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Convegno nazionale "Con Stalin per il socialismo 1953-2013" [vedi]
Firenze 17/03/2013
 
Pubblichiamo di seguito l'introduzione dei promotori dell'iniziativa e i primi tre contributi che ci sono giunti.
 
Introduzione al convegno
Contributo di CSP-PC
Contributo di PCI M-L
Contributo di Amedeo Curatoli

Introduzione convegno
 
17/03/2013
 
Care compagne e cari compagni, benvenuti al Convegno che abbiamo organizzato in occasione del sessantesimo anniversario della morte del compagno Giuseppe Stalin.
Con questo evento intendiamo svolgere un lavoro volto a ricordare, valorizzare e attualizzare il suo pensiero e la sua opera rivoluzionaria.
 
Vogliamo farlo rilanciando e mettendo in risalto il loro significato di classe e rivoluzionario, l'attualità dell'incessante lotta contro il capitalismo e l'imperialismo, per il socialismo e il comunismo che il compagno Stalin ha svolto, conseguendo colossali realizzazioni e vittorie indimenticabili, che gli sono valse l'ammirazione e il rispetto dei lavoratori e dei popoli.
Ma gli sono valse anche l'odio controrivoluzionario della borghesia, dei trozkisti, dei revisionisti e di tutti i reazionari, comunque siano camuffati.
 
Sappiamo di avere di fronte un compito non facile. Sulla "questione Stalin" pesano come macigni decenni di denigrazioni, di calunnie, di falsificazioni grossolane e raffinate, di silenzi. Pesa quell'antistalinismo che è divenuto la carta di credito di tutti gli ideologi borghesi, il luogo comune di tutti gli opportunisti, la campagna permanente di un intero ceto di politicanti cialtroni e corrotti che hanno cercato con ogni mezzo di cancellare Stalin dalla memoria storica del movimento operaio e comunista. Una caratteristica permanente che si inserisce a pieno nell'offensiva portata avanti dalla borghesia imperialista che mira a demonizzare e criminalizzare il suo nemico irriducibile: il movimento comunista ed operaio.
 
Attaccando Stalin come fosse stato un burocrate e un sanguinario, si attaccano infatti le straordinarie realizzazioni del socialismo, la vera libertà degli operai e degli altri lavoratori, si colpisce la teoria d'avanguardia che esprime le esigenze di sviluppo della vita materiale della società, le aspirazioni più profonde dei lavoratori e dei popoli, mentre si diffondono il pessimismo e le illusioni piccolo borghesi.
 
Sappiamo bene che attaccando Stalin si attacca anche Lenin e inevitabilmente si proclama la fine del marxismo, la base teorica sulla quale i bolscevichi si sono sempre saldamente appoggiati. Purtroppo sappiamo anche che molti militanti di "sinistra", interessati alla trasformazione sociale, sono caduti preda di questa velenosa campagna.
 
A tutto questo è necessario rispondere, oggi come ieri, contestando apertamente l'operazione anticomunista che è stata costruita attorno al grande dirigente rivoluzionario, difendendo la verità rivoluzionaria su Stalin e offrendo su questo terreno un importante segnale di unità dei comunisti che non può che avvenire sulla base dei principi del marxismo-leninismo. L'errore che abbiamo voluto evitare, specie nelle condizioni attuali, era quello di realizzare sulla scadenza del 60° anniversario iniziative separate o contrapposte delle forze che si richiamano al movimento comunista ed operaio.
 
Di fronte alla canea antistalinista, cioè anticomunista, che la borghesia e gli opportunisti portano avanti, potevamo e dovevamo dare una risposta decisa e coesa, facendo pesare la presenza dei comunisti nella situazione italiana.
 
Perciò abbiamo lavorato per un convegno unitario, con significative adesioni collettive e individuali, coscienti del significato di un evento costruito pazientemente, in un clima costruttivo e di rispetto delle reciproche posizioni.
 
Abbiamo reputato che un'iniziativa nazionale unica in occasione del 60° anniversario della scomparsa del grande dirigente bolscevico, avrebbe posto con più forza la figura e l'opera di Stalin come lo spartiacque più reciso, il bastione che si erge fra i comunisti e tutti i nostri nemici interni ed esterni al movimento comunista ed operaio nazionale e internazionale. Inoltre avrebbe corrisposto alle aspirazioni e ai desideri di tanti compagni.
 
Il Convegno è stato costruito sulla base di un appello "senza se e senza ma", ponendo come base politica e ideologica poche cose, con la dovuta chiarezza: anzitutto il riconoscimento della dittatura del proletariato - che è il contenuto essenziale della rivoluzione proletaria - e della prima esperienza storica di edificazione del socialismo, a cui è legato indissolubilmente il nome e l'opera del compagno Stalin. Dunque un giudizio positivo sul suo pensiero, sulla sua opera, sul ruolo che ha giocato in Unione Sovietica e nel Movimento Comunista Internazionale.
 
Di conseguenza, la condanna del rovesciamento della dittatura del proletariato e della restaurazione del capitalismo, ad opera dei revisionisti, che con il nefasto XX Congresso non solo cercarono di coprire di fango Stalin, ma si diressero a vele spiegate verso la riconciliazione con l'imperialismo, determinando con le loro tesi illusorie e ingannevoli una grave rottura nel movimento comunista, di cui ancora paghiamo le conseguenze.
 
