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Miti e realtà - Il Presidente Chavez e il referendum


02-09-2004

Di James Petras

Tra la frustrazione della destra e l’euforia della sinistra, poco è stato scritto sulla realtà complessa e contraddittoria delle politiche del Venezuela e sulle specificità delle politiche del Presidente Chavez. Ancor meno si è discusso mettendo a fuoco la divisione tra l’ideologismo di Washington e il pragmatismo di Wall Street, tra politiche di scontro e di conciliazione e le divergenze  e convergenze tra il Venezuela e il resto dell’America Latina. Sia la destra sia la sinistra hanno sostituito miti sul governo Chavez piuttosto che confrontare la realtà

-Mito 1- Chavez è un presidente impopolare che l’opposizione di destra è in grado di sconfiggere in un referendum.

Ma le destre e i loro sostenitori a Washington hanno trascurato diversi fattori. Intanto il momento di maggior debolezza del governo Chavez è stato proprio dopo la chiusura dell’esecutivo del PVDS (Dicembre 2002/ Febbraio 2003), quando i prezzi del petrolio erano molto più bassi, l’economia era devastata, i programmi di sicurezza sociale del governo mancavano di finanziamenti e il radicamento delle organizzazioni politiche era debole. Quando invece il referendum ha avuto luogo, un anno e mezzo dopo (Agosto 2004), le condizioni socio-economiche e politiche erano nettamente cambiate. L’economia era cresciuta del 12%, i prezzi del petrolio avevano raggiunto livelli record, le spese per la sicurezza sociale erano aumentate e il loro impatto sociale era altamente visibile e diffuso e le organizzazioni sociali di massa erano profondamente radicate nei distretti popolosi in tutto il paese.
Chiaramente l’iniziativa era passata dalla destra alla sinistra ma gli US e l’opposizione a loro collaborazionista non vedevano la realtà. Avendo perso il controllo sull’industria petrolifera di stato e sullo stanziamento dei fondi a causa della fallimentare chiusura  all’inizio del 2003, avendo perso influenza sull’esercito dopo il fallito golpe nell’Aprile 2002, l’opposizione possedeva poche risorse per limitare la campagna referendaria governativa e nessuna possibilità di lanciare un golpe civile/militare post elettorale.

-Mito 2- Secondo gli analisti di destra il referendum si basava sulla questione della ‘popolarità’, ‘personalità’, carisma e stile indipendente di Chavez.

In realtà il referendum si basava sulle divisioni di classe/razza. I leader sindacali non oppositori hanno indicato che più dell’85% della classe lavoratrice e dei lavoratori poveri ha votato per Chavez, mentre i dati preliminari sui votanti nei distretti e nelle circoscrizioni ricche mostra al contrario solo l’80% di votanti per il referendum. Un simile processo di polarizzazione classe/razza è evidente nello straordinario numero di votanti presso i poveri afro-venezuelani: il più alto il numero dei votanti, il più alto numero di voti pro Chavez, con un 71% senza precedenti di elettorato votante. Chiaramente Chavez è stato premiato dal comportamento elettorale nell’aver unito programmi di welfare sociale e fedeltà di classe.

-Mito 3- Tra la destra come tra la sinistra si credeva che il controllo dei mass media avrebbe condizionato la massa dei votanti, definito l’agenda politica e potato necessariamente alla vittoria della destra e alla normalizzazione delle sinistra.

In Venezuela la destra controllava il 90% della principali reti televisive e della carta stampata e molte delle principali stazioni radio. Ma il referendum è stato annientato con il 18 % di margine (58 % a 41%). I risultati del referendum dimostrano che il potere del radicamento delle organizzazioni, costruito attorno a lotte vittoriose per le riforme sociali può creare una massa politica e una consapevolezza sociale che possono facilmente respingere la manipolazione mediatica.
L’ottimismo delle elite nel loro ‘potere strutturale’- soldi, monopolio mediatico, supporto di Washington - li accecava sul fatto che l’organizzazione collettiva consapevole può essere un formidabile contrappeso alle risorse dell’elite stessa. Così i risultati del referendum respingono l’argomento portato avanti dal centrosinistra, secondo cui avrebbero perso le elezioni a causa dei mass media (il centrosinistra giustificava l’adozione del neo liberalismo per “neutralizzare” i mass media durante le elezioni. E rifiutava di riconoscere che le elezioni potessero essere vinte, a dispetto dell’avversità dei mass media, creando prima una consapevolezza sociale con la lotta e l’organizzazione di massa).

-Mito 4- Secondo molti giornalisti di sinistra, la vittoria di Chavez riflette una nuova ondata di politica di nazionalismo popolare in America Latina.

