueron anulados en gran medida, en tanto las
opciones preventivas dirigidas a contrarrestar eventos como toma de las instalaciones y paro de contratistas, no pudieron ser ejecutados con esfuerzo propio, por el abandono ilegal de responsabilidades. Obviamente, la ejecución de las operaciones previstas en el plan de contingencia de los servicios operacionales corre pareja con el respectivo plan de contingencia contra derrames (PNC), el cual, como ya mencionamos, también sufrió los efectos del abandono de labores de los ejecutivos a su cargo, ya que los servicios operacionales también ofrecen apoyo de transporte, comunicaciones, combustibles, etc. necesarios para ejecutar las medidas de prevención, mitigación de riesgos y daños a las instalaciones y las personas en la industria y comunidades circunvecinas.
El caso de la afectación ambiental de los ecosistemas del Lago de Maracaibo reviste una significación especial, en tanto el violento sabotaje de instalaciones de alto riesgo como son los equipamientos que manejan los hidrocarburos, puso de relieve la nulidad del papel del Ministerio del Ambiente y de los Recursos Naturales (MARN) como garante de la protección del equilibrio ecológico  del principal cuerpo de agua interno del país, y como vigilante de las actuaciones de la industria frente al ambiente natural.

Una vez más, se demostró la incapacidad crónica del MARN para ejercer un monitoreo continuo de las actividades petroleras. Ya conocida la situación de los derrames de crudo causados deliberadamente como parte del plan de atentados que se describe en este documento, el Ministerio del Ambiente manejó la situación en forma genérica y ligera. La versión de que los derrames petroleros causados no superaban el nivel de contaminación habitual y la infeliz frase de que la situación ambiental del lago era “normal” no hizo sino profundizar la imagen cotidiana y tradicional que muchos zulianos hemos tenido de PDVSA como una “caja negra” que esta por encima de cualquier auditoría gubernamental, mientras se consolidó la idea predominante de que la industria petrolera mantiene una situación de derrames crónicos, conocidos por los vecinos del lago y en general por quienes hemos mantenido una relación vivencial permanente con la vida del Lago de Maracaibo. Inclusive, personeros de ese ministerio hicieron declaraciones muy explícitas en torno a la tradicional relación de exclusión institucional que ha mantenido PDVSA, evitando la supervisión de la gestión ambiental petrolera por parte del ejecutivo. Los daños habituales a la ecología lacustre y terrestre: un gigantesco, creciente e inauditado pasivo ambiental Como lo declaró la titular del Ministerio del Ambiente, los derrames ocurridos en el Lago durante el paro petrolero no presentaron una frecuencia muy superior a los períodos anteriores y fue observada una situación habitual en ese sentido. Los recientes daños ocasionados a las instalaciones petroleras de tierra y lago, la biota lacustre, esencialmente representada por el fito y el zoo plancton, principales eslabones de la cadena trófica, así como los moluscos, crustáceos (invertebrados) y los peces cartilaginosos (rayas) y óseos (vertebrados) fueron objeto de desequilibrios puntuales en lo que respecta a la sobrevivencia y migración debido en esencia a los derrames de crudo y otros derivados que, a modo de cerco altamente tóxico y letal, asfixiaron específicos espacios de vida en el sistema lacustre. Sin embargo, es necesario señalar que la historia de las agresiones al ambiente natural en nuestra región ha acompañado permanentemente el desarrollo de la industria petrolera, petroquímica y carbonífera, por lo que este caso no es una excepción a la conocida caracterización de los efectos de estas industrias en los ecosistemas, en el mundo entero. Para ser específicos y responsables con estos señalamientos, pese a que en la actualidad ninguno de los organismos e instituciones públicas o privadas han difundido el resultado o cuantificación del coste ambiental que significaron estos actos de irresponsable y fascista signo, podemos citar algunas referencias provenientes del libro “El Sistema de Maracaibo” editado por el Dr. Gilberto Rodríguez (Centro de Ecología—IVIC) cuando, en el capítulo 7 del mismo, dedicado al manejo de los recursos naturales del Sistema de Maracaibo destaca en relación a los efectos del petróleo sobre los seres vivos lo siguiente:

