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da: http://gowans.wordpress.com/2007/03/20/zanu-pf-fights-back/

 

Zimbabwe: lo ZANU-PF lotta ancora

 

Stephen Gowans

 

20-03-2007

 

Su una cosa concordano sostenitori e oppositori del governo Mugabe: è in atto un tentativo di cacciare il presidente, illegalmente ed incostituzionalmente se si riconosce che il piano non è limitato alla vittoria elettorale.

 

Che cosa è avvenuto prima, quindi?

 

I tentativi di rovesciamento del governo ZANU-PF o la dura reazione del governo sull'opposizione?

 

Secondo l'opinione dei media occidentali, la risposta esatta è la seconda. Il governo di Mugabe è innatamente autoritario, avido di potere, e farà qualsiasi cosa - dal rubare le elezioni a fracassare i crani - per mantenere la sua condizione privilegiata.

 

Questa è la tipica menzogna usata da Stati Uniti e Regno Unito contro i capi di governo con cui hanno problemi, da Milosevic, a Kim Jong Il, a Castro.

 

Un'altra opinione è quella che vede l'autoritarismo del governo come un'inevitabile reazione a circostanze che rendono sfavorevole il conseguimento dei propri (non del leader) scopi. Il governo di Mugabe è salito al potere alla testa di un movimento che non solo ha cercato l'indipendenza politica, ma ha anche preteso di fermare la storica spoliazione di terre da parte dei coloni bianchi. Che l'opposizione a tale progetto sarebbe stata dura e spietata era inevitabile, e così è stato.

 

La reazione del governo, se la questione era sopravvivere e realizzare il suo programma, richiederebbe uguale risolutezza.

 

Al centro del conflitto vi è uno scontro tra due diritti: il diritto dei coloni bianchi di godere di profitti e rendite derivanti dallo sfruttamento della terra rubata, contro il diritto dei proprietari originari di tornarne in possesso.

 

Collegata a questo esiste una lotta più grande per l'indipendenza economica, che mette in discussione il diritto di trarre profitto da un accesso senza vincoli al mondo del lavoro dello Zimbabwe, come delle sue risorse, da parte degli azionisti delle società straniere, contro il diritto del popolo di questo paese, di limitarne il più possibile l'azione al fine di facilitare il proprio sviluppo economico.

 

La controversia della personale motivazione politica come base per le calunniate azioni del governo ricorre nei dibattiti con lo scopo di capire se questo leader o movimento, invece di quell'altro, dovrebbero essere sostenuti o combattuti. Da un punto di vista personale tutti i leader sono corrotti, dediti alla gloria personale, a potere e ricchezza, disonesti manipolatori delle persone di cui si dichiarano paladini. Il punto di vista politico non nega la prospettiva personale come una possibilità, ma tiene conto che il comportamento di un leader è subordinato agli obiettivi politici.

 

Anche George Bush, che arma le elezioni e manipola le notizie per stare in carica, chiaramente gode nell'essere "il presidente di guerra che adempie ad un particolare programma con fervore messianico", rileva Richard Levins. "Egli non proteggerà mai l'ambiente, non garantirà sanità e istruzione gratuita per tutti, e mai separerà lo stato dalla chiesa, l'unico suo interesse è restare in carica." (Progressive Cuba Bashing, Socialism and Democracy, Vol. 19, No. 1, March 2005).

 

Mugabe è criticato per aver accelerato il processo di riforma agraria sotto la spinta di una popolazione divenuta irrequieta ed impaziente a causa del cristallizzato processo di ridistribuzione concesso in base all'accordo di Lancaster House. I suoi detrattori dichiarano, inamissibilmente, che Mugabe non si impegna a fondo nella riforma agraria, e che fa solamente quello che è necessario per restare nel potere.

 

Se accettiamo questo come vero, diciamo quindi che il comportamento del governo è subordinato ad uno degli obiettivi originari del movimento di liberazione (la riforma agraria) e che la questione personale è irrilevante. Non importano le motivazioni personali dei leader del governo, perché quest'ultimo è condizionato dagli obiettivi del movimento di liberazione nazionale.

 

Non c'è nessun dubbio che Mugabe abbia reagito duramente alle recenti provocazioni dell’MDC, o che il suo governo sia stato provocato intenzionalmente. Ma la domanda giusta non è quella se colpire Morgan Tsvangirai sulla testa fosse eccessivo, ma se il divieto di riunioni politiche in Harare, che l'opposizione violò intenzionalmente, fosse giustificato. Dipende dalla posizione da cui si guarda, dipende se si pensa che Tsvangirai ed i suoi soci siano semplicemente cittadini seri che tentano di esprimere liberamente le loro idee oppure siano i mandatari dei governi imperialisti che vorrebbero stabilire (ripristinare nel caso della Gran Bretagna) la loro egemonia sullo Zimbabwe.

 

Non c'è dubbio che il governo Mugabe sia in una posizione precaria. L’economia è in ginocchio, e questo è dovuto in parte alla siccità, alla disgregazione causata dalla riforma agraria, e alle sanzioni.

 

I coltivatori bianchi vogliono la cacciata di Mugabe (per rallentare o fermare la redistribuzione), Londra e Washington lo vogliono estromesso (per assicurarsi che le "riforme" neo-liberali siano perfezionate), ed è probabile che anche alcuni membri del suo stesso partito lo vogliano battuto.

 

In prima fila nelle azioni di sabotaggio economico allo Zimbabwe attraverso sanzioni, Londra e Washington hanno dato appoggio finanziario, diplomatico ed organizzativo a gruppi ed individui che sono impegnati nel tentativo di provocare una rivoluzione colorata (un cambio di regime extra-costituzionale) in Zimbabwe. Questi includono, fra gli altri, Tsvangirai e le fazioni dell'MDC.

 

Il tempismo della riunione di MDC era sospetto (coincidente con l'apertura dell’ultima sessione del Consiglio dei Diritti umani dell'ONU). Dipinto in modo flagrantemente falso come un incontro di preghiera, quelli sgombri da pregiudizi lo riconosceranno per quello che era: una riunione politica, tenuta in condizioni d’instabilità, la cui conseguenza sarebbe stata l'insurrezione o la repressione, da usarsi in questo caso per invocare un inasprimento delle sanzioni, sino ad un intervento.

 

Il governo di Mugabe è ad un bivio: capitolare senza alcuna possibilità di mantenere ciò che l'indipendenza dello Zimbabwe ha assicurato con un costo considerevole, o lottare ancora.

 

È probabile che alcuni deplorino i metodi usati, ma in considerazione delle azioni e degli obiettivi dell'opposizione - oltre a tutto quello che è in pericolo - la repressione è stata commisurata e necessaria.

 

Tradotto dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare