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Venezuela: Crisi del processo di accumulazione e impoverimento della classe operaia

Juan C. Villegas P. * | alemcifo.org prensapcv.wordpress.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

20/05/2014

Le difficoltà che affronta attualmente l'economia venezuelana, (inflazione annua che supera il 50%, carenza di beni di prima necessità, esaurimento delle riserve internazionali e conseguenti svalutazioni) con la marcata incidenza negativa sul livello di vita della classe operaia, hanno favorito nuovamente il dibattito sul "modello economico venezuelano", tentando di evidenziare le differenze tra il cosiddetto modello della "IV Repubblica" e il modello che si cerca di sviluppare nel processo bolivariano. L'opposizione di destra accusa il governo nazionale di aver tentato di attuare un presunto modello "socialista" e "statalista" che avrebbe portato il paese alla crisi attuale, mentre il vice presidente dell'area economica, Rafael Ramírez, lo definisce di successo, in considerazione dei  progressi in materia di  distribuzione del reddito e riduzione della povertà.

Che si vogliano attribuire le responsabilità al "modello socialista" o alla "guerra economica", entrambe le visioni rappresentano spiegazioni meramente ideologiche dell'attuale situazione, nascondendo in tal modo che si tratta del risultato della forma specifica del processo di accumulazione del capitale in Venezuela. In primo luogo, cerchiamo di affrontare la questione se il "modello economico" corrente è diverso da quello che ha caratterizzato l'economia venezuelana a partire dalla metà del XX secolo. Per far ciò è necessario guardare all'andamento dell'economia nazionale degli ultimi decenni e più specificamente al settore manifatturiero.

Niente di nuovo: accumulazione basata sul prelievo delle rendite petrolifere

Parlare di un nuovo "modello economico socialista" non è solo ignorare la realtà, ma è una operazione di propaganda che genera confusione di importanti settori della classe lavoratrice, con conseguenze politiche che rendono più difficile qualsiasi progresso verso il superamento del capitalismo. L'economia venezuelana a partire dalla prima metà  del secolo scorso e fino ad oggi, è stata ed è un'economia capitalista basata sul prelievo nel mercato internazionale, del reddito delle terre minerarie. Lo Stato venezuelano nel suo carattere di unico proprietario della risorsa petrolifera, utilizza detto reddito, attraverso diversi meccanismi di assegnazione e ridistribuzione, per il sostegno dei restanti settori dell'economia. Per ciò, quando il reddito è abbondante tutto procede bene, in apparenza, ed al contrario, quando il reddito diventa insufficiente, incominciano a manifestarsi  i problemi.
Uno sguardo alle esportazioni di petrolio dal 1970 ad oggi, restituisce una panoramica sufficientemente ampia del peso delle entrate del petrolio sul totale delle esportazioni e di come questa situazione non sia cambiata da oltre 40 anni.

Grafico n° 1: Le esportazioni di petrolio 1970-2012 (percentuale del totale)


Non solo i proventi del petrolio rappresentano oltre il 90% delle esportazioni del paese, come nel 1970, ma a questo si aggiunge il fatto che attualmente dette esportazioni sono rappresentate da una maggiore percentuale di petrolio greggio. Infatti, fino alla fine del 1980, le esportazioni di prodotti di raffinazione del petrolio superavano il 30% delle esportazioni totali; nel corso degli anni novanta cominciano a mostrare un declino che trova il suo punto di minima nel 2003 dopo il fallito golpe. Attualmente, i prodotti raffinati del petrolio raggiungono solo il 14% delle esportazioni totali. Questo fatto è particolarmente importante se si considera che  la raffinazione di petrolio è un'attività manifatturiera che implica valore aggiunto.
Il calo osservato nella quota dei proventi del petrolio durante i decenni '80 e '90 del secolo scorso, non è dovuto ad una maggiore diversificazione dell'economia, ma ad un calo dei prezzi internazionali degli idrocarburi, una situazione che si è invertita all'inizio di questo secolo, generando così un nuovo boom delle rendite.