“El daño del petróleo y sus componentes a los organismos puede ser por efectos mecánicos o químicos. Los efectos químicos son ejercidos solamente por los compuestos solubles en agua. La solubilidad de los hidrocarburos es notablemente baja; sin embargo, las parafinas de cadena recta hasta 8 átomos de carbono y varios compuestos aromáticos tienen una solubilidad considerable; benceno 880 ppm; tolueno 470 ppm; pentano 360 ppm; hexano 138 ppm; heptano, 52 ppm. A parte de los compuestos fenólicos que son muy solubles en agua, los elementos más tóxicos son los hidrocarburos aromáticos más volátiles.

(a)Peces: El efecto del petróleo crudo sobre los peces es principalmente mecánico. Sin embargo, la superficie externa del cuerpo, así como la boca y cámaras branquiales están recubiertas de mucus que es repelente del petróleo. Los fenoles irritan las branquias, causando fuerte secreción y destrucción de la membrana mucosa; también afecta el sistema nervioso central y el sistema endocrino. El límite de toxicidad para los peces parece estar cerca de 20 ppm.

(b)Moluscos: La experiencia obtenida del estudio de grandes derrames
ocasionados por accidentes de barcos en el Mar del Norte y en la Costa de los Estados Unidos, muestra que los moluscos sufren fuertes mortalidades en esas ocasiones. En particular los ostrales (Crassostrea sp. —género de las ostras de mangle-) pueden ser obliterados cuando el petróleo se hunde en masa. Examinando esta situación a la luz de las acciones dirigidas como palancas políticas, a perturbar la estabilidad económica nacional, no podemos menos que notar la ausencia de valores éticos ecológicos en ese movimiento político dentro de PDVSA que involucró a factores de alto nivel técnico, que llegaron a  atreverse a desertar de sus responsabilidades en el plan de contingencias contra derrames y permitieron la ejecución de atentados contra el Lago de Maracaibo, y pusieron en peligro a las comunidades adyacentes a las instalaciones petroleras.

Esta nefasta acción contra el ambiente con fines políticos por demás ilegítimos, no solamente trajo como consecuencia nuevos impactos negativos contra el lago, sino que constituyó también una mayúscula violación de la confianza que la población quiere sostener ante la gestión de los funcionarios encargados del manejo y protección de nuestras riquezas naturales y su preservación para las futuras generaciones. En este panorama moralmente desolador se revela el carácter espurio de las relaciones públicas corporativas con que se manipuló aquella hermosa frase “Cuidar es querer” por líderes que dirigieron a PDVSA por muchos años y que hoy, con su movilización antinacional, demostraron querer poco, y lejos de cuidar, prefirieron dañar. Al lado de ese deshonroso desempeño gerencial, queremos resaltar y apoyar lo que parece emerger como una nueva manera de plantear la ética de las relaciones públicas ante el entorno comunitario regional, expresada en diversas declaraciones públicas de Félix Rodríguez, Gerente de PDVSA Occidente, en el sentido de que la población debe conocer la verdadera realidad de los riesgos de la producción petrolera y contribuir a la protección de las instalaciones, a esto sumamos las declaraciones de la Ministra del Ambiente Ana Elisa Osorio, quien señaló que la gestión ambiental de la industria petrolera nacional se hará mas transparente en su gestión ambiental y el Estado retomará su autoridad de supervisión sobre la misma.

