40 anni fa, nel dicembre 1978, fu approvata in sordina dal Parlamento la legge 833, con la quale nasceva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Nei decenni successivi questa legge è stata magnificata dalla borghesia e dai riformisti come "una delle più innovative", un esempio di "civiltà", peraltro ottenuta solo grazie alla spinta del movimento operaio, sindacale, delle donne e alla forte influenza del socialismo. La riforma sanitaria giungeva al termine della stagione riformista-keynesiana, che si sarebbe chiusa poco dopo, con il passaggio al neoliberismo.
Con la L. 833 si chiuse il sistema delle casse mutue, che erano in grave crisi finanziaria. La legge poneva come principi la tutela sanitaria gratuita e uniforme di tutta la popolazione, finanziata dalla fiscalità generale ed erogata a livello territoriale.
A quattro decenni di distanza, non c'è veramente nulla da celebrare di questa riforma.
Il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del paese (obiettivo cardine della L.833) non ha trovato effettiva applicazione.
Oggi vediamo l'aumento del divario nord/sud, aggravato dal modello del federalismo regionale.
Vi sono fortissime discriminazioni riguardo l'accesso alle cure, così come un notevole gap di livelli di assistenza e tecnologici, con conseguente aumento della mortalità nelle regioni meridionali (ad es. nei casi di tumore, patologia in costante crescita a livello nazionale con livelli di sopravvivenza fortemente differenziati fra settentrione e meridione).
Non c'è nessuna seria programmazione, nessuna standardizzazione delle attività sanitarie, nessun controllo delle prestazioni.
Risultato: si accentua ancor più la disparità fra cittadini - a secondo della appartenenza di classe - in termini di accesso alle cure, di quantità e qualità dei servizi di aspettative di vita.
La L.833 doveva contribuire a unificare la società italiana, ma i fatti provano il contrario: esistono attualmente due sanità, una dei proletari e della povera gente e una dei borghesi e dei ricchi.
In 40 anni il SSN non sì è adeguato, non è cresciuto in modo omogeneo, ma si è frammentato, smagliato, producendo disuguaglianza e disomogeneità di diritti.
Oggi circa 12 milioni di cittadini, rinunciano a curarsi perché non hanno reddito a sufficienza per sostenere le crescenti spese per la salute. Milioni di lavoratori per curarsi si sono dovuti indebitare e sono scesi sotto la soglia della povertà.
Di fatto siamo tornati alla situazione pre-833, in cui i disoccupati e chi non aveva un lavoro regolare era escluso dalla sanità perché doveva pagare tutte le prestazioni.
Il perno fondamentale del sistema, la prevenzione, non è stato mai sviluppato ed è quasi inesistente, senza risorse per la promozione e il mantenimento della salute psicofisica della popolazione. Non si è creata una diffusa coscienza sanitaria. I continui omicidi sul lavoro, i morti per l'amianto, le malattie professionali, etc. dimostrano che la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell'igiene dell'ambiente di vita e di lavoro sono rimaste solo parole.
Al posto della prevenzione in questi decenni si è sviluppato il mercato dei farmaci per gli interessi delle multinazionali che ottengono enormi profitti in questo settore.
Riguardo le cure ospedaliere, si è verificato un drastico taglio di posti letto, la chiusura e il depotenziamento dei piccoli ospedali, senza predisporre servizi sul territorio.
Sono milioni le prestazioni ambulatoriali che non vengono soddisfatte, costringendo a lunghi viaggi o a ricorrere al privato.
I tempi di attesa biblici nella sanità pubblica sono evidentemente usati per
indirizzare verso la sanità privata, con un insopportabile aumento della spesa per i lavoratori.
I disservizi e il modo incivile in cui vengono trattati i pazienti sono altre caratteristiche del SSN, che raggiungono un apice nell'inferno dei pronti soccorso, dove si passano giornate in barella in attesa di una visita.
Questo problema è legato alla grave carenza di giovani medici ospedalieri pubblici (tra il 2013 e il 2016 in Italia i medici ospedalieri sono passati da 106mila a 102mila, la loro età media è di 54 anni) e di personale infermieristico e ausiliario (in cui il sottorganico è di decine di migliaia di posti), costretto a fare turni e carichi di lavoro massacranti con salari praticamente bloccati da un decennio.
Ormai nel SSN la percentuale di lavoratori stabili è in caduta libera; negli ospedali e altrove si fa largo utilizzo di precari ultraflessibili, tramite gli appalti con cooperative di comodo.
Mancano spesso anche i presidi ospedalieri elementari (farmaci, garze, siringhe, disinfettanti, etc.).
Tali pesanti carenze sono il risultato di una ultradecennale politica di continui tagli alla spesa sanitaria effettuati in nome della riduzione del debito e dell'austerità, per finanziare banche e padroni. Attualmente la spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) in Italia è appena il 6,5% del Pil, a fronte del 10% della Germania e del 12% della Francia.
