Alhelí González Caceres [1], Adelante, rivista teorica del PC del Paraguay | adelantenoticias.com
Traduzione a cura di Giaime Ugliano
07/08/2024
Gli unici che non vedono questo tradimento sono quelli che non vogliono vederlo, quelli per cui non è conveniente vederlo. Dobbiamo guardare in faccia le cose, chiamarle per nome e dire ai lavoratori la verità. (V.I. Lenin, 1915)
La storia non è una semplice successione di eventi, non si svolge in modo lineare, a volte nemmeno a spirale. Lo sviluppo della storia è più simile a un gomitolo, intricato e complesso da dipanare, con progressi e inversioni di tendenza, ma nessuno di essi si verifica in modi che non possono essere previsti, almeno in una certa misura. A volte, senza considerare il nostro processo storico come umanità, crediamo che ciò che accade in questo piccolo spazio di tempo non sia mai accaduto prima, che sia irripetibile.
Ecco perché questa nota non intende esaurire il dibattito, ma apportare elementi che permettano la necessaria critica rivoluzionaria dei processi politici ed economici che la Nostra America ha vissuto negli ultimi due decenni, ma in particolare, contribuire alla necessaria discussione di ciò che la situazione politica del Venezuela espone oggi. Il testo si intitola "Il fallimento della sinistra internazionale?", non per capriccio ma per il necessario recupero di uno dei testi più rilevanti del leader della rivoluzione bolscevica.
Ne "Il fallimento della Seconda Internazionale" [2], Lenin analizzò le implicazioni pratiche delle decisioni prese dai leader dei partiti socialdemocratici in relazione alla Prima Guerra Mondiale, dove decisero di appoggiare lo sviluppo di una guerra imperialista i cui costi sarebbero ricaduti su tutta la classe operaia internazionale, non solo in termini di costi monetari legati a qualsiasi incursione militare, ma anche in termini di lotta tra gli stessi membri della classe operaia in difesa di interessi a loro estranei. Quali insegnamenti può darci la riflessione di Lenin rispetto a quanto sta accadendo oggi in Venezuela?
È in questa direzione che intende muoversi questo articolo che, avvalendosi degli strumenti teorici forniti dal metodo marxista, cerca di motivare la discussione intorno al carattere dello Stato e al progetto politico ed economico incarnato oggi dal governo guidato da Nicolás Maduro e, di conseguenza, di riflettere sulla posizione che chi di noi si dichiara marxista, comunista, rivoluzionario, dovrebbe avere di fronte all'attuale processo bolivariano.
Per questo motivo non inizieremo a discutere di questioni che si riferiscono alla sfera della mera legalità borghese, come nel caso della presenza o meno di brogli nelle ultime elezioni che hanno dato la vittoria a Nicolás Maduro, ma discuteremo di ciò che è veramente importante: cosa incarna oggi il progetto bolivariano e quale dovrebbe essere la posizione del movimento operaio internazionale al riguardo.
L'alleanza della sinistra con il progressismo: rifiuto del pensiero critico e capitolazione agli interessi della piccola borghesia
Il pensiero volgare implica una visione moralistica e bifronte della realtà, che può vederla e comprenderla solo in termini di "bene" o "male" e con questa premessa costruisce una narrazione il cui asse centrale si trova nella costruzione di un nemico che implica tutto ciò che è "sbagliato" e che, pertanto, deve essere combattuto. Questo si può notare in ogni discorso di Nicolás Maduro, in particolare nell'ultima conferenza stampa tenutasi due giorni fa, in cui ha cercato, attraverso l'uso di analogie bibliche, di giustificare il fatto che il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) abbia esposto ciò che gran parte del popolo venezuelano chiedeva a gran voce di vedere: i registri elettorali.
Sottolineo la questione del pensiero critico perché implica il desiderio di cercare la verità, implica il dubbio di fronte ad affermazioni che vengono presentate come verità inconfutabili, significa la riflessione più profonda, la lentezza nel fare affermazioni e, soprattutto, significa l'impegno incrollabile e la volontà di confrontarsi con l'errore non per condannarlo, ma come condizione necessaria per andare avanti. Questa è la strada seguita dai maestri del socialismo scientifico, nel cui pensiero e nella cui prassi politica sono diventati evidenti l'assimilazione della dialettica e lo sviluppo di un pensiero critico che implica movimento e superamento.
Alleandosi con gli elementi più progressisti delle borghesie locali, la sinistra ha capitolato non solo in termini di principi, ma anche nella pratica di ciò che significava la sinistra socialista-comunista, che nei termini di Marx dovrebbe incarnare la critica più spietata di tutto ciò che esiste. Tuttavia, la sedicente sinistra socialista e, peggio ancora, alcune organizzazioni comuniste della regione, hanno preferito chiudere gli occhi per non vedere. Hanno preferito ignorare e, in molti casi, accusare come "infida e utile all'imperialismo" la classe operaia organizzata che, da sinistra e dagli interessi di classe che rappresenta, ha sollevato critiche profonde e valide, nei confronti dei regimi progressisti che, in questa seconda ondata, stanno diventando sempre meno progressisti.