L'illusione di una borghesia nazionale

L'abbondante quantità di reddito intercettato in relazione al volume dell'economia, ha permesso le importazioni di beni di capitale destinati a industrializzare il paese attraverso una politica di sostituzione delle importazioni. Un tasso di cambio sopravvalutato, un finanziamento a basso costo da parte dello Stato, una politica commerciale protezionistica e la concessione di sovvenzioni, sono state le forme concrete in cui lo stato venezuelano ha trasferito una parte significativa dei proventi petroliferi alle imprese nazionali e al capitale straniero localizzato in Venezuela. Dall'ideologia del superamento della dipendenza, emerge la politica di sovvenzionamento della borghesia locale con la promessa che la stessa sviluppi economicamente il paese. Al contrario il risultato è un settore privato nazionale a bassissima produttività che pertanto è incapace di inserirsi con successo nell'economia mondiale. Una tale illusione ha retto quando le rendite del petrolio erano abbondanti, ma appena iniziato il 1980, un calo dei prezzi del petrolio e la manifestazione della crisi del debito, hanno reso evidenti i limiti del processo di accumulazione del capitale in Venezuela.
Una revisione dei tassi di crescita nel settore manifatturiero dal 1950, fino allo scorso anno, rivela quando realmente incomincia la distruzione dell'apparato produttivo "nazionale", del quale si lamenta tanto la borghesia creola.

Grafico n° 2: Tasso di crescita del PIL Settore Manifatturiero 1950-2013


Gli alti tassi di crescita osservati nel corso dei decenni 50 e 60, sono dovuti ad un cambiamento strutturale dell'economia venezuelana (da agraria a petrolifera). Lo sviluppo di attività connesse allo sfruttamento di petrolio (infrastrutture, raffinazione, trasporto, ecc.)  e la crescente urbanizzazione, spinsero la crescita del settore industriale, fatto che è  alla base dell'adozione della politica di industrializzazione per la sostituzione delle importazioni. Seguono gli anni '70, caratterizzati da un aumento dei prezzi internazionali del petrolio e da un crescente indebitamento estero, che ha permesso lo sviluppo di una componente importante dell'industria di base e in minor misura del finanziamento alla piccola e media industria. Le rendite favolose si arrestano con una caduta nei prezzi internazionali degli idrocarburi e a partire dal 1983, la crisi prende forma specifica con la svalutazione della moneta e la crisi del debito. Così arriva il 1989, con l'adozione di politiche di liberalizzazione economica. Dopo decenni di protezionismo e dato il basso livello di accumulazione dell'economia venezuelana, il risultato non potrebbe essere diverso dall'impossibilità di inserire l'industria venezuelana nell'economia mondiale, fatto che si manifesta con la stagnazione del PIL in questo settore in tutto il 1990. Ad eccezione di quanto successo durante e dopo il colpo di stato del 2002-2003, la volatilità osservata  a partire dal 2000 è un prodotto del boom rentier di inizio secolo, con picchi negli anni di maggior ingresso di reddito e cadute proprio nei periodi  in cui diminuisce il prezzo internazionale degli idrocarburi (2008 -2009).
È importante sottolineare che si tratta di una crisi inerente al processo di accumulazione, che inizia a collassare nei primi anni Ottanta e che peggiora col passare degli anni. Non si tratta di una situazione politica errata o di una situazione congiunturale, esempio di ciò è che in materia di politica monetaria dal 1983 ad oggi, si è tentato quasi tutto: svalutazione con controllo dei cambi, tassi di cambio duali, controllo dei cambi con controllo di valute, libera fluttuazione, parità strisciante (crawling peg) e fluttuazione tra bande di oscillazione. Il risultato è lo stesso: perdita di potere d'acquisto della moneta, riduzione dei salari reali, fuga di capitali, alti livelli di inflazione e una deindustrializzazione progressiva con l'importante conseguente espulsione di manodopera.

La "grande svolta" verso la deindustrializzazione

Come indicato da L.Vera (2009),  un altro indizio della deindustrializzazione che coglie l'economia venezuelana è costituito dalla quota del settore manifatturiero sul PIL totale dell'economia venezuelana. Questa situazione è illustrata nella seguente tabella.