Anche oggi vogliamo continuare a parlar chiaro, senza usare quei mezzi termini, quelle parafrasi, quelle "teorie moderne", in realtà vecchie e superate, che gli opportunisti ci consigliano di usare per andare al "socialismo" tutti assieme e appassionatamente, sfruttati e sfruttatori, banchieri e parassiti, preti e poliziotti, ovviamente senza lotta di classe, senza rivoluzione, senza Partito comunista…
 
No, noi utilizzeremo le nostre categorie scientifiche, la nostra concezione del mondo e della società: il materialismo dialettico e storico. Questo è il passo preliminare di ogni serio studio, di ogni analisi, di ogni critica volta a far avanzare il movimento comunista ed operaio e ad infliggere colpi sempre più duri all'imperialismo e al capitalismo.
 
Dinanzi agli attacchi costanti e feroci da parte del nemico di classe e dei suoi collaboratori, di fronte allo sfacelo di un sistema morente noi comunisti non dobbiamo aver alcun timore di manifestare le nostre opinioni ed intenzioni rivoluzionarie.
 
In mezzo alla confusione, alle incoerenze, alle illusioni sparse dal revisionismo, dal riformismo e da tutti gli opportunisti, noi rivendichiamo come valido e ricco di preziosi insegnamenti tutto il patrimonio di lotta del movimento comunista internazionale, e vantiamo il nostro passato, esibendolo come forza di convincimento e di trascinamento nella lotta della classe operaia e delle masse popolari.
 
Il proletariato ha bisogno di certezze, di orientamento ideologico e politico, e dunque abbiamo il dovere di offrire ciò con convinzione, difendendo la nostra storia gloriosa, i nostri maestri: Marx, Enegls Lenin e Stalin. Non certo per quel "culto della personalità" che per primo Stalin ha sempre combattuto; né per una sorta di "devozione personale" nei loro confronti, poiché non coltiviamo il principio della devozione per le persone. Ma perché il pensiero e le realizzazioni dei classici del marxismo-leninismo rappresentano per noi la pietra angolare sulla quale basare la nostra azione, perché essi ci sono da guida nella preparazione della rivoluzione e nella costruzione di un nuovo e superiore ordinamento sociale, in marcia verso la società senza classi.
 
Sicuramente i nostri critici-critici ci rimprovereranno di guardare ad un mondo che ormai non c'è più, e diranno nella migliore delle ipotesi che siamo degli inguaribili nostalgici. Curioso. Difendono un sistema anacronistico, in cui una minoranza di parassiti possiede la maggior parte della ricchezza prodotta, in cui vengono liquidati decenni di conquiste sociali e un'intera generazione viene definita "persa", in cui governi controllati dai monopoli finanziari portano avanti una politica a favore di chi ha provocato la crisi economica, e poi si meravigliano se guardiamo a Stalin come la nostra bussola e vogliamo il socialismo!
 
Ebbene, sappiano questi ipocriti sostenitori del capitalismo che oggi celebreremo Stalin con lo stesso spirito e con la stessa ottica con cui i bolscevichi guardavano alla Comune di Parigi, che sebbene sconfitta rappresentava la "forma finalmente scoperta"; che lo facciamo nella consapevolezza di ripartire da un punto più alto di esperienza e di patrimonio storico e sulla base dei preziosi insegnamenti maturati nella costruzione della nuova società. Per noi l'analisi della sconfitta temporanea delle prime esperienze storiche di costruzione del nuovo mondo è un momento di sviluppo della nostra teoria e della nostra pratica, non un pretesto per affermare che il socialismo scientifico non è più valido, come hanno fatto molti rinnegati.
 
I comunisti sono per loro natura proiettati nel futuro. In tutto il mondo il passato, il vecchio che va rovesciato, è la borghesia, che cerca di trascinare l'umanità nella sua fossa; è il capitalismo, un sistema morente perché scosso da contraddizioni risolvibili solo con la rivoluzione proletaria. Di fronte alla barbarie del capitalismo il comunismo è il futuro dell'umanità, anche se la storia ha i suoi tempi, non paragonabili a quelli biologici dell'essere umano.
 
Andiamo dunque ad aprire un Convegno dal carattere non retorico o storiografico, ma che avvii un lavoro volto a dare una risposta ideologica e politica all'offensiva della classe dominante e a rilanciare le ragioni del socialismo, per costruire una società senza sfruttamento dell'uomo sull'uomo, senza disoccupazione, senza parassitismo e guerre di rapina.
 
Un Convegno che sia caratterizzato da un confronto libero e aperto sull'enorme contributo offerto dal compagno Stalin, che è la discriminante comune e la linea di demarcazione nei confronti del moderno revisionismo. Un momento di dibattito, sulla base dell'esperienza storica che Stalin rappresenta, per affrontare le complesse questioni che la profonda crisi capitalistica pone di nuovo all'ordine del giorno della lotta di classe degli sfruttati.
 
Convinti come siamo che la ripresa del cammino verso la rivoluzione e la costruzione della società socialista nei singoli paesi passa necessariamente e principalmente attraverso la sconfitta ideologica e politica del revisionismo, dell'opportunismo, dell'economicismo, del socialdemocraticismo, del movimentismo, del pacifismo e dell'estremismo, malattia infantile del comunismo, ampiamente e sciaguratamente presenti nelle fila del movimento comunista ed operaio nazionale e internazionale. Un Convegno, che ha un valore in termini di dibattito e di possibile cooperazione tra forze che lavorano per la ripresa del movimento comunista ed operaio, che è un momento e un aspetto del lavoro da sviluppare, in modo combattivo e unitario, nella situazione concreta.
 
Non la vogliamo fare lunga, per lasciare spazio alle relazioni e agli interventi. Il compagno Stalin in un colloquio ebbe a dire: "So che dopo la morte sulla mia tomba sarà deposta molta immondizia, ma il vento della storia la disperderà senza pietà".
 