Ciò si è accompagnato all'introduzione strutturale dei ticket antipopolari e l'introduzione di un sistema di rimborso delle prestazioni (i Drg) che serve a tagliare le spese pagando le malattie, neanche tutte e non la salute, così come a dimettere precocemente i pazienti.
La politica sanitaria in questi decenni ha visto un'impostazione fondamentalmente neoliberista, che ha fatto della salute un ricco mercato e ha determinato una privatizzazione crescente delle strutture.
Ad esempio, la riabilitazione quasi completamente in mano ai privati e la privatizzazione avanza in ogni altro aspetto del SSN.
Questa politica, seguita da tutti i governi borghesi, si è anche contraddistinta per la difesa dei privilegi della casta dei medici, specie delle figure apicali, che in nome della loro "autonomia" hanno rifiutato l'esclusività del rapporto di lavoro con il SSN, privilegiato l'attività libero professionale, sabotato la L.194, etc.
Dentro questa impostazione di fondo, si sono verificati altri fenomeni perversi: la rissa continua fra Stato e regioni, espressione della competizione fra settori di borghesia in lotta per accaparrarsi quote di ricchezza socialmente prodotta e di profitti; il ruolo dei politicanti borghesi che hanno fatto della sanità uno dei loro preferiti terreni di caccia clientelare ed elettorale; i diffusi fenomeni di corruzione, le infiltrazioni mafiose che si aggiungono a sprechi e irrazionalità tipici di un sistema anarchico come il capitalismo.
Oggi il SSN è un pianeta terremotato, dove sono saltati i paradigmi del "welfare state" e avanza un liberismo sfrenato. Il progressivo declino del SSN è uno degli aspetti della decomposizione dell'imperialismo italiano.
La borghesia ha affossato la riforma sanitaria, ne ha impedito con la sua politica antipopolare e criminale l'attuazione. La politica seguita dallo Stato e dai governi che si sono succeduti dalla emanazione della L.833 ad oggi è stata quella di vanificare qualsiasi principio sanitario e sociale degno di questo nome. Le chiacchiere della borghesia e dei riformisti sulla possibilità di "cambiare" il sistema a favore delle classi subalterne trovano nel fallimento della riforma sanitaria del 1978 la più clamorosa smentita.
La storia della L. 833 dimostra che nel capitalismo anche le riforme più "belle e più democratiche", che nascono sulla spinta della classe operaia, non vengono applicate, ma vengono sistematicamente svuotate di contenuto e trasformate nel loro contrario.
L' «eguaglianza dei cittadini in tema di salute», è solo un'ipocrisia tipica della democrazia borghese, ben nota ad ogni proletario cosciente.
La questione della sanità pubblica è di grande importanza per gli operai, i lavoratori, per le masse popolari che lottano per migliorare le condizioni di vita, perché una buona salute è fondamentale per avere una vita decente.
Al giorno d'oggi i progressi della scienza medica e della tecnologia sanitaria fanno sì che non vi sia ragione per cui tutti i lavoratori non possano godere di un eccellente livello di prestazioni sanitarie.
Ma quando l'interesse fondamentale della classe che domina la società è quello di ottenere il massimo profitto e assicurare ai lavoratori il minimo possibile in termini di salario, di condizioni di vita e di lavoro, di assistenza sociale e sanitaria, è facile concludere che vivere in buona salute è praticamente impossibile.
Una sanità pubblica, universale, gratuita ed efficiente si potrà avere solo nel socialismo.
Gli esempi storici di socialismo realizzato dimostrano che queste società hanno raggiunto livelli elevati di salute pubblica, hanno dato priorità alla salute e messo in pratica un approccio comprensivo e misure adeguate per la prevenzione (prioritaria, a partire dai luoghi di produzione), le cure e la riabilitazione per le masse lavoratrici, svincolati dalle logiche di mercato e di livello assolutamente superiore rispetto a quello capitalistico.
Non si tratta solo di adeguati fondi economici messi a disposizione, ma di questioni politiche e organizzative. Nel socialismo l'intera società, a partire dagli organismi di massa del potere proletario al governo centrale, lottano per lo stesso scopo: l'assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società.
La protezione della salute popolare, l'educazione sanitaria di massa, il miglioramento continuo del benessere psicofisico delle lavoratrici e dei lavoratori, la loro partecipazione diretta nel miglioramento del sistema sanitario e il loro controllo sulle strutture, i fondi spesi e i servizi erogati in termini di quantità e qualità, è un obiettivo che può essere raggiunto solo da un sistema sociale di produzione basato sulla totale sostituzione del lavoro salariato col lavoro associato e lo sviluppo pianificato dell'economia.
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