www.resistenze.org - popoli resistenti - vietnam - 14-12-09 - n. 299

Intervento di Sergio Ricaldone dell’Associazione di amicizia Italia-Vietnam
all’incontro con il Presidente della Repubblica del Vietnam, Nguyen Minh Triet,
il 12 dicembre 2009, presso l’hotel Principe di Savoia di Milano.
 
Signor presidente, signori ministri, cari amici e compagni questa vostra visita in Italia e questo incontro di oggi ci aiuta a riaccendere l’interesse per un paese e per un popolo come il vostro che oggi è diventato, nel giro di pochi anni, una delle locomotive trainanti dell’economia e un paese di punta della comunità di Stati del sud est asiatico che fanno parte dell’ASEAN.
 
Ma il legame che ci lega al Vietnam ha radici, motivazioni e dimensioni ben più profonde di quelle che nascono tra semplici partners commerciali. E i miei sentimenti verso il Vietnam, lo confesso e chiedo scusa, non sono quelli pur rispettabili di un uomo d’affari ma quelli di un comunista che si è sempre ispirato al pensiero di Gramsci e poi a quello di Ho Ci Minh.
 
Per noi il popolo del Vietnam e i suoi grandi leaders rimangono quelli che nella seconda metà del secolo scorso hanno compiuto imprese memorabili diventando il centro della politica internazionale e imponendosi come modello ai movimenti di liberazione che hanno cambiato la geopolitica in continenti come l’Africa e l’ America Latina.
 
A quel tempo c’era chi vi definiva i prussiani dell’Asia per le vostre indubbie virtù militari. Avete sconfitto la più grande potenza militare dell’imperialismo contemporaneo. Ma questo definirvi prussiani mi sembra una evidente manipolazione del vostro ruolo di combattenti per la libertà e l’indipendenza del vostro paese. E’ fuor di dubbio che voi eravate invece molto più simili ai famosi “straccioni di Valmy”, ossia a quel popolo francese che nel 1792 difese la rivoluzione sconfiggendo con i loro corpi la disciplinata fanteria prussiana comandata dal duca di Brunswick. Il vostro eroismo, ispirato dalle geniali intuizioni dell’autore della “guerra di popolo”, ha stupito il mondo e conquistato simpatia e solidarietà di intere generazioni, incluse quelle dell’iperpotenza che vi ha aggredito illusa di potervi schiacciare in qualche settimana sotto il peso dalla sua soverchiante potenza militare.
 
Poi, improvvisamente, quando avete cacciato gli invasori e vinta la guerra, sepolti i vostri milioni di morti e riunificato il paese, qui da noi si è smesso di parlare del Vietnam e siete spariti per 20 anni dalle agende dei leaders politici italiani. Ma non dalla nostra. Anzi quello è stato per noi l’inizio di una lunga amicizia consolidata da ripetute visite e incontri fraterni nel vostro martoriato paese.
 
Sappiamo che quelli sono stati per voi anni terribili, forse i peggiori della vostra storia contemporanea, quando mancava il riso o una banalissima aspirina per curare un semplice raffreddore. Ricordo ancora le desolanti immagini di una sala operatoria situata in uno scantinato di Danang invasa dai topi. Inutile dirvi quale sia il nostro disgusto l’avere udito più volte da influenti personaggi della politica, in apparenza colti e civili, chiedere a voi vietnamiti il “rispetto dei diritti umani”.
 
L’avere saputo resistere per 18 anni a quel micidiale embargo nel più totale isolamento internazionale è stata forse la vostra vittoria più importante. Quella che, come dice Confucio, si vince senza combattere. E questo spiega anche come, in così pochi anni, abbiate trovato la forza di diventare il paese a più alto tasso di sviluppo economico di tutto il sud est asiatico.
 
