Crisi politica e economica in Venezuela: sull'ANC e la posizione dei comunisti
Ástor García (Segretario Generale del PCPE) | partido-comunista.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
18/08/2017
In Spagna è molto di moda attaccare il Venezuela. Per esser precisi, in Spagna si attacca in modo ricorrente il Venezuela dal 1998, ma ci sono periodi in cui l'aggressività si intensifica fino a estremi vergognosi.
Negli ultimi mesi il livello di aggressività nei media ha raggiunto un livello tale che, con un gesto insolito ma degno di nota, la sezione sindacale della UGT in RTVE [Radiotelevisione Spagnola, il più importante gruppo radiotelevisivo spagnolo, ndt] ha emesso una nota informativa per denunciare che in questo mezzo pubblico "non si informa con obiettività sul Venezuela", ma che, attraverso "manipolazioni grossolane e mancanza di professionalità" si sta trasformando RTVE in "uno scriteriato portavoce dell'opposizione venezuelana, senza mantenere nemmeno la forma".
In realtà non è un fenomeno fuori dal comune. Di frequente assistiamo a campagne mediatiche contro questo o quel paese, contro questo o quel presidente, che alla fine diventano oggetto di sanzioni commerciali, economiche, politiche, colpi di Stato, invasioni militari o assassinio. A volte accadono tutte queste cose insieme nello stesso paese.
Sul manuale della manipolazione informativa è scritto in lettere d'oro che, quando si vuole legittimare una manovra o una ingerenza, è necessario passare preventivamente da un periodo, di durata variabile, di sistematica intossicazione informativa che riesce a generare uno stato d'animo tra le masse che fa sì che, anche, queste arrivino a esigere l'intervento o l'ingerenza.
Normalmente la punta di lancia sono presunte violazioni dei diritti umani. Ma può valere qualsiasi altro argomento. Soprattutto, deve apparire che nel resto del mondo - o nel tuo stesso paese - non avvenga nulla di simile o denunciabile a riguardo.
La massima goebbelsiana che una menzogna ripetuta mille volte finisce per trasformarsi in una verità la stiamo vivendo con il Venezuela, dove l'obiettivo della brutale campagna (dis)informativa che stanno realizzando, senza eccezione, i grandi mezzi di comunicazione di questo paese, proprietà generalmente di grandi gruppi imprenditoriali, è di accrescere il consenso alla campagna internazionale che cerca di rimuovere Maduro dal Palazzo di Miraflores.
Un paio di precisioni nei termini
La campagna contro il Venezuela, come vedremo, ha parallelismi con la campagna contro Cuba, da molti anni in scena. Ma bisogna saper distinguere dato che, a differenza di Cuba, il processo venezuelano non è una rivoluzione, tantomeno socialista.
Ma abbiamo letto e ascoltato molti compagni e compagne sostenere entrambe le definizioni, persino promuoverle. Il nostro Partito non condivide queste posizioni e pensiamo che si devono compiere degli sforzi per analizzare e caratterizzare adeguatamente i processi politici. E' necessario dimensionare adeguatamente i rapporti di forza esistenti in essi e evitare come la peste i discorsi facili e semplicistici che, purtroppo, sono soliti coprire posizioni ideologiche concrete. In altre occasioni coprono la mera mancanza di volontà o l'incapacità di affrontare i fenomeni sociali in modo scientifico, con l'obiettivo ultimo di formulare una proposta politica congiunturale che sia in linea con il nostro obiettivo strategico, che non è altro che il rovesciamento del capitalismo.
Se noi comunisti rinunciamo alle nostre stesse analisi e categorie, se interpretiamo la realtà con gli errori degli altri, prima o poi cadremo nella difesa e promozione di proposte non solo aliene, ma contrarie agli interessi della classe operaia, finendo per lottare nuovamente sotto bandiere estranee, sotto interessi altrui.
In Venezuela noi stiamo con il Partito Comunista del Venezuela (PCV), che ha mantenuto una posizione coerente negli anni e ha saputo resistere agli attacchi che gli hanno diretto non solo i nemici, ma anche i presunti amici. Il mantenimento di una posizione di classe coerente, la connessione tra tattica e strategia, l'allontanamento dal modello grossolano tristemente abituale nella politica attuale e la capacità di formulare una posizione propria in un momento di grandi polarizzazioni, sono di enorme valore per la classe operaia venezuelana e costituiscono una garanzia per il resto del movimento comunista internazionale.
