Il sabotaggio tecnologico di PDVSA e le dispersioni petrolifere nel Lago di Maracaibo
Jorge Hinestroza; Nicanor
Cifuentes; Fendere Urdaneta; Bianca Medina; Luis Arciniegas; Ana M. Castigliano
(*)
Maracaibo, Luglio 2003
Estratto e traduzione di Rossi Flavio
[testo completo in spagnolo]
Di fronte all'allarme promosso con le notizie di spargimenti petroliferi
accaduti nel Lago di Maracaibo durante il mese di gennaio di 2003 e la
conseguente "emergenza ambientale" decretata dal Governatore dello
Stato Zulia, Manuel Roseti nel contesto delle mobilitazioni politiche convocate
dai settori dell'opposizione al governo nazionale; preoccupati per gli
ecosistemi che offrono sostentamento naturale alla società in cui viviamo, e la
qualità della vita della popolazione; in qualità di membri della comunità
accademica dell'Università dello Zulia, gruppi ambientalisti e organizzazioni
popolari inserite nella trasformazione sociale della regione zuliana e del
Venezuela, abbiamo condotto un'indagine che
permetta di fare luce sui fatti associati alla paralisi arbitraria delle
attività dell'industria petrolifera nazionale ad opera di un gruppo di
direttori di PDVSA allineato alla strategia cospirativa denominata la
Coordinatrice Democratica.
Il proposito di questo documento è descrivere la situazione causata dal
black-out petrolifero ed assumere la
nostra responsabilità intorno a questi scandalosi fatti, inediti nella storia
della nazione venezuelana, contribuendo alla descrizione ed interpretazione di
aspetti tecnici, ambientali ed etici e le sue conseguenze, come passo previo e
necessario ad una valutazione dettagliata che includa grandezze molto definite
dell'impatto ambientale e socioeconomico della paralisi dell’industria petrolifera. A questo scopo abbiamo portato
a termine una serie di interviste, visite ed ispezioni ad installazioni
industrie petrolifere del Lago di Maracaibo e ad aree adiacenti, e vagliato la
documentazione pubblica e altre fonti rilevanti che si riferiscono a quei
fatti.
La paralizzazione totale della produzione industriale
petrolifera: un fatto inedito nella
storia industriale petrolifera mondiale.
A partire dal 2 di dicembre del 2002, una parte del personale dirigente di
Petroli del Venezuela, S. A., PDVSA, portò a termine la paralizzazione
dell'industria petrolifera venezuelana, provocando come conseguenza la caduta
totale della produzione di greggio e gas dell'ovest del paese. Questo fatto incluse il fallimento deliberato dei
piani previsti per assicurare la continuità operativa dell'industria, la
sicurezza delle installazioni e i danni all'ambiente e alla salute delle
persone. Questa serrata significò che più del 60 percento del personale di alto
livello dirigenziale disertò il suo lavoro nelle attività routinarie. Gran
parte dell'infrastruttura industriale petrolifera fu oggetto di un sabotaggio
sistematico, che risalta per il carattere esperto della sua esecuzione, i cui
autori approfittarono dell’incuria generale delle installazioni causata dall’abbandono
dei lavori; inoltre, l'industria industria petrolifera fu oggetto di vandalismo
e furto, che colpì, in generale, le operazioni di produzione di greggio,
compressione e frazionamento di gas.
Tra gli altri aspetti rilevanti, risaltano la
distruzione ed ostruzione di installazioni col proposito deliberato di causare
spargimenti di idrocarburi negli ambienti lacustri e terrestri, e il
deterioramento profondo del servizio di vendita di benzina e gas domestico alla
popolazione.
Operazioni di sabotaggio elettronico ed attentati diretti alle installazioni
Gli atti di sabotaggio evidenziarono la partecipazione del personale di
fiducia, la cui professionalità offriva l’opportunità di riuscire a generare
deliberatamente il collasso delle installazioni. Il piano eseguito per fermare l'industria industria petrolifera
nazionale trasse vantaggio dall'esperienza tecnica del personale qualificato e
la disciplina industriale che accompagna gli aspetti organizzativi di questa
corporazione, specialmente nel senso della subordinazione che predomina nelle
catene di comando. Questo è particolarmente certo in quelle aree di maggiore
complessità tecnologica sottoposte al sabotaggio, differenziandosi da quelle
azioni che non meritano una conoscenza profonda sul funzionamento di certe
installazioni, benché richiedano un'attuazione diretta tecnicamente. A questo,
dovranno sommarsi le conseguenze derivate dal ritiro della vigilanza in terra e
lago, specialmente, la massiccia ondata di furti e vandalismo che colpì
l'industria durante la serrata.
La logica generale del sabotaggio fu cominciare dalla paralisi delle operazioni
finali del processo petrolifero, imbarco di greggio nei terminali portuali, per
assicurare che ogni fase previa, rifornimento di carri armati, invio di greggio
negli oleodotti, raccolta di petrolio in stazioni di flusso, etc., fosse
successivamente paralizzato saturazione di greggio, fino ad arrivare alla
fermata forzata dei pozzi, in generale. Questo fu accompagnato con il blocco di
diverse installazioni chiave, come impianti compressori di gas, impianti di
vapore, generatori elettrici, compreso
il tamponamento di oleodotti con greggio pesante, etc. la cui immobilizzazione
avrebbe garantirebbe l'impossibilità di un rapido recupero della produzione, in
caso di tentativo di ripresa.
Il carattere sistemico dei meccanismi e processi della produzione industriale
petrolifera comporta necessariamente il blocco di certi componenti e conduce
all’interruzione dell'insieme. Questo è specialmente significativo nel caso di
sabotaggio delle stazioni di compressione di gas e impianti di frazionamento,
dalle quali dipendono ramificazioni operative verso o da pozzi, gas lift, e gas
associato, centrali elettriche (gas combustibile), gas della città,
petrolchimico, e distribuzione di combustibili.
La partecipazione di INTESA nel collasso
provocato a PDVSA fu determinante, considerando che questa impresa da 1997
controlla tutta l'infrastruttura; agevolazioni, squadre, partita a
credito finanziatrice, geologica, tecnica, preventiva e di commerci
dell'impresa e, inoltre, il personale di supporto tecnologico di PDVSA, nel quale si trova la parte decisiva
del controllo della produzione, raffinazione e distribuzione del greggio e dei
suoi derivati.
INTESA esercitò il suo potere di controllo
computerizzato per paralizzare carico, scarico e stoccaggio di
greggio nei differenti terminali di imbarco, come per fermare il funzionamento
della maggioranza delle stazioni di flusso, impianti compressori, impianti di
procedimento, pompe del combustibile, tubature automatizzate, etc.,
assicurandosi che la manipolazione delle reti informatiche fosse possibile
solamente da parte dei possessori delle chiavi segrete di accesso al sistema,
tutti impiegati di INTESA inseriti nel “blocco” che sequestrarono il sistema
mediante un accesso clandestino preparato accuratamente in anticipo.
Questo sabotaggio informatico implicò
l'utilizzo di modem nascosti all'interno di pareti e scrivanie per operare con
accesso remoto, via telefonica. Si nota annotare l'uso della rete Internet per
riuscire ad arrivare al intranet della corporazione, dove tanto le
comunicazioni satellitari come quelle a microonde e radio sono parte del
sistema. Tutta questo piattaforma tecnologica servì ai fini del sabotaggio:
ostacolare il controllo delle operazioni da parte di chi continuava a lavorare,
isolare Occidente rispetto agli uffici centrali di PDVSA a Caracas,
distruggere i database concernenti le operazioni routinarie ed evitare
l'identificazione di operatori in distinte installazioni e macchinari;
eventualmente, sopprimere i sistemi operativi dei server, e finalmente,
smantellare tutto quel sistema di informazione e controllo a distanza delle
operazioni automatizzate. Questo condusse il personale che continuò nei suoi
posti di lavoro ad un'incertezza totale intorno ai valori reali stabiliti nei
punti di controllo dei processi, ed obbligò a presumere un eccessivo rischio
nel maneggio delle installazioni, che li indusse a procedere alla verifica
particolareggiata dei parametri di controllo degli impianti, prima di
anticipare l'avviamento degli stessi; come conseguenza, la ripresa delle
operazioni in questo caso fu molto lenta e minuziosa.
Il sabotaggio elettronico si accompagnò col blocco fisico diretto di
installazioni per ostacolare la produzione di greggio; non tutta questa
produzione ubbidisce ai controlli automatizzati, risultando ovvia la tattica di
ostacolare un avviamento immediato delle operazioni industriali petrolifere,
nel caso che i sabotatori perdessero eventualmente il controllo della
situazione.
Si può notare che questo aspetto della
combinazione delle forme di sabotaggio fu direttamente relazionato col
carattere che assunse lo sviluppo delle manovre ed incursioni dirette a
paralizzare il paese, secondo il criterio di partenza degli strateghi di quel
blocco che presunsero che sarebbe bastata la paralisi dell'industria
petrolifera venezuelana per sette giorni per liquidare il governo del
Presidente Chávez.
L'evoluzione dello “sciopero” presentò due fasi: la prima, dove l’assenza di
comandi direttivi e mancanza di controllo dei sistemi automatizzati provocò lo
sconcerto delle maestranze, e la paralisi della produzione. Questa situazione
condusse ad una visione trionfalistica dei leader
responsabili della serrata il momento in cui la produzione si portò a "zero barili", fu precipitosamente
applaudito cinicamente come un'evidenza dell'azione efficace della “Gente del
Petrolio.”