Il tempo è galantuomo ed infatti siamo qui a celebrare con orgoglio e con soddisfazione il 60° anniversario della morte del compagno Stalin rivendicandolo come nostro compagno e maestro, mentre nessun partito revisionista o socialdemocratico potrebbe organizzare un convegno dal titolo "con Krusciov" o "con Gorbaciov" senza coprirsi di vergogna e di ridicolo.
 
Compagne e compagni, ci auguriamo che questo Convegno serva a restituire ai comunisti, agli operai avanzati, ai giovani rivoluzionari, agli antifascisti, agli anticapitalisti, ai progressisti, a tutti coloro che lottano per la libertà e l'indipendenza, per la democrazia e il socialismo, il pensiero e l'opera di questo gigante rivoluzionario dello scorso secolo, nella convinzione che "Con Stalin" si vince! Buon lavoro a tutte e a tutti!
 
Associazione Stalin, Comunisti Sinistra Popolare - Partito Comunista, redazione di Guardare Avanti!, La Città del Sole, Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista, Piattaforma Comunista
 

Non è fallito il Socialismo. E' fallita la revisione del Socialismo.
 
Marco Rizzo * (CSP-PC) | comunistisinistrapopolare.com
 
18/03/2013
 
Consideriamo (fortunatamente) terminata la stagione dell'eclettismo dubbioso, dell'esaltazione dei particolarismi che, in questi ultimi anni, ha contribuito a distruggere identità e prospettiva per chi voleva richiamarsi con coerenza al comunismo, per poi ridursi infine al nulla teorico ed organizzativo. In questo percorso, appunto da comunisti, prendiamo "in carico" la storia del movimento comunista internazionale e rivendichiamo la "spinta propulsiva" della Rivoluzione d'Ottobre, la costruzione del Socialismo in URSS e la figura di Stalin, continuatore dell'opera di Lenin, indicando nei processi di revisionismo di quella esperienza una delle cause del fallimento che, appunto, si ascrive esclusivamente alla sua degenerazione e non certo alla sua essenza. Il fallimento dell'Urss e' il fallimento del revisionismo, da Khruschev a Gorbaciov.
 
NON E' FALLITO IL SOCIALISMO, E' FALLITA LA REVISIONE DEL SOCIALISMO!!! Sarebbe un po' come dire, guardando oggi alla miseria della politica e della società italiana, che la colpa è dei partigiani che hanno fatto la Resistenza. In tal senso, la figura di Stalin non va presa come "feticcio", ma servirà, assieme a Marx, Engels, Lenin, Gramsci e agli altri grandi della "nostra" storia, da una parte come punto teorico di attualizzazione della teoria marxista-leninista e , dall'altra, come "spartiacque" per la costruzione pratica del partito. In Italia la dittatura della borghesia ti "consente" addirittura (sino ad oggi) di esser "comunista" ma non sopporta, non ammette lo " stalinismo".
 
Sono molti (troppi) quelli che si sono piegati a questo diktat in Italia, (peraltro neanche Stalin si definiva stalinista, il marxismo-leninismo è termine di riferimento politico e ideologico): chi non se la sente di rispondere adeguatamente al pensiero unico della borghesia non potrà mai contribuire realmente alla costruzione del Partito Comunista. Di fronte alla palese dittatura della borghesia globalizzata serve sviluppare il concetto della dittatura proletaria, di cui nessuna parte del popolo ha nulla da temere, in quanto vera "democrazia di tutti".
 
Il 7 novembre di 95 anni or sono, milioni di operai, contadini e soldati, guidati da Lenin, capo del Partito Bolscevico, compirono, per la prima volta nella storia dell'umanità, la più grande rivoluzione popolare in grado di scalzare dal potere la borghesia, instaurando un nuovo potere operaio e popolare fondato sui Soviet come base del nuovo Stato Socialista.
 
Ciò avvenne per il concentrarsi, in quel paese, di alcune contraddizioni del capitalismo che lo portarono ad essere l'anello debole della catena imperialista, ma anche per la costruzione, nel corso di lunghi anni, di una forte direzione politica rivoluzionaria che seppe coniugare, in ogni fase di sviluppo degli avvenimenti, una giusta analisi di classe dell'imperialismo e del capitalismo ad una audace e tempestiva determinazione dei compiti dell'avanguardia organizzata della classe operaia e del popolo: il Partito Comunista.
 
Solo così si poté, nel breve volgere di pochi giorni, spostare i rapporti di forza a favore delle forze proletarie ed instaurare il potere dei soviet, sconfiggere la reazione interna dei capitalisti e dei proprietari terrieri e successivamente, nel corso di una lunga guerra civile, respingere l'attacco di 15 eserciti stranieri, che si scatenarono nel primo feroce attacco contro la Russia Sovietica al fine di uccidere nella culla la giovane rivoluzione, nell'interesse del capitale finanziario internazionale.
 
La storia dello stato, che , dopo la vittoria contro l'invasione straniera, si chiamerà Unione Sovietica è la storia della costruzione del primo stato socialista del mondo che dal 1937 diventerà la seconda potenza industriale del mondo. E che, con la forza economica e politica accumulata, seppe respingere il secondo proditorio attacco delle forze imperialiste europee e mondiali nel 1941, questa volta nella forma delle armate nazi-fasciste, inseguendo il nemico fino alla sua capitale, Berlino, issando sulla sede del Reichstag la bandiera rossa dell'Unione Sovietica e della rivoluzione proletaria.
 