Per connotare il processo venezuelano, sapendo che esiste il rischio che qualche voce isterica voglia accusare me o il mio Partito di stupidità, è sufficiente rimetterci ad alcune dichiarazioni di massimi dirigenti del PCV. Ad esempio, Oscar Figuera, il suo Segretario Generale, dichiarava alla fine del 2016 che "in Venezuela non è in crisi il socialismo, perché non c'è socialismo; in Venezuela è in crisi il capitalismo". Da parte sua, Elena Linares, membro del Comitato Centrale del PCV, ha detto lo scorso 8 marzo: "Il governo afferma che siamo nel socialismo mentre la destra altrettanto fermamente sostiene che il socialismo è fallito. Il Partito Comunista ha sempre messo in chiaro che in Venezuela non esiste né il socialismo né tantomeno è fallito, perché non c'è mai stato". E Pedro Eusse, anch'esso membro del CC del PCV, asseriva nel settembre 2016 che "in Venezuela non c'è stata una rivoluzione socialista e chi dice che qui c'è il socialismo e che questo stia fallendo, mente".
Allora, se in Venezuela non c'è socialismo, c'è per caso una rivoluzione? In una intervista recente, Carlos Aquino, anch'esso membro della massima direzione del PCV, diceva chiaramente che: "Quella che comunemente viene chiamata 'rivoluzione bolivariana' - con il trionfo di Hugo Chávez nelle elezioni presidenziali del 1998 - fu portatrice di politiche anti-neoliberali ma non aveva un programma anti-capitalista. Con la 'rivoluzione', gli strati della piccola borghesia legati al nuovo governo scalzarono progressivamente i settori tradizionali della borghesia venezuelana dal controllo della rendita petrolifera e, a partire dal 2005, l'impostazione del 'Socialismo del XXI secolo', nella sua ansia di prendere le distanze dalle esperienze marxiste-leniniste sviluppatesi in URSS e negli altri paesi del campo socialista, si avvicinò sempre più al 'socialismo socialdemocratico' e al cosiddetto 'stato sociale' europeo, tanto cari ai riformisti dei partiti socialisti europei e latinoamericani."
Una volta chiarite queste questioni, continuiamo.
Perché è così violento l'attacco dei media spagnoli contro il governo di Maduro?
Mariano Rajoy ha ripetutamente detto che la situazione in Venezuela "colpisce" gli interessi delle imprese spagnole radicate nel paese. Di fatto, lo dice ogni volta che ne ha opportunità e questo, di solito, avviene quando qualche scandalo politico riguarda il suo partito, o quando i dati macroeconomici o le statistiche contraddicono la sua cantilena che si sta superando la crisi economica in Spagna grazie alle politiche antioperaie e antipopolari che sta applicando.
In Venezuela operano grandi imprese con sede in Spagna, come il BBVA, Inditex, Duro Felguera, Movistar, Repsol o Mapfre. Sono queste che hanno importanti interessi economici in Venezuela e, come sappiamo, sono gli interessi dei grandi monopoli radicati dentro le sue frontiere che definiscono la strategia internazionale degli Stati capitalisti.
Ciò nonostante, in questo caso, gli interessi delle grandi imprese spagnole, che non sono quelli della popolazione spagnola - questo bisogna ripeterlo costantemente, perché la tendenza a legare il paese ai suoi monopoli è abbastanza abituale nella stampa e nel discorso dominante - non giustificano di per sé l'esacerbato attacco di cui siamo testimoni giorno dopo giorno. In precedenti occasioni ci sono stati problemi per le imprese spagnole - ricordiamo il caso di Sacyr con il canale di Panama o della nazionalizzazione di Repsol-YPF in Argentina nel 2012 - e in nessun quotidiano siamo arrivati a leggere attacchi così brutali e sostenuti nel tempo contro i governi panamense o argentino.