La seconda fase del sabotaggio sorse sotto
l'influenza di iniziative di riordino direttivo e ripresa della produzione
eseguite da parte del personale che non si unì alla serrata.
In contrapposizione, quel boicottaggio passò delle azioni
"virtuali" dalle reti informatiche, alle azioni sul campo, nel
terreno delle installazioni di terra e lacustri. Qui sembrano evidenziarsi
azioni disperate degli strateghi e seguaci del movimento insurrezionale, per il
carattere distruttivo delle stesse. Questa radicalizzazione fu un'azione
disperata sorta a partire dal momento che si superò il limite dei sette giorni
previsto per abbattere del suo carico al Presidente della Repubblica, insieme
alle evidenti capacità di ripresa dell'industria. Si noti che le azioni di
sabotaggio dirette che provocarono inquinamento ambientale per spargimenti di
greggio nel lago e terra, e le esplosioni e gli incendi, succedono precisamente
in momenti in cui la risposta di ripresa produttiva del personale aveva
cominciato già a dare i suoi frutti, mentre le spiegazioni della “Gente di
Petrolio” per fare vedere il fallimento del personale al lavoro si diresse a
dimostrare l'inesperienza di chi assunse la responsabilità della produzione, il
che successe durante la seconda settimana del mese di gennaio di 2003. Si deve valutare che la ripresa cominciò a verificarsi
dopo che le Forze armate presero il controllo delle installazioni industrie
petrolifere. Con tutto, buona parte delle azioni di sabotaggio possono
catalogarsi come autentici atti terroristici, i quali si prolungarono durante i
mesi di gennaio, febbraio e marzo, e diminuirono, benché non
totalmente, nel mese di aprile, come evidenziarono danni agli oleodotti, e
l'incendio deliberato per due volte consecutive della fossa di fanghi adiacente
alla pianta di Ulé.
Si è saputo della partecipazione diretta di un insieme di imprese appaltatrici,
con differenti gradi di coinvolgimento nella cospirazione ed esecuzione del
sabotaggio delle installazioni, tra le quali raffigurano: VENEZUELA DIVER,
COMASSO, SERVIZI OJEDA, CASCOPET, TUBOSERVICIOS, CORLAGO, LISCIO, PAPPAGALLO,
SAMFORD, CRAFT E TURISLAGO.
L'enorme territorio abbracciato dalle installazioni petrolifere nello Zulia fu
un fattore favorevole per il piano di sabotaggio, specialmente in quelle zone
dove la custodia dell'Armata e la Guardia Nazionale non raggiunse l'effettività
necessaria, o non fu presente. Il sabotaggio fu favorito dal dominio esterno
del sistema di controllo informatico della produzione e la vulnerabilità che
offre la collocazione dell'industria in un territorio di difficile vigilanza.
La situazione ambientale del Lago di Maracaibo e la
provocazione deliberata di rovesciare petroliere
Durante il mese di gennaio di questo anno furono pubblicate
allarmanti denunce di spargimenti
petroliferi in volumi inusitati in acque del Lago e campi adiacenti. Bisogna
segnalare che le notizie edite per la stampa nazionale furono presentate in
modo distorto, erroneo, disordinato e confuso, presentando messaggi deformati
della situazione.
Nonostante lo scarso valore tecnico
dell'informazione manipolata, alcune organizzazioni ambientalisti, tali come
Audubon del Venezuela, Vitalis, Azzurro, ed altre, "confermarono" la
cosa sostenuta da il Governatore dello Zulia. Si diffusero allora
comunicati firmati da varie organizzazioni ambientalisti con sede a Caracas,
che appoggiarono questo supposto allarme ambientale nel Lago di Maracaibo, tali
come Fujucavi, Fondazione Venezuelana Giuridica per la Difesa della Qualità di
La Vita, Fondazione Scientifica I Addormentati, Fondazione L'Era Agricola,
Fondazione Museo Del Mare, Fondazione Progetto Maniapure, Fundhonat, Fondazione
Uomo E Natura, Nodo Ambientale di La Rete di Ispettori, Società Ecologica
Venezuelana Vita Marina e l'organizzazione Vitalis, già menzionata.
In realtà, l'osservazione delle fotografie che si pubblicarono per illustrare
le "denunce" danno uno scenario molto diversa la cui interpretazione
risulta incoerente col contenuto allarmante delle dichiarazioni. Tale è il caso
della denuncia di Juan Fernández, della "Gente del Petrolio”,
Coordinatrice Democratica", circa uno spargimento che si diceva avesse
raggiunto un'estensione di 30 chilometri. In generale, le versioni
somministrate da organizzazioni ed esperti, edite nella stampa, radio, e
televisione nazionale e regionale, soffrirono di incoerenze e contenuti errati
il cui maggiore esponente fu già il caso del pozzo BA-1174, Bachaquero,
erroneamente indicato in altre notizie col n. 13A1174.
Vari quotidiani segnalavano un getto di petrolio in fuoriuscita libera da quel
pozzo, per un'altezza di dodici metri, che spinse chi denunciava a stimare in
mille barili di petrolio al giorno (cifra smisurata) la quantità di greggio
sparso nell’ambiente. Questo contraddicendo le realtà conosciute circa la vera
capacità produttiva dei pozzi lacustri, senza contare che in questo caso il pozzo
mostrò i segni evidenti di sabotaggio, una trazione destinata a provocare la
rottura della testina, in modo che il greggio cadesse direttamente nel lago.
Risulta evidente la perfidia del
sabotaggio di questo pozzo, perché quel pozzo si trovava fuori servizio, cioè,
senza operazione alcuna che potesse offrire il caso di imperizia, come invece
si volle fare credere. In realtà, la violenta operazione che riuscì a rompere
la testina del pozzo dovette utilizzare una forza di trazione possibile solo da
un'imbarcazione di gran potenza, ed utilizzando una grossa corda del tipo
utilizzata per l’attracco di rimorchiatori e grandi imbarcazioni, oppure con
una corda di acciaio o "guaya."
Dopo avere analizzato la condotta pubblica assunta dall'organizzazione
"Gente del Petrolio - Coordinatrice Democratica" nei media privati,
dove giornalmente furono acclamati i "risultati" della paralisi
dell’industria petrolifera, e averla confrontata con la nostra osservazione
indipendente sulla base dei fatti e condizioni in cui si verificarono gli
eventi di inquinamento ambientale, esplosioni, incendi, incidenti di trasporti,
etc., non possiamo fare a meno di
credere che i perniciosi effetti di questo sabotaggio furono diretti ad
accreditarsi il trionfalismo della cosiddetta "disoccupazione civica
nazionale."
La gestione di rischi alla salute ed ambiente nell'industria industria
petrolifera merita speciale attenzione in relazione a questa situazione
provocata da questa disoccupazione petrolifera direttiva, poiché incluse
l'abbandono totale dei piani di contingenza dei servizi contro spargimenti di
idrocarburi. I piani di contingenza sono procedimenti operativi specifici e prestabiliti di coordinazione,
all'erta, mobilitazione e risposta
davanti alla presenza o l'imminenza di un fenomeno pericoloso, questione per il
quale si prevedono scenari definiti.
Il piano di contingenza contro incidenti petroliferi, progettato per combattere
la fuoriuscita di greggio da sei fino a sessantamila barili, si trova nel
cosiddetto Piano Nazionale di Contingenze contro Spargimenti Massicci di
Idrocarburi (PNC).
Per sua natura, la direzione ed esecuzione dei piani di contingenza ricadono
fondamentalmente nel personale direttivo, precisamente lo stesso personale con
carichi di direzione in PDVSA che eseguì le azioni di paralisi dell'impresa,
con la direzione di "Gente del Petrolio”. Questo li colloca in una
particolare posizione di responsabilità tecnica, politica e morale, del
processo che condusse al blocco di questa industria con le note sequele di
danni inferti all'ambiente naturale, all’industria stessa ed al paese, con
evidenti implicazioni legali di responsabilità penale e civile.
Essendo già nota la situazione degli spargimenti di greggio causati
deliberatamente come parte del piano di attentati che si descrive in questo
documento, il Ministero dell'Ambiente operò in forma generica e leggera. La
versione che la fuoriuscita del petrolio non superava il livello di
inquinamento abituale e l'infelice frase che la situazione ambientale del lago
era "normale" non fece approfondire l'immagine quotidiana e
tradizionale che molti zulianos abbiamo avuto di PDVSA come una "scatola
nera", che esiste al di sopra di qualunque auditorio governativo, mentre
si consolidò l'idea predominante che l'industria petrolifera mantiene una
situazione di spargimenti cronici, conosciuti per i vicini del lago ed in
generale per chi abbia mantenuto
una relazione permanente con la vita del Lago di Maracaibo.
I danni abituali all'ecologia lacustre e
terrestre danno un gigantesco, crescente ed inaudito passivo ambientale. Come
dichiarò il titolare del Ministero dell'Ambiente, gli spargimenti
successi nel Lago durante la serrata petrolifera non presentarono una
frequenza molto superiore ai periodi
anteriori e fu osservata una situazione abituale in questo senso.
E’ necessario segnalare che la storia delle aggressioni all'ambiente
naturale nella nostra regione ha accompagnato permanentemente lo sviluppo
dell'industria petrolifera, petrolchimica e carbonifera, per quanto non sia
un’eccezione alla conosciuta caratterizzazione degli effetti di queste
industrie negli ecosistemi, nel mondo intero.