Si è preferita la solidarietà con i governi, anche se questi non incarnano più il progetto politico-economico che un tempo mobilitava il popolo lavoratore, e non la solidarietà con la classe operaia che, organizzata in misura maggiore o minore, è quella che incarna i processi e sopporta le politiche di aggiustamento che, nel caso venezuelano, vengono attuate dal governo sempre più autoritario e reazionario di Nicolás Maduro.
L'ingannevolezza della retorica antimperialista del governo venezuelano
Per i lavoratori coscienti, il socialismo è una convinzione profonda e non una comoda copertura per nascondere tendenze concilianti, per nascondere un'opposizione conciliante piccolo-borghese e nazionalista. (V.I. Lenin, 1915)
La categoria di imperialismo è stata volgarizzata a tal punto che oggi, svuotata di contenuto, viene usata come jolly per giustificare la repressione della classe operaia quando si organizza per difendere i propri interessi e denunciare la consegna delle risorse agli sfruttatori. L'interpretazione manichea della geopolitica ha portato all'identificazione di "capitalismi buoni" contro "capitalismi cattivi".
L'idea di capitalismi buoni o cattivi non solo rappresenta un passo indietro rispetto all'eredità lasciataci dal metodo marxista per interpretare e trasformare le condizioni materiali della nostra esistenza, ma rappresenta anche la capitolazione della sinistra e dei movimenti rivoluzionari agli interessi della borghesia latinoamericana, il cui Stato non è mai stato smantellato. Stiamo cioè vivendo un periodo in cui la sedicente sinistra rivoluzionaria si trova preda dell'ideologia e della strategia della borghesia locale e straniera.
E se intende davvero assumere il ruolo storico di guida della classe operaia, deve scrollarsi di dosso le vestigia del pensiero borghese per articolare la lotta per il socialismo, e questo richiede l'uso del pensiero critico e dialettico per interpretare la realtà e agire di conseguenza, senza farsi imprigionare dai nostri desideri. Si tratta di capire che i processi sociali sono reversibili e che non sono esenti dall'essere catturati dall'ideologia borghese. Ma per vederlo, dobbiamo superare quella cecità ardente e volontaria che limita la riflessione sullo scenario in cui si sviluppa oggi la lotta di classe, per poi farlo, come direbbe Marx, con la critica più spietata.
Il governo guidato da Nicolás Maduro rappresenta la sintesi del degrado del progetto bolivariano nelle mani degli elementi più autoritari e reazionari, allineati agli interessi economici delle classi dominanti rentier. La retorica antimperialista utilizzata per cercare alleanze con le "sinistre" più o meno incaute è proprio questo, una strategia retorica non conforme alla realtà.
La politica è l'espressione concentrata dell'economia, ci ha insegnato Lenin. In altre parole, la politica economica applicata dai governi può e ci dà informazioni sul progetto politico-economico che essi incarnano. Da questo punto di vista, analizziamo alcuni aspetti della politica economica del governo di Maduro, con l'avvertenza di precisare che non mettiamo la leadership di Hugo Chávez nella stessa posizione di quella di Maduro, al di là della responsabilità del primo nella futura decomposizione del progetto bolivariano.
L'aspetto principale è definire cosa intendiamo per imperialismo, solo così potremo scomporre la politica economica e comprenderla nei termini degli interessi che incarna. Lenin intendeva l'imperialismo come una sorta di stadio o forma assunta dal capitalismo su scala globale nel XX secolo e la cui caratteristica principale è il parassitismo, risultato della decomposizione stessa del capitalismo [3]. Questa decomposizione a cui si riferisce è legata a quella che lo stesso Marx aveva già descritto nel Capitale [4] quando dava conto dei fattori che contrastavano la tendenza alla diminuzione del tasso di profitto.
Tra le caratteristiche di questa fase dello sviluppo capitalistico globale, Lenin ha evidenziato la crescente dinamica di concentrazione e centralizzazione della produzione che si esprime nel ruolo predominante dei monopoli nel mercato mondiale. A ciò segue la crescente rilevanza del capitale finanziario e il ruolo delle banche, la cui fusione con il capitale industriale incarna l'emergere del capitale finanziario e, di conseguenza, dell'oligarchia finanziaria, i cui interessi economici trascendono i limiti del mercato locale. Per l'oligarchia finanziaria l'esportazione di capitale è una condizione necessaria per garantire l'esportazione e la vendita di merci sul mercato mondiale.
Allo stesso modo, Lenin indica come un'altra delle caratteristiche dell'imperialismo la divisione del mondo tra le potenze capitalistiche, ma non nel senso ridotto di "Paesi", bensì di capitali che si espandono e si appropriano delle risorse dei Paesi con capitali meno concentrati e che non incarnano le necessarie condizioni produttive richieste dalla concorrenza. Lenin sottolinea che le grandi imprese monopolistiche che concentrano e centralizzano gran parte del capitale, inizialmente si dividono il mercato interno in cui emergono e, successivamente, dati i limiti ristretti del mercato, si espandono oltre i suoi confini.