Grafico n° 3: Partecipazione (%) del Settore Manifatturiero nel PIL 1950-2013

Nonostante una progressiva diminuzione dei tassi di crescita del manifatturiero sul PIL, questo continua il suo ritmo verso l'alto rispetto al PIL totale fino alla fine del 1980, periodo in cui raggiunge il suo massimo per poi entrare in un processo di declino che prosegue da più di 25 anni. Il processo di industrializzazione spinto dalla disponibilità di reddito è invertito in quanto diventa sempre più insufficiente per il funzionamento dell'economia, viene troncata in questo modo, la possibilità del capitale industriale di valutarsi ed accumularsi nell'ambito nazionale. L'apertura economica a partire dal 1989 trova un settore industriale venezuelano piccolo, frazionato, inefficiente ed incapace di competere nel mercato mondiale.
Questo processo continua con l'inizio del secolo, in cui l'innalzamento delle rendite servì  per riprendere la politica di finanziamento al piccolo capitale, ma in questa occasione con una veste ideologica, che ha assunto sfumature diverse e pittoresche: dal presunto superamento del modo di produzione capitalista attraverso formule come il cooperativismo, allo "sviluppo endogeno", all'economia "popolare, eccetera.

Grafico n° 4: Percentuale dell'occupazione per settore 1975-2013


"Quando quello che agonizza non è ancora morto"

Il risultato di tutto questo è inerente alla dinamica di accumulazione capitalistica, in cui il capitale più inefficiente tende a scomparire a causa della concorrenza ed espelle quindi un settore importante della classe operaia, fatto che diventa evidente nelle cifre di impiego per settore. Nella grafico n° 3 è chiaramente visibile come l'impiego nel settore manifatturiero non abbia smesso di diminuire specialmente dalla fine degli anni ottanta, fino a rappresentare l'anno scorso, poco più del 10 percento del totale della popolazione occupata; al contrario nel settore del commercio la crescita è più che evidente, al punto di essere il settore di attività economica con maggiore occupazione. Esistono due forme nelle quali questo processo può spiegarsi: in primo luogo, la competenza capitalista obbliga a introdurre miglioramenti tecnologici che riducono l'esistenza di posti di lavoro nel settore manifatturiero e in secondo luogo la stessa competenza sposta i capitali più piccoli ed inefficienti obbligandoli a chiudere e a licenziare i lavoratori. La credenza che la piccola e media industria possano costituire un settore manifatturiero capace di rispondere alle necessità di consumo nazionale, si infrange irrimediabilmente contro il processo di accumulazione capitalista, dove solo quei capitali che raggiungano una scala sufficiente di concentrazione riescono a sopravvivere.

Ora il piccolo capitale che era prima destinato alla manifattura, è destinato ad attività dove effettivamente può valutarsi, cioè le attività commerciali e di servizio. Così scompaiono le aziende manifatturiere sia per chiusura o per fusione con quelle più grandi e dove c'era prima un'attività importante nel settore tessile ora fioriscono giganteschi centri commerciali, il calzaturificio scompare e dà luogo ad un'import nello stesso settore, l'industria metallurgica è sostituita con l'importazione di cianfrusaglie, il piccolo imprenditore del settore chimico diventa proprietario di un negozio di liquori e il capannone industriale chiude per inaugurare un hotel-casinò. Finalmente, tutta l'attività produttiva è fulminata davanti alla più alta espressione delle rendite parassitarie!

L'impoverimento della classe operaia

Questo processo porta al fatto che importanti settori della popolazione attiva siano spostati in settori dove la loro soggettività produttiva è degradata, impiegandosi in attività di bassa produttività. Il settore informale dell'economia, rappresenta circa il 40% della popolazione occupata secondo l'Istituto Nazionale di Statistica (INE); inoltre il 50% della popolazione occupata, secondo la Commissione Economica per l'America Latina (CEPAL), lo è in posti di lavoro a bassa produttività (commercio al dettaglio, servizi, ristoranti, alberghi, ecc.). Questo processo ha raggiunto il suo apice nel corso del 1990 e oggi rimane stabile, come indicato dal grafico n° 5.