Esaminando questa situazione alla luce delle
azioni dirette come leve politiche, a perturbare la stabilità economica
nazionale, non possiamo fare a meno di notare l'assenza di valori etici
ecologici in quel movimento politico dentro il PDVSA, che incluse fattori di
alto livello tecnico che arrivarono ad osare disertare dalle responsabilità nel
piano di contingenze contro spargimenti e permisero l'esecuzione di attentati
contro il Lago di Maracaibo, e misero in pericolo le comunità adiacenti a le
installazioni delle industrie petrolifere.
Questa nefasta azione contro l'ambiente con fini politiche troppo
illegittimi, non solamente portò come conseguenza nuovi impatti negativi contro
il lago, ma costituì anche una maiuscola violazione della fiducia che la
popolazione vuole sostenere davanti alla gestione dei funzionari incaricati del
maneggio e protezione delle nostre ricchezze naturali, e la sua preservazione
per le future generazioni. A lato di questo disonorevole adempimento direttivo,
vogliamo risaltare ed appoggiare ciò che sembra emergere come una nuova maniera
di esporre l'etica delle relazioni pubbliche davanti all'ambiente comunitario
regionale, espressa in diverse
dichiarazioni pubbliche di Félix Rodríguez, Direttore di PDVSA Occidente, nel
senso che la popolazione deve conoscere la vera realtà dei rischi della
produzione industriale petrolifera e contribuire alla protezione delle installazioni,
a questo sommiamo le dichiarazioni del Ministro dell'Ambiente Ana Elisa Osorio
chi segnalò che la gestione ambientale dell'industria industria petrolifera
nazionale si farà e lo Stato riprenderà la sua autorità di supervisione sulla
stessa.
Inoltre, vogliamo fare un riconoscimento a quegli impiegati di vario livello
gerarchico di PDVSA che contribuirono a riattivare e mantenere attiva
l'industria petrolifera a rischio della loro personale integrità, come
evidenziarono gli attacchi ed affronti personali che affrontarono
direttori, supervisori e lavoratori di
differenti aree, dove si arrivò ad attentati con armi, attacchi a veicoli in
pieno lavoro, tumulti in campi petroliferi, installazioni, etc., come capitò
nella Costa Orientale del Lago ed altri posti del paese.
Finalmente, è importante indicare che la ripresa e normalità produttiva di PDVSA è una dimostrazione irrefutabile
che le operazioni petrolifere funzionano in maniera continua, sotto il
controllo operativo di un personale che dimostra preparazione, competenza
tecnica appropriate, mentre la supposta pericolosità che fu denunciata da
“Gente del Petrolio” attribuendone goffaggine ed inesperienza, è svanita come
un'evidente menzogna.
Altro è invece il fatto che non stiamo
presenziando ad un accrescimento di situazioni inedite di inquinamento,
esplosioni ed incendi nell'industria industria petrolifera, bensì che
osserviamo la conosciuta situazione di normalità produttiva, in un ambiente
lacustre sottoposto a pressioni ambientali da tutti conosciute e denunciate da
accademici, pescatori ed ambientalisti.
È importante rilevare che l'Università dello Zulia ha offerto informazione
prodotta in interessanti investigazioni comparate, tra l’altro, con la
pericolosità lavorativa e i danni alla salute della popolazione regionale.
Ininterrottamente, la serrata petrolifera, bloccando la produzione di
idrocarburi ed ostacolando le operazioni di carico delle navi – cisterna che
trasportano il greggio verso l'esterno, fermò le esportazioni e tagliò l'entrata
di valute che il paese ottiene dal il petrolio. Come conseguenza, secondo le
dichiarazioni ufficiali, la Nazione venezuelana soffrì un danno economico che
ascese ad una perdita per il valore di 4 miladuecentosessantasettemilioni di
bolivar (Bs 4.267.000.000,oo), cifra che si eleva a novemiladuecentoduemiliardi
di bolivar, Bs. 9.202.000.000,oo, se sommiamo il costo della serrata e le sue
ricadute sull'intera economia venezuelana.
Sabotaggio petrolifero, democrazia, sovranità e sicurezza
nazionale
La situazione descritta mette di rilievo la vulnerabilità della sovranità e la
sicurezza del paese nei confronti di interessi estranei alla Nazione, oltre a
costituire un severo colpo ai diritti dei venezuelani alla partecipazione nella
presa di decisioni degli aspetti strategici della vita repubblicana. L'insolita
leggerezza di sommare la nostra principale industria a questa serrata nazionale
riluce come arbitrio politico di chi si arroga illegittimamente la
rappresentanza della maggioranza della popolazione per esercitare azioni
insurrezionali contro il Presidente della Repubblica.
La conseguenza immediata di questa serrata petroliera fu il taglio
generalizzato di somministrazione di benzina, gasolio e gas domestico, tra gli
altri prodotti derivati degli idrocarburi. Questo condusse ad una brusca e
profonda caduta della qualità di vita della popolazione, inedita nella storia
contemporanea del paese che si tradusse in una gran sofferenza della
popolazione, principalmente dovuta alla conseguente penuria e rincaro di tutti
gli articoli di prima necessità.
Il tentativo di impedire il rifornimento di combustile dalle petroliere nel
porto di Maracaibo incluse l’allarmismo attraverso i media privati gridando al
rischio di esplosione se si tentava la mobilitazione di queste navi. Questa
manovra di terrorismo psicologico provocò molte ore di inquietudine nella
popolazione locale, specialmente degli abitanti vicini al lago. Prominenti
portavoce dell'opposizione apparvero nella televisione con predizioni di
incidenti e roghi che avrebbe provocato a Maracaibo l'incendio dei 44 milioni
di litri di benzina che trasportava la nave Pilín León.
La paralisi dell’industria petrolifera e la
manipolazione mediatica che servì da supporto ideologico e propagandistico a
questo vasto piano cospirativo, conformarono un quadro esemplare di manipolazione politica che evidenziò tattiche
terroristiche, come quelle che abbiamo descritto nel caso dello spargimento
intenzionale di greggio e sabotaggio a diverse installazioni di alto rischio, e
quell’allarmismo sopracitato.
La gravità di questo panorama acquisisce un significato specifico
legato alla subordinazione del nostra principale industria ad imprese di
filiazione straniera, con una condotta evidentemente contraria agli interessi
dell'industria nazionale.
In questo punto, emerge un aspetto morale di somma importanza, perché deve
prevalere un trattamento profondamente etico e trasparente che contribuisca a
proteggere i valori bioetici umani e sociali dei venezuelani e l'integrità
della Nazione.
Questo necessario atteggiamento etico deve basare la condotta del nostro
sistema giudiziale che ridonderà nell’evitare l'espansione di una
"cultura" dell'impunità nella manipolazione dei temi pubblici dei
venezuelani, in questo ed in tutti i casi dove si evidenzi, come è stato il
sabotaggio di PDVSA, una violazione all'integrità della Nazione
Venezuelana.
È di suprema importanza sottolineare che il tema petrolifero non è un problema
strettamente tecnico, ridotto agli aspetti produttivi o agli effetti
dell'inquinamento ambientale provocato nello sfruttamento degli idrocarburi, ma
è riferito alle dimensioni politiche, economiche ed ecologiche centrali della
vita nazionale, e pesa in maniera strategica nella vita di ognuno di noi, per
quello che, in questa questione, la difesa degli interessi petroliferi
venezuelani equivale a una necessaria politica dello stato espressa nella
protezione di tutte le nostre risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili,
l'aumento del nostro reddito petrolifero, la stabilizzazione del livello di
produzione di greggio coi migliori prezzi, e la proprietà sociale, pubblica e
sovrana di Petroli del Venezuela, associazioni produttive e commerciali che
assicurino il controllo nazionale del prodotto petrolifero a beneficio equo di
tutti i venezuelani, dove la privatizzazione sia solamente un meccanismo
necessario per rinforzare la gestione dell’industria e non l'opportunità per
riprodurre elite direttive che approfittano dei loro poteri funzionali per
estorcere alla Nazione e beneficiare interessi transnazionali.
Nel principio del secolo XXI, la congiuntura di cambiamenti che vive PDVSA deve
essere sfruttato come una formidabile opportunità di transizione verso una
organizzazione produttiva, che svolga il ruolo di centro di irradiazione di
innovazioni tecnologiche e sociali che si orienti allo sviluppo endogeno e
sovrano di un'economia rispettosa dell'equilibrio ecologico, della diversità
culturale e dell'equità sociale.
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(*)
Mg. Jorge Hinestroza, Docente ed investigatrice Area Ambientale, Facoltà di
Scienze.
Br. Nicanor Cifuentes, Tesista della Laurea in Biologia Facoltà di Scienze.
MSc. Fendere Urdaneta, Docente ed investigatrice Area Ambientale. Facoltà di
Umanistica ed Educazione.
MSc.. Bianca Medina - Investigatrice Area Ambientale. Facoltà di Umanistica ed
Educazione.
Ing. Luis H. Arciniegas, Docente Area Computo. Facoltà di Scienze.
Dra. Ana M.Castigliano, Docente ed investigatrice Area Sociale. Facoltà di
Scienze Giuridiche e Politiche.
