www.resistenze.org - popoli resistenti - venezuela - 16-09-17 - n. 643

La guerra economica spiegata ai principianti (e ai giornalisti) (2/4)

Maurice Lemoine | medelu.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

12/08/2017

Parte 1

Parte 2

Contrariamente a un'idea ampiamente diffusa, il settore agricolo ha subito una profonda trasformazione. "Coloro che lo hanno conosciuto prima della legge sulle terre del 2001", ha dichiarato l'ex ministro dell'Agricoltura Iván Gil, "sanno che è un settore costituito da lavoratori agricoli che lavorano per grandi aziende. Da allora l'ascesa sociale dei contadini è stata spettacolare". Dal 2001 sono stati regolarizzati più di 7 milioni di ettari – avendo i contadini ottenuto i titoli di proprietà - e 3,5 milioni di ettari prelevati dal "latifondo". Un milione di nuovi ettari sono stati messi in produzione [1]. Questo, naturalmente, non risolve tutti i problemi. "Dopo una crescita sostenuta fino al 2008, il paese ha sofferto una siccità disastrosa dal 2008 al 2010, ha cominciato a riprendersi dal 2011, per ottenere una produzione significativa nel 2013 e nel 2014, quindi le difficoltà nel 2015 e nel 2016 poiché l'agricoltura è molto sensibile alle variazioni economiche nazionali. Sono quelli che dipendono dai fertilizzanti e da fattori produttivi importati che soffrono di più". I grandi proprietari tradizionali che sentiamo lamentarsi.

Tuttavia, grazie agli investimenti di Chávez, il mondo agricolo è quello che regge meglio la guerra economica. Infatti, sono i piccoli produttori nazionali che riforniscono il paese di prodotti alimentari.

Se tra i cibi che scompaiono ci sono i venti alimenti più consumati dai venezuelani, sono quelli prodotti dal settore agroindustriale, dove il capitale controlla la tecnologia e la trasformazione delle materie prime in prodotti elaborati. "Oltre ad essere molto consumati - osserva Curcio - la loro produzione e distribuzione sono concentrate in poche mani: quelle dei monopoli e degli oligopoli nazionali e internazionali". Vale a dire solo il 10% delle aziende private, ben sapendo che il potere di queste ultime è ancora più grande quando si tratta di prodotti molto difficili da sostituire, come ad esempio alimenti e medicinali. Oppure, in un altro settore, i pezzi di ricambio per veicoli, macchinari e attrezzature.

Gli studi quantitativi dimostrano che sia la produzione che il consumo dei prodotti assenti nel mercato sono rimasti relativamente stabili dal 2012. Inoltre, le importazioni totali nel 2014, in piena crisi delle "guarimbas", sono state del 91% superiori rispetto al 2004. "C'è un trucco!", potrebbe dire qualcuno.

In questo Venezuela ormai deprivato di tutto, tonnellate di cibo e di altri prodotti giacciono negli hangar, da dove sono diretti verso canali illegali. Ci accontenteremo qui di una manciata di esempi raccolti quotidianamente dalla stampa venezuelana - inclusa quella d'opposizione. Il 18 ottobre 2013 (qualche settimana prima delle elezioni municipali dell'8 dicembre) a Maracaibo, la polizia bolivariana ha sequestrato 10 tonnellate di zucchero, 3,5 tonnellate di riso, 1,5 tonnellate di farina di grano, 4.500 litri di olio, ecc., nascosti in un deposito del grande supermercato Súper tienda Caribe. Il 5 febbraio 2014, nel Táchira, un'operazione dei servizi è riuscita a recuperare da parecchi hangar... 939,2 tonnellate (!) di alimenti di prima necessità sovvenzionati dallo Stato e sottratti al mercato (648 tonnellate di riso, 246 di zucchero, 37 di grano, 2 di burro, 54.000 litri di olio, 300 chili di caffè, ecc.).

L'arrivo di altre merci è stato opportunamente sabotato. Il 14 luglio 2016, nel porto di La Guaira, grazie all'avvio della "Grande missione di approvvigionamento sicuro", un'ispezione ha permesso di scoprire 81 container abbandonati. Destinati tanto a imprese private quanto ad amministrazioni pubbliche, erano pieni di prodotti per l'igiene personale, computer, stampanti, fertilizzanti per l'agricoltura e prodotti chimici necessari alla produzione di medicinali.

