www.resistenze.org - popoli resistenti - zimbabwe - 11-03-09 - n. 264

da Michel Collon www.michelcollon.info:80/articles.php?dateaccess=2009-03-03%2017:11:47&log=invites
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura di CT
 
Dieci anni di sanzioni economiche sono abbastanza!
di Aminata D. Traoré, Jean Ziegler, ...
 
Più di 3.000 morti e circa 70.000 malati di colera in Zimbawe, con rischio di contagio ai paesi vicini, non sono serviti per porre fine alle sanzioni economiche che la Gran Bretagna e i suoi alleati infliggono a questo paese dalla fine degli anni ’90. E’ così che il Consiglio di Europa, al termine dell’incontro del 26 gennaio 2009, ha deciso di “prorogare di un anno la decisione comune riguardante le misure restrittive imposte allo Zimbabwe”. Di estrema gravità, un tale provvedimento non può che esacerbare una situazione già caratterizzata da un tasso di disoccupazione (94%) e da un’inflazione tra i più alti al mondo e peggiorare le condizioni di denutrizione di cui soffrono circa sette milioni di persone, di descolarizzazione dei bambini e la fuga di manodopera e di cervelli, che riguarda numerosi insegnanti e personale infermieristico.
 
L’unico torto del popolo zimbabwano, così privato del lavoro, del reddito, dell’acqua potabile, delle cure mediche e del nutrimento, – condannato, insomma, a una reale discesa agli inferi – è di essere diretto da Robert Mugabe la cui destituzione è stata pretesa durante le lunghe settimane di campagna di destabilizzazione e di demonizzazione. L'antica potenza coloniale, gli avversari politici del presidente, oltre che le ONG e i media ufficiali lo accusano di aver rovinato il suo paese, di aver violato i diritti dei suoi cittadini e di aver mantenuto il potere attraverso la repressione degli oppositori e i brogli elettorali. In mancanza delle sue dimissioni, sta per essere portata a termine la spartizione del potere con il suo principale rivale, Morgan Tsvangirai, dopo una trattativa di quattro mesi, nel corso della quale il Presidente del Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC) ha preteso, oltre il posto di primo ministro, il controllo dei ministeri strategici.
 
È contento che la riunione del 30 gennaio 2009 dei paesi membri della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sadc) è sfociata nella risoluzione pacifica che prevede l’imminente creazione di un governo di unità nazionale con Morgan Tsvangirai come Primo ministro. Speriamo che il Presidente Robert Mugabé e lo Zanu-PF saranno all’altezza delle aspettative del popolo che spera che questa crisi diventi solo un triste ricordo!
 
Tuttavia, è importante notare che questo è solo l’inizio di un processo di normalizzazione che, per mettere fine al martirio del popolo zimbabwano, esige la revoca immediata e senza condizioni delle sanzioni economiche che hanno largamente contribuito ad affondare la ex Rhodesia del Sud in una situazione così drammatica. Questa lettura del dramma zimbabwano, visto dalla prospettiva delle misure punitive che affamano, impoveriscono e uccidono degli innocenti non esonera affatto il Presidente Mugabe e il suo partito dagli errori che hanno commesso. Si tratta di dare una speranza di pace mettendo in luce fatti determinanti ma deliberatamente tenuti nascosti.
 
Bisogna risalire agli Accordi di Lancaster House che, nel 1979, hanno messo fine a quattordici anni di lotta feroce per la liberazione dell’allora Rhodesia del Sud dagli artigli del razzista Ian Smith. Sono stati firmati in un contesto in cui 6.000 proprietari terrieri possedevano 15,5 milioni di ettari delle terre più fertili del paese. Sempre nello stesso periodo circa 4,5 milioni di Neri sopravvivevano a fatica sulle “terre comunali”, per la maggior parte aride, in cui i coloni li avevano confinati da un secolo. L’accordo tra il compratore e il venditore è uno dei principali aspetti delle misure che dovevano cambiare questa situazione. Dieci anni più tardi, la situazione non si era evoluta in maniera apprezzabile poiché i proprietari terrieri bianchi avevano inasprito i prezzi e cedevano solo le terre meno fertili.
Nel 1997, il governo di Tony Blair comunicò ad Harare che non poteva più contribuire finanziariamente al trasferimento delle terre ai Neri, non mantenendo così gli accordi presi, poiché questo danneggiava i proprietari bianchi le cui terre venivano espropriate. Il Presidente dello Zimbabwe, a seguito di questa decisione, ha deciso di confiscare, senza alcun indennizzo, le terre dei bianchi, che da allora hanno promesso la sua rovina. Le sanzioni economiche costituiscono la macchina da guerra finanziaria, economica, sociale e politica e rappresentano la punizione della Gran Bretagna e dei suoi alleati, soprattutto gli USA. Consideriamo che:
 
