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editoriale www.laarena.com.ar

La vittoria di Chavez

di Emilio Marín

L'Avana. 27 Agosto 2004

La destra parla di “Gigantesca Frode” ma Hugo Chávez ha vinto il referendum in modo ampio e pulito
Hugo Chávez, a dispetto degli inquilini della Casa Bianca e delle zone ricche di Caracas, ha ottenuto la sua ottava vittoria elettorale. Secondo le cifre ufficiali del CNE, ha ottenuto quasi 5 milioni di voti (58,25%), contro i 3.5 milioni (41,74%), di chi aspirava a licenziarlo. A dispetto della normalità e correttezza della consultazione, riconosciute dagli osservatori dell’OEA, l’opposizione oligarchica ha denunciato una “gigantesca frode.”
Preda di un patologico rifiuto della sconfitta, la Coordinatrice antichavista ora può solo orientarsi verso la violenza.

GRANDE PARTECIPAZIONE
Il Centro Carter si vanta di avere osservato 50 elezioni nel mondo, ma per bocca della sua massima figura, l'ex presidente James Carter, ieri a Caracas ha ammesso che non aveva visto mai niente di simile in termini di partecipazione cittadina come in questo referendum. In USA vota la metà degli aventi diritto .. e tante grazie.
In verità non è che la quota di partecipazione sia stata davvero monumentale, perché è stata del 75%. Nella Quarta Repubblica, tra il 1959 e l’inizio dell’uragano Chávez nel dicembre del 1998, la partecipazione era bassa.

Il popolino neppure s’iscriveva per andare votare, stanco degli “adecos”, (social democratici d’Azione Democratica) e “copeyanos” (socialcristiani di Copei), che si alternavano al potere senza preoccuparsi che il “boom” petrolifero beneficiasse l’intero paese, oltre a loro. Ma durante l’attuale governo, l'anagrafe elettorale è cresciuta da 10 a 14 milioni d’iscritti, molti dei quali beneficiari del Progetto Robinson d’alfabetizzazione, del Progetto Ribas di scuole serali, e del Progetto sanitario “Dentro il Quartiere” nei quartieri periferici. Il grosso di questa gente ha votato per la continuità del bolivariano nel Palazzo di Miraflores.

Si è avuta moltissima affluenza di elettori negli 8.400 centri elettorali, e siccome si era appena inaugurato il voto elettronico, i ritardi si sono fatti sentire. Lo spoglio è durato quasi 20 ore, dalle 6 della mattina della domenica fino alle prime ore del lunedì, con due proroghe del Consiglio Nazionale Elettorale. Il titolare di quell’organismo - arbitro, Francisco Carrasquero, ha dato il risultato ufficiale: il NO aveva ottenuto 4.991.483, cioè il 58,25 % dei voti; l'opzione SI 3.576.517, il 41,74 % dei voti.

L'opposizione ispirata dagli USA ha patito una sconfitta umiliante. Primo perché il presidente “demonizzato” li aveva superati di 17 punti, secondo, perché non hanno potuto uguagliare il record di Chávez del 2000, 3,7 milioni di voti, inoltre sono rimasti ben lontano dai 4,2 milioni di firme che dichiaravano di aver raccolto nella richiesta per il referendum. Questo era prevedibile poiché buona parte di quei moduli erano falsi. In realtà erano arrivati al referendum perché il CNE aveva abilitò una sorta di “riparazione” che aveva abbonato un gran numero di firme, ed il governo preferì non fare ricorso, consapevole della prevedibile vittoria che avrebbe ottenuto ad agosto.

QUELLI CHE PIANGONO
Chi si è visto piangere di più per il risultato avverso sono stati quelli della Coordinatrice Democratica. Il suo portavoce Henry Ramos Allup, segretario generale d’Azione Democratica, ha fornito la versione della frode non sostenuta da prove. “Reclamiamo gli elementi probatori per comprovare davanti al Venezuela ed al mondo la gigantesca frode che è stato fatto alla volontà popolare”, ha detto con viso da veglia funebre.
Le due principali figure dell’opposizione sono rimaste con la voglia di inaugurare la candidatura presidenziale, quello che sarebbe successo se il risultato fosse stato loro favorevole. L’ex governatore di Carabobo, Henrique Sali Römer, del partito di destra Progetto Venezuela, ed Enrique Mendoza, del socialcristiano Copei, dovranno ora intrecciare alleanze, unire risorse e definire chi di essi sarà il candidato dell’opposizione unita. Dopo quello che è successo ieri è chiaro che il capo dello Stato è più forte di tutti loro messi insieme.

Quei candidati disgraziati dovranno aspettare una congiuntura più favorevole nel dicembre del 2006, se vogliono disputare Miraflores per via costituzionale. Potrebbero succedere solo così a Chávez, perché il referendum ha riaffermato che il mandato di questo finisce il 10 gennaio del 2007.
Per quanta stampa e televisione abbiano avuto dalla loro, quelli che volevano cacciare il presidente hanno fallito. I dirigenti di Venevisión, del gruppo Cisneros, Globovisión ed altre catene, radio e giornali, stanno ancora meditando il loro dolore.

