www.resistenze.org - proletari resistenti - lavoro - 12-02-10 - n. 306

da nuova unità n. 1/2010
 
Intervista con gli operai e operaie della cooperativa della Fiege-Borruso di Brembio (Lodi), il giorno dopo le violenze poliziesche
 
a cura di Michele Michelino
 
ERMIR GREMI (Albania), operaio arrestato durante lo sciopero
 
Come è avvenuto il tuo arresto?
Stavamo scioperando tranquillamente per difendere i nostri diritti perché ci volevano licenziare tutti e a un certo punto le forze dell’ordine hanno caricato senza motivo gli operai, picchiando uomini e donne. Così mi sono saltati addosso, mi hanno messo le manette, trascinato per terra e portato via.
 
Quando ti hanno arrestato come ti hanno trattato in questura?
Non posso dire di essere stato in paradiso però, più o meno, mi hanno rispettato.
 
Cosa pensi della solidarietà che si è sviluppata intorno alla vostra lotta?
Sono contento che almeno la gente di tutto il paese sono con noi, con la gente che vuole lavorare e vuole i suoi diritti.
 
MARIUS ARGINTARIU (Romania)
 
Quando vi siete seduti per terra attuando la resistenza passiva, cosa è successo?
Sono successe molte cose brutte, la polizia ha cominciato a picchiare per liberare la strada con la forza per far passare i camion. Noi non volevamo niente di più che difendere il nostro posto di lavoro. Eravamo tutti uniti nella difesa del posto di lavoro, è questo che ci ha fatto andare avanti fino alla fine.
 
Su Youtube ci sono le immagini delle minacce e delle violenze delle forze dell’ordine contro di voi al picchetto, che anche la RAI ha trasmesso in tutti i Telegiornali nazionali: come avete fatto a riprenderle?
È stata una signora che era venuta a portare la solidarietà che ha ripreso tutto dall’inizio alla fine, ma non so il nome.
 
Come pensate di continuare la lotta?
Andiamo avanti grazie ai cittadini lodigiani che ci vogliono bene. Noi vogliamo recuperare soltanto il nostro posto di lavoro e basta! Devono darci quello che ci spetta, niente di più.
 
MARCEL BUTNARU (Romania)
Come hai vissuto questa giornata di sciopero?
 
Dopo le cariche della polizia e gli arresti del Cobas e del nostro operaio, siamo rimasti qui davanti a parlare fra noi di quello che era successo, cercando di capire cosa fare. Poi sono arrivati altri operai italiani a portare solidarietà. Noi non ci aspettavamo questa grande solidarietà. Oggi siamo ancora più determinati a lottare per il nostro posto di lavoro, con condizioni come quelle di prima, a tempo indeterminato a 40 ore settimanali. Noi non molliamo e speriamo di vincere questa lotta.
 
TUDOR ARGENTARIU (Romania) che, affiancando Marcel, ha seguito parola per parola.
 
Cosa vuoi aggiungere?
Dobbiamo andare avanti finché non abbiamo conquistato i nostri diritti. Qui lavoriamo in 4 fratelli, tutti insieme, e non vogliamo mollare finché non riconosceranno i nostri diritti. Non abbiamo mollato dopo le manganellate, perché mollare vuole dire perdere tutto quello che ho fatto nella vita, dopo 12 anni di Italia. Per qualche manganellata, non rinuncio ai miei diritti. Io lotto per i diritti per me, i miei fratelli, la mia famiglia con cui vivo qua. Paghiamo i mutui, siamo onesti come tutti i cittadini italiani. Quindi perché devo mollare, per qualche bastonata?! no! Ci hanno bastonato e abbiamo ricominciato di nuovo a lottare, per noi non ci sono problemi, chiediamo solo i nostri diritti, non altre cose.
 
Cosa è successo dopo l’arresto dei due compagni?
Dopo le bastonate, a sera siamo andati davanti alla questura in 20 macchine, se non di più, e abbiamo chiesto di liberare il nostro compagno di lavoro e quello del sindacato del Cobas. Loro non hanno fatto proprio niente. Chiedevano insieme a noi soltanto i nostri diritti e la polizia li ha portati via. Noi eravamo tutti stranieri, (Romania, Albania, Egitto, Marocco e altre nazionalità), pensavano che, se portavano via anche il cittadino italiano dei Cobas noi mollavamo, ma noi non abbiamo mollato. Il giorno dopo li hanno liberati perché era giusto, lottavamo per i nostri diritti. La ragione era dalla nostra parte, perché noi non abbiamo alzato le mani contro di loro, sono loro che ci hanno messo le mani addosso.
 
