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- popoli resistenti - venezuela - 20-08-10 - n. 330
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Caracas brucia?
di Maurice Lemoine - Le Monde Diplomatique (Edizione Colombia)
17/08/10
[Estratto]
Nonostante in Venezuela sia attiva una politica di giustizia sociale, persiste una percentuale di omicidi fra le più alte al mondo. Come si spiega questa violenza ignorata per molto tempo dal governo di Hugo Chávez? L’opposizione, naturalmente, se ne serve per strumentalizzarla in funzione dei suoi obiettivi politici. (...)
Nel 2008 in Venezuela vi erano 48 omicidi ogni 100.000 abitanti. A Caracas ci sono percentuali ancora più alte: tra gennaio e settembre del 2009 vi sono stati 1.976 omicidi, ma si tratta di una città di 4,8 milioni di abitanti.
Per l’opposizione il responsabile ha un nome: "Chávez". (…) La campagna mediatica in questo senso è attivissima, ma il potere ha una parte di responsabilità. Gli uffici stampa dei commissariati del Corpo di Indagini Scientifiche, Penali e Criminali (CICPC) sono stati eliminati, e ora non esiste una base statistica nazionale sicura, sicché ognuno può inventarsi il bilancio record che gli conviene senza correre il rischio di essere smentito. E senza mai, beninteso, analizzarne le cause, solo gli effetti.
Territori di emarginazione
Inizi del secolo XX: l’oro nero esce dal suolo venezuelano. I contadini diseredati dalle Ande e dalle pianure - savane estesissime - si precipitano nelle città di Maracay, Valencia, Maracaibo, Caracas. (…) Nascono così sobborghi di miseria e di emarginazione, quindi d’insicurezza. (…) Si ruba per necessità, per sopravvivere, per avere denaro, per mangiare. Un tipo di violenza diversa da quella che conosciamo oggi. (…) I conflitti fra delinquenti ora nascono per futili motivi: uno schiaffo, un insulto. (…) Chi muore principalmente nei quartieri popolari? Giovani fra i 15 e i 25 anni, poveri, di pelle scura. (...) Sui motivi del fenomeno ciascuno fa la sua analisi, le stesse che si ascoltano ovunque: (...) "Violenza di genere, violenza famigliare, aggressività riprodotta". (...) Oppure: "Il fattore fondamentale è culturale. Il venezuelano è violento!". "Per niente! Si tratta di mancanza di moralità: non si ruba per necessità, ma per vizio. Si è creata una scala di valori in cui la motocicletta, la ragazza che siede dietro, il conto dei morti che hai ammazzato implicano rispetto. Di più se l’alcool scorre a fiumi e le armi circolano dappertutto". E va bene, "..ma non dimentichiamoci che la televisione influisce in modo decisivo con i suoi film e la smania di possedere qualunque cosa attraverso la pubblicità. Soprattutto perché la povertà è diminuita, c’è più denaro di prima e più opportunità per i delinquenti e siccome le leggi li favoriscono, loro le usano e se vengono presi escono subito".
Paradosso curioso, in un paese in cui il tasso percentuale di povertà è crollato dal 60% al 23% della popolazione, quello della popolazione indigena dal 25% al 5%, le cifre della delinquenza vanno alle stelle. Non sarà che il governo bolivariano sia caduto in un tranello riduzionista che attribuisce la violenza solo alla miseria? E’ possibile, perché nonostante gli indubbi successi nei programmi sociali relativi alla sanità, l’educazione e l’alimentazione, per molto tempo ha ignorato la sicurezza, supponendo che sarebbe scomparsa come naturale conseguenza dei progressi raggiunti.
Riformare la polizia
Che fa la polizia? Come in quasi tutta l’America Latina, la polizia è parte del problema e non della soluzione. "Il nostro dramma - confida Soraya El Aschkar, segretaria del Consiglio Generale di Polizia (CGP) - è che non abbiamo una polizia, ma 135!". In questo paese federale, decentralizzato - un’eredità del passato - ogni governatore, ogni sindaco dispone del proprio corpo di sicurezza. Non esiste nessuna norma comune, nemmeno nella formazione, che resta affidata a ex militari.
A Caracas la Polizia Metropolitana e la Polizia Municipale si dividono il territorio senza coordinamento, a volte sono pure in conflitto per divergenze politiche. Nell’aprile del 2002 elementi di polizia Metropolitana, PoliChacao e PoliBaruta controllate da sindaci dell’opposizione, hanno partecipato al fallito golpe. (...)
Il 13 maggio scorso, cosciente della gravità della situazione, il presidente Chavez ha inaugurato il Centro di Formazione della Polizia (Cefopol) nell’Università Nazionale Sperimentale di Sicurezza (UNES) destinata a incorporare una Polizia Nazionale Bolivariana (PNB). Nuova prospettiva, nuovi metodi, nuova filosofia: una formazione tecnica e una sensibilizzazione verso i diritti umani e il rapporto fra polizia e cittadini. Sono già attivi nel quartiere di Catia, e con successo, 1.058 agenti selezionati e formati. Altri mille stanno terminando i corsi. (...) E’ poco ma anche molto, dato che i risultati non saranno immediati.