In altre parole, l'espansione del grande capitale e l'appropriazione delle risorse nelle economie meno avanzate sono espressione del carattere imperialista assunto non solo da un Paese, ma dall'intera competizione capitalistica su scala globale. In altre parole, il capitale statunitense o europeo è imperialista quanto quello russo o cinese quando si espandono con la stessa intenzione, spinti dall'inerzia del modo di produzione che riproducono. Naturalmente, in termini globali, gli Stati Uniti, in primo luogo, e l'Unione Europea con la Germania a capo, hanno un peso molto più determinante nella soggettività capitalista dominante su scala mondiale, con un'interferenza e un peso militare e culturale molto più potenti e dannosi, compresa la predazione delle risorse naturali.
Lenin sostiene che la divisione del mondo tra le grandi potenze è espressione del dispiegarsi delle relazioni sociali capitalistiche, nella misura in cui il capitale è, in sostanza, globale. Ha bisogno di espandere il mercato per garantire la redditività e il tasso di profitto. Non solo attraverso l'esportazione di merci, ma soprattutto attraverso l'appropriazione di materie prime e forza lavoro che consentono di abbassare i costi di produzione e garantire un tasso di plusvalore più elevato. A questo proposito, Lenin sottolinea [5]:
"I capitalisti non si dividono il mondo trasportati da una particolare perversione, ma perché il grado di concentrazione a cui sono arrivati li costringe a seguire questa strada per ottenere profitti; e se lo dividono secondo il capitale, secondo la forza". (Lenin, 1917)
La critica moralistica del capitalismo come relazione sociale dominante è stata superata dal metodo marxista; cadere in una critica moralistica non solo implica un arretramento scientifico, ma anche l'incapacità di adattare tattiche e strategie in base alla realtà materiale che si osserva. Nel caso venezuelano, il governo di Nicolás Maduro ha ceduto le ricchezze naturali del Venezuela a capitali stranieri, in particolare a capitali cinesi e russi, sotto diversi regimi di zone di libero scambio, esenti da tasse e, naturalmente, anche dal controllo dei lavoratori.
Le politiche arrendevoli e antioperaie del governo venezuelano
La morte di Hugo Chavez può essere considerata un punto di svolta nella traiettoria del progetto bolivariano. Per capirlo, dobbiamo porci due domande fondamentali per andare avanti, la prima è: cosa fare? E la seconda è: con chi?
Tenendo a mente queste due domande, facciamo il seguente esercizio. In ciascuno degli spazi nazionali di accumulazione del capitale, l'economia e con essa i suoi attori principali, sono intrappolati nella logica dell'accumulazione capitalistica globale che esige il rispetto di determinate regole che garantiscono l'investimento del capitale, sia locale che straniero. Nel caso venezuelano, i settori produttivi legati ad aree strategiche come il settore energetico (petrolio e derivati), il comparto minerario, il ferro, l'acciaio, l'alluminio, il trasporto aereo e marittimo, le opere infrastrutturali, ecc. hanno approfondito la loro dipendenza dai grandi capitali transnazionali.
Nella prima assemblea costituente del 1999, il governo guidato da Chávez propose (con successo) che la Repubblica si riservasse il diritto di difendere le attività economiche delle imprese nazionali. Nella Costituzione derivata dalla suddetta assemblea costituente, l'articolo 301 stabilisce, tra l'altro, che lo Stato non può concedere a persone, imprese o organizzazioni straniere regimi più vantaggiosi di quelli stabiliti per i cittadini nazionali. E qui troviamo il primo punto di svolta. Durante il governo di Nicolás Maduro, contravvenendo all'articolo 151 della Costituzione nazionale, si è acconsentito a sottoporre nuovamente le controversie tra lo Stato e le imprese transnazionali ai lodi arbitrali di meccanismi come l'ICSID [Centro internazionale per la risoluzione delle controversie sugli investimenti]. Di conseguenza, nel 2022 un tribunale statunitense ha autorizzato l'esecuzione del lodo arbitrale dell'ICSID in base al quale il Venezuela è condannato a pagare 18,54 miliardi di dollari a Conoco Phillips, più gli interessi [6].
Nel 2017, con la Legge Costituzionale sugli Investimenti Stranieri del 29 dicembre, al capitale straniero viene concessa una serie di privilegi non disponibili a parità di condizioni al capitale locale. L'articolo 22 di tale legge attribuisce ai capitali stranieri condizioni favorevoli per gli investimenti (ciò significa predisporre l'intera struttura statale per garantire il profitto di questi settori), oltre a benefici o incentivi generali o specifici. Tra questi possiamo citare gli sgravi fiscali, l'ammortamento accelerato, l'acquisto della produzione da parte di enti pubblici, gli sconti fiscali, le esenzioni tariffarie e fiscali, le condizioni speciali di credito, le tariffe speciali nei servizi pubblici, l'accesso preferenziale ai fattori di produzione e/o alle materie prime amministrate dallo Stato, il termine di stabilità fiscale o qualsiasi altro beneficio previsto dal Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela [7].
Sulla base di quanto detto, possiamo essere certi che la Legge Costituzionale sugli Investimenti Esteri Produttivi fornisce tutte le garanzie richieste dai capitali stranieri per facilitare il transito di capitali. In altre parole, costituisce una vera e propria massiccia fuga di capitali dall'economia venezuelana. Allo stesso modo, oltre a privilegiare in modo incostituzionale i capitali stranieri, l'articolo 6 di questa legge consente di sottoporre a tribunali stranieri (come l'ICSID) le controversie che sono già state risolte da una sentenza definitiva dei tribunali venezuelani [8]. L'analogia con questa legge per il caso dell'economia paraguaiana sarebbe la legge 60/90 sugli incentivi agli investimenti e la legge 5542/15 sulle garanzie agli investimenti, promulgate da Horacio Cartes. In che modo questo tipo di leggi vanno a vantaggio della classe operaia venezuelana? Questa è la domanda necessaria.
