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Germania: L'accordo sulle 28 ore nel Baden-Württemberg

Fabrizio Poggi | nuovaunita.info

Aprile 2018

La riduzione di orario è temporanea e individuale: permette il recupero psicofisico dell'operaio che lavora meno occupandosi di figli e familiari anziani, ma percepisce minore salario e lo Stato sociale risparmia. A guadagnarci è solo il capitale

Nell'autunno 1952 Lavrentij Berija, in preparazione del XIX congresso del VKP(b), scriveva: "Il compagno Stalin ha posto un grande obiettivo: la giornata lavorativa di 5 ore" - Stalin ne aveva scritto in Problemi economici del socialismo in URSS - "se ce la faremo, sarà una grande svolta. Alle 9 inizio a lavorare, alle 2 finisco e ho tutto il tempo libero. Anche solo per questo sorpasseremo il capitalismo: loro non lo possono fare; per loro conta solo il profitto. Ma i lavoratori diranno: come fanno i russi a lavorare 5 ore e vivere bene? Date anche a noi il socialismo e il potere sovietico. Questa sarà l'offensiva pacifica del comunismo".

La riduzione delle ore di lavoro, in regime capitalistico, è stata una delle prime e fondamentali rivendicazioni del movimento operaio. La conquista delle 8 ore nei paesi dominati dal capitale ha costituito un punto fermo nel XX secolo, mentre l'URSS passava alla giornata di 7 ore già nel 1931, seppellendo la disoccupazione. In Europa occidentale, la questione ha avuto alti e bassi anche negli ultimi decenni; a metà anni '80, in alcuni settori dell'industria tedesca si era arrivati alla settimana di 35 ore. Ma, come ricorda Ursula Stöger su Neues Deutschland, i risultati "sono stati annullati da flessibilità, straordinari non retribuiti, "tempi di fiducia" e calcoli orari. Nel 2015, gli occupati a tempo pieno lavoravano in media 43,5 ore settimanali".

Ora, l'attenzione si è appuntata sull'accordo firmato lo scorso febbraio nel Land del Baden-Württemberg tra sindacato IG Metall e Gesamtmetall (industriali metallurgici), che prevede la possibilità di una riduzione temporanea individuale a 28 ore, per assistere familiari malati, con una compensazione salariale parziale per gli orari di lavoro gravosi. L'accordo ha una validità di 27 mesi e riguarda gli oltre 900.000 metalmeccanici del Land, ma non è ancora chiaro quando e se verrà esteso ai 4 milioni di metalmeccanici dell'intero paese. Anche perché, sostiene la Stöger, nonostante i profondi cambiamenti nel "mercato del lavoro", sussiste tutt'oggi la pratica del "Versorgerehe", vale a dire un ménage familiare (Ehe) secondo cui gli uomini lavorano a tempo pieno e le donne si occupano (versorgen) delle faccende domestiche e dei bambini o, al massimo, lavorano part-time; e gli uomini non hanno alcun incentivo a ridurre l'orario di lavoro.

Ancora su Neues Deutschland, Steffen Lehndorff sostiene che, a partire dagli anni '90, stracciata la contrattazione collettiva, hanno trionfato flessibilità, responsabilità personale, aumento d'orario e di stress; e il parziale aumento dell'occupazione femminile (quasi solo nei Länder occidentali) ha assunto le forme di part-time e minijob. A causa del boom del tempo parziale, l'orario di lavoro è diminuito, ma solo in media e il comando sull'orario di lavoro è passato agli imprenditori, sebbene IG Metall sostenga che la "flessibilità non è più un privilegio dei datori di lavoro".

Chi ci guadagna dall'accordo?

Dunque, cosa prevede l'accordo di febbraio? Un aumento salariale del 4,3% (il sindacato chiedeva il 6%) nel primo anno, oltre a 400 euro una tantum la prossima estate; nell'immediato, appena un "supplemento concordato" del 27,5% dello stipendio mensile, ma solo fino a marzo. Il contentino per il ridotto aumento salariale sono 8 giorni di ferie dal 2019. Di fatto, nota Lars Mörking sull'organo del DKP, Unsere Zeit, il tempo di lavoro è solo apparentemente reso più flessibile per entrambe le parti: tutti i dipendenti a tempo pieno con più di due anni di anzianità, dal 2019 avranno diritto a un orario di lavoro ridotto fino a 28 ore settimanali per un massimo di 24 mesi; ma si tratta di un "privilegio" legato a fatturato, titoli di borsa dell'impresa e andamento industriale.

Di fatto, la Gesamtmetall ha intascato una maggiore flessibilità oraria e di mansione: dalle 35 ore, i singoli operai potranno passare alle 28 per due anni, ma l'impresa potrà imporre le 40 ore a più operai. A differenza di quanto scritto anche in Italia, non si tratta di una riduzione dell'orario a parità di salario: diminuisce sì l'orario (individualmente), ma insieme a quello anche la retribuzione.

È stato notato che l'accordo scaturisce dal fatto per cui, con la vertiginosa crescita di ritmi e stress, gli operai non riescono più a garantire 30 anni di lavoro ai ritmi attuali e sono disposti ad accettare salari minori pur di salvare il posto di lavoro, a meno ore, consentendo così all'impresa di assumere forza lavoro giovane, ancora tutta da torchiare con contratti capestro. A guadagnarci è il capitale, perché la riduzione è solo temporanea e individuale, permette il recupero psicofisico dell'operaio, che lavora sì meno, ma percepisce anche minore salario e lo Stato sociale risparmia: sarà l'operaio a occuparsi di figli e familiari anziani.

Non a caso, l'accordo ha preceduto di poco l'intesa di governo SPD-CSU-CDU ed è stato firmato con una disoccupazione ufficiale a quota 2,4-2,8 milioni. Una cifra che non tiene di conto di ultra58enni, degli occupati a 1 euro l'ora, di iscritti ai corsi di riqualificazione, dei registrati ai centri per l'impiego (considerati come occupati) e di coloro che, ai centri, non si presentano più: per un totale di un altro milione; oltre ai 7 milioni che dipendono da aiuti e sovvenzioni sociali. Grazie a tale sistema di calcolo, se nel 2006 la disoccupazione era all'11%, nel 2016 era precipitata al 5,8%: frutto di impieghi temporanei, minijobs, 1 milione di pensionati che svolgono lavoretti e 1,5 milioni di lavoratori con integrazione salariale dallo Stato.

"Dumping salariale"

A tutto ciò si aggiunge il cosiddetto "dumping salariale". Ralf Wurzbacher scrive su Die junge Welt che, nonostante l'introduzione del minimo salariale per legge (dal 1 gennaio 2017: 8,84 euro) nel 2016 circa 2,7 milioni di lavoratori hanno riscosso meno del minimo, soprattutto in piccole imprese, impieghi precari e minijobs. In generale, si sono avute punte del 38% di occupati nell'industria alberghiera e della ristorazione retribuiti meno del minimo legale, il 20% nel commercio al dettaglio, il 17% nell'industria alimentare, il 42% tra il personale domestico. Anche nella metallurgia, sebbene settore a contrattazione collettiva, circa il 7% degli operai ha riscosso meno del minimo.

Questo, nel quadro del famigerato "Hartz IV", introdotto 12 anni fa dall'ex Cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder e che, dietro lo slogan di "aiutare e esigere", ha dato vita al più enorme settore europeo a bassi salari, così profittevole per le imprese tedesche che ora se ne intravede l'italico adattamento nell'accordo Cgil-Cisl-Uil-Confindustria per ridurre i salari, bloccare ogni aumento nei contratti nazionali e legare quelli aziendali ai massimi profitti dell'impresa. Il tutto, elevando flessibilità, aumenti di orario, intensità delle prestazioni e precarietà. Con "Hartz IV", in Germania, il ventaglio di contratti atipici e a tempo determinato non ha fatto che aumentare, con una costante diminuzione di stipendi, dato che la paura di perdere il lavoro e finire nella morsa di "Hartz IV" e della perenne povertà costringe gli operai a tener stretto anche il posto meno dignitoso.