La vostra storia e le vicende umane del vostro popolo, le vostre battaglie, le vostre sofferenze, sopratutto le vostre vittorie sono un patrimonio immenso che vale sempre la pena di continuare a raccontare. Soprattutto oggi nel pieno di questa devastante crisi mondiale del capitalismo dalla quale stanno emergendo le vere contraddizioni del pianeta. Osserviamo compiaciuti come stiano cambiando le cifre e le tendenze che fino a pochi anni fa separavano i due mondi : da una parte i grandi paesi capitalisti, con la loro ricchezza, il loro benessere, i loro consumi, dall’altra parte i paesi poveri, del terzo mondo, in via di sviluppo. Un abisso tra ricchi e poveri apparentemente incolmabile.
 
Ora questo rapporto tra i due mondi, che sembrava diventato eterno dopo la cosiddetta “fine della storia”, proclamata incautamente dopo la caduta del “muro”, sta cambiando e piuttosto in fretta. E’ quella che gli accademici chiamano eterogenesi dei fini, cioè che certi eventi possono evolvere per fini diversi da quelli che persegue chi li compie. Per fortuna la storia, nella sua razionale dialettica, ha già fatto altre volte di questi scherzi.
 
Alla testa di questo cambiamento, guarda caso, ci sono i paesi governati da un partito e da un sistema che venti anni fa era stato decretato come morto e seppellito sotto le macerie del comunismo novecentesco. E a leggere le cifre di oggi par di sognare.
 
Ricordo che mezzo secolo fa, mentre voi vietnamiti stavate combattendo nella giungla per le vostra libertà noi, in questa parte del mondo, stavamo vivendo, cosi ci raccontavano, il nostro grande miracolo economico con un tasso di crescita del 3% considerato favoloso dai più quotati economisti borghesi. Un miracolo durato molto poco per la verità !
 
Oggi, (di quel “miracolo” non c’è più traccia da decenni) ci ritroviamo nel pieno di una crisi che sta distruggendo milioni di posti di lavoro e riducendo in povertà molte persone di regioni un tempo ricche come il Veneto la Baviera o la California. Questa crisi ha fatto colare a picco il nostro PIL di 5 punti sotto lo zero, mentre voi (lo raccontava l’amico To Hai nei giorni scorsi) siete un pò preoccupati perché il vostro PIL è sceso da 8 a 5 punti, non sotto ma sopra lo zero. E annunciate che nel 2010 la crescita ricomincerà ai vecchi ritmi di prima. Se succedesse qui da noi si griderebbe di nuovo al miracolo ! Ma oggi il tempo dei miracoli a Roma, è finito. I nuovi “miracoli”, senza bisogno di scomodare il Vaticano, avvengono ad Hanoi e sicuramente anche a Pechino.
 
Il che significa, in parole povere, che gli unici paesi che stanno soffrendo meno per questa crisi e ne usciranno molto più in fretta e rafforzati, sono i paesi governati dai partiti comunisti che continuano a guardare con fiducia alla prospettiva del socialismo. Ed è qui, a partire da questa crisi, che le opposte corsie di marcia dei due modelli, quello socialista e quello imperialista, sta mostrandosi in tutta la sua evidenza : in Vietnam e in Cina i poveri stanno diventando sempre meno poveri mentre in queste nostre cittadelle di capitalismo avanzato (e sempre più razziste) succede il contrario e la differenza tra ricchi e poveri sta diventando sempre più abissale.
 
Venti anni fa ci hanno raccontato che il comunismo del 20° secolo era morto e seppellito. Vent’anni dopo, il tempo di un sospiro da punto di vista storico, vediamo invece che il baricentro dello sviluppo mondiale si è spostato per merito dei comunisti dalle sponde euroamericane dell’Atlantico, a quella orientale dell’Oceano Pacifico, o meglio ancora, sulle rive del Mar cinese meridionale.
 
E allora penso che il famoso spettro evocato da Marx 150 anni fa, che all’epoca si stava aggirando per l’Europa, si sta ora materializzando altrove, soprattutto nella lontana Asia, dove una imponente massa di uomini e donne liberi stanno costruendo un futuro di pace e di prosperità.
 
Ed è con questa fiducia nel vostro futuro, signor presidente, che noi continueremo a lavorare per rafforzare i nostri legami culturali, politici e sindacali con il vostro paese.