La Universidad del Zulia
Facultad Experimental de Ciencias
División de Formación General
El sabotaje tecnológico de PDVSA y los
derrames petroleros en el Lago de Maracaibo
Jorge Hinestroza; Nicanor Cifuentes; Hender Urdaneta; Blanca Medina; Luis
Arciniegas; Ana M. Castellano (*)
Maracaibo, Julio de2003
Ante la alarma que se promovió con las noticias de derrames petroleros
acaecidos en el Lago de Maracaibo durante el mes de enero de 2003 y la “emergencia
ambiental” decretada por el Gobernador del Estado Zulia, Manuel Rosales en el
contexto de las movilizaciones políticas convocadas por sectores de la
oposición al gobierno nacional; preocupados por los ecosistemas que brindan
sustento natural a la sociedad en que vivimos, y la calidad de vida de la
población; en nuestra condición de miembros de la comunidad académica de La
Universidad del Zulia, grupos ambientalistas y organizaciones populares
comprometidas con la transformación social de la región zuliana y de Venezuela,
hemos asumido nuestra responsabilidad de iniciar una indagación que permita
esclarecer los hechos asociados a la paralización arbitraria de las operaciones
de la industria petrolera nacional por obra de un grupo de gerentes de PDVSA alineados
a una estrategia conspirativa de la denominada Coordinadora Democrática. Es de
nuestra opinión que la complejidad de la situación planteada sobrepasa las
fronteras de las relaciones entre el sistema técnico petrolero y el sistema
físico ambiental lacustre, y comprende un conjunto de variables de carácter
humano social, por lo que consideramos esta realidad bajo un enfoque político,
ético y socio-ambiental, y por ende, indesligable de nuestra condición de
venezolanos comprometidos con la defensa de nuestra soberanía como Nación y de
nuestros derechos económicos, políticos, sociales, culturales y
ambientales.
El propósito de este documento es describir la situación ocasionada por el paro
petrolero y asumir nuestra responsabilidad en torno a estos escandalosos
hechos, inéditos en la historia de la nación venezolana, contribuyendo a la
descripción e interpretación de aspectos técnicos, ambientales y éticos que
formaron parte de paro y sus consecuencias, como paso previo y necesario a una
evaluación detallada que incluya magnitudes muy definidas del impacto ambiental
y socioeconómico de la paralización de la industria petrolera. Para este
efecto, hemos llevado a cabo un conjunto de entrevistas, visitas e inspecciones
a instalaciones petroleras del Lago de Maracaibo y áreas adyacentes, y
examinado la documentación pública y otras fuentes relevantes que se refiere a
estos hechos.
La paralización total de la producción petrolera de Occidente: un hecho
inédito en la historia petrolera mundial.
A partir del 2 de diciembre de 2002, una parte de la nómina mayor y personal
ejecutivo de Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA) llevó a cabo la paralización
de la industria petrolera venezolana trayendo como consecuencia la caída total
de la producción de crudo y gas del occidente del país. Este hecho involucró la
quiebra deliberada de los planes de contingencia previstos para asegurar la
continuidad operativa de la industria en sus diferentes localidades, la
seguridad de las instalaciones y los perjuicios al ambiente y la salud de las
personas.
En Occidente, este
paro significó que más del 60% de personal de las nóminas altas desertó
de su trabajo en las actividades operacionales rutinarias, lo cual conllevó al
abandono, daños y colapso de la producción, manejo de crudo, gas, agua, vapor,
y red eléctrica de la industria. Gran parte de la infraestructura petrolera fue
objeto de un sabotaje sistemático que resalta por el carácter experto de su
ejecución, cuyos autores aprovecharon la desprotección general de las instalaciones
causada por el abandono de labores; junto a ello, la industria petrolera fue
objeto de vandalismo y hurto masivo, lo cual afectó, en general, las
operaciones de producción de crudo, compresión y fraccionamiento de gas.
Entre otros aspectos de importancia, resaltan la destrucción y obstrucción de
equipos e instalaciones con el propósito deliberado de causar derrames de
hidrocarburos en los ambientes lacustres y terrestres, y deterioro profundo del
servicio de expendio de gasolina y gas doméstico a la población. En las
inspecciones realizadas en el Lago de Maracaibo se observaron pozos y
estaciones de flujo y áreas adyacentes frente a las costas de Tía Juana y
Lagunillas. En tierra, además de estaciones de flujo, fueron inspeccionados
pozos y balancines, líneas de flujo, estaciones de vapor, subestaciones y
líneas eléctricas, pertenecientes a los campos de Tia Juana, Lagunillas y
Bachaquero; además, se realizaron entrevistas a miembros del personal de la
Gerencia de Operaciones Acuáticas y Departamento de Seguridad e Higiene
Ambiental (SHA) del distrito Tía Juana. Asimismo, se analizó la versión de la
Gobernación del Estado Zulia y de los responsables de la paralización de la
industria petrolera, para lo cual hemos utilizado versiones publicadas por la prensa
nacional. A través de la
observación documental y de campo, junto con el examen del comportamiento de
los actores relevantes de esta coyuntura, se logró consolidar una
información de base para nuestros análisis e interpretaciones, los cuales fueron
elaborados considerando especialmente la lógica de las operaciones petroleras
en el Lago de Maracaibo y en tierra, junto con información relativa al
comportamiento histórico reciente de los derrames petroleros en el Lago y la
descripción de los componentes ambientales lacustres y circunlacustres. Junto a
este examen, se abordaron los aspectos éticos, políticos y sociales inmersos en
dicha problemática. Las instalaciones y operaciones petroleras afectadas por
abandono de labores y sabotaje en Occidente (estado Zulia) PDVSA Occidente para
el año 2002 presentó un potencial de producción de 1,6 millones de barriles
diarios de crudo y condensado y 1,5 millardos de pies cúbicos de gas. Para ese
año se contempló la perforación de 267 pozos por parte de PDVSA y 187 pozos por
parte de terceros, más el reacondicionamiento de 591 pozos por su parte y 165
pozos por parte de otras empresas. La producción arrojó un promedio de 1,4
millones de barriles diarios de crudo, manejándose directamente la explotación
en los distritos operacionales Maracaibo, Tía Juana y Lagunillas, así como la
administración y relaciones con las empresas que operan bajo convenios
operativos en los estados Zulia, Falcón y Trujillo.
Para efectos de este análisis, conviene hacer un examen general del
emplazamiento de las instalaciones petroleras en el Zulia, con el objeto de
presentar una imagen clara de la magnitud y naturaleza del sistema técnico
afectado, y el carácter de las operaciones llevadas a cabo para afectarlo en su
conjunto.
En tierra, las instalaciones petroleras de PDVSA ocupan una superficie superior
a los 1.600 Km2; comparativamente, es un área tres veces mayor que la ocupada
por el municipio Maracaibo. Mientras que en el lago, estas instalaciones se
sitúan en una superficie casi cuatro veces superior a esta ciudad, en alrededor
de 7 mil kilómetros cuadrados, la mayoría concentradas frente a la costa Este,
distribuidas en un área que abarca más de la mitad del Lago de Maracaibo.
El recorrido del crudo desde los pozos hasta el embarque hacia el exterior o
hacia los centro de refinación se cumple a partir de la recolección del
petróleo desde grupos cercanos de pozos con crudos similares los cuales son
enviados hacia estaciones de flujo. Luego, por medio de tuberías laterales el
crudo es enviado a estaciones principales (patios de tanques), donde son
almacenados según sus características. Los oleoductos llevan el crudo ya
fiscalizado hacia las plantas de procesamiento (refinerías) o hacia los
terminales de embarque. Los poliductos transportan derivados del petróleo,
tales como gasolina, gas licuado y diesel, mientras los gasoductos transportan
gas natural. El gas natural obtenido de los yacimientos se lleva mediante
tuberías laterales a plantas de fraccionamiento donde se separan el gas y la
fracción conocida como gas licuado. El gas pasa luego por estaciones donde se
aumenta su presión (estaciones de compresión) de manera que fluya hacia las
industrias y las ciudades mediante sistemas de distribución. Mediante tanqueros
y supertanqueros el crudo y otros productos se llevan desde los muelles de
embarque hacia los puertos de cabotaje o hacia el exterior. Entre las
facilidades de producción y servicios, en Occidente la industria cuenta con
tres plantas de generación eléctrica, situadas en Punta Gorda, Las Morochas y
Pueblo Viejo; decenas de subestaciones eléctricas de 115/34,5 kilovoltios en el
lago y en tierra; medio centenar de subestaciones eléctricas de 34.5/6.9
kilovoltios en tierra; más de dos mil kilómetros de líneas de distribución y cerca
de un millar de estaciones transformadoras de 6.9/0.48 Kilovoltios. Nueve
patios de almacenamiento de crudo con una capacidad de un millón de barriles
por día, están situados en las áreas denominadas Bachaquero, Lagunillas Norte,
Lagunillas Sur, F6, E1, Ulé, Taparito, La Salina y H7 en Cabimas, que almacenan
crudo de unos 5.600 pozos activos en tierra y alrededor de 6.000 pozos en
el lago. Se estiman cerca de mil los pozos inactivos, algunos de ellos en
espera de entrar nuevamente en producción. Además, unas 200 Estaciones de Flujo
en tierra y alrededor de la misma cantidad de estaciones en el lago, 13 Plantas
de Generación de Vapor, 4 Plantas de Compresión de Gas (Lago-1, Mot-1, Mot-2 y
Barúa-5), la Planta de Fraccionamiento de Gas Licuado (GLP-Ulé), dos Patios de
Almacenamiento de Materiales, uno en La Salina (Cabimas) y otro en Bachaquero.