"Forza-lavoro imprenditoriale"

Analizzando la realtà odierna dei rapporti di produzione in Germania, su Zeitschrift Marxistische Erneuerung Harald Werner ha pubblicato il saggio «Da schiavi salariati a "imprenditori operai". Il mutamento storico dello sfruttamento capitalistico».
All'epoca di Marx, scrive Werner, non c'era bisogno di una spiegazione teorica per riconoscere il lavoro salariato come sfruttamento; ma era necessaria un'analisi teorica per contrastare l'illusione diffusa del "giusto salario" e, nel Capitale, Marx dimostrava "come le diverse forme salariali servissero tutte il medesimo scopo: ridurre il lavoro necessario per aumentare il pluslavoro. All'inizio, estendendo la giornata lavorativa; ma, una volta oltrepassate le capacità fisiche della forza lavoro, ne era con ciò limitata la possibilità di ulteriore sfruttamento. Pertanto, l'estensione assoluta della giornata lavorativa fu sostituita dalla sua "espansione relativa", volta a ridurre il tempo durante il quale l'operaio non fa che riprodurre il proprio salario.

Oggi, osserva Werner, lo sfruttamento ha luogo anche con alti salari: anzi, con essi il tasso di sfruttamento è di solito persino più alto. E continua: "Marx lottava per l'abolizione definitiva del sistema salariale, ma non poteva prevedere quali forme ibride si sarebbero sviluppate per aumentare l'accumulazione, anche con l'aumento dei salari e la riduzione dell'orario di lavoro", con orari "ridotti al minimo, durante i quali viene spremuto il massimo delle prestazioni, secondo l'organizzazione del lavoro e la misurazione delle prestazioni fordista e taylorista.

"Dopo la Rivoluzione d'Ottobre, i riformisti borghesi iniziarono a capire che lo sfruttamento ha dei limiti e inasprisce la lotta di classe. Molto prima di Keynes, Henry Ford ricordava che i salari costituiscono per i padroni non solo una spesa: il loro taglio riduce il numero di clienti".

Dunque, all'epoca della Repubblica di Weimar si fece strada l'idea per cui i "lavoratori non dovessero più considerarsi estranei, ma parte di una "comunità di lavoro" che persegue collettivamente gli stessi obiettivi". Un'idea ripresa prima dal Fronte del lavoro del Terzo Reich e poi, nel 1952, dal Betriebsverfassungsgesetz della RFT, in base a cui l'azienda è un'unità organizzativa in cui padrone e dipendenti perseguono obiettivi comuni". Così, la "Comunità d'impresa" nazionalsocialista si trasformò in "parternariato sociale" e l'integrazione della classe operaia si consolidò poi nel 1967 nella "Azione concertata" tra politica, impresa e sindacato e ancora, dal 1998 al 2003, come "Alleanza per lavoro, formazione e competitività". E oggi nel "partenariato sociale" può benissimo integrarsi, senza soluzione di continuità, il modello della cosiddetta "forza-lavoro imprenditoriale".

Lo sfruttamento della forza-lavoro, scrive Werner, non è l'unico prerequisito dell'accumulazione capitalistica: il capitale agisce anche sulla produzione e riproduzione della forza lavoro sociale per adattarla ai propri bisogni. Secondo Marx, ciò porta alla produzione di una "sovrappopolazione relativa" e una "disoccupazione fluttuante"; e non sulla scia della diminuzione dell'accumulazione di capitale, bensì della sua accelerazione: è stato così durante le crisi petrolifere a metà anni '70, quando in Germania i tassi di disoccupazione raggiunsero i livelli più alti, mentre gli investimenti delle imprese raddoppiavano.