- Nel dicembre del 2001, il Congresso degli Stati Uniti d’America ha votato il Zimbabwe Democracy and Economic Recovery Act o legge sulla ripresa economica e la democrazia in Zimbabwe. Tra i diversi aspetti, essa prevede l’opposizione degli Stati Uniti a ogni prestito verso lo Zimbabwe e all’azzeramento del credito presso le istituzioni internazionali di finanziamento. Questa legge ha largamente contribuito a far sprofondare il Paese nella recessione economica ed è causa di un’inflazione sempre più vertiginosa.
 
- Nel 2002, l’amministrazione Bush ha avviato un programma chiamato «Governace e democrazia», che prevedeva un fondo di 6 milioni di dollari destinato a sostenere gli oppositori (Mdc, sindacati, gruppi religiosi, Ong, media “indipendenti”)
 
- Durante la campagna di redistribuzione delle terre, gli Stati Uniti si opposero a fornire al popolo zimbabwano gli aiuti del Programma alimentare mondiale (Pam).
 
- Nel 2004, l’amministrazione Bush si è opposta anche all’appoggio del Fondo mondiale per combattere l’Aids per i malati dello Zimbabwe.
 
- Dal 2002, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna spingono l’Unione Europea ad imporre sanzioni allo Zimbabwe, in violazione dell’articolo 98 dell’Accordo di Cotonou firmato nel 2000 tra l’UE e i paesi ACP (Africa, Carabi e Pacifico)
 
- Tutti i fondi messi a disposizione dai paesi occidentali per l’istruzione, la salute e la riqualificazione sono stati sospesi.
 
È sufficiente aggiungere a queste sanzioni le classiche e disastrose conseguenze procurate dai programmi di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale (liberalizzazione, privatizzazioni, bassi salari, peggioramento delle condizioni di vita) e la frequente siccità per comprendere le cause profonde del ristagno dello Zimbabwe. Gli altri paesi africani non sfuggono alla stessa sorte poiché vivono sotto “flebo”, alimentati dai finanziamenti esterni di cui lo Zimbabwe è ora privato.
 
Le sanzioni inflitte a questo paese sono ancor più ingiustificate dal momento che sono imposte da Stati e istituzioni non trasparenti e non democratiche nelle loro politiche in Africa, soprattutto se si considerano le regole del commercio mondiale, le clausole degli accordi di partenariato economico (Ape) o di riammissione dei migranti africani. Essi (gli Stati e le istituzioni) sono illegittimi perché non rappresentativi dei popoli africani dei quali essi calpestano i diritti ma sanno strumentalizzare se servono per la difesa dei loro interessi.
 
Antidemocratiche e criminali, le sanzioni economiche rivelano peraltro la corruzione politica e finanziaria poiché, giudicando i governanti indesiderati, le potenze economiche dissuadono chi tra loro sarebbe tentato di allontanarsi da quella che considerano la giusta via.
 
Sprecati, strumentalizzati e screditati, sono la democrazia, i diritti dell’uomo e il buon governo, poiché le potenze pretendono di esserne i garanti, ma li calpestano ogni volta che li trasformano in temibili strumenti di pressione, di dominazione e di ricatto.
 
Inoltre, è arrivato il momento di privilegiare nel dibattito, riguardante il presente e il futuro dello stato postcoloniale in Africa, la questione centrale ma sovente occultata della gestione delle ricchezze e delle iniziative di cambiamento tra cui la riforma agraria. Oltre la personalizzazione a oltranza del dibattito politico, il Paese di Robert Mugabe è, anche su questo aspetto, un esempio su cui meditare in occasione dell’assalto delle multinazionali alle terre fertili del continente e della grande svendita in nome della crescita e del dio-mercato.
 
Mentre la diagnosi della situazione risulta falsata e le sanzioni economiche mortali per le popolazioni, alcune voci incitano il nuovo Presidente Americano, Barack Obama, a mantenerle a sua volta. Il suo « Yes we can », bisogna ricordarglielo, esige un cambiamento radicale di orientamento e di pratiche riguardanti la politica statunitense in Africa. È di grande importanza che egli giochi nel continente nero, come nel vicino-Oriente, le carte dell’ascolto e della mano tesa invece di proseguire nell’imposizione di sanzioni che, in un modo o nell’altro, non sono che un atto di violenza verso popoli indifesi, disorientati e disinformati.
 
