“Scoasse”, scarti umani, rifiuti umani
di Soccorso Popolare di Padova
La semantica è quel ramo della linguistica che si occupa dei significati delle
parole e dei loro mutamenti.
Oggi siamo chiamati a ragionare attorno al concetto e alla sostanza del termine
immondizia, spazzatura, “scoassa”, come si dice qui in Veneto; e come questo
termine, negli ambiti sociali che conosciamo e viviamo quotidianamente, sia
scivolato verso altro dalla sua origine, tale da andare a definire un’intera
visione della stratificazione sociale. Visioni di lavoratori sfruttati
all’osso, minati nella loro salute da condizioni produttive non tollerabili, e
quindi rigettati dal capitalista sfruttatore perché considerati non più
produttivi, “scoasse” da buttare, e visioni di stranieri disperati, di
sbandati, di diversi, di poveri, di miserabili.
Visioni che ci assalgono, ad esempio, nel pronto soccorso di una grande città
del Nord-Est, come testimonia un operatore sanitario:
”Più di un anno fa, di notte, una ragazza viene ricoverata lamentando i postumi
di una violenza carnale di poche ore prima. Trattenuta qualche ora in Area
Rossa viene inviata al reparto infettivi per gli accertamenti del caso. Com’è
d’uso in quell’ambiente, il poliziotto che si occupa del caso viene, ridente, a
comunicare agli astanti notturni le sue interpretazioni. “Trattatasi” infatti,
a suo dire, di una “puttanella”, una “puttana” che accoppiatasi con quattro
“marocchi”, che poi non l’avevano pagata, denunciava una violenza inesistente.
Nessun rispetto della privatezza né del caso in questione, né della
“puttanella”: la sua storia, e il contorno delle illazioni, raccontate in
un’atmosfera ridanciana e ghignante dal poliziotto di turno agli operatori
notturni del Pronto Soccorso, un club.
Facente parte del club mio malgrado, esprimevo il mio disgusto e il disprezzo
per il comportamento del poliziotto in questione standomene, minoritario, in
disparte, attonito e con espressione inorridita.”
Secondo episodio:
”La mattina del 5 agosto 2003 ero al lavoro nel posto di primo accoglimento del
Pronto Soccorso; un ragazzo di colore, con i soli pantaloni addosso, ci viene
portato per accertamenti dalla Croce Verde. Dopo una ventina di minuti, con
probabili crisi di allucinazioni, esce correndo, silente, scalzo, dal Pronto
Soccorso.
Un collega anziano, senza alcun tipo di motivazione, compie i 50/70 metri
dell’Area Verde in pubblico urlando a pieni polmoni che “gente così” andrebbe
frustata sulla schiena, picchiata a sangue; “immondizia”.
Grande soddisfazione a queste grida e a questa terminologia da parte degli
astanti, e dai due vigilantes privati di piantone, pronti a dar man forte sia a
questi insulti gratuiti che ad eventuali “azioni di sostegno”. Dopo una ventina
di minuti il giovane di colore torna spontaneamente in Pronto Soccorso ove
viene sedato. Ignoro il suo ulteriore destino.”
Il termine usato da tutti in queste vicende è dunque il nostro “scoassa”.
Nell’ambiente del Nord-Est, dall’aria serena e sicura, “scoassa” è il termine
identificativo della visione delle diversità possibili, l’immondizia viene
differenziata, ma sempre immondizia resta!
“Scoassa” è il “marochin” che puzza. Il non-integrato, il senza benessere,
famiglia, vestiario pulito e ordinato. Lo sbandato, l’eroinomane notturno, lo
zingaro, la prostituta, il barbone, che nessuno conosce nella sua peculiare
realtà, e che è identificato, ancora oggi, nel 2004, per gli abiti che indossa,
i capelli, i cani, un linguaggio poco comprensibile, un atteggiamento insolito
e svagato.
La “scoassa” è una visione del mondo della diversità e dei suoi atteggiamenti.
Spesso a noi incomprensibili. L’arroganza, nelle parole e spesso anche nei
fatti, è la chiave risolutiva. “Bàtare, bàtare, bàtare!” ovvero: “Picchiare,
picchiare, picchiare!”, questa è la lezione d’ordine del vigilante anziano
dell’ospedale impartita ad un collega più mite in una notte dell’agosto scorso.
Il povero è un elemento disturbante. Puzza, magari ha bevuto, fa freddo, è
disperato, e cerca, comprensibilmente, una sedia e un termosifone in aree
notturne spesso completamente vuote, come i nostri Pronto Soccorsi.