No, in Venezuela c'è qualcos'altro che ha a che vedere principalmente con due fattori: uno è l'oceano di petrolio sul quale galleggia
il paese (possiede le maggiori riserve del mondo) - oltre altre enormi ricchezze naturali - e l'altro è il particolare ruolo che il Venezuela rappresenta nella geopolitica regionale - e in parte, mondiale - da quando Hugo Chavez salì alla presidenza nel 1998.
Fino ad allora, il Venezuela era un paese produttore di petrolio che si piegava agli interessi delle principali potenze imperialiste e i cui introiti della monocoltura petrolifera ritornavano con rapidità ai mercati stranieri data l'incosistenza dell'industria manifatturiera. Un paese dove le differenze sociali erano abnormi e il malessere sociale generava periodicamente violenti scontri che, senza direzione né obiettivi chiari, erano condannati al fallimento.
L'arrivo di Chavez alla presidenza, e il suo discorso favorevole ai settori sociali che fino ad allora erano esclusi dall'immensa ricchezza del paese, implicò una serie di cambiamenti che si fecero notare non solo in Venezuela. Ebbero effetto anche in altri paesi americani dove anni di politiche ultraliberali piegate ai disegni del FMI e altri strumenti imperialisti, così come decenni di aggressioni e ingerenze costanti da parte delle potenze come gli Stati Uniti, avevano generato un clima sociale molto ricettivo alle proposte riformiste che sono andate ad inglobarsi sotto quella formulazione confusa di "Socialismo del XXI secolo".
Il Venezuela, grazie alla rendita petrolifera e alla politica sovranista, si è trasformato in un importante riferimento per governi di altri paesi americani e sostenitore di forze politiche varie. Inoltre è un alleato fondamentale di Cuba Socialista. Il Venezuela è diventato un riferimento per i settori riformisti più avanzati d'America e d'Europa, mentre il suo discorso di difesa della sovranità e i suoi costanti attacchi a governi come quello statunitense, colombiano o spagnolo, gli hanno attribuito ampie simpatie in tutto il mondo.
L'effetto politico della crisi capitalista
Il Venezuela, pertanto, non è un paese qualsiasi a livello internazionale. Ma la sua specificità non gli ha permesso di evitare la crisi capitalista, che ha avuto effetti molto duri sui prezzi del petrolio e le materie prime in generale, e che sta colpendo anche altri paesi vicini come Brasile, Argentina o Ecuador.
Gli effetti della crisi capitalista sulle masse lavoratrici e il popolo in generale, acutizzati sia dalle aggressioni dei capitali monopolisti come dall'incapacità del governo nazionale e tutto l'apparato statale – data la sua natura di classe – per affrontare la crisi con misure genuinamente rivoluzionarie che favoriscono la classe operaia e il popolo lavoratore, hanno rafforzato la presenza delle forze politiche reazionarie tra le masse.
Il fenomeno descritto nel paragrafo precedente non è esclusivo del Venezuela. Se diamo un rapido sguardo al resto dei paesi menzionati, possiamo vedere una tendenza comune: lo smantellamento - più o meno rapido e/o aggressivo - dei governi alleati del Venezuela. In Brasile, la controversa destituzione di Dilma Rousseff e la sua sostituzione con Michel Temer, più la condanna a Lula per corruzione. In Argentina, Mauricio Macri sta revisionando la maggior parte delle politiche sociali applicate da Cristina Kirchner dopo averla sostituita alla Casa Rosada. In Ecuador, l'ex presidente Rafael Correa sta accusando il suo successore, Lenin Moreno, di piegarsi all'"opposizione" mentre questo, in risposta, lascia senza funzioni il vicepresidente, Jorge Glas, per la sua vicinanza a Correa. Ma se questo fosse poco, il caso Odebrecht aleggia sull'America coinvolgendo in casi di corruzione politici di mezzo continente.
Da questa tendenza, per ora, sembra scampare il Venezuela. E' l'unico paese, di quelli che sono stati più colpiti dalla crisi capitalista nella regione, dove non si è prodotto un cambio di governo. Ma non è perché "i gruppi oppositori" e coloro che li finanziano, foraggiano e promuovono, non ci hanno provato, in verità. Di fatto, le elezioni legislative del 2015, dove la MUD ha ottenuto la maggioranza, sono stati importanti segnali d'avviso dei percorsi che potrebbe seguire la politica venezuelana.