In questo quadro, il governo di Nicolás Maduro ha concesso a capitali stranieri, in particolare cinesi, cinque Zone Economiche Speciali (ZES), sostenute dalla Legge Organica delle Zone Economiche Speciali [Zonas Especiales Economicas, ZEE] promulgata nel luglio 2022 e che all'articolo 27 e successivi stabilisce il regime di incentivi agli investimenti tra i quali spiccano i seguenti: (a) rimborso dell'imposta sulle importazioni; (b) rimborso fiscale su altre imposte nazionali; (c) i capitali che importano materiali e fattori produttivi di base per lo sviluppo della loro attività godranno di maggiori benefici previsti dalla legislazione doganale. Inoltre, l'ingresso di capitali bancari in territorio venezuelano è consentito nel quadro della legge ZES per sviluppare il settore dei servizi finanziari e sarà soggetto a un regime fiscale eccezionale e preferenziale.
Nel 2014 è stata creata la ZES del Paraguaná nello stato di Falcón per lo sviluppo di un polo tecnologico industriale con la particolarità che la percentuale di produzione internalizzata nel mercato sarà esentata dalle imposte nazionali, oltre ad avere tutte le garanzie fiscali. Tra le garanzie c'è, ad esempio, il rimborso dell'Imposta sul Reddito (ISR) al 100% durante i primi quattro anni, mentre durante il quinto e il sesto anno il rimborso sarà del 75% se l'azienda riuscirà a mantenere un'esportazione del 60% della sua produzione. La legge sulle ZES coesiste con la legge sulle Zone Franche e sulle Zone di Libero Commercio (ovviamente di libero scambio) [9]. Sono abilitate anche le ZES di Puerto Cabello - Morón, la ZES di La Guaira, Margarita e Isla La Tortuga. A queste cinque ZES si aggiungono i Porti Franchi di Santa Elena e Nueva Esparta, le Zone Franche dello Stato di Merida e Paraguaná e le Zone Franche di Paraguaná e Atuja [10].
Per chi non l'avesse ancora capito, il madurismo ha consegnato le risorse naturali, così come la forza lavoro venezuelana, per il loro sfruttamento a capitali locali e stranieri, in regimi preferenziali che implicano la liberalizzazione economica nelle zone stabilite.
Alle leggi che concedono benefici straordinari ai capitali stranieri si aggiunge la cosiddetta "legge anti-blocco", che in realtà non è altro che una legge che promuove la privatizzazione. L'articolo 28, ad esempio, stabilisce che le operazioni di acquisto e pagamento di beni e servizi possono essere effettuate al di fuori del quadro normativo vigente attraverso procedure "eccezionali" studiate dall'Amministrazione. In altre parole, una discrezionalità assoluta che apre la strada ad ogni tipo di abuso e contravvenzione. La legge "anti-blocco" non solo favorisce il capitale locale che opera in territorio venezuelano, ma incoraggia anche il capitale straniero a operare sul territorio. Allo stesso modo, concede al settore privato il potere di generare alleanze con il settore privato (come nel caso della Fede Industrias, ad esempio, e della Fedecámaras, la prima organizzata dal governo stesso e che raggruppa il settore imprenditoriale privato e la seconda, un tempo organizzazione dell'opposizione, ora alleata con il governo). Le disposizioni della suddetta legge mirano alla massiccia ri-privatizzazione o alla restituzione ai presunti proprietari dei beni nazionalizzati, espropriati, confiscati o le cui concessioni sono scadute, anche se tali misure sono passate in giudicato nei tribunali venezuelani [11].
In base alla legge "anti-blocco", il governo Maduro ha iniziato la restituzione di beni e proprietà espropriati durante il governo Chávez. Tra i beni restituiti al settore privato c'è, ad esempio, il centro commerciale Sambil La Candelaria, nel centro di Caracas, di proprietà della famiglia Cohen, una delle più influenti dell'America Latina. Così, sono state restituite (con un indennizzo) due aziende colombiane (Cementera Argos, il cui capitale è di origine statunitense ed è la quarta azienda per l'import di fattori produttivi dopo l'unione commerciale con Summit Materials e Azucarera Ciamsa) che erano state espropriate tra il 2006 e il 2010. In questo processo, la Camera di Commercio colombiano-venezuelana ha svolto un ruolo centrale [12].
Alla politica di inversione degli espropri operata dal governo Chávez, circa 1.630 proprietà, tra cui fattorie, alberghi e più di 50 aziende, completano la lista dei beni da restituire, tra cui ci sono anche aziende gestite dallo Stato che saranno privatizzate. Secondo le dichiarazioni del deputato Luis Eduardo Martinez, vicepresidente della Commissione di Dialogo del partito Azione Democratica, alleato del governo pro-Maduro, grazie alla cui intermediazione si è raggiunta una comunicazione tra lo Stato e le principali camere imprenditoriali[13].