La storia del primo stato socialista terminerà nel 1991 con la restaurazione del capitalismo e la vanificazione delle grandi conquiste sociali che in quell'esperimento si realizzarono, a causa delle pressioni internazionali, ma soprattutto, dell'avvento nella sua direzione politica di forze che, sulla base di una profonda revisione dei principi e dei valori del marxismo-leninismo, a partire dal 1953 e nel corso dei decenni successivi, cominciarono ad inseguire la chimera della coniugazione della pianificazione con il mercato, di fatto inseguendo il modello del capitalismo nella competizione internazionale, subendone la profonda influenza fino a diventarne subalterni ed infine sconfitti.
 
Questo triste epilogo della storia del socialismo realizzato nel corso del XX secolo, ben lungi dal far venir meno le ragioni dell'emancipazione proletaria, è, per tutti i comunisti fonte di grandi insegnamenti.
 
Innanzitutto, è la conferma della tesi leninista che, anche dopo una o più sconfitte, la borghesia non rinuncia ai tentativi di restaurazione del proprio potere, a cui si può resistere vittoriosamente soltanto consolidando il potere popolare e non scimmiottando le leggi del suo ordinamento sociale.
 
Inoltre, si conferma valida la tesi che soltanto con una forte politica di competizione, a livello internazionale, il socialismo può contrastare l'egemonia del capitalismo e limitarne sempre più il campo d'azione, e non con la cosiddetta politica di " pacifica coesistenza " perseguita dal XX congresso del PCUS in poi.
 
Infine, apprendiamo, da tutta la storia del ‘900 che la lotta al revisionismo politico ed ideologico in seno al movimento operaio e comunista deve, sempre, essere condotta apertamente e senza omissioni, coinvolgendo in essa non solo i militanti di partito ma le più vaste masse popolari che, solo se informate e coscienti del proprio ruolo storico, possono essere permanentemente protagoniste della costruzione della nuova società.
 
Sulla base di questi principi e dagli insegnamenti tragici che ci vengono dalla storia, noi confermiamo l'attualità di una identità comunista , della necessità di ricostruire il Partito Comunista in Italia ed il movimento comunista internazionale, traendo forte ispirazione dalla nostra storia, dalla costruzione del socialismo come dalla restaurazione del capitalismo, dall'esempio grande ed universale della Rivoluzione Proletaria e Socialista d'Ottobre che ha aperto una nuova fase della storia dell'umanità e che continua ad essere quella dell'imperialismo come fase finale del capitalismo e delle nuove rivoluzioni proletarie che i comunisti ed i popoli sapranno realizzare per costruire col potere operaio e popolare il socialismo ed il comunismo.
 
Il pensiero e l'opera di Stalin come guida, fondamento e discrimine per la costruzione di un vero e moderno Partito Comunista.
 
Non ci prefiggiamo il compito, in questa sede, di ristabilire la verità su una delle personalità più imponenti della storia umana e sul suo operato. Questo è già stato efficacemente fatto da eminenti storici, studiosi e dirigenti del movimento comunista internazionale.
 
Per quanto ci riguarda, abbiamo da tempo respinto e condannato la demonizzazione della figura di Stalin come una delle forme più insidiose di anticomunismo, molto diffusa nelle fila della cosiddetta "sinistra", anche di quella che si definisce "antagonista" o "radicale", recuperando in toto il contributo teorico e gli insegnamenti che si possono trarre dallo studio della prassi politica staliniana, che rivendichiamo e assumiamo come patrimonio del movimento operaio e comunista internazionale e del nostro Partito.
 
Non meno pericolosa e, quindi, da combattere con forza, è la tendenza, purtroppo affermatasi in alcune componenti del Movimento Comunista Internazionale, a fare di Stalin un'icona, uno specchietto per le allodole, nascondendo sotto una pretesa radicalità da "duri e puri" i peggiori scivolamenti opportunistici e i più vergognosi cedimenti al nemico di classe.
 
Mentre gli anticomunisti, di destra e di sinistra, vedono in Stalin il demonio personificato, i moderni opportunisti ne celebrano ancorché il ruolo di grande statista e abile stratega militare, ma volutamente offuscano o tacciono su ciò che Stalin, in primo luogo, è: un grande dirigente rivoluzionario comunista.
 
Questo è l'aspetto di Stalin che più temono e, quindi, cercano di nascondere e far dimenticare. Questo è, invece, proprio ciò che noi assumiamo in modo assolutamente non testimoniale, esaltandone il ruolo di guida della prima rivoluzione proletaria e del primo stato socialista al mondo, traendone tutto l'insegnamento possibile, sul piano della teoria e della prassi rivoluzionaria.
 
E' difficile trovare nella storia una figura altrettanto amata o odiata al pari di Stalin.
 
Amata dalle masse profonde del popolo, con cui era riuscito a stabilire un grado di intesa e comunicazione tuttora ineguagliato, grazie all'acuta sensibilità politica, in grado di cogliere e portare a sintesi le aspirazioni e i bisogni delle masse, alla perfetta conoscenza della realtà russa e sovietica (Stalin è l'unico tra i massimi dirigenti bolscevichi a non avere imboccato la via dell'emigrazione politica all'estero nel periodo pre-rivoluzionario) e alla capacità di comunicare concetti politici, economici, filosofici complessi in modo semplice e accessibile, educando così il proletariato alla direzione effettiva del proprio stato e all'esercizio del proprio potere.
 
Odiata e temuta dal nemico di classe del proletariato, dai reazionari, dai socialdemocratici, dai revisionisti, dai trotzkisti e dagli opportunisti di ogni risma per l'estrema coerenza tra pensiero e azione, tra teoria e prassi, per il rigore dell'analisi, per l'implacabilità nella difesa del marxismo-leninismo contro ogni forma di snaturamento o deviazione, sia estremistica che socialdemocratica, per la limpida chiarezza della prospettiva e dell'obiettivo finale.
 