L'incidenza della crisi nel panorama politico americano bisogna prenderla molto seriamente. Soprattutto perché è chiara espressione della principale limitazione dei processi riformisti che si sono sviluppati negli ultimi anni: la loro fiducia nei meccanismi economici capitalistici, il loro scarso o nullo interesse per modificare la base economica capitalista e, pertanto, la conservazione di un apparato statale capitalista che mantiene e riproduce i vizi dei periodi precedenti. In breve: la base economica è rimasta inalterata e ciò che si è fatto, con minor o maggior successo, è ampliare e redistribuire distintamente il reddito statale.
La colpa della crisi economica venezuelana non è di Maduro
Ripercorriamo i fatti. Conviene ricordare che buona parte della politica di comunicazione del Partito Popolare tra il 2008 e il 2011, stando all'opposizione, consisteva nel ripetere insistentemente che la colpa della crisi e la sua incidenza in Spagna era di Zapatero, del PSOE, allora al governo. Dimenticavano che la gestione di Zapatero era altrettanto favorevole ai monopoli quanto la loro e sostanzialmente il linea con il modello economico spagnolo basato sul mattone già promosso nell'epoca di Aznar, e personificavano in Zapatero tutti i mali che flagellavano il paese. La conclusione evidente di tale discorso era che, per uscire dalla crisi, bisognava rimuovere il governo Zapatero e che tornasse il PP. Questo cambio è avvenuto nel 2011 e la crisi, lontano dal risolversi, è continuata. Di fatto l'economia spagnola è entrata in una seconda recessione, in una nuova fase durissima per la classe operaia e i settori popolari, i cui effetti continuano a notarsi - e molto - oggi, per quanto il padronato e i suoi governi si nascondano dietro i dati macroeconomici.
Questo riferimento alla politica spagnola del recente passato vuole illustrare due questioni: la prima, la tendenza dei politici capitalisti a legare l'incidenza delle crisi con la presenza al governo dell'avversario politico, che è una costante nel mondo capitalista; la seconda, fondamentale, che lo scoppio di crisi cicliche nel capitalismo non dipende dalla gestione migliore o peggiore di uno o dell'altro partito al governo, ma dalla dinamica capitalista, che impera, chiaramente, quando le relazioni di produzione che prevalgono sono quelle capitaliste. In Argentina, in Brasile, in Ecuador o in Venezuela – come in Spagna – i rapporti di produzione capitalisti sono sel tutto egemonici, pertanto prima o poi dovevano emergere gli effetti della crisi capitalista. Perché emergono in momenti differenti? E' logico, poiché nel capitalismo opera la legge di sviluppo economico diseguale. Ma il momento doveva arrivare, e questo indipendentemente da chi occupasse la presidenza o il governo.
Lo abbiamo già visto in altri paesi latinoamericani, dove si è ripetuta la medesima tendenza di molti altri paesi capitalisti, in cui cambiava il colore del governo durante lo sviluppo della crisi economica. Ma in Venezuela, pioniera dei processi "bolivariani" di questo secolo, a differenza del Brasile, Ecuador o Argentina, all'opposizione risulta molto più difficile rimuovere Maduro da Miraflores. Primo, perché la capacità di mobilitazione delle masse che ha Maduro, anche se minore di quella che aveva Chavez, è reale e palpabile. La sua politica non è di mera propaganda o di vuote dichiarazioni: ci sono avanzamenti sociali concreti – anche se non permanenti né definitivi – che hanno generato un ampio appoggio al processo. Sebbene l'appoggio in termini di voti è diminuito elezione dopo elezione, esiste un ampio sostegno di organizzazioni sociali e politiche che appoggiano il governo, come si è visto nella votazione dell'Assemblea Nazionale Costituente (ANC). Secondo, per la determinante esistenza dell'"alleanza civico-militare" che si concretizza nel fatto che la Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) appoggiava fermamente Chavez e oggi appoggia fermamente Maduro, nonostante che parte della campagna di destabilizzazione mediatica sia diretta a cercare una frattura nell'esercito. Questa alleanza civico-militare, che in altri paesi non è esistita, segna una differenza significativa in una zona del mondo dove sono purtroppo abituali i golpe militari contro dirigenti eletti dal popolo.
