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- popoli resistenti - venezuela - 04-10-10 - n. 334
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Venezuela: lezioni del 26 settembre
di Atilio Boron
29/09/2010
La scorsa domenica in Venezuela si sono tenute diverse elezioni. Una di carattere nazionale, realizzata a distretto unico, che ha scelto i deputati venezuelani che si integreranno al Parlamento Latinoamericano (Parlatino). Un'altra, quella dei deputati dell'Assemblea Nazionale, che è stata la capricciosa sommatoria di un insieme di situazioni dei vari distretti, nei quali, fattori come le sfortunate – e a volte impopolari- designazioni di alcuni candidati chavisti ed il discredito o l'indifferenza delle autorità locali, hanno giocato in modo decisivo contro le aspettative ufficiali.
A nessuno sfugge inoltre, che le elezioni legislative offrono puntualmente risultati differenti da quelle presidenziali perché l’immagine di un leader catalizzatore delle masse - niente meno di un leader dello spessore di Chávez!- viene determinata dalle qualità dei suoi rappresentanti locali, ed il più delle volte dalle loro disgrazie. Analizzare queste due elezioni, convocate in simultaneo, ci offre un quadro quasi sperimentale che permette di calibrare alcuni dati importanti per la caratterizzazione dello scenario politico che si apre in Venezuela a partire dal 26 di settembre.
Nelle elezioni per il Parlatino il voto popolare, espresso a margine di quello locale condizionante, ha avuto i seguenti risultati: 5.268.939 per l'alleanza PSUV-PCV contro i 5.077.043 degli avversari, cioè 46.71 % dei voti contro il 45.01 % dell'eteroclito conglomerato oppositore.
Nel referendum del 2007 il chavismo aveva ottenuto 4.404.626 voti, contro 4.521.494 sostenitori che rifiutavano la nuova costituzione socialista.
Dagli anni precedenti si deduce quindi che nell'elezione del 26 settembre 2010, il governo ha aumentato il proprio consenso elettorale di quasi 900.000 voti, mentre l'opposizione è cresciuta di quasi 500.000. Nelle presidenziali del dicembre 2006, Chávez era stato rieletto con 7.309.080 voti, contro la coalizione conservatrice capeggiata da Manuel Rosales che contava 4.292.466 suffragi. Ovviamente qualunque raffronto tra queste cifre si deve fare in maniera molto cauta ma esse indicano una cosa interessante, almeno come tendenza:
a) che il governo si indebolisce, e molto, nelle elezioni in cui Chávez non è candidato. Tra il 2006 ed il 2010 sono circa due milioni i voti che si sono allontanati dalle file bolivariane, sebbene sarebbe un grosso errore considerare, a giudicare da quanto è successo dal 1998, che quell'allontanamento sia definitivo. La cosa più probabile è che i delusi con i candidati locali ritornino, magari anche in numero maggiore, a votare Chávez nelle presidenziali del 2012, chiaramente a condizione che si ricandidi;
b) nonostante il fatto che la destra cresca quando Chávez non compete, la sua avanzata sembra avere un tetto relativamente basso. In condizioni molto favorevoli, che difficilmente potranno ripetersi in futuro, raggiunge appena i cinque milioni di voti. In altre parole, non c'è migrazione del voto chavista verso la destra come auspicava l’opposizione.
Quello che c’è stato è un (comprensibile) disincanto o irritazione della base bolivariana con alcune proposte elettorali del PSUV ed un (pure comprensibile) malessere davanti ai problemi che colpiscono la vita quotidiana dei settori popolari, come vedremo più avanti. Ma quello che non c’è, e questa è una gran vittoria ideologica del governo di Chávez, è una fascistizzazione dei settori popolari, il che non è poca cosa.
Il popolo sa, che oltre i limiti dell'azione governativa, della sua corruzione o la sua inefficienza, la cosa certa è che fu la rivoluzione bolivariana a conferirgli la dignità e i diritti fondamentali di una cittadinanza che non è solo politica e giuridica, limitata al suffragio, ma anche economica e sociale. E quella rivoluzione operata nel campo della coscienza resiste alle più diverse trasformazioni, alle penurie economiche o agli inconvenienti e disagi che ne derivano, come per esempio quelle causate dalla crisi energetica. Lì, sul piano della coscienza, si trova una formidabile muraglia che la propaganda di destra non ha potuto abbattere.