Stabilito questo contesto, poiché sarebbe comunque impossibile affrontare seriamente tutta l'ampiezza e la complessità del pensiero e dell'opera di Stalin in un intervento di pochi minuti, ci limiteremo pertanto ad esaminare il suo insegnamento per quanto riguarda la teoria della rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato.
 
E' necessario, a questo punto, fare una breve riflessione preliminare sul termine "stalinismo".
 
Il termine venne originariamente coniato con una connotazione fortemente negativa e spregiativa dall'opposizione trotzkista alla fine degli anni '20. Come noto, la concezione della "rivoluzione permanente e planetaria" che i trotzkisti, dogmaticamente e opportunisticamente, coltivavano in contrapposizione alla realistica concezione leniniana della "costruzione del socialismo in un paese singolarmente dato" (1), li portava a negare il carattere socialista dell'Unione Sovietica in quanto, per loro, a priori impossibile, a stravolgerne la realtà, diffondendone un'immagine distorta e falsa e identificando il potere sovietico con la "dittatura personale di Stalin". Da qui, il termine improprio di "stalinismo", usato per presentare in modo falsante la dittatura proletaria in Unione Sovietica, quale concretamente si sviluppava nelle date condizioni storiche degli anni '20 e '30.
 
Da allora e fino ad oggi, il termine è stato usato quasi esclusivamente in senso dispregiativo - sempre in modo improprio e mistificatorio - come sinonimo di totalitarismo, autoritarismo, intolleranza, repressione e chi più ne ha, più ne metta. Neppure quei partiti comunisti che rifiutarono la cosiddetta "destalinizzazione", iniziata con le falsità denigratorie di Khruschev al XX Congresso del PCUS nel 1956, quali il Partito del Lavoro d'Albania, il Partito Comunista Cinese e il Partito del Lavoro della Corea, si dichiararono mai "stalinisti".
 
In realtà, finché Stalin rimase in vita, il termine non fu mai usato. Stalin non si definiva certo uno "stalinista". Tra tutti i dirigenti bolscevichi di primo piano, fu l'unico che non formalizzò il proprio contributo teorico, per altro molto ricco e creativo, come una componente autonoma, a sé stante, del marxismo-leninismo. Mentre, in forte contrapposizione alla teoria leninista, troviamo, per esempio, il trotzkismo e il bukharinismo, Stalin non contrappone un proprio sistema di pensiero al marxismo-leninismo, ma agisce come continuatore dell'opera e del pensiero di Lenin, sviluppandoli e applicandoli creativamente nelle condizioni storicamente date.
 
Stalin definisce il leninismo come "il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria. Più precisamente, è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica della dittatura proletaria in particolare". (3)
 
Possiamo azzardare un'analoga definizione dello "stalinismo"?
 
Stalin prosegue l'opera di Lenin in condizioni particolari, che possiamo così sintetizzare:
 
ulteriore sviluppo dell'imperialismo e inasprimento delle sue contraddizioni;
sviluppo della costruzione socialista in un singolo paese;
avvio del processo di industrializzazione e di collettivizzazione nelle campagne;
inasprimento del confronto tra sistemi;
situazione di conflitto continuata (postumi della guerra civile, resistenza armata dei kulaki, aggressione tedesca e guerra mondiale, guerra fredda).
 
Potremmo quindi definire lo "stalinismo" come il marxismo-leninismo dell'epoca della costruzione vittoriosa del socialismo e del confronto intersistemico con l'imperialismo, come teoria e tattica del consolidamento della dittatura proletaria in generale e della costruzione del socialismo in particolare.
 
In questo senso, ebbene sì, siamo "stalinisti". Altrimenti, stalinianamente, preferiamo definirci marxisti-leninisti.
 
Da quanto fin qui detto, traiamo due considerazioni preliminari:
 
il pensiero e l'opera di Stalin si inscrivono a pieno titolo nel solco del marxismo-leninismo, sviluppandolo creativamente nelle condizioni storicamente date;
 
Stalin è in primo luogo un teorico e un pratico della rivoluzione proletaria, il cui contributo all'emancipazione dell'umanità oppressa è estremamente attuale.
 
Stalin e la teoria della rivoluzione proletaria
 
Nella sua analisi del processo che condusse alla Rivoluzione d'Ottobre, nel corso "Fondamenti del Leninismo", Stalin parte dalle tre fondamentali contraddizioni che caratterizzano quel periodo:
 
la contraddizione tra capitale e lavoro che, in condizioni di imperialismo e onnipotenza dei monopoli, del capitale finanziario e delle banche, rivela l'inadeguatezza dei metodi tradizionali di lotta del proletariato (lotta sindacale, mutuo soccorso e cooperativizzazione, lotta parlamentare), ponendolo di fronte all'alternativa secca di piegarsi e soccombere oppure di imboccare la strada della rivoluzione;
 
la contraddizione tra le diverse borghesie imperialiste e i diversi raggruppamenti del capitale finanziario, in lotta tra loro per la spartizione delle risorse e dei mercati di sbocco, che conduce ad un'asperrima competizione ed anche alla guerra, indebolendo, però, in questo modo il fronte imperialista e creando contemporaneamente condizioni favorevoli alla rivoluzione proletaria;
 
la contraddizione tra un pugno di paesi avanzati e le centinaia di milioni delle popolazioni coloniali e dipendenti, trasformate in una potenziale riserva della rivoluzione proletaria dall'imposizione imperialista di elementi di capitalismo.
 