È importante segnalare a questo punto che una delle espropriazioni più rilevanti effettuate dal governo Chávez è stata la nazionalizzazione delle associazioni imprenditoriali operanti nel settore energetico della Cintura petrolifera dell'Orinoco, che contiene il 20% del totale delle riserve petrolifere accertate al mondo.
Durante l'amministrazione Chavez, i lotti per lo sfruttamento del petrolio sono stati assegnati a compagnie transnazionali con la modalità delle joint venture. Tra queste compagnie c'erano Chevron (USA), Rosneft (Russia), Total Energies (Francia), Eni (Italia) e Repsol (Spagna). A seguito delle sanzioni statunitensi, alcune di queste società hanno deciso di abbandonare la fascia di sfruttamento. Tuttavia, nel novembre 2023, gli accordi di sfruttamento sono stati chiusi con compagnie come Repsol, Ecopetrol, China Petroleum e Indian Oil, come risultato dell'Accordo di Barbados, tra il governo Maduro, l'opposizione e gli Stati Uniti. Tuttavia, è importante ricordare che gli Stati Uniti hanno minacciato di riprendere le sanzioni a causa del mancato rispetto degli accordi raggiunti tra il governo e l'opposizione venezuelana guidata da María Corina Machado[14].
Per non parlare dell'attuale società di raffinazione Citgo, il più importante asset offshore venezuelano situato negli Stati Uniti, che sta per essere messo all'asta dai tribunali statunitensi dopo che, nel 2019, Trump ne ha ordinato la confisca come parte del pagamento del debito richiesto dai creditori di PDVSA (Petróleos de Venezuela, S.A., compagnia petrolifera statale venezuelana, ndt), tra cui le banche di Wall Street JP Morgan e Morgan Stanley, e i consulenti e investitori Rothschild & Co. e Elliot Investment Management, oltre a società come Vitol, Centerview Partners, Conoco Phillips e Koch Industries. A questi si sono poi aggiunti gli obbligazionisti della PDVSA (poiché, come si può intuire, il governo venezuelano aveva deciso di emettere titoli di debito garantiti dalla PDVSA). Erano 18 i creditori internazionali che chiedevano la riscossione di circa 21,3 miliardi di dollari. A questo punto è importante ricordare che, nel 2016, il governo di Nicolás Maduro ha lanciato il programma Bono 2020 mettendo come garanzia di pagamento il 51% delle azioni di Citgo e il restante 49% è stato offerto come garanzia di pagamento del credito concesso dalla società russa Rosfnet per far leva sul deficit. Citgo Petroleum Corporation è una delle più importanti società operanti nel settore energetico degli Stati Uniti ed è valutata 13 miliardi di dollari; nel suo portafoglio sono presenti tre raffinerie situate negli Stati del Texas, della Louisiana e dell'Illinois [15].
Quindi, il capitalismo "cattivo" è solo quello capitanato dagli yankee? Per noi comunisti è chiaro che non lo è. I meccanismi di appropriazione delle risorse da parte dei capitali più concentrati ed egemoni adottano le strategie più diverse per impossessarsi delle risorse disponibili nei territori che costituiscono la loro zona di influenza. È chiaro che in Venezuela c'è una rivalità per il controllo delle risorse naturali da parte del capitale statunitense, cinese e russo. La differenza sta nel fatto che il governo venezuelano si è allineato agli interessi di questi capitali, approfondendo la specializzazione produttiva del Paese attraverso un forte dominio del meccanismo del debito.
Il capitale cinese è essenziale per il Venezuela, ma è insufficiente per far ripartire l'economia nel suo complesso. Da qui la necessità di diversificare l'origine dei capitali che operano sul territorio. Il capitale cinese è predominante nei settori primari, in particolare nello sfruttamento dell'oro, del ferro e di altri minerali strategici, oltre che nel settore petrolifero; la sua posizione è predominante anche nell'area militare e della difesa. Allo stesso modo, il capitale cinese ha beneficiato di succosi contratti con lo Stato per sviluppare investimenti produttivi che non si sono mai concretizzati. In un'inchiesta condotta da Reuters Investigates nel 2019, si è scoperto il caso della risiera il cui investimento è stato di 200 milioni di dollari. L'accordo con la società cinese CAMC Engineering Ltda. consisteva nello sviluppo di impianti di riso che avrebbero dovuto generare più di 100mila posti di lavoro, cosa che non è mai avvenuta. Gli unici beneficiari sono stati gli imprenditori cinesi, che hanno ricevuto dallo Stato almeno 100 milioni di dollari per il progetto del riso e almeno il 40% del valore del contratto per gli altri quattro sviluppi produttivi per un totale di circa 1,4 miliardi di dollari per lavori che non si sono mai concretizzati [16].
Da quando Maduro si è insediato, la Banca Centrale del Venezuela non ha pubblicato statistiche ufficiali sull'andamento dell'economia (né sono stati pubblicati altri indicatori socio-economici), quindi non ci sono dati verificabili per determinare i livelli di indebitamento. Tuttavia, alcuni esperti lo collocano tra i 120 e i 200 miliardi di dollari. La Cina è il maggior creditore del Venezuela, dato che, nell'ultimo decennio, buona parte delle esportazioni di petrolio sono state destinate alla Cina nell'ambito dell'attuale accordo in cui i crediti vengono scambiati con il petrolio. Chiunque abbia un barlume di razionalità capisce che il debito è oggi uno dei principali meccanismi di dominio [17].