Il 31 agosto 2016, 57 tonnellate di carne, pollo e pesce, in decomposizione sono state trovate presso le strutture di Biangi Mar e di Avicomar C.A., situate a Los Teques (Stato di Miranda). Lo stesso fenomeno si è verificato nel mese di giugno, quando Distribuidora y Procesadora de Huevos Ovomar C.A. ha abbandonato in una discarica di Santa Cruz (Stato di Aragua) tre milioni di uova stoccate dall'ottobre precedente.

Casi estremi gli ultimi tre, giacché i circoli padronali hanno tratto lezioni dallo "sciopero generale" del dicembre 2002-gennaio 2003. In quell'occasione, mentre si erano registrati i livelli storicamente più bassi di produzione dal 1999, il settore pubblico aveva visto diminuire i propri ricavi del 12% e quello privato del... 15%. Ed era quest'ultimo che, al momento, più soffriva del suo brillante sabotaggio dell'economia!

Non si deve ripetere lo stesso errore. Le merci che erano scomparse dal mercato per rendere impossibile la vita della popolazione dovevano tuttavia ricomparire, ma dopo mille deviazioni, mille tormenti e a un prezzo allucinante.

Un ritorno alla legge della giungla. Sottratti su larga scala dal mercato formale, i prodotti a prezzo regolamentato finiscono nelle mani di quelli che vengono chiamati "bachaqueros", rivenditori informali che, nelle strade, nei mercati comunali, nei luoghi più improbabili, vendono le materie prime gonfiando i prezzi – cosa che, come effetto collaterale, fa crescere l'inflazione. I grandi imprenditori hanno dato l'esempio, i subalterni seguono la scia. Sia per spirito lucro che per ragioni puramente politiche, le piccole imprese, farmacie, piccoli supermercati si gettano in questo traffico. Per aumentare i profitti, deviano le loro merci al "bachaqueo", per poi alzare le braccia al cielo dinanzi ai consumatori lamentando ritardi nelle consegne o mancanze dovute al governo.

Per definizione, su disordini di questo tipo, si innesta e proliferano le mafie. Mentre code impossibili si formano sin dall'alba davanti alle saracinesche dei negozi, gruppi di delinquenti organizzati appaiono al momento dell'apertura e occupano con forza le prime posizioni o fanno passare prima i loro "protetti", che poi si dedicheranno loro stessi al "bachaqueo". Tutto sotto l'occhio talvolta impassibile delle forze dell'ordine - polizia municipale, nazionale o guardia nazionale.

Che una parte della popolazione povera si dedichi all'acquisto massiccio di beni di prima necessità per poi rivenderli ai poveri a prezzi moltiplicati per cento, lascia abbastanza esterrefatti. I quindici anni di pedagogia rivoluzionaria del defunto Chávez non hanno prodotto frutti? "Ci ha anche sorpreso", ci confida uno dei nostri interlocutori. "È necessario uno studio sociologico per capire perché questa lebbra si sia sviluppata, allorché un certo numero di bisogni oggettivi della popolazione erano stati risolti. Questo fenomeno, iniziato localmente, avrebbe dovuto essere trattato immediatamente come un problema di ordine pubblico. È stato sottovalutato, gli è stato permesso di crescere e, mentre la crisi economica si aggravava, ha fatto sempre più adepti, poiché la gente ha visto in questa attività un mezzo per aumentare il proprio reddito. Ma in un primo momento non era spontaneo. C'è stata una deliberata intenzione di sabotare le reti della distribuzione".

E solo quelle. "Le cifre fornite dalle stesse aziende private dimostrano che la produzione alimentare non è diminuita", osserva Curcio. E' il caso del precotto di farina di mais, l'alimento più solitamente consumato dai venezuelani. Dal 2013, si trovano ad affrontare le più estreme difficoltà per ottenerlo. Tuttavia, statisticamente, il suo consumo rimane ai livelli abituali. E sia Alimentos Polar - il primo produttore alimentare del paese, ma che non produce un ettaro del cereale in questione - che le aziende che si spartiscono il restante 50% del mercato hanno mantenuto i loro livelli di importazione/produzione. Comportamento che si ripete per tutti gli alimenti fuori portata a causa del "disapprovvigionamento".

Così, l'8 gennaio 2017, la polizia era in grado di sequestrare 3 tonnellate di farina di mais precotto in un residence di Barcellona (capitale dello Stato di Anzoátegui). Denunciati dai vicini esasperati, i due speculatori arrestati, recidivi, rivendevano questa merce diventata introvabile a dieci volte il suo valore a prezzo regolamentato.