Il fatto che siete migranti di varie nazionalità e religioni non vi ha creato problemi?
Sono 4 anni che lavoriamo insieme, se vedo un mio compagno di lavoro che viene picchiato gli sono vicino, perché lui chiedeva solo il nostro stipendio, i nostri diritti e basta. Siamo operai di diverse nazionalità, ma siamo uniti per far qualcosa di bene.
 
RAMONA SADOVAN (Romania)
 
Da quanto tempo lavori in questo posto? Dal maggio 2007, due anni e mezzo, quando la Romania è entrata nella UE.
 
Come si sono comportate le forze dell’ordine con le donne?
La polizia ha caricato anche le donne. Due mie compagne sono state spintonate, buttate a terra e trascinate via per far passare i camion. La mia collega Gina è stata ammanettata dalla polizia e portata nella macchina della polizia insieme ad Esmeralda e Emir (albanesi) e gli hanno detto: “sapete che per quello che avete fatto vi possiamo togliere il permesso di soggiorno?”. E Gina che è rumena gli ha detto: ”e a me cosa togliete?” Loro hanno risposto: “a te niente però ti mettiamo sulla lista nera”.
 
Quanto pensate di andare avanti?
Ormai siamo qua e andiamo avanti fino alla fine.
 
ROSSANA MICHELINO lavoratrice italiana disoccupata, ex collega degli scioperanti
 
Tu sei stata testimone delle minacce e delle violenze poliziesche. Puoi fare una breve cronaca dei fatti successi?
Dopo il fallimento della trattativa c’è stata la protesta con il blocco dei cancelli che impediva l’uscita di un camion. Tutti si sono seduti e la polizia prima ha cercato di convincere i lavoratori di tornare al lavoro poi, come testimoniano i video, ha cominciato a minacciare verbalmente gli scioperanti, prendendo le generalità di tutti dicendo che ci avrebbero denunciato. Visto che gli operai continuavano la lotta per niente spaventati, polizia, carabinieri e Digos con caschi e manganelli hanno caricato e picchiato uomini e donne. Ho visto donne trascinate a terra, uomini picchiati solo per una protesta nata spontaneamente e attuata in maniera pacifica. È stata una cosa incredibile, di una violenza inaudita! La carica si è ripetuta una seconda volta, per sbloccare il passaggio ad un camion in entrata, con manganellate a tutti, cose veramente brutte e spiacevoli da vedere per gente che stava rivendicando il posto di lavoro che dovrebbe essere un diritto.
 
Come mai eri con questi lavoratori?
Sono un’ex dipendente, ho lavorato in questa logistica, la Borruso di Brembio, anni fa quando c’era la stessa cooperativa e conosco molti di questi lavoratori; inoltre abito a un chilometro e, appena avvertita dello sciopero, sono venuta a portare la mia solidarietà.
 
Tu sei quella che ha filmato le immagini: come hai fatto a riprendere senza farti sequestrare la macchina fotografica?
Dopo l’arresto di Fulvio (il sindacalista dello Slai Cobas) ero rimasta l’unica italiana insieme ai lavoratori migranti. Per girare le immagini mi sono nascosta dietro un’automobile parcheggiata cercando di non farmi vedere. Così sono riuscita a filmare le minacce e le prime violenze poliziesche, fino all’inizio della seconda carica. Prima della seconda carica, la più violenta, mentre i poliziotti si preparavano infilandosi caschi e prendendo dalle macchine scudi e manganelli, mi sono accorta che alcuni della Digos, richiamati da un’agente in borghese donna che filmava i manifestanti, facevano dei segni e si dirigevano verso di me per sequestrare le immagini. Io li ho anticipati scappando. Dopo aver messo al sicuro le immagini, sono tornata con i miei compagni e compagne davanti ai cancelli. Ho assistito a violenze gratuite inaudite contro gente inerme, disarmata, che rivendicava semplicemente il posto di lavoro. Lavoratori, uomini e donne attaccati, picchiati a terra, tre autoambulanze che sono dovute intervenire per portare le persone al pronto soccorso. E ho visto il giorno dopo le falsità scritte da alcuni quotidiani che facevano passare gli operai aggrediti per aggressori. Questi operai e operaie sono stati bravissimi. Uniti e compatti, in 35 erano e in 35 sono rimasti, fino alla fine della lotta. Anche dopo, quando è scattata la solidarietà e la gente davanti ai cancelli era tanta, loro non hanno mai mollato.
 