È noto che il debito è una delle forme acquisite dall'esportazione di capitale. Per Lenin, gli interessi dell'esportazione di capitale hanno lo stesso scopo della conquista coloniale, dato che in questo modo si consolida un certo tipo di relazioni sociali ed economiche. Più esattamente, Lenin riprende l'idea di Hilferding quando sottolinea che "il capitale finanziario non vuole la libertà, ma il dominio [18]". Il pagamento del servizio del debito con la Cina, da solo, assorbe ogni anno tra i 5.500 e i 6.000 milioni di dollari del PIL. Questo, logicamente, ha portato al fatto che, pressati dall'aumento del debito e dalla necessità di rispettare gli impegni internazionali, e di fronte a un'economia al collasso, il cui settore principale (quello petrolifero) si trascina da diversi anni di stagnazione e recessione, sono gli elementi che portano all'applicazione di brutali politiche di aggiustamento il cui peso ricade sulla classe operaia venezuelana.
Non stiamo dicendo che non ci sia una guerra economica o che le sanzioni imposte al Venezuela dall'imperialismo statunitense siano frutto dell'immaginazione. Piuttosto, semplicemente non spiegano da sole la complessità che il progetto bolivariano incarna oggi, né la grave crisi in cui l'economia venezuelana è inghiottita e, ovviamente, il decadimento del progetto politico bolivariano guidato oggi da Nicolás Maduro.
La crisi economica non è solo il risultato delle sanzioni internazionali, anche se queste giocano un ruolo importante. Ciò che deve essere messo in discussione è la politica economica attuata in un'economia che dipende quasi interamente dalle entrate petrolifere, o in altre parole, dalla politica fiscale che è stata applicata nel settore. Che cosa significa? Che ogni variazione del prezzo del petrolio sul mercato finanziario internazionale, non compensata dal volume delle esportazioni, si trasferisce inesorabilmente all'economia nel suo complesso. E da diversi anni la produzione di petrolio sta crollando, come dimostra il fatto che da una produzione di 3.120.000 barili al giorno nel 1998, si è scesi a 732.000 barili al giorno nel marzo 2019 [19].
Come si può notare, il volume delle esportazioni è una delle variabili più critiche di un'economia di rendita come quella venezuelana. I dati dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), esposti nel rapporto 2019, hanno evidenziato che il numero di trivelle attive in Venezuela è andato progressivamente diminuendo nel corso dell'ultimo decennio, diminuendo così la capacità di estrazione del greggio e incidendo sulla produttività dei pozzi. Nel 2016 il rapporto OPEC indicava che in Venezuela erano attive 58 trivelle, nel 2018 il numero si è ridotto a 32 e a dicembre 2019 erano operative solo 25 trivelle, il che ha portato il Venezuela a passare dalla sesta posizione nella lista dei principali produttori di petrolio, al decimo posto, al di sotto di Paesi come Algeria, Libia e Angola [20].
È importante ricordare che il mercato del petrolio è determinato sia dalle rigidità del mercato, incapace di reagire agli squilibri che danno luogo a salti sproporzionati tra domanda e offerta, sia dalle dinamiche geopolitiche e dai movimenti speculativi del capitale finanziario. Tutte queste componenti (per dirla con Jorge Beinstein) fanno parte di un "processo entropico più ampio" che comprende l'economia mondiale nel suo complesso [21] e il cui superamento richiede necessariamente il superamento dell'ordine sociale borghese.
Ed è necessario sottolineare questo punto: ciò che è in crisi in Venezuela non è il socialismo (che non esiste nemmeno in termini di orizzonte) ma il capitalismo di rendita la cui matrice produttiva non è stata superata. Il problema del capitalismo di rendita, come nel caso dell'economia venezuelana e di qualsiasi altra basata sull'appropriazione della rendita fondiaria, è il fatto che esistono limiti fisici all'aumento della produzione, il che porta inevitabilmente a una tendenza alla diminuzione della produzione di commodities e, di conseguenza, a una disputa sempre più grande e molto più brutale per l'appropriazione della rendita fondiaria da parte dei capitali che operano nello spazio nazionale.
Infatti, tra i principali meccanismi di trasferimento del valore dalla classe operaia al capitale c'è il tasso di cambio. Ricordiamo che il governo mantiene una politica monetaria basata sulla svalutazione permanente e sul controllo del tasso di cambio. Il bolivar si è svalutato del 9.411.711.764.705.782%, mentre i prezzi sono aumentati del 1.665.941.969.593%. Solo tra il 2012 e il 2021, il Prodotto Interno Lordo (PIL) ha registrato un calo del 75%, rappresentando il livello di produzione più basso della storia recente del Venezuela. Come già detto, la dollarizzazione de facto si esprime nel fatto che il dollaro ha sostituito il bolivar come moneta di scambio e riserva di valore. Allo stesso modo, il potere d'acquisto della classe operaia è diminuito del 91% tra il 2013 e il 2022; questo deterioramento del salario è stato accompagnato dall'aumento della povertà e della povertà estrema. Oggi, il salario minimo in Venezuela non supera i 7 (sette) dollari, mentre il paniere di base per una famiglia di cinque persone è stimato in 384 dollari e quello alimentare in 192 dollari. Ma la crisi dell'economia venezuelana non colpisce tutti allo stesso modo; al contrario, ci sono anche dei vincitori. Il deterioramento del salario reale ha comportato un aumento dei livelli di profitto per il capitale; più il valore della forza lavoro si deteriora, più il capitale realizza profitti [22].