Il 17 marzo 2017, in Avenida Baralt, nel centro di Caracas, il panificio di Maison Bakery è occupato da un gruppo di abitanti del distretto, poi requisito dallo Stato. Per un certo tempo i clienti avevano chiesto che i prezzi regolamentati fossero rispettati. Lo stabilimento riceveva la farina sovvenzionata, ma offriva ai consumatori - quando accadeva - solo pagnotte più piccole, passate da 180 a 140 grammi per lo stesso prezzo.

Con gli Stati Uniti, il Canada e l'Argentina, il Venezuela è il paese del continente che consuma più pane, dunque grano, cereale che, a causa del suo clima e della sua storia, praticamente non viene prodotto. Chi importa il grano dai mercati internazionali? Lo Stato venezuelano. Una volta giunto nei porti, attraverso Casa, una società pubblica, il grano è fornito a dodici impianti per la macinazione privati - i quattro più importanti dei quali controllano il 78% del mercato: la multinazionale Cargill (27%), la messicana Monaca (26%), Mocasa (15%) e Molvenca (10%).

Il presidente di Cargill Venezuela, Jon Ander Badiola, presiede anche la Camera venezuelano-americana di commercio e dell'industria (Venamcham), che, come suggerisce il nome, rappresenta gli interessi delle società statunitensi nel paese; su Monaca, va ricordato che il sindacato dei suoi dipendenti ha presentato una denuncia nell'aprile 2016 e chiesto un'indagine sulla sorte di 550 tonnellate di grano presente negli inventari della società, ma non trovato nei magazzini; il presidente di Mocasa, Giovanni Basile Passalacqua ha il dubbio privilegio di apparire nei "Panama Papers" per due dei suoi affari, Gold Lake LLC e Diamond Lake LLC, registrati nel paradiso fiscale del Nevada (Stati Uniti); Molvenca appartiene al multimilionario italiano Giuseppe Sindoni [2]. Tutti ardenti "difensori del popolo", chiaramente.

"La verità è che non abbiamo materie prime", dichiarava lo scorso marzo José Sanchez, portavoce di Fevipan, la federazione del settore. "Il Venezuela ha bisogno di 120.000 tonnellate di farina al mese. Il governo ci fornisce solo 30.000 tonnellate". Segue quindi il refrain universalmente noto: "Purtroppo non ha la valuta necessaria per acquistare la farina di cui il paese ha bisogno".

Naturalmente c'è verità e verità. Succede, a volte e puntualmente, che il Venezuela manchi di questa materia prima, è un dato di fatto. "Il governo ha annunciato ieri che è in procinto di comprare il grano dalla Russia", ci è stato detto il 19 maggio. "E' interessante. Tuttavia, il problema non è la quantità importata, ma come viene distribuita la farina dopo la trasformazione". In realtà, è durante questo passaggio che viene organizzata la scarsità. Sviando le tracce e mantenendo in apparenza le mani pulite, gli impianti per la macinazione di cui sopra delegano a terzi la distribuzione della merce ai subappaltatori. La maggior parte delle diecimila panetterie del paese non viene rifornita regolarmente. Altre, con forte potere economico e legate a certe mafie, ricevono più merce del necessario, rivendendo a un prezzo elevato, ma con una tempistica del tutto casuale, parte del loro superfluo a quelli che ne sono privi. D'altra parte possiamo vedere - come abbiamo visto – sulle vetrine di un certo numero di rivendite cartelli con su scritto "Non c'è pane". Curiosamente, i loro banchi sono ricolmi di torte, brioches, "cachitos" (pane farcito di prosciutto e formaggio), sandwich e pizze. Venduta a prezzo più caro, questa produzione secondaria compensa le perdite dovute alla mancata produzione del pane tanto atteso dalla popolazione. Popolazione che vede la sua vita trasformarsi in calvario, tra privazioni o tempo trascorso in fila.

Da qui l'annuncio del presidente Maduro, lo scorso marzo, dell'apertura di un centinaio di panetterie popolari, sotto la responsabilità dei Comitati locali per l'approvvigionamento e la produzione (CLAP).

Note

1. Ciò si riflette nei risultati elettorali: mentre il Chavismo è indietreggiato nelle città, il sostegno alla rivoluzione resta intatto nel settore rurale.

2. Misión Verdad, Caracas, 13 febbraio 2017.

(continua)


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