Asimismo, queremos hacer un reconocimiento a aquellos empleados de las diferentes nóminas de PDVSA que contribuyeron a reactivar y mantener activa la industria petrolera aún a riesgo de su propia integridad, como lo evidenciaron los ataques y afrentas personales que encararon gerentes, supervisores y trabajadores de diferentes áreas, donde se llegó inclusive a atentados con armas de fuego, ataques a vehículos en plenas labores, disturbios en campos petroleros, instalaciones, etc., como llegó a ocurrir en la Costa Oriental del Lago y otros lugares del país.
Finalmente, es importante acotar que la reactivación y normalidad productiva de PDVSA es una demostración irrefutable de que las operaciones petroleras funcionan de una manera continua, bajo el control operativo de un personal que demuestra preparación, competencia técnica y destrezas apropiadas para el manejo de las instalaciones, en tanto la supuesta siniestralidad que fue denunciada por Gente del Petróleo y achacada a la torpeza e inexperiencia de un personal advenedizo se ha esfumado como una evidente falacia. Demás está decir que no estamos presenciando un acrecentamiento de situaciones inéditas de contaminación, explosiones e incendios en la industria petrolera, sino que observamos la conocida situación de normalidad productiva, en un ambiente lacustre sometido a las presiones ambientales por todos conocidas y denunciadas de antiguo por académicos, pescadores y ambientalistas. Es importante acotar que La Universidad del Zulia ha ofrecido información producida en interesantes investigaciones relacionadas, entre otras, con la siniestralidad laboral y la afectación de la salud de la población regional.

Seguidamente, el paro petrolero, al descontinuar la producción de hidrocarburos e impedirse la carga de los buques-tanqueros que transportan el crudo hacia el exterior, detuvo las exportaciones y cortó el ingreso de divisas que obtiene el país por el petróleo. Como consecuencia, según la declaraciones oficiales, la Nación venezolana  sufrió un descalabro económico que ascendió a una pérdida por el valor de 4 mil doscientos sesenta y siete millones de bolívares (Bs. 4.267.000.000,oo), cifra que se eleva a nueve mil doscientos dos millardos de bolívares (Bs. 9.202.000.000,oo) si sumamos el costo del paro perteneciente al ámbito no petrolero de la economía venezolana.

Sabotaje petrolero, democracia, soberanía y seguridad nacional

La situación descrita pone de relieve la vulneración de la soberanía y la
seguridad del país adelantada por elementos ajenos a los intereses de la Nación, además de que constituye un severo golpe a los derechos de los venezolanos a la participación en la toma de decisiones de los aspectos estratégicos de la vida republicana. La insólita ligereza de sumar nuestra principal industria a este paro petrolero nacional resalta en proporción directa a la unilateralidad y arbitrariedad política de quienes se arrogaron ilegítimamente la representación de la mayoría de la población para ejercer acciones insurreccionales contra el Presidente de la República. La consecuencia inmediata de este paro petrolero fue el corte generalizado de suministro de gasolina, gasoil y gas doméstico, entre otros productos derivados de los hidrocarburos. Esto condujo a una brusca y profunda caída de la calidad de vida de la población, inédita en la historia contemporánea del país, que se tradujo en un gran sufrimiento de la población, principalmente debido al subsecuente desabastecimiento y encarecimiento de todos los artículos de primera necesidad, semejando esta situación un estado de sitio por mar y tierra con sus consecuencias de creciente ahogamiento de las condiciones de supervivencia de la población, que padeció de una gran incertidumbre.
Como parte del paro petrolero, esta situación fue agravada con el fondeado de los buques petroleros frente a Maracaibo. Al lado del intento de impedir que los embarques de gasolina descargaran en el terminal de Bajo Grande, se difundió en forma alarmista a través de los medios privados que se corría el riesgo de explosión si se intentaba la movilización de estos barcos. Esta maniobra de terrorismo psicológico provocó muchas horas de zozobra en la población local, especialmente de los habitantes cercanos al lago. Prominentes voceros de la oposición aparecieron en la televisión con predicciones de accidentes y mortandad masiva bajo las llamas que provocaría en Maracaibo el incendio de los cuarenta y cuatro millones de  litros de gasolina que trasportaba el buque Pilín León.