Le rivoluzioni incompiute e l'esclusione della classe operaia dagli spazi di direzione, controllo e decisione, si traducono in progetti politici ed economici reazionari e regressivi, prodotto dell'inasprimento della stessa lotta di classe. Questo spiega perché il governo di Nicolás Maduro ha adottato politiche di smantellamento delle conquiste della classe operaia e ha sviluppato un carattere sempre più autoritario che si traduce nella persecuzione dei leader sindacali e nella proscrizione dei partiti politici di opposizione, sia di destra che di sinistra, come nel caso del Partito Comunista del Venezuela (PCV), vittima dell'intervento del PSUV, del dirottamento della suo simbolo elettorale e dell'assassinio di sei suoi militanti durante il suo governo.
In particolare, nel maggio 2023, il Comitato Centrale del PCV ha denunciato il fatto che i militanti del PSUV, sotto la guida di Maduro, hanno tenuto un falso congresso per promuovere il suo intervento nel PCV, come parte di una nuova fase della politica di aggressione già iniziata dopo l'approfondimento della linea di scontro tra il governo e il PCV derivante dalle politiche antioperaie, antipopolari e antinazionali. Nel 2018, nell'ambito della Conferenza nazionale, Nicolás Maduro aveva firmato un impegno con gli attivisti comunisti che non è mai stato attuato, anzi, dopo quelle elezioni (e dopo aver sventolato la bandiera comunista), Maduro non ha mai più concesso un solo incontro alla leadership del PCV. Insieme al mancato rispetto dei 19 punti contenuti nell'accordo, sotto la guida di Diosdado Cabello è stata portata avanti una linea di censura, assedio mediatico, persecuzione, incarcerazione e sparizione dei militanti comunisti che non si allineavano al governo del PSUV, finanziando con risorse pubbliche la formazione di gruppi mercenari, per spacciarli come "militanti" [23].
Il regime madurista è stato caratterizzato da autoritarismo, persecuzione e politiche di aggiustamento che hanno smantellato quel poco che rimaneva del progetto bolivariano promosso da Chávez. Lo sfacelo morale e ideologico del madurismo si è espresso nella proscrizione della sinistra, che non ha potuto presentare candidature che rappresentassero realmente gli interessi della classe operaia. Organizzazioni come Tupamaros, Marea Socialista, Partido Socialismo y Libertad, Corriente Patria para Todos, Movimiento Popular Alternativo e il Partido Comunista de Venezuela non hanno potuto partecipare alle elezioni a causa delle restrizioni alle più minime libertà democratiche.
A livello materiale, la classe operaia venezuelana si trova ad affrontare carenze, iperinflazione, una dollarizzazione de facto dell'economia e un livello salariale in crollo che non copre le necessità minime per garantire la propria sussistenza. Le politiche economiche attuate da Maduro hanno portato a una migrazione senza precedenti, generando una delle più grandi crisi migratorie della regione, con oltre 7,7 milioni di rifugiati, di cui 6,5 milioni accolti nei Paesi della regione, come risulta dalle statistiche dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) [24].
Ed è proprio per tutto questo che non possiamo stare su una linea di difesa del progetto politico-economico dell'attuale governo venezuelano che, negli ultimi anni, non solo non ha mostrato alcun segno di intenzioni di smantellamento dello Stato oligarchico borghese e di superamento del carattere di rendita della sua economia (né tantomeno del modo di produzione capitalistico).
Piuttosto, fondamentalmente, ha attuato politiche di aggiustamento che hanno peggiorato le condizioni materiali di vita della classe operaia venezuelana. Allo stesso tempo, ha sistematicamente diviso e indebolito l'organizzazione della classe operaia, disciplinando e ordinando la vita politica secondo gli interessi delle classi dominanti, al punto che oggi non esiste un progetto politico-economico sufficientemente coeso e forte da poter contestare da sinistra il corso della formazione sociale venezuelana.
Tra l'insieme di misure economiche che mostrano il carattere regressivo del governo, possiamo segnalare la politica salariale che ha distrutto i salari, i contratti collettivi di lavoro e smantellato i diritti dei lavoratori sia nel settore pubblico che in quello privato. Le politiche di liberalizzazione economica a vantaggio dei capitali locali e stranieri, che si traducono nelle diverse leggi sulle zone economiche speciali, libere e gratuite, così come la legge sulle maquilas (legge sulle imprese straniere, ndt), tra le altre, fanno parte di queste misure.