Un’altra dei nemici acerrimi del processo bolivariano è stata la cupola della Chiesa, vicina ai potenti di Caracas ..mentre promette il cielo agli umili che vivono sulle sue colline. Il cardinale Baltasar Porras fu la voce che più tuonò dal pulpito per il SI della parrocchia imborghesita. Dopo il risultato, con una velocità supersonica, un altro vescovo venezuelano fece sua la politica destabilizzatrice. Parlando da Radio Vaticano, il cardinale José Castillo Lara, presidente emerito della Pontificia Commissione per lo Stato di Città del Vaticano, assicurò che erano stati comprati voti a ragione di US $50 affinché Chávez vincesse il referendum. In fine sintonia coi “pope” della Coordinatrice, il monsignore sostenne che “..ieri, nel referendum hanno commesso una gigantesca frode, soprattutto perché non si era mai vista un’affluenza alle urne tanto grande.”

Poiché il Dipartimento di Stato USA identifica Chávez con Fidel Castro, gli esiliati venezuelani e cubani di Miami si uniscono come gemelli per inveire contro i due presidenti. L’organo di stampa che è la loro voce, il Miami Herald - Nuovo Herald alla vigilia della votazione a firma A. Hoppenheimer scrisse: “..quando salutai Miquilena m’imbattei con le colonne degli oppositori (giovedì 12), sentii per un effimero istante che l'opposizione aveva possibilità di vincere..” Si vive anche di illusioni.

PIU’CONFRONTO
Dopo aver perso otto elezioni contro Chávez, tra il 1998 ed oggi, la destra rimarrà tranquilla fino a 2006, quando avrà nuovamente possibilità democratica di sloggiarlo? Aspetterà almeno fino al 2005, quando ci saranno comizi legislativi, statali e municipali?
Può essere che un settore dell’attuale Coordinatrice ripieghi sua di una linea d’accumulazione parlamentare?
E’ quello che ha giurato Rami Allup, portavoce del CD. davanti alla stampa, benché la parola di questa gente valga meno che un litro di benzina, cinque centesimi di dollaro.
Ma è possibile che il grosso di quell’opposizione, convinta che coi voti non si arriva a Miraflores, o almeno non nel tempo che chiedono i loro business, si orienti a progetti golpisti.

Un chiaro esempio di chi scommette per soluzioni di forza e perfino sull’assassinio del presidente è l'ex presidente Carlos Andrés Pérez. Dieci giorni prima del plebiscito, Pérez dichiarò che “Chávez deve morire come un cane.”
Un altro è quello del cubano anticastrista Robert Alonso, che inviò via Internet un appello alla violenza intitolato
“La Guarimba” (incidenti ambulanti). Alonso propose: “A mio giudizio, l’unica cosa che ci rimane è ´La Guarimba´. Ben fatta, senza confronti inutili che generino morte e spargimento di sangue. “Inguarimbiamo” il paese d’un colpo e facciamo rumore affinché la Comunità Internazionale tremi. Forse avremo bisogno, dopo tutto, dell’intervento dei ´Caschi Blu´.”

Questo messaggero dell’intervento straniero, per la giustizia è latitante, dopo che in maggio le autorità arrestarono nella sua proprietà della periferia di Caracas 100 paramilitari colombiani… Si allenavano per iniziare azioni armate contro quartieri e sedi governative.
In ultima istanza l'opposizione elitaria farà quello che chiederà l’amministrazione Bush, che l’ha foraggiata con milioni di dollari nell’ultima campagna. Il finanziamento è stato anche riconosciuto dall'ambasciatore statunitense Charles Shapiro e dal sottosegretario aggiunto per temi emisferici, Roger Noriega.
Da Washington si definisce il Presidente venezuelano come un “populista radicale”, un vero pericolo per gli interessi statunitensi secondo il generale texano James Hill.

Da quel punto di vista è coerente che la superpotenza e i suoi alleati interni disattendano gli appelli alla saggezza fatta dal vincitore del referendum, che ha chiesto loro il rispetto per il verdetto della maggioranza.
In fondo la CIA continua a preparare piani per il rovesciamento di quel vincitore, come si capisce dalla riunione fatta in Cile da William Spencer, vicedirettore dell'Agenzia Centrale di Intelligenza (CIA), coi suoi collaboratori.
“La palla è caduta al centro dalla Casa Bianca, questo è un regalo per Bush”, ha detto Chávez nel suo discorso dell'alba di ieri. Se fosse per stato solo per Bush-Cheney, i marines avrebbero già messo piedi e missili a Caracas. Per adesso la Casa Bianca si contiene perché il panorama latinoamericano non tollererebbe un nuovo Haiti, oltre al fatto che il Venezuela è il suo terzo fornitore di petrolio e non vuole affrontare un’interruzione della vitale risorsa col barile a 46 dollari.

Alla vigilia dell'elezione presidenziale del 2 novembre prossimo sarebbe controproducente che il candidato repubblicano provocasse la crisi col paese sudamericano. Ma dopo si vedrà. Se vince il texano avrà già pronto il modo di sedere Chávez sul banco degli accusati e di integrare l’ “asse del male” per trattarlo come Saddam Hussein.

traduzione dallo spagnolo di FR