Significa, più concretamente, smetterla con la tesi dell’asse del Bene e del Male di George W. Bush che è costata al mondo l’occupazione dell’Iraq di Saddam Hussein, le barbarie e gli attacchi ripetuti di Israele verso il popolo palestinese, come dimostra l’ultimo attacco alla Striscia di Gaza. In Africa, questa tesi ha conseguenze in paesi come lo Zimbabwe. È nelle questioni economiche, sociali, finanziarie e ambientali globali che gli zimbabwani e i popoli africani partecipano al gioco democratico, su basi diverse rispetto all’avvicendamento e alla corsa alle posizioni strategiche: è questa la vera sfida che devono affrontare i governanti africani, le istituzioni sub-regionali, l’UA e i veri alleati del continente.
 
Si deve ricordare che è pericoloso per l’Africa seguire i consigli dei padroni del mondo oggi coinvolti in una profonda crisi che è sintomo della sconfitta del loro ideale di società, che la tentata moralizzazione non è sufficiente a rendere credibile. Quanto alla legittimità del potere politico in Africa, è necessario sottolineare che esso non risiede solo nelle elezioni, che sono necessarie, ma anche e soprattutto nella volontà e nella capacità dei governanti eletti di negoziare e gestire le ricchezze del continente facendo gli interessi di coloro che li hanno votati.
 
Inoltre, la tregua che sta per essere ottenuta dalla Sadc deve trasformarsi in una pace reale per gli zimbabwani e per tutti gli altri popoli africani e proporre un altro punto di vista su questo paese, la cui immagine è stata notevolmente screditata dalle ipocrisie e dalle menzogne che prevalgono in tutte le analisi riguardanti lo Zimbabwe.
 
Gli intellettuali, gli altri attori della società civile, i politici africani e non che credono che il continente nero non sia un pianeta a parte ma, al contrario, la culla dell’umanità e preda del capitalismo folle e distruttore, devono contribuire a decelerarne e smontarne gli ingranaggi.
 
Per dare un’opportunità di pace duratura allo Zimbabwe noi uniamo le nostre voci a quelle degli zimbabwani, che hanno già sofferto troppo, della Sadc e dell’UA e ricordiamo alla Gran Bretagna, agli USA e all’UE, l’esorbitante costo umano e sociale delle misure punitive inflitte al Paese.
 
- Dichiariamo che l’acqua potabile, il nutrimento e le medicine devono cessare di essere delle armi da guerra.
- Chiediamo la sospensione immediata del blocco che priva milioni di zimbabwani di questi beni indispensabili per condurre un’esistenza umana degna.
 
- Riteniamo che sia profondamente ingiusto e irresponsabile tenere sospese delle vite umane a un accordo politico di spartizione del potere.
 
Si, noi possiamo! È sufficiente smettere di confondere gli interessi britannici, americani e europei con i diritti dei popoli zimbabwano e africani di accesso alla terra, al cibo, all’acqua potabile, alla salute, all’istruzione, al lavoro e al salario.
 
NOUS SOMMES TOUS ZIMBABWEENS !
(Siamo tutti zimbabwani!) 
 
Bamako, 11 febbraio 2009.
 
Firmatari : Aminata D. Traoré (Saggista, Mali) – Jean Ziegler (Sociologo, Svizzera) – Boris Boubacar Diop (Scrittore, Senegal) - Mireille Frantz Fanon (Fondazione Frantz Fanon) – Diadié Y. Dagnoko (nsegnante, Mali) -Demba Moussa Dembélé (Economista, Senegal) – Assetou Founé Samaké (Biologo, Mali) - Bruno Rebelle - Souleymane Koly (Artista - coreografo, Costa d’Avorio)– Hamidou Magassa (Scrittore, Mali) – Christian Koné (Giornalista, Burkina Faso) – Ismaël Diabaté (Pittore, Mali) – Bibi Diawara (Demografo, Mali) – Lucette et Christian Morillon (France) – Mamadou Goïta (Socio-economista, Mali) – Sarah Jane Mellor (Traduttrice Francia/Inghilterra) – Moussa Bolly (Giornalista, Mali) – Valerie Ngo Biem (Cameroon) – Jean Michel Naud (Insegnante, France) – Clariste Soh Moube(Cameroun) – Moustapha Diaté (Economista, Senegal) – Aziz Coulibaly (Contabile, Costa d’Avorio) –Aboubakary Gollock (Eonomista, Canada) –Amadou Gollock (Consulente, Mali)
 
Per prendere parte a questa campagna, scrivere all’indirizzo mail: djenneart@afribone.net.ml