www.resistenze.org
- popoli resistenti - venezuela - 19-02-09 - n. 262
Il trionfo della mistica bolivariana
di Agustín Calcagno
18/02/2009
Nonostante i media venezuelani e l’opposizione si siano incaricati di sottolineare (e spesso esagerare) le debolezze dell’attuale governo in materia di sicurezza urbana, corruzione, deistituzionalizzazione e concentrazione del potere, Chavez è tornato a vincere in un’elezione che si può considerare la più importante dal 2004. La resistente fedeltà dei suoi sostenitori non si può spiegare solo per il miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione ma con qualcosa che va oltre: la mistica bolivariana.
A Managua nel luglio del 1979 il sole brillava, esaltando le sopracciglia di una giovanissima guerrigliera indigena che guardando in una macchina da presa spiegava che la patria non doveva essere amata solo con delle frasi, ma bisognava pure difenderla fisicamente per lasciare ai figli un futuro dignitoso e luminoso. Non parlò delle possibilità di avere la sanità, l’educazione, il lavoro e la giustizia che la caduta della dittatura avrebbe implicitamente comportato, ma parlò della dignità e della luce, una dignità che quelle cose certo includeva, ma che non finiva lì. Era qualcosa di più, era che un cambio di regime forniva la possibilità di sperimentare nuove forme di libertà e creatività. Quella rivoluzione non era arrivata alla vittoria solo per mezzo dell’ideologia, di un programma o della necessità di migliorare le condizioni di vita umana, ma con qualcosa che gli stessi rivoluzionari chiamavano: “mistica sandinista”.
La fame, la miseria e l’oppressione non sono mai sufficienti per scatenare cambiamenti profondi. In cambio, la soluzione di queste situazioni da sola non è sufficiente a trasformare una società.
I gruppi sociali necessitano di sviluppare una coscienza di se stessi in modo da poter dispiegare le loro potenzialità per trasformare la realtà. Questo passaggio è stato studiato in vari modi dalle scienze sociali negli ultimi 150 anni. Una di queste forme è la nascita di leader che catalizzano le richieste sociali (dormienti o no) sintetizzandole in un discorso semplice che a sua volta è già all’interno del gruppo che i leader rappresentano. Una parte di quest’idea è stata legata al vecchio concetto di populismo, ma questa relazione non è sempre un’imposizione dall’alto verso il basso.
A differenza della cosiddetta demagogia, che cerca di produrre un’identificazione di tipo paternale e verticale, nel caso venezuelano avviene in modo orizzontale, il suo leader emerge dalle classi popolari, è un tipo comune. Questo rapporto d’uguaglianza è la novità di questa leadership, fatto che lo ha reso tanto irritante per le elite fin dall’inizio. Il perpetuarsi del potere di Chavez, non è quello di un tiranno, ma della cultura popolare al potere, che si va riaffermando attraverso la vittoria del “balcone del popolo”. Il leader gongola con tutto ciò che è popolare perché ne fa parte e condivide i suoi codici. Il popolo gongola con ciò che vi è di popolare nel leader, così vanno alimentandosi reciprocamente formando una specie di spirale ascendente, a volte poetica, a volte gretta, ma con un’emotività che per la politica è fuori dal comune.
La sensazione che lascia questo fenomeno non è tanto l’acclamazione (come ci si aspetterebbe dal populismo propriamente detto) ma organizzata e festosa, fra pari: questa è la mistica bolivariana Questo legame è tanto impressionate che perfino gli intellettuali dell’opposizione chiedono di lasciare da parte il marketing e le strategie programmatiche basate sull’impatto politologico, cercando invece nuovi slogan che si richiamino alle emozioni, che siano “più sentiti”.
Ma la mistica non è qualcosa che si può insegnare in qualche università o che si può acquisire pagando i migliori consulenti. E per quanto la socialdemocrazia si scandalizzi o che tanti intellettuali sentano che la debolezza del movimento sia nell’egemonia della leadership, la sua potenza è fornita dalla fusione fra leader e sostenitori.
Il fatto che questo fenomeno si dia un aspetto di democrazia formale (attraverso elezioni libere e con libertà di stampa) permette anche una certa convivenza sia tra coloro aderiscono a questa mistica sia fra quelli che non ne fanno parte. Da qui ne consegue che l’analisi sulla pertinenza di una rielezione infinita che preoccupa tanto gli istituzionalisti, si può attenuare se si tiene conto che l’opposizione si è andata via via adattandosi a questo schema, passando da una tappa golpista e astensionista, fino a competere democraticamente alle elezioni.
Forse, il processo venezuelano rende visibile l’inversione di un logica predominante e latinoamericana in cui la “cultura alta” sarà quella che prende il poter e non quella che lo gestisce. Le classi popolari sembrano in condizioni di progettare e sognare senza la necessità di fondersi con i valori di coloro che vivono comodamente. Le cose sono in movimento e si muovono ad un nuovo ritmo, rendendo dignità e luce a zone che prima erano in ombra.