Alrededor de 42,693 Km. de tuberías de petróleo y gas conectan los cabezales de
los pozos en Lago y Tierra con los puntos de colección, distribución y
transporte. Desde los patios de tanques, el sistema de oleoductos lleva crudo a
las refinerías de Paraguaná a lo largo de unos 600 kilómetros, y hacia los
terminales de embarque de La Salina, Bajo Grande y Puerto Miranda, con destino
a la exportación.
La planta de fraccionamiento de gas licuado de Ulé a través de un gasoducto de
unos 200 kilómetros de extensión alimenta la refinería de Amuay con butano.
Igualmente, Ulé suministra gas doméstico a la ciudad de Maracaibo, y ofrece gas
propano para las bombonas de gas de uso doméstico. En La Salina (Cabimas) y El
Menito (Lagunillas) se encuentran los Centros de Operaciones
Automatizadas (COA) donde se ejerce el control computarizado de la producción.
El sector informático de las operaciones petroleras reviste un carácter altamente
estratégico, en tanto constituye un sensible y poderoso sistema de control de
la producción de crudo, situada la mayor parte en el Lago de Maracaibo, e
incluye también operaciones de las plantas de procesamiento tales como
refinerías, fraccionamiento de gas, y otros sistemas como llenaderos de
combustible, poliductos, entre otros. Junto a esto, la automatización también
involucra las operaciones administrativas, tales como nóminas de
personal, sistemas de pagos a contratistas y suplidores, compra de materiales,
ordenes de trabajo, etc. En este sentido, resalta el control absoluto de todos
los sistemas automatizados de PDVSA que la empresa INTESA ha tenido, tanto de
las operaciones en el lago y en tierra, como de los asuntos administrativos.
Operaciones de sabotaje electrónico y atentados directos a las instalaciones
La comisión de actos de sabotaje fue determinada en las acciones que
evidenciaron la participación del personal de confianza, cuya naturaleza o
condición brinda la experticia, capacidad y oportunidad necesaria para lograr
deliberadamente los efectos de entorpecimiento o colapso de las instalaciones.
El plan ejecutado para detener la industria petrolera nacional sacó provecho de
la experticia técnica del personal calificado y la disciplina industrial que
acompaña los aspectos organizacionales de esta corporación, especialmente en el
sentido de la subordinación que predomina en las cadenas de mando. Esto es
particularmente cierto en aquellas áreas de mayor complejidad tecnológica sometidas
al sabotaje, diferenciándose aquellas acciones que no ameritan un conocimiento
profundo sobre el funcionamiento de ciertas instalaciones, aunque si requieran
una actuación dirigida técnicamente. A esto, deberán sumarse las
consecuencias derivadas del retiro de la vigilancia en tierra y lago,
especialmente, la masiva ola de hurtos y vandalismo que azotó la industria
durante el paro. La lógica general del sabotaje fue comenzar por la
paralización de las operaciones finales del proceso petrolero (embarque de
crudo en los terminales portuarios) para asegurar que cada fase previa (llenado
de tanques, envío de crudo por oleoductos, recolección de petróleo en
estaciones de flujo, etc.) fuera sucesivamente paralizada por la inercia de la
saturación de crudo, hasta llegar a la parada forzosa de los pozos, en general.
Esto fue acompañado con el entorpecimiento de diversas instalaciones claves
tales como plantas compresoras de gas, plantas de vapor, plantas de generación
eléctrica, plantas de procesamiento, e inclusive el taponamiento de oleoductos
con crudo pesado, etc. cuya inmovilización garantizaría la imposibilidad de una
rápida recuperación de la producción, en caso de intento de reactivación.
El carácter sistémico de los mecanismos y procesos involucrados en la
producción petrolera conduce a que el bloqueo de ciertos componentes
necesariamente conduce a la interrupción del conjunto. Esto es especialmente significativo en el caso del
sabotaje de las estaciones de compresión de gas y plantas de fraccionamiento, de
las que dependen ramificaciones operativas hacia o desde los pozos (gas lift) y
gas asociado, plantas eléctricas (gas combustible), gas de la ciudad,
petroquímica, y distribución de combustibles.
La participación de INTESA en el colapso provocado a PDVSA fue
determinante, considerando que esta empresa desde 1997 controla toda la
infraestructura, facilidades, equipos, data financiera, geológica, técnica,
presupuestaria y de negocios de la empresa y, además, el personal de soporte
tecnológico de información de PDVSA, en el cual reposa el más decisivo control
de la producción, refinación y distribución del crudo y sus derivados. INTESA
ejerció su poder de control computarizado para paralizar la carga, descarga y
almacenamiento de crudo en los diferentes terminales de embarque, así como para
detener el funcionamiento de la mayoría de las estaciones de flujo, plantas
compresoras, plantas de procesamiento, llenaderos de combustible, tuberías
automatizadas, etc., asegurándose que la manipulación de las redes informáticas
fuera posible solamente por parte de los poseedores de las claves secretas de
acceso al sistema, todos empleados de INTESA sumados al “paro”, quienes
secuestraron el sistema mediante un acceso clandestino preparado cuidadosamente
con anticipación. Este contundente sabotaje informático implicó la utilización
de módems ocultos en el interior de paredes y escritorios para operar con
acceso remoto, vía telefónica. Cabe anotar el uso de la red INTERNET para
lograr acceso a la intranet de la corporación, en donde tanto las
comunicaciones satelitales como de microondas y radio son parte del sistema.
Toda esta plataforma tecnológica sirvió a los fines del sabotaje: impedir el
control de las operaciones por parte de quienes siguieron laborando, aislar Occidente
con respecto a las oficinas centrales de PDVSA en Caracas, destruir la bases de
datos contentivas de las operaciones rutinarias y evitar la identificación de
operadores en distintas instalaciones y maquinarias; eventualmente,
suprimir los sistemas operativos de los servidores, desconfigurar los routers,
y finalmente, desmantelar todo el sistema de información y control a distancia
de las operaciones automatizadas. Esto
condujo al personal que continuó en sus puestos de trabajo a una incertidumbre
total en torno a los valores reales establecidos en los puntos de control de
los procesos, y obligó a presumir un excesivo riesgo en el manejo de las
instalaciones que les indujo a proceder a la verificación pormenorizada de los
parámetros de control de plantas y equipos, antes de adelantar el arranque de
los mismos; como consecuencia, el reinicio de las operaciones en este caso fue
muy lento y minucioso. Como se afirmó antes, el sabotaje electrónico se
acompañó con el bloqueo físico directo de instalaciones para impedir la
producción de crudo, pues, no toda esta producción obedece a los controles
automatizados, resultando obvia la táctica de obstaculizar, inclusive en el
campo, un arranque inmediato de las operaciones petroleras, en caso de que los
saboteadores perdieran eventualmente el control de la situación. Puede
observarse que este aspecto de la combinación de las formas de sabotaje estuvo
directamente relacionado con el carácter que fue asumiendo el desarrollo de las
maniobras e incursiones dirigidas a paralizar la industria, especialmente bajo
el criterio de partida de los estrategas del paro que presumieron que bastaría
la paralización de la industria petrolera venezolana durante siete (7) días
para liquidar el gobierno del Presidente Chávez.
La evolución del paro presentó dos fases: la primera, donde la ausencia de
mandos gerenciales y descontrol de los sistemas automatizados provocó el
desconcierto del personal laborante, y la parálisis de la producción. Esta
situación condujo a una visión triunfalista de los líderes responsables de la
paralización al momento en que la producción se llevó a “cero barriles”, lo
cual fue precipitadamente difundido y aplaudido cínicamente como una evidencia
de la acción eficiente de Gente del Petróleo.
La segunda fase del sabotaje surgió bajo la influencia de las iniciativas de
reagrupamiento gerencial y reactivación de la producción ejecutadas por parte
del personal de las nominas mayor y contractual y personal de contratistas que
no se sumaron al paro. En
contraposición, el boicot pasó de la acciones “virtuales” desde las redes
informáticas, a las acciones de campo en el propio terreno de las instalaciones
de tierra y lago. Aquí parecen evidenciarse acciones desesperadas de los
estrategas y seguidores del movimiento insurreccional, resaltantes por el
carácter destructivo de las mismas. Al parecer, esta
radicalización fue una acción desesperada surgida a partir del momento que
excedió el límite de los siete días previsto para derribar de su cargo al
Presidente de la República, junto a las evidencias de la capacidad de reinicio
de la industria. Nótese, que las acciones de sabotaje directo que
provocaron eventos de contaminación ambiental por derrames de crudo en el lago
y tierra, y a explosiones e incendios en tierra, ocurren precisamente en
momentos en que la respuesta de reactivación productiva del personal laborante
ya había comenzado a dar sus frutos, mientras que las explicaciones de Gente de
Petróleo para hacer ver el fracaso del personal laborante se dirigió a demostrar
la inexperiencia de quienes asumieron la responsabilidad de la producción, lo
cual ocurrió durante la segunda semana del mes de enero de 2003. Debe cotejarse que la reactivación comenzó a
verificarse después que las Fuerzas Armadas tomaron el control de las
instalaciones petroleras. Con todo, buena parte de las acciones de sabotaje
pueden catalogarse como auténticos actos terroristas, los cuales se prolongaron
a lo largo de los meses de enero, febrero y marzo, y vienen decayendo, aunque
no totalmente, en el mes de abril, como pudo evidenciarse con daños en
oleoductos, y el incendio deliberado por dos veces consecutivas de las fosa de
lodos adyacente a la planta de Ulé.