Il diverso è ancora problema dunque. E facciamo corsi di laurea e master
in diritti umani nelle nostre dorate e inutili Università, e corsi di “front
office”, la sola parola ormai produce nausea davanti a ciò che alterna
ignoranza delle cittadinanze a vacuità interiore.
A quando “corsi” di civiltà e correttezza dei comportamenti, di rispetto della
dignità e diversità umana a padroni, tecnocrati, poliziotti, magistrati,
vigilantes, operatori “umanitari”?
“Ci hanno trattato e continuano a trattarci come immondizia, come “scoasse”, ci
usano e poi ci scartano come rifiuti quando siamo minati nel fisico, quando il
nostro corpo è stato distrutto dalle condizioni di lavoro – in questi termini comunicano fra di loro i
lavoratori che operano in reparti densi di tossicità, nei petrolchimici,
nell’industria chimica e conciaria, gli edili, gli operai della cantieristica e
nelle fonderie.
Come sono stati trattati i lavoratori del petrolchimico di Marghera, che hanno
inalato cloruro di vinile monomero, CVM, per anni, che sono morti di tumore per
questa causa, e non hanno ricevuto giustizia dai Tribunali italiani?
L’inchiesta è partita dalla ricerca sistematica dei loro colleghi sopravvissuti
e l’istruttoria portata avanti dal PM Casson, che ha chiesto giustizia per
tutti quei morti. La conclusione: padroni e tecnici, tutti assolti tramite
applicazioni pretestuose di leggi e cavilli. A chi interessavano questi morti?
Rifiuti da smaltire!Certamente non è interessata a nessuno la vita di G.N.,
tubista per 35 anni alla Fincantieri di Monfalcone, che ha cominciato a star
male quattro giorni dopo essere andato in pensione. Un anno dopo, la diagnosi:
mesotelioma. È morto alla vigilia di Natale del 1999. La moglie dichiara:
“Difendere mio marito è l’unica cosa che mi tiene al mondo. I nostri uomini,
esposti all’amianto, hanno sofferto e stanno soffrendo come cani
nell’indifferenza. Ora questa sofferenza la portiamo noi.” Alla Fincantieri
interessava qualcosa delle sofferenze dei suoi operai? Immondizia, tenuta a
respirare amianto, sapendo da decenni che l’eternit, questa miscela di cemento
e amianto, faceva male. L’eternit, cioè eterno, incorruttibile, inestinguibile,
come i tumori che provoca e continuerà a provocare, l’ondulato grigio che nel
dopoguerra ha scalzato i coppi rossi dei nostri tetti. L’amianto continuerà a
presentarci il suo conto di morte per un pezzo. Il picco dell’epidemia di
tumori, i mesoteliomi, i micidiali tumori alla pleura causati dall’inalazione
di fibre del minerale usato come isolante universale, dalle navi ai freni, dai
tetti alle carrozze dei treni, è atteso attorno al 2025. A quella data si stima
che l’amianto avrà fatto solo nel nostro paese tra i 20 e i 30 mila morti. A
chi interessano tutti questi morti? Spazzatura, “scoasse”!
Non è possibile proprio considerare la morte in fabbrica o nei cantieri una
fatalità, un prezzo inevitabile da pagare. Il sangue si rimescola al pensiero
che per evitare tante morti basterebbe impiegare un po’ dei profitti, per le
misure contro gli infortuni e la pericolosità dei luoghi della produzione.
L’anno scorso sono rimasti uccisi più di mille lavoratori, 870.000 sono stati i
feriti, 24.000 le malattie professionali diagnosticate. Muoiono 100 lavoratori
al mese! Sono immondizia? Non hanno diritto alla vita? Gli infortuni e le morti
sono il segnale più drammatico del dominio che l’impresa ha assunto in rapporti
di lavoro scanditi esclusivamente dalla logica del profitto e del bene
dell’impresa, a scapito dei diritti e del bene dei lavoratori. Ci deve essere
la possibilità per il lavoratore di dire all’impresa: la mia vita non ti
appartiene, la mia vita “fisica” non ti appartiene, non sono un oggetto che tu
sfrutti e quando lo hai esaurito lo getti nel cassonetto dei rifiuti!
È uno scandalo che ci siano due Costituzioni: una, quella ufficiale, nata dalla
lotta partigiana e dalla Resistenza, che fa della difesa della salute e della
vita un diritto fondamentale. L’altra, la costituzione dell’impresa, che considera
questi diritti accessori e revocabili in nome del profitto e sotto il ricatto
del posto di lavoro precario.Se non si riuscirà ad affermare il principio che
la vita non è una voce del budget d’impresa, ogni altra battaglia sarà inutile
e davvero l’oscuramento sulla condizione lavorativa sarà totale e chi lavora
sarà consegnato alla solitudine. Puoi lavorare in modo precario, puoi essere
costretto ad accettare uno stipendio minimo, puoi sopportare orari di lavoro
prolungati a dismisura? In questo modo ti viene sottratta la tua dignità, sei
considerato “scoassa”, spazzatura, ma riciclabile, ancora utilizzabile. Ma
quando anche la tua incolumità fisica deve sottostare alle esigenze
dell’impresa, allora siamo alla barbarie, siamo diventati immondizia da inceneritore,
senza via di ritorno!