Bisogna tenere conto dei diversi fattori che hanno negativamente inciso sul governo in queste elezioni e che hanno generato il malumore sociale contro non pochi candidati filogovernativi: la crisi energetica, l'inflazione, la povertà, l'insicurezza, le inefficienze nel funzionamento dell'apparato statale, l'influsso demoralizzante della ricca "boli-borghesia" ed il suo sistema di corruzione, fenomeno obiettivo ma che è stato straordinariamente ingigantito dall'oligarchia mediatica venezuelana ed internazionale per mezzo di un'estesa e costosa campagna nel paese senza precedenti: la CNN, che ha prodotto un insolito documentario chiaramente orientato a terrorizzare la popolazione alla vigilia delle elezioni!; la "stampa seria" dell'America Latina, di Stati Uniti ed Europa – che di serio non ha nulla – le quali hanno fustigato quotidianamente Chávez e scaricato una fenomenale cascata di bugie che, a dispetto degli sforzi, non ha prodotto l'effetto desiderato che certamente superava di molto il 40% dei seggi all'Assemblea Nazionale.
Volevano di più, molto di più: ambivano ricreare in Venezuela le condizioni parlamentari che resero possibile in Honduras il colpo di stato contro Mel Zelaya, ma il piano non gli è riuscito anche se certamente torneranno alla carica. Questa vergognosa campagna mediatica è stata accompagnata da un vero diluvio con più di 80 milioni di dollari solo per questo anno, che sono stati veicolati - attraverso "innocenti ed indipendenti" ONGs europee e statunitensi, perfidi strumenti dell'interventismo nordamericano - verso il conglomerato di forze politiche avversarie con il pretesto di "mandare al potere la società civile", per un "piano di educazione cittadina" ed altre arguzie sullo stesso stile.
Nonostante tutto, Chávez ha ottenuto una comoda maggioranza all'Assemblea Nazionale e la destra oggi conta con 20 seggi in meno di che quelli che, per esempio, aveva nel 2000; e sebbene con questa situazione non potrà avere facoltà straordinarie, ha comunque una maggioranza sufficientemente ampia per continuare ad avanzare nel processo di trasformazione nel quale si trova il Venezuela. Non ha quindi nessun senso parlare dell'inizio di una fase Termidoriana come conseguenza del recente risultato elettorale.
A patto che, sia chiaro, si faccia una corretta lettura del messaggio inviato dal paese bolivariano evitando gli atteggiamenti negazionisti di coloro che credono che i problemi si risolvano ignorandoli; si prenda adeguatamente nota degli errori commessi e delle grandi sfide che attendono il governo e si ricordi, soprattutto, che non sarà la meccanica parlamentare a dare nuova linfa alla Rivoluzione Bolivariana, bensì l'efficace compito di organizzare, mobilitare ed rendere cosciente la propria base chavista, processi che oggi sono o largamente in ritardo o sono stati realizzati in modo deficitario.
Il compito che si ha nel prossimo futuro è enorme, ma non impossibile. Bisogna rivedere e rettificare molte cose, dalla qualità della gestione pubblica fino al funzionamento del PSUV ed i suoi processi di selezione dei dirigenti che, in alcuni casi, ha fallito miseramente. A dispetto di ciò che dicono i pubblicisti dell'impero, ammiratori per esempio della democrazia uribista in Colombia, Chávez ha un record democratico straordinario, ineguagliato a livello mondiale: nelle elezioni rigorosamente vigilate ha trionfato in 15 delle 16 convocate dal 1998.
A differenza di quanto successo in tanti paesi – dal furto delle elezioni del 2000 negli Stati Uniti, quando Al Gore sconfisse George Bush Jr con mezzo milione di voti in più e la Corte suprema dello Stato della Florida, casualmente governato da Jebb Bush, "corresse" nei tribunali questo "equivoco" elettorale, fino alle fenomenali rapine perpetrate in Messico prima dal PRI, nel 1988, contro Cuauhtémoc Cárdenas, e dopo dal PAN, nel 2006, contro Andrés Manuel López Obrador - nel Venezuela bolivariano non c’è mai stata frode.
Questo eccezionale risultato di Chávez, motivato nella profonda identificazione che esiste tra il popolo ed il suo leader, permette di pronosticare che se correggerà ciò che deve essere corretto e rilancerà ancora il processo rivoluzionario, il popolo risponderà con un plebiscito alle presidenziali del 2012. Non solo il Venezuela ma l’America Latina ed i Caraibi necessitano che sia così.
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