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- proletari resistenti - lavoro - 23-09-09 - n. 287
Disoccupazione in aumento, al 7.4%. Esplode la rabbia da Nord a Sud
di Francesca Mannocchi, Radio Città Aperta
23-09-2009/18:10
Non ha tregua il lungo elenco di morti bianche. Questa mattina un operaio è morto a Brescia e un altro è gravemente ferito dopo la caduta da un'altezza di circa 15 metri. Il drammatico incidente sul lavoro è avvenuto nello stabilimento siderurgico della «Ori Martin» di Brescia. Invece un altro operaio, questa volta di nazionalità marocchina, è morto decapitato a Trento.
E le mobilitazioni per il mantenimento del proprio posto di lavoro continuano ad essere centrali in questo inizio di autunno, anche perché secondo i dati Istat nel 2° trimestre il numero degli occupati è calato di 378 mila unità. Il tasso di disoccupazione è salito al 7,4%, il tasso di occupazione è il più basso degli ultimi quattro anni e il dato tendenziale dell’occupazione è il peggiore dal secondo trimestre del ’94. Anche se la situazione descritta dai media è rassicurante e nonostante le dichiarazioni fiduciose di esponenti del governo, le proteste non si placano. Anzi. Sono forse l’aspetto che attualmente unisce di più l’intera penisola.
L'Ideal Standard di Brescia, azienda che produce sanitari per bagno, dava lavoro a 130 operai ed è occupata da ieri. Gli operai in assemblea all'interno hanno chiuso i cancelli della fabbrica e stilato un comunicato in cui si legge che « All'Ideal Standard di Brescia abbiamo deciso di salvaguardare il funzionamento della fabbrica dopo la dichiarazione dell'azienda di procedere allo spegnimento del forno in funzione da oltre 60 anni. Lo spegnimento significa la chiusura dell'azienda e la dismissione dell'attività produttiva. Contro questa decisione i lavoratori hanno deciso di restare in azienda giorno e notte, salvaguardando gli impianti e la stessa sopravvivenza dell’azienda». Dario Filippini, della segreteria Filcem di Brescia spiega inoltre che ai lavoratori è stato proposto il trasferimento, tra l'altro «in Inghilterra, Bulgaria, Polonia».
Prosegue anche la protesta ad Ascoli Piceno per la vicenda della Manuli: sabato mattina erano circa 1500 i manifestanti che hanno sfilato dallo stadio Del Duca al Palazzo della Prefettura dove sono rimasti per oltre due ore finché una delegazione non è stata ricevuta dal Prefetto. La Manuli ha messo in mobilità 370 operai, e la chiusura dello stabilimento rischia di mettere in ginocchio tutto il territorio piceno oltre che direttamente centinaia di famiglie. Il Gruppo Manuli sarebbe disponibile a chiedere la cassa integrazione per i 376 dipendenti dello stabilimento in alternativa alla mobilità e quindi alla cessazione dell'attività produttiva. Lo sostiene l'assessore regionale al lavoro delle Marche, Fabio Badiali, che ieri ha guidato una delegazione istituzionale e sindacale che ha incontrato a Roma, al Ministero dello sviluppo economico, rappresentanti dell'azienda. Per Badiali si tratta di 'un passo in avanti', che potrebbe aprire uno scenario futuro migliore, per la fabbrica di tubi in gomma operante nell'ascolano da quasi 40 anni. Vedremo.
Cresce poi a Napoli l’esasperazione per il mancato arrivo degli assegni della cassa integrazione agli operai Fiat di Pomigliano. Si dice che “le pezze, anche se a colori, sempre pezze restano”. In questo caso la “pezza” è l’integrativo alla cassa integrazione che la Regione Campania ha varato a Maggio per gli operai del settore auto e successivamente esteso ad altre unità produttive colpite dalla crisi. Quell’integrazione al reddito (350 euro netti per i primi due mesi; 240 per i restanti 6 e poi niente) si è fermato però già dopo il pagamento delle due prime tranche: maggio e giugno.
Su quei soldi i circa 4.500 operai della Fiat (cui si aggiungono le 2.500 unità del bacino di Prato la Serra e le 5.000 dell’indotto) ci contavano. «A Pomigliano c’è rabbia — afferma Giannone, delegato sindacale della Fiat di Pomigliano - Le ‘‘borse’’ mensili di luglio, agosto e settembre non sono arrivate. L’iniziativa della Regione nelle intenzioni è ottima, ma nell’applicazione un colabrodo». Giannone spiega infatti che la Regione ha usato moduli telematici per gestire le richieste e molti operai non usano il computer «Quel che è mancato-dice- è un ‘‘ufficiale di collegamento’’ tra la Regione e lo stabilimento».
Ieri le proteste sono esplose anche a Livorno: 170 lavoratori della Delphi, in cassa integrazioni ormai da addirittura tre anni dopo la chiusura del loro stabilimento di componentistica auto trasferito in Polonia dall’omonima multinazionale USA, sono infatti scesi in strada bloccando per ore l’Aurelia per richiamare l’attenzione di Governo centrale, istituzioni, città sulla loro vertenza. A loro si sono uniti gli operai della Giolfo&Calcagno, a loro volta in cassa integrazione dopo l'annuncio della cessazione delle attività da parte del gruppo che ha stabilimenti anche a Genova e a Bari e una delegazione di lavoratori della raffineria Eni, reduci dalle loro proteste eclatanti che hanno portato al fermo della raffineria, poi superato, grazie all’incontro al ministero dello sviluppo che ha aperto un confronto, sotto la supervisione del governo, tra Eni, sindacati e istituzioni sulla vendita dell’impianto.
Buone notizie invece dal fronte giudiziario, sono stati infatti rinviati a giudizio, dopo un’istruttoria di sette anni, sette ex dirigenti della Solvey di Ferrara, azienda chiusa nel 1998, accusati di non aver tutelato due operai dall’esposizione al cvc, cloruro vinile monomero. I due operai sono Michele Mantoan e Cipro Mazzoni, ex dipendenti del complesso chimico, colpiti da epatocarcinoma, un tumore maligno del fegato. La malattia "sembrerebbe essere connessa alla prolungata esposizione al Cvm - componente utilizzato per la produzione di Pvc (cloruro di polivinile) lavorato dalla Solvay" afferma Legambiente . La complessità della vicenda, sottolinea Legambiente, "rende necessario il dibattimento processuale, per fare chiarezza sulle possibili responsabilità dell’azienda riguardo ai tumori contratti dagli operai che vi lavoravano". Oltre a Mantoan e Mazzoni, "ad accusare malori furono altri 65 ex operai, ma per loro le posizioni sono state stralciate per decorrenza dei termini di legge". Soddisfatto della decisione del tribunale di Ferrara, Luigi Rambelli, presidente di Legambiente Emilia-Romagna, perché "viene riconosciuta la possibile correlazione tra il tumore di cui soffrono i due operai, e l’esposizione alle polveri di cloruro vinile monomero. E’ un importante passo avanti verso il riconoscimento dei diritti dei lavoratori”.