Sotto la spinta degli organismi burocratici intergovernativi, Fondo Monetario
Internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, agenti
dei potenti interessi economici e finanziari mondiali, molti Stati hanno
imboccato la strada delle “riforme” per la “stabilizzazione economica”,
ridimensionando in modo pesante la spesa pubblica, i programmi di assistenza
sociale, promovendo la liberalizzazione del mercato del lavoro. Tale
ristrutturazione economica globale ha innescato la stagnazione e
l’accumulazione dei profitti, attraverso transazioni finanziarie sempre più
speculative e fraudolente. I profitti, slegati dalle autentiche attività
produttive e commerciali, favoriscono una minoranza sociale, che ha accumulato
enormi ricchezze a spese della grande maggioranza della popolazione mondiale.
La classe capitalistica, quindi, spinge i governi ad abbandonare in modo
definitivo le politiche di pieno impiego, utilizzando lo strumento della
disoccupazione per tenere sotto disciplina i lavoratori e riprendere così il
controllo definitivo del sistema. La disoccupazione crescente diviene quindi lo
strumento dell’accumulazione del capitale globale, che regola
internazionalmente il costo del lavoro, e controlla la società nel suo insieme.
Chi non si adegua, via! In discarica!!
Infatti, l’applicazione di queste spietate “riforme” ha anche lo scopo di
“ricolonizzare pacificamente” i paesi attraverso la deliberata manipolazione
delle forze di mercato, e viene a costituire una “forma di guerra”: guerra e
globalizzazione non sono due categorie separate. Qualcuno ha affermato che è la
guerra la sola “igiene del mondo”, lo strumento idoneo per eliminare la
“spazzatura”, costituita dalle masse che reclamano i loro diritti. La guerra
distrugge fisicamente ciò che è sopravvissuto alla deregolamentazione, alle
privatizzazioni e all’imposizione delle “riforme del libero mercato”. La
colonizzazione attuata per mezzo della guerra e l’insediamento di
“protettorati” Occidentali servono ad innestare nelle nazioni occupate banche e
multinazionali dell’Occidente in tutti i settori di attività e a “liberare” una
enorme riserva globale di manodopera estremamente mobile e flessibile, servile,
a basso costo, e disperata. In questo modo si creano immensi bacini di
profitto, ampie zone di accumulazione capitalistica pressoché a costo zero,
dove si fanno affari di tutti i tipi, dove si smerciano rimasugli di produzione
tossici, si smaltiscono porcherie di ogni tipo, scorie industriali non più riciclabili
e radioattive, fondi di magazzino e derrate alimentari superflue del Primo
Mondo. In queste aree di neocolonizzazione si mettono in atto esperimenti di
modificazioni genetiche sotto l’ipocrisia di salvaguardare i poveri dalla loro
fame, ci si impadronisce della loro biodiversità distruggendo definitivamente
le economie e il tessuto sociale pre-esistenti, creando nuove povertà; si prova
l’efficacia dei nuovi sistemi d’arma; si impongono produzioni industriali
distruttive e tossiche per l’ambiente e per l’uomo. La sempre più numerosa
umanità povera costituisce un serbatoio immenso di forza lavoro servile,
disancorata dalla possibilità di accedere ai più elementari diritti, e questa
condizione servile poggia sul lavoro deregolato da qualsiasi forma di diritto e
di tutela.
Paradossalmente, dopo essere stati aggrediti ed impoveriti, i poveri del mondo
sono avvertiti come minaccia, contro di loro è in atto la “guerra infinita”, la
“guerra preventiva”, che oscilla dall’esclusione al genocidio per fame, dallo
sfruttamento schiavistico alla criminalizzazione selvaggia ed indiscriminata.
Un povero è un reietto e un escluso integrale, per lui “non rimane null’altro che i muri, il filo spinato, i
cancelli sorvegliati e le guardie armate… L’immediata vicinanza di agglomerati
di “rifiuti umani”, estesi e sempre in crescita, destinati a durare in eterno, (favelas,bidonvilles,
ghetti, campi profughi) richiede politiche
segregazioniste al massimo rigorose e misure di sicurezza straordinarie, onde
evitare che siano messi a rischio “la salute della società” e il “normale”
funzionamento del sistema sociale neoliberista. Le classiche funzioni di Parson
di “gestione della tensione” e “mantenimento della struttura”, che ogni sistema
è tenuto ad assolvere per poter sopravvivere, oggi si riducono quasi interamente alla separazione
stagna dei “rifiuti umani” dal resto della società, alla sospensione automatica
per essi del quadro giuridico sociale…( da Bauman, sociologo
polacco)”, perché “immondizia”.