A questo punto, per non dilungarci oltre (anche se potremmo), ciò che si può osservare oggi è la sconfitta politica e ideologica della sinistra, l'assenza di un progetto politico ed economico di classe, insomma, indipendente. Insomma, il fallimento di una sinistra "progressista" che si copre gli occhi per non vedere. Ciò che resta alle forze che si dichiarano rivoluzionarie è l'allineamento e la solidarietà illimitata con la classe operaia venezuelana organizzata e in lotta contro l'offensiva del capitale, incarnata oggi nel governo di Nicolás Maduro, nella Mesa de la Unidad Democrática guidata da attori nefasti come Maria Corina Machado che, tra l'altro, si contendono la rendita del petrolio.
Le forze che si dichiarano rivoluzionarie, di sinistra, devono liberarsi e porre fine al patto politico, strategico e ideologico con la piccola borghesia "progressista" per passare alla difesa degli interessi della classe operaia perché, chiunque governi, gli interessi di classe saranno difesi.
Note:
[1] Economista. Master in Scienze sociali con specializzazione in Sviluppo e ricerca sociale. Dottorando in Economia. Membro della Società di Economia Politica del Paraguay e della Società di Economia Politica dell'America Latina e dei Caraibi. Membro del gruppo di lavoro CLACSO Crisi ed economia mondiale. Militante del Partito comunista paraguaiano e membro del Comitato centrale. Segretario nazionale di Ideologia e Formazione. E-mail: caceresalheli06@gmail.com ︎
[2] Lenin (1915). Il fallimento della Seconda Internazionale. Accessibile all'indirizzo: https://goo.su/iuN6a ︎
[3] Lenin (1917). L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Accessibile all'indirizzo: https://goo.su/fZlBKU ︎
[4] Marx (2009). Il Capitale. Critica dell'economia politica. Volume III. Libro terzo. Il processo globale di produzione. Buenos Aires: Editorial Siglo XXI. ︎
[5] Ibidem.
[6] Britto, L. (2023). Nuove basi giuridiche dell'economia venezuelana. In Curcio, P. Dibattito sull'economia venezuelana. Pp. 145-156. Caracas: Universidad Simón Bolívar, Instituto de Altos Estudios de América Latina. ︎
[7] Ibidem. ︎
[8] Ibidem. ︎
[9] Governo di Falcón (03 agosto 2024). Zona Economica Speciale del Paraguaná. Un nuovo scenario che si apre ai Caraibi. Accessibile al seguente link: https://goo.su/cPrVQsL ︎
[10] SENIAT (03 agosto 2024). Regimi territoriali speciali in vigore in Venezuela. Accessibile al seguente link: https://goo.su/PsmbY95
[11] Britto, L. (2023). Nuove basi giuridiche dell'economia venezuelana. In Curcio, P. Dibattito sull'economia venezuelana. Pp. 145-156. Caracas: Universidad Simón Bolívar, Instituto de Altos Estudios de América Latina. ︎
︎[12] Infobae (05 agosto 2024). Régimen de Venezuela indemnizará a dos empresas colombianas que fueron expropiadas por el chavismo(Il regime venezuelano risarcirà due aziende colombiane espropriate dal chavismo). Accessibile su https://goo.su/iUihI ︎
[13] Tal Cual (05 agosto 2024). Maduro inverte la "espropriazione" di Chávez restituendo le aziende. Accessibile su https://goo.su/W7aiRY ︎
[14] El País (05 agosto 2024). Il Venezuela raggiunge accordi con una mezza dozzina di compagnie petrolifere internazionali dopo la fine delle sanzioni. Accessibile su https://goo.su/SqzMr ︎
[15] La Izquierda Diario (05 agosto 2024). Rapiña imperialista. Perché la compagnia venezuelana Citgo è alle porte di un'asta imposta. Accessibile su https://goo.su/34apZi
[16] Reuters Investiga (05 agosto 2024). Esecuzione ingannevole. Come un'azienda cinese ha raccolto milioni mentre la fame cresceva in Venezuela. Accessibile su https://goo.su/uw5vP ︎
[17] France 24 (03 agosto 2024). Nicolas Maduro guarda alla Cina per trovare soluzioni alla crisi economica del Venezuela. Accessibile all'indirizzo: https://goo.su/Rah1rA ︎.
[18] Encyclopédie de l'énergie (03 agosto 2024). Venezuela: Il petrolio e il socialismo del XXI secolo. Accessibile a: http://surl.li/ajfcua ︎
[19] Ibidem. ︎
[20] El Periódico (03 agosto 2024). Seis razones que explican la decadencia petrolera venezolana (Sei ragioni per il declino petrolifero del Venezuela). Accessibile all'indirizzo: https://acortar.link/r3ZBTw
[22] Curcio, P. (2023). Le contraddizioni economiche della rivoluzione bolivariana. In Curcio, P. (ed). Dibattito sull'economia venezuelana. Pp. 221-248. Caracas: Universidad Simón Bolívar, Instituto de Altos Estudios de América Latina. ︎
[23] People's World. The Daily Worker (05 agosto 2024). Venezuela: Il governo cerca di creare un falso PCV subordinato alle sue politiche neoliberali. Accessibile su https://onx.la/60b9c ︎
[24] UNHCR (05 agosto 2024). Situazione in Venezuela. Accessibile all'indirizzo https://onx.la/ee551 ︎
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.
Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.