IOAN ARGENTARIU (Romania)
 
Cosa ti è successo?
Sono stato picchiato. Giovedì sera verso le 17/18, mentre facevo lo sciopero, sono stato picchiato con i manganelli sulle costole e sulla mano. Mi hanno portato al pronto soccorso dove mi hanno medicato e dato una prognosi di alcuni giorni.
 
Quanti giorni?
Ora non ricordo, ho la carta in macchina. Al pronto soccorso mi hanno dato della tachipirina e detto di mettere il ghiaccio. Inoltre ho preso una manganellata anche sulla schiena. Subito dopo sono tornato al mio posto di lotta. Voglio i miei diritti perché a casa ho un bambino di 3 mesi; voglio il mio posto di lavoro e non mi serve niente di più.
 
ESMERALDA GREMI (Albania)
 
Perché scioperate?
Siamo stati costretti a fare lo sciopero dopo la rottura della trattativa. La cooperativa entrante, che è la stessa di 3 anni fa, ha cambiato il nostro contratto, abbassando le ore lavorative e la paga senza nessuna ragione. Qui il lavoro non manca mai, in questo settore non c’è la crisi. Posso capire se c’è la crisi, ma quando si fanno 12 o 15 ore di lavoro non è normale. Quindi noi siamo qui per difendere il nostro posto di lavoro, i nostri diritti e non per essere trattati come bestie, come animali ed essere ammanettati come dei criminali. Per quale motivo ci hanno trattato così?!
 
ABDULLAH (Marocco) operaio di una cooperativa di Turate
 
Come mai siete qui? Cosa vi porta dalla provincia di Como a Brembio (Lodi)?
Siamo qui perché abbiamo sentito la loro storia. Di un accordo sindacale fatto da CISL e CGIL che li penalizza. Con questo accordo molti di loro devono andare a 50 km di distanza e lavorare con un salario ridotto. Abbiamo preso un permesso e fatto una squadra di 5 lavoratori per portare solidarietà. Gli operai stranieri,o italiani che siano, non ha importanza, l’importante è dare dignità, rispetto alla classe operaia. Noi lavoratori di Turate siamo venuti a salutare la lotta di questi 35 lavoratori. Vogliamo salutare il coraggio e dire che grazie a loro è stata fatta una grandissima cosa. Dopo questa lotta cambieranno molte cose in futuro. È grazie a gente come loro che si cambia la faccia delle cooperative e le condizioni di lavoro, sia per gli stranieri che per gli italiani. Provo molta rabbia per tutto lo sfruttamento. Ho sentito da una ragazza che qui si lavora anche 15 ore al giorno. Questi sono turni massacranti a cui i padroni costringono chi ha bisogno di lavorare per mantenere la famiglia. Le conseguenze di questo lo si vedrà poi, sia sulla salute che nella vita privata. Quindi fermarsi ha voluto dire basta a questo. Dobbiamo dire basta a queste condizioni, non possiamo più sopportare di venire trattati in questo modo. Vogliamo essere trattati come esseri umani e soprattutto non bisogna mettere in vendita né la salute né la dignità delle persone. Perché la salute non ha prezzo, la dignità delle persone non ha prezzo e bisogna dirlo ad alta voce. Noi a Turate, quando abbiamo cominciato a lottare, anche noi avevamo paura. Poi abbiamo visto i lavoratori di Origgio che hanno vinto, grazie alla lotta, allo Slai Cobas, alla solidarietà, al Comitato per la Difesa della Salute nei luoghi di Lavoro e nel Territorio di Sesto San Giovanni, al Comitato Antirazzista di Milano, grazie alla loro solidarietà siamo andati avanti, ci sentiamo più forti. L’unico modo per far rispettare i diritti è non fare più rinunce, di lavorare per 4 ore o per 4 euro. Senza organizzazione e unità non si ottiene niente.
 