Le prove del contrario sono molte. Il Brasile sotto Lula ha venduto i diritti di ricerca di petrolio alle società multinazionali US e europee, ha fornito un contingente di 1.500 soldati  (insieme ad Argentina, Cile, ecc.) per stabilizzare il regime fantoccio imposto ad Haiti da Washington con il sequestro del Presidente eletto Aristide. Allo stesso modo negli altri paesi andini (Ecuador, Perù, Bolivia, Colombia) i regimi eletti propongono di privatizzare le compagnie petrolifere pubbliche, supportare l’ALCA e il Plan Colombia e pagare i loro debiti esteri. Il Grande Fronte in Uruguay ha promesso di seguire le politiche neo liberali del Brasile. Mentre Chavez promuove il blocco commerciale regionale Mercosur, i principali membri di Brasile e Argentina stanno incrementando le loro relazioni commerciali fuori dalla regione: in effetti esiste un blocco di regimi neo liberali schierati contro le politiche antimperialiste e i movimenti sociali di massa di Chavez. I principali alleati di Chavez, nel suo tentativo di continuare una politica estera indipendente, sono i movimenti di massa sociali e Cuba.

-Mito 5- La sconfitta nel referendum è stata la maggior sconfitta tattica dell’imperialismo US e dei suoi vassalli locali.

Ma una sconfitta dell’imperialismo non significa che porti necessariamente ad una trasformazione rivoluzionaria, come dimostrano gli appelli post-elettorali di Chavez a Washington e al grande business. Più indicativo della politica di Chavez è l’imminente investimento di 5 miliardi di $ concordati tra Texaco-Mobil e Exxon per lo sfruttamento del gas Orinoco e dei campi petroliferi. L’euforia della sinistra è frenata osservando il cambiamento di pendolo nel discorso di Chavez e il fatto che egli ha sempre coerentemente praticato un’eterodossa politica, tra welfare sociale e economia neo liberale. La politica del Presidente Chavez ha sempre seguito un’azione di prudente bilanciamento, rifiutando il vassallaggio agli US e all’oligarchia redditiera locale da un lato e cercando di  mettere insieme una coalizione di investitori locali ed esteri, di cittadini e contadini poveri in un programma di capitalismo sociale.

Egli è più vicino al New Deal di Franklin Roosvelt che alla rivoluzione socialista di Castro. In seguito alle tre crisi politiche - il golpe civile/militare fallito, l’insuccesso della serrata delle compagnie petrolifere e la sconfitta nel referendum - Chavez ha si è offerto di dialogare e raggiungere un accordo con i baroni dei media, i plutocrati dei grandi affari e il governo US, sulle basi dei rapporti di proprietà esistenti, il possesso dei media e l’allargamento delle relazioni con Washington. L’impegno di Chavez a politiche centriste/riformiste spiega perché egli non abbia perseguito i proprietari dei mass media che avevano apertamente incitato al rovesciamento violento del suo governo e anche perché egli non abbia intrapreso azioni giudiziarie contro l’associazione dei leader degli affari (Fedecamaras) che avevano incitato la ribellione militare e portato attacchi violenti all’ordine costituzionale. In Europa, nel Nord America e in molti altri luoghi, i governi democraticamente eletti  avrebbero messo sotto accusa e arrestato queste elite per atti di sovversione violenta.

Il Presidente Chavez ha costantemente ripetuto che la loro incolumità, proprietà e i privilegi  non sono in questione. Tuttavia il fatto che queste elite siano state in grado di contrapporre intenti incostituzionali di rovesciare il regime e che mantengano ancora la loro posizione di classe, dimostra fortemente come il Presidente Chavez conceda ancora al loro gioco un ruolo importante nella sua visione dello sviluppo, basato sulla collaborazione pubblico/privato e sulle spese per il benessere sociale.

Dopo 5 anni di governo e dopo 3 grandi “sfide di classe”, risulta evidente che alla fine, a livello di governo, non vi sono state rotture nella proprietà o nei rapporti di classe e nemmeno rotture con i creditori esteri, gli investitori o i clienti petroliferi. Nel quadro finanziario dei pagamenti del debito estero, dei sussidi agli esportatori privati, dei finanziamenti a basso interesse agli industriali, il governo ha aumentato anche gli stanziamenti della spesa di stato per i programmi sociali riguardanti salute, scuole, micro imprese e riforma agraria.

Il governo venezuelano può mantenere questo bilanciamento tra il grande business e i poveri grazie ai prezzi alti del petrolio e le entrate dell’esportazione. Come per il Presidente Roosvelt, i programmi positivi di benessere sociale di Chavez attirano milioni di votanti a basso reddito, ma non agiscono sui livelli di reddito monetario, non creano premesse di impiego su larga scala. La disoccupazione è ancora vicina al 20% e il livello della povertà resta sul 50%. La complessiva spesa sociale ha agito positivamente sui livelli sociali  dei poveri ma non ha influenzato la loro posizione di classe. Chavez è al contempo antagonista e radicale quando il suo governo è minacciato; conciliativo e moderato quando con pieno successo vince la sfida.