Paramilitari e narcotraffico
Secondo uno studio realizzato nel 2007, ben 4.200.000 colombiani vivono in Venezuela, e sono considerati un modello di… "sicurezza". Sono nella stragrande maggioranza persone oneste e integrate, perciò il problema può essere affrontato senza xenofobia. (…) Ma con la complicità di funzionari di diversi corpi di polizia e della Guardia Nazionale, il narcotraffico proveniente dal paese vicino non è penetrato solo in Venezuela - usandolo come paese di transito verso gli USA e l’Africa - ma ha pure ampliato la sua influenza a Caracas e nei suoi barrios: traffico su grande scala che ha incorporato giovani emarginati mediante l’offerta di cocaina a basso prezzo, all’inizio addirittura regalata. Si tratta di un fenomeno spontaneo, legato all’espansione di una criminalità transnazionale che adattandosi alle circostanze approfitta delle debolezze, colpendo in modo ancora più grave il Brasile e il Messico. (...) Washington e Bogotá accusano: "I capi della narcoguerriglia colombiana s’incontrano in Venezuela". Ma c’è, al contrario, un pudico silenzio sulle rivelazioni di Rafael García, ex capo dell’intelligence della polizia politica colombiana, il Dipartimento di Amministrazione di Sicurezza (DAS). Incarcerato, Garcia ha rivelato i rapporti tra l’istituzione e i paramilitari di estrema destra, attori centrali del narcotraffico, affermando pure che l’ex capo del DAS, Jorge Noguera, nel 2004 si è incontrato con leader paramilitari e oppositori venezuelani per concertare un "piano di destabilizzazione" e l’assassinio di Chávez.
La presenza dei "paracos" (paramilitari) negli stati frontalieri di Táchira, Apure e Zulia, è nota da tempo. Nel 2008 l’ex direttore dei Servizi di Intelligence e Prevenzione (DISIP), Eliécer Otaiza, denunciava "la presenza di ventimila [paramilitari] in tutto il territorio nazionale, [dove] portano avanti azioni criminali legate a sequestri, sicariato e narcotraffico". La penetrazione è in continuo aumento. Quello che la stampa venezuelana nasconde lo rivela un quotidiano di Bogotà, El Espectador, il 31 gennaio 2009 con l’articolo. "Le Aquile Nere sono volate in Venezuela". Dopo aver percorso lo stato di Tachira, il giornalista Enrique Vivas racconta come quei gruppi abbiano creato strutture illegali e si siano trasformate in un potere che controlla quasi tutto, offrendo addirittura assicurazioni sulla vita. Salvo che ai membri del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), vari dei quali sono stati assassinati nel febbraio e marzo 2010. (...)
Per cercare di capire è utile vedere ciò che succede vicino alla frontiera, ad Apure e Tachira. I paramilitari creano il caos moltiplicando le violenze, gli assassini i sequestri. Dopo poco distribuiscono manifestini nei paesi: "Con noi mai più droga, né delinquenza, né prostituzione!". Provocare il panico e poi presentarsi come "salvatori": ci sono buone ragioni di sospettare una strategia elaborata con cura.
Una sfida ulteriore
Un alto funzionario ci ha confidato in incognito: "Credo che ad alto livello ci sia una sottostima del pericolo. Si continua a parlare di bande di criminali, quando noi ci troviamo ad affrontare un’organizzazione, per non dire un esercito di occupazione".
Esagerato? Forse… Le esperienze degli intrighi "contro-sovversivi" statunitensi nella regione non facilitano il compito a chi cerca di trovare il bandolo la matassa. Si tratta d’imprenditori della violenza, senza una vera fede politica o di una strategia di destabilizzazione?
"Al momento, a parte alcuni quartieri - come il 23 di Gennaio, Guarenas, Guatire - che molto politicizzati e con decenni di anni d’organizzazione, controllano il territorio - gli altri sembrano disarmati. I consigli comunali non sono ancora abbastanza sviluppati e non hanno la capacità di individuare questo tipo di movimento". E’ quanto sostiene un brasiliano che lavora con i contadini nello stato di Barinas. Anche Aníbal Espejo ne conviene, evocando l’esperienza dei quartieri rossi: "La gente lo sa… ma non ha ancora la maturità politica per affrontare questo tipo di sfida".
Il 13 aprile del 2002, due giorni dopo la caduta del Presidente, è stata la mobilitazione della gente dei quartieri popolari che ha respinto i golpisti e permesso il ritorno al potere di Chávez.
"In caso di un nuovo golpe con paramilitari armati e ben organizzati, nei barrios popolari non sarà possibile un altro 13 aprile", dichiara preoccupato l’intellettuale Luis Britto García. E aggiunge: "Il caos creato da questi gruppi criminali, amplificato per non dire appoggiato dai media, serve agli interessi della destra. Tanti più morti ammazzati ci sono, maggiori saranno voti per l’opposizione".
Fonte: http://eldiplo.info/mostrar_articulo.php?id=1132&numero=92
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