La paralización petrolera y el manejo mediático que sirvió de soporte ideológico y propagandístico a este vasto plan conspirativo conformaron un cuadro ejemplar de manipulación política que evidenció tácticas terroristas, como las que hemos descrito en el caso de los derrames petroleros intencionales y sabotaje a diversas instalaciones de alto riesgo y el alarmismo con que se manejó públicamente el riesgo de fondear el buque Pilín León frente a la ciudad de Maracaibo. En el plano de la soberanía de Venezuela, salta a la vista que el desarrollo de este plan conspirativo puso de relieve la vulnerabilidad de la Nación, en tanto se evidenciaron debilidades del estado venezolano para mantener la integridad nacional, la seguridad económica y la capacidad de respuesta de nuestras Fuerzas Armadas frente a las amenazas a que fueron sometidas las fuentes energéticas de indiscutible carácter estratégico para la movilización militar.
La gravedad de este panorama adquiere una significación específica ligada a la subordinación de nuestra principal industria a empresas de filiación extranjera con una conducta evidentemente adversa a los intereses de la industria nacional. Es importante señalar que el abandono de responsabilidades por parte de miembros de la nómina mayor de PDVSA y la reactivación de la corporación por empleados no sumados al paro, ha brindado una oportunidad al país para aliviar a la industria petrolera de una onerosa sobrecarga de personal a nivel gerencial, aunque resulta también preocupante la pérdida de una parte de la experiencia tecnológica acumulada en este contingente profesional que abandonó sus labores. En este punto, emerge un aspecto moral de suma importancia, pues debe prevalecer un tratamiento profundamente ético y transparente que contribuya a proteger los valores bioéticos humanos y sociales de los venezolanos y la integridad de la Nación soslayada en la violación de los fundamentos del mejoramiento de la calidad de vida de la población. Esta necesaria actitud ética debe fundamentar la conducta de nuestro sistema judicial que redundará en evitar la expansión de una “cultura de la impunidad” en el manejo de los asuntos públicos de los venezolanos, en éste y en todos los casos donde se evidencie, como lo ha sido el sabotaje de PDVSA, una violación a la integridad de la Nación Venezolana.

Es de suprema importancia recalcar que el asunto petrolero no es un problema estrictamente técnico, reducido a los aspectos productivos o a los efectos de la contaminación ambiental provocada en la explotación de los hidrocarburos, sino que está referido a las dimensiones políticas, económicas y ecológicas centrales de la vida nacional, y por ende, gravita de manera estratégica en la vida de cada uno de nosotros, por lo que, en esta cuestión, la defensa de los intereses petroleros venezolanos equivale a una necesaria política del estado expresada en la protección de todos nuestros recursos naturales renovables y no renovables, el aumento de nuestra renta petrolera, la estabilización y bajo nivel de producción de crudo con los mejores precios, y la propiedad social, pública y soberana de Petróleos de Venezuela, bajo modalidades y asociaciones productivas y comerciales que aseguren el control nacional del producto petrolero para beneficio equitativo de todos los venezolanos, donde la privatización sea solamente un mecanismo necesario para reforzar el manejo equilibrado de la industria y no la oportunidad para reproducir élites gerenciales que aprovechan sus poderes funcionales para extorsionar a la Nación y beneficiar intereses transnacionales.

En el comienzo del siglo XXI,  la coyuntura de cambios que vive PDVSA debe ser aprovechado como una formidable oportunidad de transición hacia una organización productiva que cumpla el papel de centro de irradiación de innovaciones tecnológicas y sociales, que se oriente al desarrollo endógeno y soberano de una economía respetuosa del equilibrio ecológico, la diversidad cultural y la equidad social.



(*)

Mg. Jorge Hinestroza, Docente e investigador Área Ambiental, Facultad de Ciencias.
Br.  Nicanor Cifuentes, Tesista de la Licenciatura en Biología Facultad de Ciencias.
MSc. Hender Urdaneta, Docente e investigador Área Ambiental.
Facultad de Humanidades y Educación.
MSc. Blanca Medina - Investigadora Área Ambiental. Facultad de Humanidades y Educación.
Ing. Luis H. Arciniegas, Docente Área Computación. Facultad de Ciencias.
Dra. Ana M. Castellano, Docente e investigadora Área Social. Facultad de Ciencias Jurídicas y Políticas.