Queste condizioni, che resero ineluttabile la Rivoluzione in Russia, come punto di congiunzione delle contraddizioni oggettive dell'imperialismo e di situazioni soggettive e peculiari del proletariato russo, si ritrovano, se si vogliono riconoscere, si possono cogliere ancora oggi nella realtà del mondo attuale, identiche nella sostanza anche se parzialmente mutate nelle forme. Se negli anni '40 del XIX secolo il baricentro della tensione rivoluzionaria si colloca in Germania, negli anni '70 dello stesso secolo si sposta in Francia e all'inizio del XX secolo si colloca in Russia, si tratta oggi di individuare in quale parte del mondo, addirittura in quale paese concretamente, sussistano le condizioni, oggettive e soggettive, più favorevoli e vicine alla rivoluzione proletaria. Certamente, viviamo oggi in un mondo policentrico, dove i centri imperialistici in competizione tra loro sono indubbiamente più numerosi e articolati che in passato. Pensiamo al fatto che, oltre alle tradizionali metropoli imperialiste, gli USA, l'Europa, il Giappone, si sono affacciate alla ribalta della concorrenza globale interimperialista nuove realtà, quelle che usiamo sintetizzare nell'acronimo BRICS. Alla luce di queste novità, ci sembra di poter affermare che oggi sia senza dubbio in atto un processo rivoluzionario, sia pure non ancora compiutamente socialista al di là delle dichiarazioni d'intenti, nel continente latinoamericano, con intensità e compiutezza diverse da paese a paese, mentre nel nostro continente troviamo la situazione più avanzata sul piano rivoluzionario nell'Europa del Sud e, particolarmente, in Grecia. In sintesi, ci troviamo in presenza di più baricentri rivoluzionari rispetto al passato, a causa della maggiore articolazione policentrica dell'imperialismo, senza che siano sostanzialmente mutate le contraddizioni di fondo, ben individuate da Stalin, che determinano l'insorgenza dei processi rivoluzionari.
 
Tra Marx e Lenin giace tutto il periodo "paludoso" di una II Internazionale dominata dall'opportunismo dei partiti e dei dirigenti "…non si parla qui del dominio formale dell'opportunismo, ma del suo dominio di fatto. Formalmente, alla testa della II Internazionale erano collocati marxisti "fedeli", "ortodossi", come Kautsky e gli altri.". E ancora: "Gli opportunisti si adeguavano alla borghesia in forza della loro natura compromissoria e piccolo-borghese, mentre gli "ortodossi", a loro volta , si adeguavano agli opportunisti in nome del "mantenimento dell'unità", …. "della pace nel partito"." (J.V. Stalin, Fondamenti del Leninismo). Oggi ci separano da Stalin 60 anni di storia, caratterizzati dal processo di degenerazione revisionista di molti partiti comunisti e operai, avviato nel 1956 da Khruschev con il XX Congresso del PCUS e culminato con la dissoluzione di molti di essi o, perlomeno, con il loro definitivo snaturamento genetico.
 
Stalin, efficacemente, stigmatizza così quella condotta politica: "In luogo di una teoria rivoluzionaria compiuta, posizioni teoriche contraddittorie e mozziconi di teoria, staccate dalla viva lotta rivoluzionaria delle masse e trasformate in dogmi decrepiti. Esteriormente, certo, ricordavano la teoria di Marx, ma solo per espurgarne la viva anima rivoluzionaria. In luogo di una politica rivoluzionaria, un fiacco filisteismo e un lucido politicantismo, diplomazia parlamentare e imbrogli parlamentari. Esteriormente, certo, si adottavano risoluzioni e slogan "rivoluzionari", ma solo per metterle nell'armadio. In luogo di educare e istruire il partito ad una giusta tattica rivoluzionaria partendo dai propri errori, un attento aggiramento delle questioni più stringenti, offuscandole e addolcendole. Esteriormente, certo, non rifiutavano di parlare delle note dolenti, ma solo per chiudere la questione con una qualche risoluzione di "caucciù"." (J.V. Stalin, Fondamenti del Leninismo). Il parallelismo con il processo degenerativo di quei partiti comunisti che, nel solco del revisionismo khruscheviano, avrebbero poi fondato la teoria dell'eurocomunismo è evidente, ma è altrettanto palese l'analogia con il ventennale tentativo di "rifondare" una presenza comunista organizzata in Italia. Non sono forse riferibili, con la stessa tagliente efficacia, le parole di Stalin sulla II Internazionale al bertinottismo e alla rapidissima degenerazione di Prc e Pdci, alla continua rincorsa di alleanze elettorali con i partiti borghesi del centrosinistra in nome di un'assolutizzazione e sopravvalutazione della presenza parlamentare a tutti i costi, perdendo a poco a poco sia il contatto con le masse, che l'obbiettivo della rivoluzione, che, alla fine, anche il senso della realtà?
 
Di fronte a questa constatazione, Stalin ci richiama, in modo vivo e fecondo, all'applicazione del metodo leninista, a riconsiderare in modo critico la nostra storia, a "gettare via tutto ciò che è arrugginito e decrepito e forgiare nuovi tipi di armi", senza le quali il proletariato rischierebbe di affrontare la guerra contro il capitalismo in modo inadeguato o addirittura disarmato.
 
In cosa consiste, secondo Stalin, il metodo leninista di affrontare la questione dell'adeguamento dell'arsenale proletario?
 