Grafico n° 5:  Impieghi a bassa produttività come percentuale del totale 1990-2012

Sempre più numerosi, i settori della classe operaia diventano personale operaio in esubero (POS), il che significa un'eccedenza della popolazione per il capitale. In questo caso, il capitale che si trova in Venezuela non ha bisogno di questo settore della classe operaia, per ciò l'espelle obbligandola nella maggior parte dei casi, ad inserirsi nell'economia informale di lavoro autonomo e di alcune forme specifiche di pubblico impiego. Come succede col resto dell'economia venezuelana, dette attività si reggono grazie alla redistribuzione del reddito.
Il declino dell'attività manifatturiera e il depauperamento della classe operaia sono risultati della specificità del processo di accumulazione di capitale in Venezuela, processo che viene già mostrando sintomi chiari di esaurimento da decenni, con periodi nei quali l'aumento dei prezzi internazionali degli idrocarburi, attenuano la tendenza generale. La crescita del consumo interno unito a un fatturato petrolifero sempre più inadeguato, spingono l'emergere della crisi ancora una volta e con esse, i programmi di adeguamento che accelerano il processo di impoverimento dei lavoratori.
In questa tappa critica diventa ancor più necessaria l'organizzazione e la mobilitazione della popolazione lavoratrice ed è urgente frenare qualunque tentativo della destra filo-fascista di approfittare dell'aggravamento della situazione cavalcando lo scontento delle masse. In secondo luogo, si richiede l'elaborazione e l'ampia discussione da parte del movimento operaio organizzato, di un programma politico proprio, il cui obiettivo immediato è quello di porre fine alla vecchia ricetta di consegnare i proventi del petrolio ai capitalisti, mentre  ai lavoratori toccano le briciole.
Al contrario, la classe operaia deve promuovere non solo una politica integrale  il cui obiettivo sia l'uso del reddito dell'industria petrolifera per la concentrazione di capitale in aree strategiche dell'economia (industria, produzione di alimenti, costruzione di abitazioni, servizi bancari e commercio estero), ma deve considerare la conquista del potere politico e quindi, la gestione del reddito in funzione degli interessi della classe operaia. Reddito che è stato sfruttato dalla borghesia con la complicità di tutti i governi.

* Juan C. Villegas P. del Centro de Investigación y Formación Obrera (CIFO_ALEM)


I. Questo articolo è parte di uno sforzo molto più ambizioso dei membri del Centro di Ricerca e Formazione dei Lavoratori (CIFOs) e dell'America Latina marxista Economics (GER) per comprendere il processo di accumulazione del capitale in Venezuela, così alcuni aspetti richiedono un livello di approfondimento che trascende la presente scrittura.
II.Diversi autori hanno studiato questo tema tra cui Baptista, Asdrubale. (2007). Labourless teoria economica del capitalismo, (2a edizione). Caracas, BCV Publishing.
III. Vera, L. (2009). Il cambiamento strutturale, deindustrializzazione e perdita di produttività: evidenza per il Venezuela. Quaderni del CENDES, 26 (71). Questo autore realizza sotto la messa a fuoco del cambiamento strutturale, un interessante studio sul processo di deindustrializzazione  in Venezuela, nel quale sottolinea il calcolo della produttività lavorativa tanto settoriale come per l'insieme dell'economia.
IV. Esempio di ciò è la "Unità di Produzione Socialista" della già Corporazione Venezuelana Agraria (CVA), nelle quali minuscole piante per la produzione di farina precotta di mais non riescono a produrre neanche il 5 percento di quello che produce una sola pianta delle multinazionali.
V. Solo considerando i settori manifatturieri e commerciali tra cui ristoranti e alberghi.
VI. Non solo Marx nel Capitale, ma Engels in "La situazione della classe operaia in Inghilterra" (1845) spiega questo processo in dettaglio, attuale oggi.
VII. L'esempio più lampante è fornito dal gruppo MANTEX (Manufacturas Textiles S.A) che da essere una grande azienda tessile nella città di Valencia, ora si dedica alla costruzione di centri commerciali (Metropolis Shopping); per conoscere la sua storia: http://www.mantexmetropolis.com/mantex/quienes_somos.html
VIII. Su questo aspetto è stato molto utile  leggere l'articolo di Marina Kabat (2009). Il plusvalore relativo. L'aspetto meno conosciuto della concezione marxista della classe operaia. Annuario CEICS  3, 113-134


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