Disoccupazione condensata

Questo divario tra la ripresa economica e la disoccupazione stagnante si è notevolmente ampliato dopo l'annessione dei Länder orientali e l'aumento dei disoccupati permanenti. A questo, le politiche neo-liberiste hanno risposto con la deregolamentazione del mercato del lavoro, in modo non da eliminare la disoccupazione, ma condensarla. Così, il numero di disoccupati registrati è sceso da 4,8 milioni nel 2005 a 2,6 milioni nel 2016, e nello stesso periodo il numero di occupati è salito da 39,9 a 43,5 milioni. Ma questo "successo" nasconde il fatto di come la riduzione statistica della disoccupazione vada di pari passo con un maggiore sfruttamento", nonostante che "il PIL sia aumentato nello stesso periodo da 2,3 a 3,1 trilioni di euro. La sovrappopolazione relativa, come rovescio della crescente produttività del capitale, si riflette meno nel numero di disoccupati registrati che nell'aumento del lavoro precario.

In Germania nel 2014 circa il 39% di tutti i dipendenti ha lavorato part-time, con impieghi temporanei o minijobs. Un numero sempre maggiore di lavoratori precari, in particolare donne e giovani, deve lavorare in due o più posti per sbarcare il lunario. Esternalizzando le attività operative e concentrandosi sulle cosiddette competenze chiave, all'ombra delle grandi aziende è emerso un enorme settore a basso salario e si sono creati sempre più lavoratori autonomi fittizi: se nel 1985 erano 770.000, nel 1996 erano già quattro milioni. Ed era più o meno in questo periodo che la Volkswagen (VW) avviava il progetto "5.000 per 5.000", che trasformava i dipendenti in "imprenditori della propria forza-lavoro": 5.000 posti di lavoro retribuiti a 5.000 marchi, con orario flessibile da una media di 48 ore a un massimo di 60 ore per sei giorni.

Una linea, questa, scrive ancora Werner - "lavoro di gruppo e a progetto, gestione per obiettivi, modello imprenditoriale, centri di profitto e orari di lavoro estremamente flessibili" - sviluppata guarda caso dall'allora capo del personale della VW, Peter Hartz, (che ha dato poi il nome al famigerato "Hartz IV") e negoziata tra VW, consiglio di fabbrica e IG Metall. Una linea così tanto reclamizzata, che la Confederazione delle associazioni degli imprenditori si rallegrò subito per l'elevato grado di flessibilità e l'aggancio di salario e orario agli obiettivi dell'impresa.

Questa linea di una "forza-lavoro imprenditoriale" costituiva un ritorno al XIX secolo, con il cosiddetto orario di lavoro basato sulla fiducia: apparente sovranità temporale e fattiva disponibilità illimitata alle esigenze aziendali. La libertà di andare e venire a piacimento è generalmente una finzione, perché il tempo di lavoro è solitamente determinato dalla quantità di lavoro e questo, a sua volta, dagli accordi sugli obiettivi, per soddisfare le aspettative dell'impresa.

Due decenni dopo quel progetto, gli odierni "imprenditori della propria forza-lavoro" debbono sottostare non solo agli obiettivi dell'impresa, ma anche ai parametri della prestazione lavorativa. Soprattutto nei settori in cui le prestazioni lavorative possono essere monitorate da computer e l'elettronica è alla base del rapporto di lavoro, si assiste a una crescente ritaylorizzazione: tipici i casi dei cassieri nei supermercati, di cui si conta il numero di merci scansionate, o dei call center, con la cronologia delle chiamate, o dei corrieri, seguiti passo passo coi GPS.

Il risultato è che i nuovi "lavoratori imprenditori" soffrono sempre più di ansia e depressione, come mostra l'aumento delle malattie psichiche; secondo la Cassa malattie "DAK-Gesundheit", 246 giornate perse ogni 100 assicurati nel 2016: cifra più che triplicata negli ultimi 20 anni".

L'accordo di febbraio, se risponde ad alcune esigenze individuali e temporanee del lavoratore, è però funzionale alle esigenze di mantenere un robusto esercito di forza-lavoro da sfruttare per l'accumulazione del capitale. È questo il futuro dei rapporti di classe anche nel resto dei paesi capitalisti?


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