In primo luogo, nella verifica, sotto la lente della lotta rivoluzionaria, di categorie, analisi, concetti assunti come scontati e largamente affermatisi nel pensiero politico corrente dell'opportunismo di sinistra, ossificati in veri e propri intoccabili dogmi teorici (pensiamo, ad esempio, ad affermazioni, quali "la progressiva scomparsa della classe operaia", il riferimento rituale ad una Costituzione disattesa che non opera più, la limitazione delle forme di lotta proletaria al solo campo istituzionale con la presunta e non dimostrata "impossibilità nelle condizioni attuali" di praticare altre forme di lotta non parlamentare, la distorsione opportunistica del concetto di maggioranza e a tutti gli altri veri e propri luoghi comuni in voga nella cosiddetta "sinistra"), restituendo al Partito Comunista un'autentica teoria rivoluzionaria e ristabilendo l'unità tra teoria e prassi.
 
In secondo luogo, nella valutazione della politica dei partiti non sulla base di slogan e proclami, ma sulla base della loro azione reale.
 
In terzo luogo, nel reindirizzamento di tutto il lavoro di partito verso l'attività di educazione delle masse alla vera lotta rivoluzionaria.
 
In quarto luogo, nell'esercizio dell'autocritica, per trarre il massimo insegnamento possibile dagli errori commessi ed educare così in modo efficace i quadri e i dirigenti del Partito proletario.
 
In sostanza, Stalin ci ricorda che la teoria rivoluzionaria non è un dogma, ma si sviluppa solo in stretto contatto con la reale prassi rivoluzionaria, al servizio della quale si deve porre.
 
Cosa intende Stalin con il termine "teoria"? Per Stalin, la teoria è "l'esperienza del movimento operaio di tutti i paesi, presa nel suo aspetto generale". Da autentico leninista, Stalin sottolinea come la teoria slegata dalla lotta rivoluzionaria concreta diventi "priva d'oggetto", così come la prassi "diventa cieca, se la sua strada non è illuminata dalla teoria rivoluzionaria". La teoria ci aiuta a capire non solo ciò che avviene in un dato momento, ma anche ciò che avverrà successivamente, date certe condizioni. Per questa ragione il nostro Partito, nella modestia della sua influenza attuale, insiste con forza sul rigore e la saldezza della teoria e sul suo legame inscindibile con la pratica della rivoluzione.
 
Per questa stessa ragione, Stalin - e noi con lui - è un irriducibile avversario della "teoria della spontaneità", oggi riproposta dal bertinottismo e dai suoi epigoni nella cosiddetta "sinistra radicale" sotto forma di "teoria dei movimenti". Teorizzare lo spontaneismo, il movimentismo, significa negare il ruolo d'avanguardia e di guida del Partito alla testa delle masse, permettendo che queste si indirizzino verso rivendicazioni compatibili con il capitalismo, realizzabili al suo interno, lungo una "linea di minor resistenza" anziché verso la rottura rivoluzionaria scientificamente pianificata. Secondo costoro, il Partito dovrebbe semplicemente accodarsi al movimento anziché svilupparne la coscienza. Questa "ideologia del "codismo" è la base logica di qualsiasi opportunismo".
 
Di estrema attualità, quasi profetica, è la considerazione "staliniana" della teoria della rivoluzione proletaria in Lenin.
 
Stalin individua nelle già citate contraddizioni dell'imperialismo che portano alla prima rivoluzione proletaria della storia, tre aspetti che possono essere generalizzati:
 
il dominio del capitale finanziario, l'esportazione del capitale verso le sorgenti delle materie prime e l'acuirsi del carattere parassitario del capitalismo monopolistico spingono il proletariato alla rivoluzione come unica forma di salvezza; da qui una prima constatazione: si acutizza obbiettivamente la crisi rivoluzionaria sul fronte interno della metropoli imperialista;
 
l'esportazione del capitale verso i paesi coloniali e in via di sviluppo, la "trasformazione del capitalismo in un sistema planetario di schiavizzazione finanziaria" della stragrande maggioranza della popolazione della Terra da parte di un pugno di Paesi avanzati "trasformano le singole economie nazionali e i territori nazionali in anelli di un unica catena, chiamata economia mondiale", accentuando la divisione del mondo in due campi: una minoranza di oppressori e sfruttatori e una enorme maggioranza di oppressi e sfruttati; da qui, una seconda considerazione: cresce l'insofferenza verso l'imperialismo e si acutizza la crisi rivoluzionaria anche sul fronte esterno alla metropoli imperialista;
 
la creazione di "sfere d'influenza" monopolistiche e lo sviluppo diseguale tra gli stessi paesi imperialisti conducono ad una lotta furiosa per la spartizione del mondo, delle risorse, dei mercati che porta alla guerra imperialista come unico modo per ristabilire gli equilibri; da qui, una terza conclusione: la lotta interimperialista apre un terzo fronte che, alla lunga, indebolisce l'imperialismo, rende inevitabile il ricorso alla guerra, così come diventa inevitabile la fusione della rivoluzione proletaria con la rivoluzione anticoloniale in un unico fronte antimperialista.
 
Di fronte a queste considerazioni, tutt'oggi ancora attuali, il vecchio approccio alla questione della rivoluzione proletaria, basato sulla valutazione delle condizioni economiche e politiche di ciascun paese singolarmente preso, non è più sufficiente, ma deve essere sostituito da un approccio che tenga in considerazione le condizioni economiche e politiche del mondo nel suo complesso, cioè "globali", come si usa dire oggi, proprio perché i singoli paesi hanno cessato di essere entità a sé stanti, ma sono diventati anelli di un'unica catena imperialista. "Adesso si deve parlare dell'esistenza delle condizioni obiettive per la rivoluzione in tutto il sistema dell'economia mondiale imperialista, come un tutto unico, inoltre la presenza nel corpo di questo sistema di alcuni paesi insufficientemente sviluppati sul piano industriale non può servire da impedimento insormontabile alla rivoluzione, se - o, per meglio dire -, poiché il sistema nel suo complesso è già maturo per la rivoluzione.". Se prima si parlava di rivoluzione proletaria come fenomeno a sé stante, contrapposto al capitale nazionale e come risultato del solo sviluppo interno di un dato paese, oggi si deve parlare di rivoluzione proletaria mondiale in contrapposizione al fronte mondiale dell'imperialismo e come risultato della maturazione delle contraddizioni del sistema mondiale dell'imperialismo.
 