Inoltre, l'"opposizione" non è né nemmeno omogenea. Ci sono distinti settori con distinte aspettative e tattiche per rimuovere Maduro, da quelli apertamente terroristi a quelli più possibilisti che aspirano a che i problemi economici, ben utilizzati e manipolati dalla stampa nazionale e straniera, giochino a suo vantaggio per via elettorale. Possibilismo che, non dimentichiamolo, esiste anche in settori considerati "chavisti" che si avvicinano alla cosiddetta "boliborghesia".
Si, ci sono compromessi nella politica venezuelana
In questo contesto, voci autorevoli concordano nell'analisi che l'avvio del Consiglio Nazionale dell'Economia Produttiva (alla ricerca della diversificazione produttiva per ridurre la monocoltura petrolifera) è il quadro dove si produce un processo di conciliazione di classe – una concertazione – che porta a un insieme di misure a favore del capitale foriere di un impatto negativo sulle masse lavoratrici e sui settori popolari.
Nessuno mette in dubbio che esista una acuta crisi nel modello capitalista venezuelano. Si tratta dell'esaurimento della forma capitalista particolare organizzata della base economica della nostra società, che condanna il paese alla dipendenza, all'arretramento e al saccheggio permanente da parte dei monopoli nazionali e internazionali che si disputano l'estrazione della rendita. Per la reazione e il riformismo, il dibattito sull'esaurimento del modello di capitalismo dipendente e redditiero, si risolve con la formulazione di illusorie e semplicistiche iniziative economiche isolate, mentre per i comunisti e la classe lavoratrice è un problema strutturale che richiede la trasformazione rivoluzionaria della base economica della società, e con essa la necessità di stravolgere tutto l'edificio politico-giuridico-legale che su questa base si innalza aprendo prospettive reali alla costruzione della società socialista basata nel socialismo scientifico.
Come segnala in un recente articolo il dirigente comunista venezuelano Pedro Eusse: "Il governo venezuelano cerca di far fronte alla crisi nel quadro del modo di produzione capitalista e, per questo, ha adottato la denominata Agenda Economica Bolivariana e ha messo in funzione il Consiglio Nazionale dell'Economia Produttiva. In questo contesto ha intrapreso una serie di politiche e misure destinate a stimolare e attrarre investimenti. Tra esse ci sono quelle che creano un clima sociolavorativo favorevole al capitale e condizioni per contrastare la caduta del tasso di profitto, quali: la politica di 'pacificazione lavorativa' e la riduzione dei salari sotto il loro valore".
Bisogna chiedersi allora se sono sostanzialmente differenti, al di là di certi elementi particolari di ogni paese, le condizioni politiche, in termini di classe, in cui si sta sviluppando la crisi economica in America. In fondo, non molto. Nessuno dei governi precedentemente citati ha messo in marcia misure genuinamente rivoluzionarie per affrontare la crisi. Ossia, tutti i governi hanno combattuto e combattono con le armi e sotto le condizioni del capitalismo e stanno pagando le conseguenze.
Essendo onesti, tutti dovrebbero riconoscere che ci sono cose impossibili da conseguire nel capitalismo, sotto qualsiasi tipo di gestione capitalista. Una di queste è porre fine alla disoccupazione. Altra è il miglioramento costante delle condizioni di vita e di lavoro della maggioranza operaia e popolare o, detto in altro modo, la capacità di soddisfare le necessità sempre crescenti della popolazione. Si possono adottare misure per ridurre la disoccupazione o per migliorare le condizioni di vita della maggioranza lavoratrice sotto il capitalismo? Si, congiunturalmente. Ma sempre con la spada di Damocle pendente: una nuova crisi o qualsiasi cambiamento nelle condizioni del commercio internazionale o un brutale ribasso dei prezzi del petrolio o di qualsiasi altra materia prima, perché le leggi dello sviluppo capitalista continuano ad operare – piaccia o non piaccia – se non si altera la base economica del paese.
Quindi, dopo vari anni di sviluppo limitato, generando però ampie aspettative in molti settori della popolazione dei propri paesi e di altri, con il Venezuela sostenitore internazionale di molti di questi nuovi governi, sembra che stia arrivando il momento del tracollo economico e le forze più reazionarie, tradizionalmente allineate con gli interessi di potenze imperialiste come gli USA e, attraverso la Spagna, con l'Unione Europea, guadagnano posizioni e sfruttando le conseguenze negative della crisi capitalista distruggono, con qualsiasi mezzo, gli avanzamenti sociali raggiunti nei paesi menzionati.