Le risposte riportano fedelmente le parole degli intervistati

 
Brembio/Cronaca della lotta di Capodanno
 
Mercoledì 30 dicembre 2009. Cambio di appalto. La nuova cooperativa subentrante vuole peggiorare le condizioni salariali e contrattuali dei 68 lavoratori (tutti immigrati) e spostarne 18 in altri siti a 50 km. La direzione della Fiege Borruso non si presenta all’incontro sindacale. La maggioranza dei lavoratori (35, iscritti allo Slai Cobas) scende in sciopero e blocca i camion in entrata e in uscita. Subito arrivano le “forze dell’ordine”. Dopo le minacce verbali (il vicequestore minaccia di togliere il permesso di soggiorno agli scioperanti, seduti davanti ai cancelli della logistica) e l’identificazione degli operai in lotta parte una carica contro i manifestanti seduti tranquillamente ma caparbiamente per terra: gli operai vengono bastonati con violenza e trascinati via. 7 lavoratori, fra cui due donne, vengono feriti. Alle 18.00, dopo una seconda carica con manganelli contro gli operai inermi, vengono arrestati un operaio albanese e un compagno dello Slai Cobas. Per tutto il giorno gli operai in sciopero, spalleggiati da altri lavoratori arrivati in solidarietà, continuano a bloccare i camion fronteggiando la polizia. Le immagini delle violenze vengono riprese da una compagna. Alle 21.00 una cinquantina di operai e compagni si reca in questura a chiedere la liberazione degli arrestati, rimanendovi fino alle 23 circa.
 
Giovedì 31 dicembre. Alle 5.30 davanti alla logistica inizia il picchetto, che si ingrossa sempre più. Per tutta la giornata continua lo sciopero. Verso le 11.00 una nutrita delegazione si reca in tribunale a sostegno dei compagni arrestati e processati per direttissima. Intanto la lotta ha fatto riaprire la trattativa. Intanto le immagini delle cariche della polizia, filmate il giorno prima, vengono messe su Youtube e fornite alla Rai, che le trasmetterà in tutti i telegiornali. I 2 compagni vengono scarcerati e gli operai si recano in prefettura, dove è ripresa la trattativa con la presenza di una delegazione dello Slai Cobas fra cui Fulvio appena scarcerato. La trattativa si conclude con un accordo fra Cisl-Cgil e padroni alla presenza del Prefetto, accordo che non tutela i lavoratori e per questo non viene sottoscritto dallo Slai.La lotta continua.
 
Lunedì 4 gennaio 2010. Dopo tre giorni di festa, alle ore 5.30 i lavoratori si ritrovano di nuovo nel piazzale della logistica Fieghe Borruso di Brembio. La portineria è chiusa, alcuni camion in sosta sono fermi e la polizia è sparita. Una macchina della Digos e una dei carabinieri continuano a girare, tenendosi a distanza e filmando le targhe delle macchine e i presenti. Il picchetto si ingrossa, verso le 8.00 ci sono più di 150 persone. La portineria non si apre, il padrone attua la serrata. Alle 10.00 arrivano alcuni camion, che come gli altri si fermano nel piazzale. L’autista di un camion che arriva dalla Spagna si incazza (con i padroni della logistica) e se ne va. Il picchetto continua tutto il giorno. Molti camionisti arrivano, girano il camion e se vanno, altri sostano grande nel piazzale. Per resistere al freddo gli operai si attrezzano con due bidoni per fare il fuoco. Nonostante la logistica sia lontana dal paese, la solidarietà di due abitanti del luogo procura la legna da ardere e alcuni manifestanti, per scaldarsi, improvvisano una partita di pallone. Intanto anche alcuni camionisti vengono a portare la solidarietà concreta, donando frutta e bottiglie di vino. Alle 13.30 arriva la pizza per tutti. Il presidio e lo sciopero continuano. Nel pomeriggio viene costituito il Comitato di Lotta. Intanto i crumiri organizzati dal padrone girano come anime in pena o stazionano in un bar del paese, pronti ad essere chiamati al lavoro se la situazione dovesse sbloccarsi. Alle 18.00 il padrone della cooperativa chiede un incontro con lo Slai Cobas e i 4 delegati RSA, incontro che avviene all’interno della logistica bloccata. Al suo arrivo un mare di fischi lo accoglie, dandogli il benvenuto. La trattativa va avanti fino alle 20.30. Viene sottoscritto un protocollo d’incontro in cui il padrone accetta che tutti i 68 lavoratori rimangano al loro posto e la trattativa viene rimandata al giorno successivo, in cambio chiede il ritiro del blocco dei camion che, invece, continua.
 
Martedì 5 gennaio. Il blocco continua per tutto il giorno, la presenza dei lavoratori di altre cooperative e di compagni è sempre numerosa. Nel tardo pomeriggio riprende la trattativa. Insieme allo Slai Cobas sono presenti anche Cisl-Cgil, il sindaco di Brembio (sul cui terreno è ubicata la logistica) e i padroni della cooperativa. Poco dopo le 19.00 si può festeggiare. L’accordo è raggiunto: il posto di lavoro, la difesa del salario e dell’orario di lavoro sono salvi per tutti gli operai.
 

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