Se conoció de la participación directa de un conjunto de empresas contratistas
con diferentes grados de compromiso y papeles cumplidos en la conspiración y
ejecución del sabotaje de las instalaciones y actividades de la industria
petrolera, entre las que figuran: VENEZUELA DIVER, COMASSO, SERVICIOS OJEDA,
CASCOPET, TUBOSERVICIOS, CORLAGO, LISA, PAPAGAYO, SAMFORD, CRAFT y
TURISLAGO. El amplísimo territorio abarcado por las instalaciones
petroleras en el Zulia fue un factor favorable para el plan de sabotaje,
especialmente en aquellas zonas donde la custodia de la Armada y la Guardia
Nacional no alcanzó la efectividad necesaria, o no estuvo presente. El sabotaje
fue favorecido por el dominio externo del sistema de control informático de la
producción y la vulnerabilidad que ofrece el emplazamiento de la industria en
un territorio de difícil vigilancia. La situación ambiental del Lago de Maracaibo y la provocación deliberada de
derrames petroleros. Durante el mes de enero de este año fueron publicadas
alarmantes denuncias de derrames petroleros en volúmenes inusitados en aguas
del Lago y campos adyacentes. Hay que señalar que las noticias publicadas por
la prensa nacional han sido presentadas de una manera inapropiada, y por
demás, errónea, desordenada y confusa, presentándose mensajes deformados de la
situación. Los relatos noticiosos señalan cantidades de derrames sin ofrecer
marco de referencia alguno, tales como “Ya suman 79 los accidentes ocurridos en
las instalaciones petroleras en 42 días de paro cívico” publicado por Últimas
Noticias el 14 de Enero de 2003, agregando que “El gobernador del Zulia,
Manuel Rosales, precisó que se han producido 17 derrames de crudo en las aguas
del Lago de Maracaibo. siendo el más grave de ellos el del pozo 13A1174,
ubicado en Bachaquero, que vierte mil barriles de hidrocarburo por día. Asegura
que el chorro de petróleo sobrepasa los doce metros de altura.” También el 16
de enero se publicó que “Desde que se inició el paro, un promedio de 1,8
accidentes ocurren a diario en la industria petrolera; 82 en total, en 45 días
de paralización. O el publicado por la Revista Petrofinanzas el 24 de enero,
como sigue: “en los 53 días de paro en la industria petrolera se han producido
25 derrames en la zona de Occidente” . Uno de los titulares del diario
Ultimas Noticias, en forma simplista presentó una sentencia tan terminante como
tendenciosa: “Hasta 10 años tomará revertir daños ecológicos” (Últimas Noticias
Jueves 16 de Enero de 2003). Esta versión de los eventos ambientales
denunciados no se tomó el cuidado de señalar algún tipo de precisión sobre la
magnitud, sensibilidad y ubicación de los biotopos perturbados por los
derrames, por lo que los mensajes presentan una información de baja calidad por
su carácter genérico e inexacto. Esta información, en nada
contribuye como avance para una investigación pormenorizada, ya que, como es
sabido, en estos casos, resulta obligatorio y responsable ofrecer, como mínimo,
información puntual de las áreas concretas afectadas y su sensibilidad
ecológica específica. Lo cual era esperable considerando la experticia de
los informantes, y las supuestas bases éticas de su denuncia. Inclusive, si
tomáramos por separado algunos datos presentados en los mensajes publicados por
los medios podríamos arribar a las ya conocidas conclusiones oficiales, de que
los derrames mencionados solo alcanzarían un impacto moderado o bajo. A pesar del escaso valor técnico de la
información manejada, algunas organizaciones ambientalistas, tales como Audubon
de Venezuela, Vitalis, Azul, y otras, “confirmaron” lo dicho por el Gobernador
del Zulia. Inclusive, se difundieron comunicados firmados por varias
organizaciones ambientalistas con sede en Caracas, que apoyaron esta supuesta
alarma ambiental en el Lago de Maracaibo, tales como Fujucavi (Fundación
Venezolana Jurídica para la Defensa de la Calidad de La Vida), Fundación
Científica Los Roques, Fundación La Era Agrícola, Fundación Museo Del Mar,
Fundación Proyecto Maniapure, Fundhonat (Fundación Hombre Y Naturaleza), Nodo
Ambiental de La Red de Veedores, Sociedad Ecológica Venezolana Vida Marina y la
organización Vitalis, ya mencionada. De hecho, la observación de las
fotografías que se publicaron para ilustrar las “denuncias” arroja un escenario
muy distinto, cuya interpretación resulta incoherente con el contenido
alarmante de las declaraciones. Tal es el caso de la denuncia de Juan
Fernández, de “Gente de Petróleo - Coordinadora Democrática”, acerca de un
derrame que supuestamente alcanzó una extensión de 30 kilómetros. En general,
asombrosamente, las versiones suministradas por las organizaciones y expertos,
publicadas en la prensa, radio, y televisión nacional y regional, adolecen de
incoherencias y contenidos errados, cuyo mayor exponente fue el caso ya
mencionado del pozo BA-1174 (Bachaquero. erróneamente referenciado en otras
noticias con el Nº 13A1174) que a través de un chorro que alcanzaba unos ocho
metros de altura (El Universal, jueves 16 de enero, 2003 (otros diarios
señalaban una altura de doce metros), que los denunciantes se atrevieron a
lanzar la desmesurada afirmación de que “está dejando escapar alrededor de mil
barriles de petróleo por día”, contradiciendo las realidades conocidas acerca
de la verdadera capacidad productiva de los pozos lacustres, sin contar que en
este caso el pozo mostró evidencias de haber sufrido una tracción destinada a provocar
la rotura del cabezal, de manera que el crudo cayera directamente al Lago.
Junto a esto, la evidencia resaltante del alevoso sabotaje de este pozo es que
el mismo se encontraba fuera de servicio, es decir, sin operación alguna que
pudiera ofrecer accidentabilidad por impericia de sus supuestos operadores,
como se quiso hacer ver. De hecho, la violenta operación que logró quebrar el
cabezal del pozo hubo de utilizar una fuerza de tracción solo posible desde una
embarcación de gran potencia y utilizando una gruesa cuerda del tipo utilizado
para atraque de remolcadores y grandes embarcaciones, o bien con una cuerda de
acero o “guaya”. Después de analizar la conducta pública asumida por la
organización “Gente del Petróleo - Coordinadora Democrática” en los medios de
comunicación privados donde diariamente fueron vitoreados los “logros” de la
paralización petrolera, y contrastarla con nuestra observación independiente de
los hechos y condiciones en que se verificaron los eventos de contaminación
ambiental, explosiones, incendios, accidentes de transportes, etc., no podemos
menos que creer que los perniciosas efectos de este sabotaje fueron dirigidos a
acreditarse el triunfalismo del llamado “paro cívico nacional”.
La gestión de riesgos a la salud y ambiente en la industria petrolera merece
especial atención en relación a esta situación provocada por este paro
petrolero gerencial, ya que involucró el abandono total de los planes de
contingencia de los servicios operacionales y contra derrames de hidrocarburos.
Los planes de contingencia son procedimientos operativos específicos y
preestablecidos de coordinación, alerta, movilización y respuesta ante la
presencia o la inminencia de un fenómeno peligroso particular para el cual se
tienen escenarios definidos con anterioridad. El plan de contingencia contra
derrames petroleros, diseñado para combatir derrames de crudo desde seis hasta
sesenta mil barriles, se encuentra expresado en el llamado Plan Nacional de
Contingencias contra Derrames Masivos de Hidrocarburos (PNC), cuya coordinación
en el área zuliana se incluye en la denominada Área 1 cuya coordinación
tiene su sede en Tía Juana.
“El Plan Nacional de contingencia
contra Derrames Masivos de Hidrocarburos en Aguas (PNC) fue implantado en 1984
con la participación de Petróleos de Venezuela y los ministerios de Relaciones
Exteriores, Relaciones Interiores, energía y Minas, Defensa, Transporte y
Comunicaciones y Recursos Naturales Renovables. En 1986 se ratificó la
coordinación de PDVSA mediante un decreto presidencial. Está diseñado para
combatir derrames que involucren entre seis y 60.000 barriles de crudo o de
productos de hidrocarburos. Para la aplicación del PNC el territorio
nacional está dividido en 7 zonas, de las cuales la zona 1, con coordinación en
Tía Juana, corresponde al Lago de Maracaibo, la zona 2, con coordinación en
Cardón, corresponde al Golfo de Venezuela y la zona 7 con coordinación en
Lagunillas/Casigua, abarca la Cuenca del Río Catatumbo desde la frontera
colombiana hasta el Lago. El
equipamiento del plan incluye barreras flotantes de contención, recolectores
(desnatadores) movibles y autopropulsados, material absorbente de diferentes
tipos, tales como rollos, chorizos y mantos. En otras zonas se emplean
dispersantes, pero éstos están prohibidos en el Lago de Maracaibo. Además de
diversas embarcaciones y gabarras de servicio, el plan cuenta en el Lago con
una unidad especializada, la OLAMAC. Como apoyo se cuenta con programas de
computación que simulan derrames y permite predecir su trayectoria y mapas de
sensibilidad que indican en tierra las áreas pobladas, playas recreacionales y
turísticas, manglares, zonas de moluscos y avifauna, y en el agua los vientos,
corrientes, batimetría, corales y zonas de pesca.” [ Rodríguez, 2000] Por su
naturaleza, la dirección y ejecución de los planes de contingencia recaen
fundamentalmente en el personal gerencial, precisamente el mismo personal con
cargos de dirección en PDVSA que ejecutó las acciones de paralización de la
empresa, bajo la dirección de “Gente del Petróleo”. Esto les coloca en una
particular posición de responsabilidad técnica, política y moral, del proceso
que condujo a la paralización de esta industria con las conocidas secuelas de
daños y perjuicios acarreados al ambiente natural, la industria misma y al
país, con evidentes implicaciones legales de responsabilidad penal y civil.