“Non rimane null’altro che i muri, il filo spinato, i cancelli sorvegliati, le
guardie armate”. Il più grande pericolo che minaccia milioni di esseri umani
nel mondo, anche nel “mondo più evoluto”, è il pericolo della “irrilevanza
economica”, quello di essere inutili come produttori ed irrilevanti come
consumatori, “rifiuti umani” confinati e controllati. Con lo svuotarsi dei
regimi di protezioni e di garanzie sociali, ogni cittadino della società
globale può precipitare nella sottoclasse in cui vengono confinati coloro a cui
viene cancellata ogni soggettività.
Questo nuovo “Ordine Mondiale” si nutre della povertà umana e della distruzione
dell’ambiente naturale, producendo un’enorme discarica di rifiuti materiali ed
umani. La catastrofe non è solo ecologica, ma anche antropologica: l’effetto
più eclatante della modernizzazione economica, sia nel Nord come nel Sud del
mondo, è quindi la produzione di “scarti umani”, di coloro che non sono più
necessari al completamento del ciclo produttivo e perciò impossibili da
sistemare all’interno di una struttura sociale, puro riflesso dell’economia
capitalistica. Infatti, questa nostra “civiltà” produce “scarti” costituiti
dalle centinaia di milioni di persone, oppressi da apartheid sociali, da
razzismo, da xenofobia, da conflitti etnici innescati surrettiziamente per
controllare le masse. Il nuovo “Ordine Mondiale” distrugge le società civili e
genera a tutti i livelli insicurezza psicologica ed economica. Così il processo
di repressione economica viene sostenuto dalle repressioni politiche e dal
rafforzamento degli apparati di sicurezza interna, nuovo settore altamente
lucroso per le Corporations.
Insomma, è il carcere la risposta fordista ai microconflitti sociali, è la
risposta più semplice ed economica al “disordine sociale” che si sta diffondendo,
è il carcere la discarica degli esseri umani inutilizzabili, delle “scoasse”.
L’ideologia penitenziaria è uno dei pilastri della cultura politica
contemporanea, e dall’inizio degli anni Novanta la “sicurezza dei cittadini” è
divenuto un imperativo di ogni programma di governo.Da qui si è affermata
l’ideologia penitenziaria, parallelamente al montare dell’emergenza sicurezza,
e quindi si punisce e si incarcera di più. Al tempo stesso l’allarme
insicurezza è rimasto costante, alimentato dal sensazionalismo dei media e
dalla demagogia dei politici. Esiste una relazione strettissima tra
carcerazione ed esclusione sociale; il carcere è il setaccio finale di una
società incapace di offrire ai suoi membri più deboli una via di uscita
all’emarginazione.
Il carcerario diffuso è la forma normale, discreta, metabolizzata dalla nostra
società per smaltire gli scarti umani. Già prima dell’11 settembre, l’Occidente
si era dotato di strutture di controllo più o meno illegittime, svincolate
persino dal controllo delle stesse Magistrature, nelle quali venivano detenute
le nuove forme di “anomali” vaganti, profughi, migranti clandestini e tutti
quei soggetti sociali che per le loro specifiche caratteristiche tendono a
sfuggire ad ogni incasellamento sociale. I Centri di permanenza temporanea
(Cpt) e i diversi tipi di campi per migranti che circondano l’Europa, e che
spesso vengono allestiti anche nei paesi di transito in cambio di scarse
sovvenzioni, rappresentano la proliferazione del carcerario in forme nuove,
globali. Dopo l’11 settembre, ad imitazione degli Stati Uniti, migliaia di
sospetti di “terrorismo” in tanti paesi sono stati costretti all’internamento.
Il sistema penitenziario, nelle modalità tradizionali o “innovative”, continua
a rappresentare la risposta prevalente ai conflitti sociali, e così utilizzato
in tutto il mondo. Chi non vuole o non può assoggettarsi o adeguarsi alle
regole apparenti e formali del capitalismo non merita altro che il sequestro
“legalizzato”. La prigione è lo specchio oscuro e rovesciato della società, non
è che la liquidazione definitiva in spazi discreti e defilati, quasi invisibili
come sono le nostre discariche, degli scarti umani, delle “scoasse”!