-Mito 6- La sinistra e la destra hanno mancato di riconoscere una diversità di tattica tra l’ideologismo di Washington e il pragmatismo di Wall Street.

La classe politica statunitense, tutti: Repubblicani e Democratici, Presidenza e Congresso, sono stati attivamente aggressivi, intervenendo e sostenendo serrate disastrose, golpe violenti e un referendum fraudolento per espellere Chavez. Invece le principali compagnie petrolifere e banche US e UE sono state impegnate in stabili, sostenute e profittevoli relazioni economiche con il governo Chavez. I creditori esteri hanno ricevuto pagamenti pronti e puntuali di miliardi di $ e non hanno detto o fatto nulla per rovinare queste lucrose transazioni. Le maggiori compagnie petrolifere multinazionali US programmano tra i 5 e i 20 miliardi di $ di investimenti per la ricerca e lo sfruttamento. Non vi è dubbio che avrebbero gradito di più se si fosse realizzato il golpe per accaparrarsi tutto il reddito dal petrolio venezuelano, ma vedendo il fallimento di Washington, si sono accontentati di dividere parte dei benefici petroliferi con il regime di Chavez.
Le divergenze tattiche tra Washington e Wall Street sono probabilmente più strette dal momento che il governo venezuelano si muove in una nuova fase conciliativa con la Fedecamaras e Washington. Data la sconfitta di Washington nel referendum e i grandi accordi petroliferi con le multinazionali chiave statunitensi, è facile che Washington cercherà una tregua temporanea fino all’emergere di nuove, più favorevoli circostanze. Sarà interessante vedere come questa tregua possibile potrà influenzare la ‘critica’ politica estera venezuelana.

-Mito 7- La principale spinta dell’attuale fase della rivoluzione di Chavez è la crociata morale contro la corruzione governativa e un sistema giudiziario molto politicizzato, fortemente allineato con l’opposizione politicamente screditata.

Per molti a sinistra, il concetto radicale della campagna del “No” si fondava nella proliferazione delle organizzazioni  di massa basate sulla comunità, la mobilitazione delle assemblee sindacali, e il processo democratico decentralizzato del coinvolgimento dei votanti, basato su promesse di futuri conseguenti cambiamenti sociali, in termini di posti di lavoro, sviluppo e potere politico popolare. Le campagne moralizzatrici anticorruzione, sono comunemente associate alle politiche della classe media definite a creare “unità nazionale”, che usualmente indebolisce la solidarietà di classe.

Il pensiero della sinistra che le organizzazioni di massa mobilitate per il referendum sarebbero diventate necessariamente la base per una‘nuova democrazia popolare’ hanno poca fondatezza nel recente passato (mobilitazioni simili ebbero luogo prima del fallimento del golpe e durante le serrate padronali). E la campagna moralizzatrice sponsorizzata dal governo non esercita nemmeno grande interesse tra i poveri del Venezuela ne di altri luoghi. Tuttavia l’interesse dei capipartito della politica chavista è sulle prossime elezioni in parlamento, non nel creare nuove fonti di governance. La facile proiezione della sinistra di una mobilitazione popolare nel periodo post referendario crea una mitologia politica, che manca di riconoscere le contraddizioni interne del processo politico in Venezuela.

Conclusioni

La massiccia vittoria popolare del voto “No” nel referendum venezuelano ha dato speranza ed ispirazione a centinaia di milioni, in America Latina e altrove, che le oligarchie spalleggiate dagli US possano essere sconfitte nelle urne elettorali. Il fatto che l’esito favorevole delle votazioni sia stato riconosciuto dall’OAS, da Carter, da Washington è un tributo agli strategici cambiamenti nell’esercito di Chavez, che ha garantito il rispetto del risultato costituzionale.
Ad un più profondo livello di analisi, le concezioni e le percezioni dei principali esponenti di destra e di sinistra sono comunque passibili di critica: la destra per aver sottostimato il sostegno politico e istituzionale per Chavez nell'attuale congiuntura, e la sinistra per aver proiettato una visione troppo radicale sull’indirizzo delle politiche nel periodo del dopo referendum.

Per una posizione realistica possiamo concludere che il governo Chavez procederà con il suo New Deal di programmi di welfare sociale mentre scioglierà i nodi con i maggiori investitori nazionali ed esteri. La sua abilità a bilanciare le classi, in una direzione o nell’altra dipenderà dalla continuità del flusso di alte rendite dalle entrate del petrolio. Se il prezzo del petrolio cade, sarà difficile fare una scelta di classe.

Trad. dall’inglese Bf