La questione elettorale e la legittimità
La destra punta a continuare ad intensificare lo scontro e la pressione internazionale contro il governo e il processo bolivariano, con il fine di creare un quadro di violenza, terrore, caos e ingovernabilità che faciliti – nel quadro della decomposizione politica, economica e sociale accelerata dalla crisi capitalista – nuove fratture nel seno del governo e del PSUV, nel movimento popolare e rivoluzionario, nell'apparato dello Stato e nella FANB, che favoriscono l'obiettivo di ottenere la sostituzione del governo per rottura dell'ordine costituzionale.
Conviene fermarsi un momento in uno degli assunti più rilevanti della campagna mediatica contro il Venezuela: quello della legalità e legittimità elettorale. Non può che richiamare poderosamente l'attenzione il fatto che, in una presunta dittatura così brutale come quella dipinta, e dopo lo spettacolo imbarazzante della cosiddetta "consultazione dell'opposizione" svolta il 16 luglio, dopo il rifiuto di riconoscere i risultati della votazione sull'ANC, l'"opposizione" si sia già lanciata verso le elezioni regionali di dicembre 2017.
Vero che non sembra quadrare molto questa partecipazione elettorale con lo scenario repressivo apocalittico del quale i mezzi parlano? Allo stesso modo, i media passano sempre in punta di piedi sul fatto che, secondo tutti i parametri borghesi, il sistema politico venezuelano è perfettamente omologabile a molti altri paesi, e molto più garantista rispetto a paesi tanto "amici" e "fratelli" come Marocco o Arabia Saudita. Ciò che disturba è che, prima Chavez e adesso Maduro, abbiano ottenuto un ampio sostegno popolare. Come l'"opposizione" si è trovata senza argomenti validi, hanno elevato l'intensità delle manovre di destabilizzazione con la copertura della stampa.
Ma non conviene dimenticare che la fiducia nei meccanismi elettorali borghesi è un arma a doppio taglio. Confidare tutto nelle urne, senza sviluppare meccanismi di potere operaio e popolare effettivi, è garanzia di sconfitta prima o poi. Certamente può funzionare come un argomento per generare simpatia e legittimità verso il tuo processo in momenti concreti, ma oggi la fase sembra già esser un'altra, quando le forze ingerenti vogliono dar per buono un presunto "plebiscito" come quello del 16 luglio nel momento che accusano di irregolarità la votazione del 30 luglio. Ma per rompere con il legalismo borghese bisogna volerlo. Inoltre bisogna aver chiaro verso dove andare e che forme di potere instaurare, ma questo non sembra esser oggi nell'agenda del governo o dell'ANC.
L'Assemblea Nazionale Costituente. La posizione comunista
In questo complesso quadro dello scontro, il presidente Nicolas Maduro ha annunciato al paese la convocazione dell'Assemblea Nazionale Costituente, proposta che, pertanto, non sorge in un contesto di offensiva del movimento popolare, ma come risultato della ricerca di un accordo di governabilità che assicuri la stabilità all'attuale ordine stabilito sotto la direzione piccoloborghese.
Le forze convocanti dell'ANC hanno messo molto in chiaro gli obiettivi: raggiungere la pace, ottenere una uscita "democratica" alla crisi e consolidare costituzionalmente una soluzione capitalista alla crisi del capitalismo dipendente venezuelano. Con nessuno di questi propositi possiamo concordare noi comunisti, se si intende la pace come la concretizzazione istituzionale della consegna delle conquiste popolari e la soluzione alla crisi come legittimazione delle superficiali misure di carattere riformista che vanno implementando a favore dei capitalisti, sotto lo scadente pretesto di rivitalizzare la capacità produttiva del paese.