En general, el objetivo de estos planes de contingencia es asegurar la
continuidad operacional de la industria petrolera ante eventos que puedan
ocasionar perturbaciones en la producción. En caso de paro laboral, es decir,
paralización de actividades por parte de trabajadores de la nómina contractual,
las actividades destinadas a contrarrestar el paro laboral implican una
distribución previa de responsabilidades operacionales en el personal de nómina
mayor, y, entre otras tareas, la protección de instalaciones críticas en
tierra y lago, complejos de plantas y centros de control. Este plan
incluye un conjunto de premisas operacionales ligadas al ejercicio de guardias
rotativas, aseguramiento de los servicios rutinarios en operaciones lacustres
(transporte, suministro de materiales, combustibles, etc.) producción regular
de crudo, suministro de gas a las plantas eléctricas y complejos de procesos,
suministro de electricidad, agua, y otros. Además, implica el control
riguroso de entrada a centros de operaciones automatizadas (COA), junto con el
uso regular de los equipos telemáticos para el control y protección tanto de la
producción como del ambiente y las personas. Otra acción necesaria incluye el
manejo estratégico del sistema de radio troncalizado para información
confidencial. Muchos de los mecanismos y procedimientos que se encontraban bajo
la responsabilidad estratégica de la nómina mayor para la ejecución de los planes
de contingencia, cuyos principios operativos se fundamentan en factores clave
de seguridad, protección ambiental e insumos de la producción, fueron
sistemáticamente desmantelados, entorpecidos o destruidos. A este esquema de sabotaje se sumó la falla deliberada
de los servicios contratados de embarcaciones tales como lanchas y
remolcadores en los diferentes muelles del lago, y de transportes terrestres,
cuyas funciones involucran el transporte de personal, de materiales y equipos,
combustibles, y actividades de mantenimiento y protección ambiental. Salta a la
vista la responsabilidad de las empresas contratistas que se sumaron a este
sabotaje.
Los planes de contingencia fueron anulados en gran medida, en tanto las
opciones preventivas dirigidas a contrarrestar eventos como toma de las
instalaciones y paro de contratistas, no pudieron ser ejecutados con esfuerzo
propio, por el abandono ilegal de responsabilidades. Obviamente, la ejecución
de las operaciones previstas en el plan de contingencia de los servicios
operacionales corre pareja con el respectivo plan de contingencia contra
derrames (PNC), el cual, como ya mencionamos, también sufrió los efectos del
abandono de labores de los ejecutivos a su cargo, ya que los servicios
operacionales también ofrecen apoyo de transporte, comunicaciones,
combustibles, etc. necesarios para ejecutar las medidas de prevención,
mitigación de riesgos y daños a las instalaciones y las personas en la
industria y comunidades circunvecinas. El caso de la afectación
ambiental de los ecosistemas del Lago de Maracaibo reviste una significación
especial, en tanto el violento sabotaje de instalaciones de alto riesgo como
son los equipamientos que manejan los hidrocarburos, puso de relieve la nulidad
del papel del Ministerio del Ambiente y de los Recursos Naturales (MARN) como
garante de la protección del equilibrio ecológico del principal cuerpo de
agua interno del país, y como vigilante de las actuaciones de la industria
frente al ambiente natural.
Una vez más, se demostró la incapacidad crónica del MARN para ejercer un
monitoreo continuo de las actividades petroleras. Ya conocida la situación de
los derrames de crudo causados deliberadamente como parte del plan de atentados
que se describe en este documento, el Ministerio del Ambiente manejó la
situación en forma genérica y ligera. La versión de que los derrames petroleros
causados no superaban el nivel de contaminación habitual y la infeliz frase de
que la situación ambiental del lago era “normal” no hizo sino profundizar la
imagen cotidiana y tradicional que muchos zulianos hemos tenido de PDVSA como
una “caja negra” que esta por encima de cualquier auditoría gubernamental,
mientras se consolidó la idea predominante de que la industria petrolera
mantiene una situación de derrames crónicos, conocidos por los vecinos del lago
y en general por quienes hemos mantenido una relación vivencial permanente con
la vida del Lago de Maracaibo. Inclusive, personeros de ese ministerio hicieron
declaraciones muy explícitas en torno a la tradicional relación de exclusión
institucional que ha mantenido PDVSA, evitando la supervisión de la gestión
ambiental petrolera por parte del ejecutivo. Los daños habituales a la ecología
lacustre y terrestre: un gigantesco, creciente e inauditado pasivo ambiental
Como lo declaró la titular del Ministerio del Ambiente, los derrames ocurridos
en el Lago durante el paro petrolero no presentaron una frecuencia muy superior
a los períodos anteriores y fue observada una situación habitual en ese
sentido. Los recientes daños ocasionados a las instalaciones petroleras de
tierra y lago, la biota lacustre, esencialmente representada por el fito y el
zoo plancton, principales eslabones de la cadena trófica, así como los
moluscos, crustáceos (invertebrados) y los peces cartilaginosos (rayas) y óseos
(vertebrados) fueron objeto de desequilibrios puntuales en lo que respecta a la
sobrevivencia y migración debido en esencia a los derrames de crudo y otros
derivados que, a modo de cerco altamente tóxico y letal, asfixiaron específicos
espacios de vida en el sistema lacustre. Sin embargo, es necesario señalar que
la historia de las agresiones al ambiente natural en nuestra región ha
acompañado permanentemente el desarrollo de la industria petrolera,
petroquímica y carbonífera, por lo que este caso no es una excepción a la
conocida caracterización de los efectos de estas industrias en los ecosistemas,
en el mundo entero. Para ser específicos y responsables con estos
señalamientos, pese a que en la actualidad ninguno de los organismos e
instituciones públicas o privadas han difundido el resultado o cuantificación
del coste ambiental que significaron estos actos de irresponsable y fascista
signo, podemos citar algunas referencias provenientes del libro “El Sistema de
Maracaibo” editado por el Dr. Gilberto Rodríguez (Centro de Ecología—IVIC)
cuando, en el capítulo 7 del mismo, dedicado al manejo de los recursos
naturales del Sistema de Maracaibo destaca en relación a los efectos del
petróleo sobre los seres vivos lo siguiente:
“El daño del petróleo y sus componentes a los organismos puede ser por efectos
mecánicos o químicos. Los efectos
químicos son ejercidos solamente por los compuestos solubles en agua. La
solubilidad de los hidrocarburos es notablemente baja; sin embargo, las
parafinas de cadena recta hasta 8 átomos de carbono y varios compuestos
aromáticos tienen una solubilidad considerable; benceno 880 ppm; tolueno 470
ppm; pentano 360 ppm; hexano 138 ppm; heptano, 52 ppm. A parte de los
compuestos fenólicos que son muy solubles en agua, los elementos más tóxicos
son los hidrocarburos aromáticos más volátiles.
(a)Peces: El efecto del petróleo crudo sobre los peces es principalmente
mecánico. Sin embargo, la superficie externa del cuerpo, así como la boca y
cámaras branquiales están recubiertas de mucus que es repelente del petróleo.
Los fenoles irritan las branquias, causando fuerte secreción y destrucción de
la membrana mucosa; también afecta el sistema nervioso central y el sistema
endocrino. El límite de toxicidad
para los peces parece estar cerca de 20 ppm.
(b)Moluscos: La experiencia obtenida del estudio de grandes derrames
ocasionados por accidentes de barcos en el Mar del Norte y en la Costa de los
Estados Unidos, muestra que los moluscos sufren fuertes mortalidades en esas
ocasiones. En particular los ostrales (Crassostrea sp. —género de las ostras de
mangle-) pueden ser obliterados cuando el petróleo se hunde en masa. Examinando
esta situación a la luz de las acciones dirigidas como palancas políticas, a
perturbar la estabilidad económica nacional, no podemos menos que notar la
ausencia de valores éticos ecológicos en ese movimiento político dentro de
PDVSA que involucró a factores de alto nivel técnico, que llegaron a
atreverse a desertar de sus responsabilidades en el plan de contingencias
contra derrames y permitieron la ejecución de atentados contra el Lago de
Maracaibo, y pusieron en peligro a las comunidades adyacentes a las
instalaciones petroleras.
