www.resistenze.org - popoli resistenti - venezuela - 15-09-07 - n. 194

da: www.cebrapaz.org.br/src/news.php?id=173
 
Lotta di classe in Venezuela
 
Umberto Martins, direttore di Cebrapaz (Centro Brasiliano per la Pace)
 
Karl Marx ed altri pensatori hanno fatto rilevare che la lotta di classe ha rappresentato il filo conduttore del movimento della società umana nella storia almeno a partire dalla fine del cosiddetto comunismo primitivo. “La storia di tutte le società esistite fino ai nostri giorni è stata la storia delle lotte di classe”, proclama il famoso “Manifesto Comunista” del 1848, scritto da lui e da Friedrich Engels.
 
Questa verità, confermata in seguito da Lenin e da altri leader rivoluzionari, a prima vista non traspare alla superficie degli avvenimenti e non è avvertita dal senso comune; e a volte è falsata o nascosta dal pensiero dominante. Per questo è opportuno richiamarla nell’analisi della congiuntura politica attuale, in particolare se abbiamo presenti gli avvenimenti in corso in Venezuela, dove la marcia di una rivoluzione, che non fa segreto dei suoi obiettivi antimperialisti e anticapitalisti, acutizza le contraddizioni politiche, divide le opinioni e suscita forti passioni.
 
Una guerra tra capitale e lavoro
 
Secondo un’ottica marxista non è difficile scorgere nell’agitata arena politica del paese vicino un’evoluzione in direzione della radicalizzazione della lotta di classe, i cui personaggi principali sono, sotto questo punto di vista, gli stessi che Marx indicava, nel XIX secolo, come i protagonisti del dramma sociale moderno: il capitale, da un lato, e il lavoro, dall’altro.
 
Appare chiaro, oggi, che le persone che guidano l’opposizione al governo, assumendo una posizione apertamente controrivoluzionaria e filo-imperialista, incarnano gli interessi del capitale. Sono i rappresentanti della grande borghesia finanziaria, delle transnazionali, degli Stati Uniti e delle altre potenze capitaliste, dell’imperialismo in generale; sono gli appartenenti alle classi dominanti locali (borghesi e latifondisti).
 
D’altro canto, non c’è dubbio che il programma e le iniziative della rivoluzione bolivariana hanno alla base gli interessi e le aspirazioni storiche della classe lavoratrice, qui intesa in un senso più ampio di quello abituale, come insieme di popolazione lavoratrice, salariati urbani e di campagna, disoccupati, sottoccupati, autonomi, contadini senza terra e piccoli proprietari rurali.
 
La bandiera del socialismo
 
Sono molti gli esempi concreti che illustrano i legami della rivoluzione e del suo principale dirigente, il presidente Hugo Chavez, con la classe lavoratrice. E’ il caso, tra gli altri, dei decreti sulla riforma agraria, la pesca e gli idrocarburi; l’aumento del salario minimo (ora il più alto dell’America Latina); la riduzione della giornata lavorativa a 35 ore settimanali dal 2010; la revisione delle privatizzazioni promosse dai governi neoliberali e le nazionalizzazioni nei settori strategici dell’economia che erano sotto il controllo delle multinazionali.
 
L’impegno a costruire il socialismo del XXI secolo e le iniziative adottate in questa direzione – che comprendono la creazione di fabbriche socialiste, le nazionalizzazioni, l’adozione della democrazia partecipativa e l’insediamento dei consigli popolari (ne sono già stati creati 20.000 a partire dal 2006) – definiscono e rafforzano il carattere sociale, proletario, della rivoluzione bolivariana. A tal proposito, è opportuno ricordare qui le parole pronunciate da Joao Amazonas (dirigente storico del Partito Comunista del Brasile – PcdoB, nota del traduttore), nella sua intervista alla rivista “Debate Sindical” (n° 41):
 
“I lavoratori devono aver presente che il socialismo rappresenta la loro grande bandiera, la loro grande aspirazione al progresso e alla liberazione dall’oppressione capitalista”.
 
Isteria capitalista
 
La difesa del socialismo assume una particolare importanza in questo momento storico ancora fortemente influenzato dalle idee e dalle politiche neoliberali, innalzate a verità assolute dopo la caduta del Muro di Berlino. Pertanto, non sorprende la reazione isterica degli ambienti capitalisti e dei loro famigerati media contro la rivoluzione e il presidente Hugo Chavez, tacciato dai rappresentanti del capitale finanziario di autoritario, populista, fanfarone e demagogo, a causa della sua ferma determinazione a distruggere il vecchio regime e ad aprire il cammino al socialismo del XXI secolo. Il baccano reazionario dei mezzi di comunicazione monopolizzati dalla borghesia riflette la lotta di classe sul piano ideologico.
 