La convocazione dell'Assemblea Nazionale Costituente in maggio è stato un effettivo colpo ad effetto di Maduro, che con questo ha alterato il tavolo e la dinamica con cui si stava sviluppando la crisi politica in Venezuela. In tali condizioni, l'Assemblea Nazionale Costituente da sola, non rappresenta per le masse lavoratrici della città e della campagna nessuna soluzione reale ai problemi che li assillano come risultato della crisi capitalista e delle politiche riformiste. L'ANC avrà utilità per gli interessi del popolo lavoratore, nella stessa misura in cui la sua dinamica è determinata da un'agenda di agitazione e lotta diretta a materializzare le richieste urgenti delle masse lavoratrici e popolari di fronte all'offensiva del capitale.
Con questa analisi – chiara e cristallina – in mano, la posizione comunista di fronte alla votazione dell'ANC è stata incisiva: in un contesto in cui le forze più reazionarie incrementano il grado di violenza, quando si producono attacchi di bande terroriste mercenarie in diversi punti del paese, quando le "manifestazioni dell'opposizione" terminano in battaglie campali dopo costanti provocazioni alla polizia e quando il grado di destabilizzazione raggiunge i suoi vertici massimi in uno scenario pre-golpista, è necessario appoggiare l'ANC e partecipare alla votazione del 30 luglio. Con candidati propri e senza cadere in falsi miti né confondere la posizione: l'ANC si elegge nel contesto che si elegge, con i rapporti di forza che ci sono e con una notevole improvvisazione, pertanto "è importante che i lavoratori non abbiano illusioni (…). Dobbiamo capire che la causa fondamentale di tutti i nostri problemi è l'esistenza del sistema capitalista che continua a dominare il paese", come segnalava Pedro Eusse in una intervista il 31 luglio.
La nostra solidarietà è con il PCV
Vedremo cosa riserva il futuro al processo venezuelano. In nessun modo vogliamo vedere la maggioranza operaia e popolare venezuelana fare passi indietro, ma la fiducia nell'ANC e il prossimo periodo è limitata:
Che la Costituente risponda agli obiettivi e aspirazioni popolari dipenderà principalmente dalla presenza in essa di un forte e decisivo contingente di costituenti impegnati nella difesa coerente del programma che solleva l'unità rivoluzionaria operaia-contadina e popolare.
Siamo coscienti che le condizioni non sono le più propizie per conquistare la necessaria correlazione di forze; anche così, l'Assemblea Nazionale Costituente è uno spazio e momento di acuta disputa per la direzione delle masse e di approfondimento dello scontro di classe, propizia per sviluppare un audace campagna di agitazione politico-ideologica di massa con nostre proposte e pressare per conquiste che beneficiano il popolo lavoratore. Inoltre, quando l'essenza del dibattito costituente deve esser il suo contenuto programmatico sul modello politico, economico e sociale che serve oggi agli obiettivi del paese, dibattito che acquisisce maggior rilevanza per la militanza comunista e il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, sviluppandosi nel contesto della rottura della base economica capitalista e, conseguentemente, del tipo di organizzazione statale che le serve da sovrastruttura.
Ma come si segnalava all'inizio di queste righe, la nostra fiducia e la nostra totale e completa solidarietà è oggi per i comunisti del Venezuela, nel PCV:
Tutto questo sforzo deve contribuire a combattere la falsa polarizzazione seminata nell'immaginario collettivo delle masse sulle presunte due bande (oppositori e chavisti), schema che converte la classe lavoratrice in preda facile dell'inganno, impedendogli di vedere con chiarezza che l'unica lotta antagonista che esiste nella nostra società è tra i capitalisti e il suo sistema da un lato, contro la classe lavoratrice e i settori popolari sfruttati dall'altro, conflitto di classe che ha la sua radice nella contraddizione fondamentale del sistema capitalista (la contraddizione capitale-lavoro) e non semplicemente nella politica di alcun governo. La possibilità della soluzione rivoluzionaria alla crisi richiede che la classe lavoratrice smetta di agire ingannata a beneficio di interessi di classe altrui, e si converta in avanguardia della sua lotta per la sua vera emancipazione politica e sociale.
Nota importante: i paragrafi in corsivo sono citazioni provenienti, tutte, dal documento Il popolo lavoratore costruisce la sua proposta rivoluzionaria alla Costituente, documento approvato nella Giornata Nazionale di Discussione del Partito Comunista del Venezuela (PCV) e del Fronte Nazionale di Lotta della Classe Lavoratrice (FNLCT).
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