Esta nefasta acción contra el ambiente con fines políticos por demás ilegítimos,
no solamente trajo como consecuencia nuevos impactos negativos contra el lago,
sino que constituyó también una mayúscula violación de la confianza que la
población quiere sostener ante la gestión de los funcionarios encargados del
manejo y protección de nuestras riquezas naturales y su preservación para las
futuras generaciones. En este panorama moralmente desolador se revela el
carácter espurio de las relaciones públicas corporativas con que se manipuló
aquella hermosa frase “Cuidar es querer” por líderes que dirigieron a PDVSA por
muchos años y que hoy, con su movilización antinacional, demostraron querer
poco, y lejos de cuidar, prefirieron dañar. Al lado de ese deshonroso desempeño
gerencial, queremos resaltar y apoyar lo que parece emerger como una nueva
manera de plantear la ética de las relaciones públicas ante el entorno
comunitario regional, expresada en diversas declaraciones públicas de Félix
Rodríguez, Gerente de PDVSA Occidente, en el sentido de que la población debe
conocer la verdadera realidad de los riesgos de la producción petrolera y
contribuir a la protección de las instalaciones, a esto sumamos las
declaraciones de la Ministra del Ambiente Ana Elisa Osorio, quien señaló que la
gestión ambiental de la industria petrolera nacional se hará mas transparente
en su gestión ambiental y el Estado retomará su autoridad de supervisión sobre
la misma.
Asimismo, queremos hacer un reconocimiento a aquellos empleados de las
diferentes nóminas de PDVSA que contribuyeron a reactivar y mantener activa la
industria petrolera aún a riesgo de su propia integridad, como lo evidenciaron
los ataques y afrentas personales que encararon gerentes, supervisores y
trabajadores de diferentes áreas, donde se llegó inclusive a atentados con
armas de fuego, ataques a vehículos en plenas labores, disturbios en campos
petroleros, instalaciones, etc., como llegó a ocurrir en la Costa Oriental del
Lago y otros lugares del país. Finalmente, es importante acotar que la
reactivación y normalidad productiva de PDVSA es una demostración irrefutable
de que las operaciones petroleras funcionan de una manera continua, bajo el
control operativo de un personal que demuestra preparación, competencia técnica
y destrezas apropiadas para el manejo de las instalaciones, en tanto la supuesta
siniestralidad que fue denunciada por Gente del Petróleo y achacada a la
torpeza e inexperiencia de un personal advenedizo se ha esfumado como una
evidente falacia. Demás está decir que no estamos presenciando un
acrecentamiento de situaciones inéditas de contaminación, explosiones e
incendios en la industria petrolera, sino que observamos la conocida situación
de normalidad productiva, en un ambiente lacustre sometido a las presiones
ambientales por todos conocidas y denunciadas de antiguo por académicos,
pescadores y ambientalistas. Es importante acotar que La Universidad del Zulia
ha ofrecido información producida en interesantes investigaciones relacionadas,
entre otras, con la siniestralidad laboral y la afectación de la salud de la
población regional.
Seguidamente, el paro petrolero, al descontinuar la producción de hidrocarburos
e impedirse la carga de los buques-tanqueros que transportan el crudo hacia el
exterior, detuvo las exportaciones y cortó el ingreso de divisas que obtiene el
país por el petróleo. Como consecuencia, según la declaraciones oficiales, la
Nación venezolana sufrió un descalabro económico que ascendió a una
pérdida por el valor de 4 mil doscientos sesenta y siete millones de bolívares
(Bs. 4.267.000.000,oo), cifra que se eleva a nueve mil doscientos dos millardos
de bolívares (Bs. 9.202.000.000,oo) si sumamos el costo del paro perteneciente
al ámbito no petrolero de la economía venezolana.
Sabotaje petrolero, democracia,
soberanía y seguridad nacional
La situación descrita pone de relieve la vulneración de la soberanía y la
seguridad del país adelantada por elementos ajenos a los intereses de la
Nación, además de que constituye un severo golpe a los derechos de los
venezolanos a la participación en la toma de decisiones de los aspectos
estratégicos de la vida republicana. La insólita ligereza de sumar nuestra
principal industria a este paro petrolero nacional resalta en proporción
directa a la unilateralidad y arbitrariedad política de quienes se arrogaron
ilegítimamente la representación de la mayoría de la población para ejercer
acciones insurreccionales contra el Presidente de la República. La consecuencia
inmediata de este paro petrolero fue el corte generalizado de suministro de
gasolina, gasoil y gas doméstico, entre otros productos derivados de los
hidrocarburos. Esto condujo a una brusca y profunda caída de la calidad de vida
de la población, inédita en la historia contemporánea del país, que se tradujo
en un gran sufrimiento de la población, principalmente debido al subsecuente
desabastecimiento y encarecimiento de todos los artículos de primera necesidad,
semejando esta situación un estado de sitio por mar y tierra con sus
consecuencias de creciente ahogamiento de las condiciones de supervivencia de
la población, que padeció de una gran incertidumbre. Como parte del paro
petrolero, esta situación fue agravada con el fondeado de los buques petroleros
frente a Maracaibo. Al lado del intento de impedir que los embarques de
gasolina descargaran en el terminal de Bajo Grande, se difundió en forma
alarmista a través de los medios privados que se corría el riesgo de explosión
si se intentaba la movilización de estos barcos. Esta maniobra de terrorismo
psicológico provocó muchas horas de zozobra en la población local, especialmente
de los habitantes cercanos al lago. Prominentes voceros de la oposición aparecieron en la televisión con
predicciones de accidentes y mortandad masiva bajo las llamas que provocaría en
Maracaibo el incendio de los cuarenta y cuatro millones de litros de
gasolina que trasportaba el buque Pilín León.
La paralización petrolera y el manejo mediático que sirvió de soporte
ideológico y propagandístico a este vasto plan conspirativo conformaron un
cuadro ejemplar de manipulación política que evidenció tácticas terroristas,
como las que hemos descrito en el caso de los derrames petroleros intencionales
y sabotaje a diversas instalaciones de alto riesgo y el alarmismo con que se
manejó públicamente el riesgo de fondear el buque Pilín León frente a la ciudad
de Maracaibo. En el plano de la soberanía de Venezuela, salta a la vista que el
desarrollo de este plan conspirativo puso de relieve la vulnerabilidad de la
Nación, en tanto se evidenciaron debilidades del estado venezolano para
mantener la integridad nacional, la seguridad económica y la capacidad de
respuesta de nuestras Fuerzas Armadas frente a las amenazas a que fueron
sometidas las fuentes energéticas de indiscutible carácter estratégico para la
movilización militar. La gravedad de este panorama adquiere una
significación específica ligada a la subordinación de nuestra principal
industria a empresas de filiación extranjera con una conducta evidentemente
adversa a los intereses de la industria nacional. Es importante señalar que el
abandono de responsabilidades por parte de miembros de la nómina mayor de PDVSA
y la reactivación de la corporación por empleados no sumados al paro, ha
brindado una oportunidad al país para aliviar a la industria petrolera de una
onerosa sobrecarga de personal a nivel gerencial, aunque resulta también
preocupante la pérdida de una parte de la experiencia tecnológica acumulada en
este contingente profesional que abandonó sus labores. En este punto, emerge un aspecto moral de suma
importancia, pues debe prevalecer un tratamiento profundamente ético y
transparente que contribuya a proteger los valores bioéticos humanos y sociales
de los venezolanos y la integridad de la Nación soslayada en la violación de
los fundamentos del mejoramiento de la calidad de vida de la población. Esta necesaria
actitud ética debe fundamentar la conducta de nuestro sistema judicial que
redundará en evitar la expansión de una “cultura de la impunidad” en el manejo
de los asuntos públicos de los venezolanos, en éste y en todos los casos donde
se evidencie, como lo ha sido el sabotaje de PDVSA, una violación a la
integridad de la Nación Venezolana.
Es de suprema importancia recalcar que el asunto petrolero no es un problema
estrictamente técnico, reducido a los aspectos productivos o a los efectos de
la contaminación ambiental provocada en la explotación de los hidrocarburos,
sino que está referido a las dimensiones políticas, económicas y ecológicas
centrales de la vida nacional, y por ende, gravita de manera estratégica en la
vida de cada uno de nosotros, por lo que, en esta cuestión, la defensa de los
intereses petroleros venezolanos equivale a una necesaria política del estado
expresada en la protección de todos nuestros recursos naturales renovables y no
renovables, el aumento de nuestra renta petrolera, la estabilización y bajo
nivel de producción de crudo con los mejores precios, y la propiedad social,
pública y soberana de Petróleos de Venezuela, bajo modalidades y asociaciones
productivas y comerciales que aseguren el control nacional del producto petrolero
para beneficio equitativo de todos los venezolanos, donde la privatización sea
solamente un mecanismo necesario para reforzar el manejo equilibrado de la
industria y no la oportunidad para reproducir élites gerenciales que aprovechan
sus poderes funcionales para extorsionar a la Nación y beneficiar intereses
transnacionales.
En el comienzo del siglo XXI, la coyuntura de cambios que vive
PDVSA debe ser aprovechado como una formidable oportunidad de transición hacia
una organización productiva que cumpla el papel de centro de irradiación de
innovaciones tecnológicas y sociales, que se oriente al desarrollo endógeno y
soberano de una economía respetuosa del equilibrio ecológico, la diversidad
cultural y la equidad social.
(*)
Mg. Jorge Hinestroza, Docente e investigador Área Ambiental, Facultad
de Ciencias.
Br. Nicanor Cifuentes, Tesista de la Licenciatura en Biología Facultad de
Ciencias.
MSc. Hender Urdaneta, Docente e investigador Área Ambiental. Facultad de Humanidades y Educación.
MSc. Blanca Medina - Investigadora Área Ambiental. Facultad de Humanidades y Educación.
Ing. Luis H. Arciniegas, Docente Área Computación. Facultad de Ciencias.
Dra. Ana M. Castellano, Docente e investigadora Área Social. Facultad de Ciencias Jurídicas y
Políticas.