Ipocrisia borghese
 
I media capitalisti ricorrono all’espediente nazista di trasformare una menzogna in verità, ripetendola e diffondendola a livello di massa per mascherare il vero carattere di classe della lotta politica in corso in Venezuela e per calunniare i suoi leader, presentando il dramma politico come uno scontro tra autoritarismo e democrazia. Si tratta di ipocrisia senza limiti.
 
Come ha fatto notare il grande scrittore e comunista portoghese José Saramago, Hugo Chavez si è già sottoposto “sette volte alle urne e ha sempre vinto” (www.vermelho.org.br/base.asp?texto=21352). Sono stati i nemici del presidente a fare ricorso a un colpo militare fascista, nell’aprile del 2002, nel disperato tentativo di far retrocedere il processo rivoluzionario, difeso con vigore dal popolo e da settori (maggioritari) delle Forze Armate. Il tentativo fu stroncato, e la radicalizzazione della lotta politica rinnovò le energie rivoluzionarie.
 
Venne chiaramente provato che il putsch fallito era stato ordito a Washington. Perché non restassero dubbi circa la sua natura di classe, esso fu guidato da un noto leader capitalista, Pedro Carmona, che all’epoca presiedeva la Fedecamera, principale associazione imprenditoriale venezuelana. Cosa serve ancora per provare l’opposizione del capitale e dei capitalisti (in quanto classe) alla rivoluzione bolivariana?
 
La piccola borghesia nel conflitto
 
Per Marx ed Engels, i capitalisti proprietari dei mezzi di produzione (borghesi), da un lato, e i lavoratori spossessati dei mezzi (proletari), dall’altro, costituiscono le due classi fondamentali del sistema sociale moderno, classi antagoniste e in lotta permanente.
 
E’ certo che, nel gioco politico, formazioni sociali intermedie tra le due classi fondamentali, generalmente identificate come classe media o piccola borghesia (salariata o proprietaria) hanno anch’esse peso e ruolo, oscillando (se si presenta il caso) tra le trincee del capitalismo neoliberale e quelle della rivoluzione bolivariana.
 
Vacillante per natura, conformemente ha quanto già ha osservato Lenin, la piccola borghesia è particolarmente sensibile al canto delle sirene dei media capitalisti attorno alla “democrazia” ed è terreno fertile per le macchinazioni controrivoluzionarie golpiste, dirette dai portavoce del capitale finanziario. Il suo posizionamento politico non è da sottovalutare e può rivelarsi decisivo. Per questo, essa rappresenta un segmento nel conflitto, che le forze della rivoluzione devono avere la capacità di conquistare o, almeno, di neutralizzare.
 
Classe e nazione
 
E’ rilevante nell’esperienza della rivoluzione bolivariana l’intreccio tra le cosiddette questioni nazionale e sociale. Il carattere antimperialista del processo in corso, che ha negli USA il suo principale nemico, è indubbio. Si tratta dell’iniziativa politica più ardita e avanzata in America Latina per il diritto all’autodeterminazione dei popoli e alla sovranità nazionale. E l’esperienza suggerisce che, attualmente, e soprattutto nella nostra regione, non è possibile sganciare la questione nazionale dalla lotta di classe.
 
Da sempre, i grandi capitalisti del Venezuela agiscono in combutta con gli imperialisti degli USA e dell’Europa; non sono mai stati dei patrioti; hanno capitolato di fronte all’ingordigia delle multinazionali, a cui hanno ceduto, a titolo gratuito, lo sfruttamento delle ricchezze nazionali del paese; i loro rappresentanti hanno governato a spese del popolo e hanno violato gli interessi della nazione insieme alla finanza internazionale e al FMI, in nome della “globalizzazione neoliberale”. Per tutte queste ragioni, la questione nazionale assume un nitido carattere di classe.
 
Dopo molte prove, il presidente Hugo Chavez ha compreso che il progetto di liberazione nazionale e integrazione solidale dei popoli latinoamericani non può essere condotto a buon fine dalle mani sporche della grande borghesia; che il capitalismo neoliberale non fa rima con sovranità. A ragione, egli difende la valorizzazione del lavoro e individua nel proletariato il protagonista della trasformazione sociale. Il tempo sembra giocare a suo favore nella storia.
 
Nonostante le apparenze, il sistema imperialista egemonizzato dagli USA non è eterno ed è in crisi (economica, politica e militare), l’ordine monetario ancorato alla supremazia del dollaro, intaccato dal deficit commerciale e dal parassitismo, è entrato in decomposizione. Il nemico è potente, ma non è invincibile. Le forze politiche che si identificano nella lotta antimperialista e per la giustizia sociale non devono vacillare nel prestare tutta la solidarietà alla rivoluzione bolivariana e al presidente Chavez. E’ nella battaglia tra le tenebre e la luce che feconda la storia e il futuro si fa strada.
 
Viva il socialismo del XXI secolo!
 
Traduzione dal portoghese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare