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- popoli resistenti - venezuela - 10-07-10 - n. 327
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Venezuela, controllo operaio e autogestione
Josep Cruelles
Kaos en la Red
07/07/10
In mezzo alla crisi più grave mai sofferta dal sistema capitalista e la rabbia e l’impotenza di chi vi lotta contro da decenni, si scorgono le luci di speranza che dimostrano l’esistenza di un altro mondo, ancora possibile.
Il Venezuela non ha mai avuto tanti “amanti” fra la sinistra. Per le organizzazioni di “sinistra istituzionale” è sempre stata una realtà scomoda. Per non parlare dei “socialisti” che si allineano contro Chavez e a favore della destra venezuelana, tipo l’alleanza simbolo: Felipe Gonzalez e l’ex presidente Carlos Andrés Pérez, artefice delle riforme neoliberali che scatenarono le proteste dette “El Caracazo”. Da allora, in Venezuela il movimento popolare ha messo fine al sistema classico bipolarista, portando alla vittoria il governo di Chavez. Dodici consultazioni elettorali vinte e un referendum perso (quello della riforma costituzionale).
E l’altra sinistra? Per la galassia di gruppi guardiani dell’ortodossia, questo processo rivoluzionario contraddistinto da un ruolo marginale dei settori “proletari”, con un ruolo determinante dei militari, con varie eterodossie ideologiche e (perché non dirlo) con molte incongruenze di Chavez, merita la scomunica.
Ma nonostante tutto, il processo rivoluzionario va avanti
Il termine “processo” viene usato in Venezuela per definire questo percorso frutto della volontà popolare insieme a Chavez, senza Chavez, e nonostante Chavez. Quella é la formula che definisce meglio la somma di pulsioni contraddittorie che oggi, però, danno un risultato positivo. Chi vuole fare una lettura solidale acritica, probabilmente non capirà neppure ciò che propongono gli stessi protagonisti del processo venezuelano.
Ma negli ultimi due anni, e in particolare negli ultimi mesi, stanno accadendo fatti che dirigono il “processo” verso direzioni che fanno ben sperare. La risposta del governo all’accaparramento di alimenti da parte delle multinazionali non si è limitata all’espropriazione e alla nazionalizzazione.
Zuccherifici, centrali del latte, fabbriche di caffè o di farina di mais sono state trasformate in Imprese di Produzione Socialista. Due delle più grandi catene di supermercati transnazionali sono state nazionalizzate e poste sotto controllo dei lavoratori. La potente catena colombiana “Éxito” è stata trasformata nella moderna “Bicentenario”.
La risposta alla crisi energetica prodotta dalla storica siccità del bacino del fiume Gurí (la produzione della locale centrale idroelettrica produce il 70% dell’energia venezuelana) è stata la riconduzione dell’impresa nazionale venezuelana CORPOELEC mettendola sotto controllo operaio, e cacciando la vecchia cupola burocratica responsabile dell’inefficienza della centrale.
Ma soprattutto, con un gesto senza precedenti, lo scorso 13 maggio è stato decretato il passaggio all’autogestione operaia del grosso di tutta l’industria estrattiva e metallurgica venezuelana.
La Costituente operaia
La Corporazione Venezuelana di Guayana (CVG) che accorpa 15 aziende con più di 18.000 lavoratori e costituisce il polo economico e sociale in una regione che comprende cinque stati e più del 50% del territorio venezuelano, è stata ristrutturata in tutti i suoi centri di potere. I lavoratori in assemblea hanno eletto rappresentanti che attiveranno i modelli di autogestione proposti per i vari comparti dalla produzione alla commercializzazione, dalle condizioni di lavoro fino alla protezione dell’ambiente.
Tutte le direzioni aziendali sono state revocate e comincia l’autogestione sotto controllo operaio nel settore minerario, nelle aziende di sfruttamento forestale e di controllo ecologico, impianti siderurgici e di produzione di alluminio con le relative industrie di trasformazione.
E’ una lunga lotta alla Sidor, l’azienda più importante della corporazione, dove si produce il 25% di acciaio liquido dell’America Latina. Sidor è sempre stato un esempio, l’ammiraglia del movimento operaio venezuelano. Le Assemblee a PORTON 3 sono state lo scenario della democrazia sindacale. Ogni turno, che riuniva 4 o 5 mila lavoratori, prendeva le decisioni, e più di una volta la base ha cambiato le decisioni dei loro “dirigenti “. Techint, una transnazionale italo-argentina, fino a poco fa è stata azionista maggioritaria di quest’azienda.
Nell’aprile del 2008, dopo tre anni di congelamento e 13 mesi di discussioni, Sidor è entrata in sciopero di fronte all’intransigenza aziendale e la complicità dell’allora ministro del lavoro del governo di Chavez, Jose Ramón Rivero. Questi, aveva cercato di imporre una giunta arbitrale tripartita, che aveva chiamato cinicamente “operaista” e “bolivariana”. Al tavolo del negoziato la proposta del governo era stata accettata dall’impresa, anche se usciva dalla Legge sul Lavoro.
A fronte della richiesta di imporre agli operai tale decisione padronale con un referendum, l’assemblea di base ha esteso la paralisi del lavoro portandolo lo sciopero da 48 a 80 ore. In questo contesto si è verificata una violentissima repressione della Guardia Nazionale contro i lavoratori: arresti, quindici feriti e 43 veicoli dei lavoratori distrutti.
Chávez radicalizza il processo rivoluzionario in corso
Dopo la situazione creata, dove il governo socialista era entrato in contraddizione, in mezzo al dibattito sull’autonomia del movimento operaio venezuelano e dove non è mancato chi ha giustificato “la mano pesante contro i privilegiati” in nome del socialismo, Chavez destituisce Ramón Rivero, nazionalizza Sidor e mette in moto il “Piano Guayana Socialista”.
Due anni dopo Chavez in una manifestazione con gli operai delle aziende della Guyana dirà: “ .. Me la gioco con la classe operaia”. Ha poi annunciato la statalizzazione di altre aziende: “Norpro de Venezuela, produttrice di bauxite, Materiali Siderúrgi (Matesi), il Complesso Siderurgico di Guayana (Consigua), ed anche le aziende di trasporto di materie prime della Guyana. Egli ha poi spiegato che non è stato possibile arrivare a un accordo per l’acquisto di queste aziende (nel caso di MATESI, il gruppo proprietario aveva definito un prezzo di vendita che quadruplicava il suo valore reale) e pertanto non restava altra alternativa che nazionalizzarle.
Avanzare in un modello sostenibile per superare il ruolo di monoproduttore di materie prime
Si tratta di una lotta contro la corruzione e lo spreco, è una scommessa per un modello di gestione dove si fa leva sull’esperienza dei lavoratori nella soluzione dei problemi e nella superiorità dell’intelligenza collettiva. E’ una scommessa in direzione socialista.
Vi sono decisioni che sfuggono alla visuale aziendalista. La maggior parte delle esportazioni di queste aziende sono di materie prime che vengono trasformate nei paesi industrializzati in merci varie, in seguito acquistate a caro prezzo dalla popolazione venezuelana. Le aziende di base della Guyana devono essere fornitrici di prodotti manifatturieri: è necessaria una riconversione dell’industria venezuelana. Per questo è urgente la creazione di aziende socialiste per la produzione di manufatti al momento importati, al fine di acquisire la sovranità su questo terreno e rompere con la dipendenza. Esiste un progetto annunciato da Chavez per fare ciò presso l’Orinoco nel settore del ferro, dell’alluminio e dell’acciaio.
L’obiettivo è come dice lo stesso Chavez: “Dobbiamo farlo per il popolo, queste aziende dobbiamo metterle a produrre bene, farla finita con la corruzione, l’inefficienza e lo spreco: così daranno benefici... Altrimenti sarebbe un peccato; dobbiamo dimostrare che è possibile farlo per dare prospettiva al progetto socialista, ma dobbiamo pure cambiare completamene schema”.
Fonte: www.kaosenlared.net/noticia/venezuela-control-obrero-autogestion
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