Questa convinzione staliniana non concede nulla all'opportunismo trotzkista e nulla ha in comune con esso. Per Trotzki la rivoluzione mondiale si deve sviluppare simultaneamente in tutti i paesi, altrimenti non può avere un carattere socialista, ma parziale, nell'ambito del quale prevarrebbe comunque il capitalismo. Secondo Lenin e Stalin, invece, considerando il diverso grado di sviluppo dei diversi paesi, quindi il grado non uniforme della maturazione delle contraddizioni, la rivoluzione mondiale può realizzarsi e crescere anche solo in un paese singolarmente dato e questo, spezzando comunque il fronte imperialista, lo indebolisce, favorendo così i processi rivoluzionari nel resto del mondo. Mentre per i trotzkisti la rivoluzione mondiale, l'attesa messianica di un evento che dovrebbe presupporre il pieno e uniforme sviluppo del capitalismo in tutti i paesi, è in realtà il pretesto opportunistico per non fare nulla, per i marxisti-leninisti la rivoluzione mondiale è lo sbocco pratico e concreto dell'analisi scientifica del capitalismo in fase imperialista, a cui ogni partito effettivamente comunista lavora attivamente nelle differenti condizioni storiche, politiche, economiche e culturali date in ciascun paese.
 
Poiché, quindi, la rivoluzione proletaria non avviene simultaneamente per uguale grado di maturazione delle contraddizioni interne all'imperialismo, potrà avere luogo e affermarsi vittoriosamente non tanto dove il "capitalismo è più sviluppato", oppure dove "il proletariato rappresenta la maggioranza della popolazione", ma piuttosto là, dove l'imperialismo è oggettivamente più debole.
 
L'opportunismo, volutamente, non coglie questo aspetto "globale" dell'imperialismo, nel quale i dati statistici della composizione di classe in un singolo paese cessano di avere un significato assoluto ai fini della rivoluzione, così come non comprende l'assoluta infondatezza della "teoria della gradualità". In una concezione meccanicista e non dialettica, l'opportunismo si inventa una linearità di passaggi e di fasi storiche che in realtà non è mai esistita. La rivoluzione socialista, di conseguenza, non sarebbe possibile prima che il capitalismo si sia completamente sviluppato, abbia superato definitivamente tutti i residui di rapporti sociali preesistenti e che il proletariato abbia raggiunto le caratteristiche soggettive, qualitative e quantitative e accumulato gli strumenti, materiali e culturali, per affrontare un'ipotetica battaglia finale.
 
D'altro canto, vediamo che oggi il capitalismo in fase imperialista tende invece a riesumare elementi propri di formazioni economico-sociali precedenti e a fondersi con esse. Pensiamo alle diffuse situazioni di moderno schiavismo, ad esempio; mentre il capitalismo "fiorente" vende la forza-lavoro degli individui, il capitalismo "morente" vende anche la persona umana tout court, facendo coesistere lavoro salariato e lavoro dei nuovi schiavi. In forza di ciò, la lotta ai residui di feudalesimo e ai rigurgiti di schiavitù non può che tradursi in una lotta contro l'imperialismo.
 
Infatti, Lenin prima e Stalin dopo, sulla base della concreta esperienza rivoluzionaria, ci insegnano in modo quanto mai attuale che la rivoluzione democratico-borghese può e deve saldarsi con la rivoluzione proletaria, trasformandosi in quest'ultima.
 
Non vi è quindi gradualità nella rivoluzione proletaria: il carattere della rivoluzione proletaria è comunque socialista, al di là del grado di sviluppo economico e politico del paese in cui avviene, senza tappe intermedie democratico-borghesi. O il proletariato assume nelle proprie mani la totalità del potere, spazzando via la vecchia classe dominante, oppure questa conserverà il suo potere e costringerà il proletariato ad arretrare: storicamente, non esistono vie di mezzo! Prendendo il potere, il proletariato porta a compimento la rivoluzione democratico-borghese, trasformandola nel suo superamento, la rivoluzione proletaria e socialista. Questa è la corretta concezione della "rivoluzione permanente" che da Marx, attraverso Lenin e Stalin, giunge, viva e vitale, fino a noi.
 
Stalin, interpretando e sviluppando correttamente la teoria leninista della rivoluzione proletaria, ci insegna che, se la rivoluzione in un singolo paese è possibile e addirittura necessaria, se la trasformazione della rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione proletaria è doverosa, devono però sussistere alcune condizioni oggettive imprescindibili perché la rivoluzione possa affermarsi con successo.
 
In primo luogo, non è sufficiente che le masse prendano coscienza dell'impossibilità di continuare a vivere come prima ed esigano il cambiamento; occorre anche che la vecchia classe dominante non possa più vivere e governare come prima. In altre parole, "la rivoluzione è impossibile in mancanza di una crisi generale che riguardi sia gli sfruttati che gli sfruttatori.".
 
In secondo luogo, è necessario che la rivoluzione si affermi con successo in almeno alcuni paesi, come Lenin sintetizzava con queste poche parole: il compito della rivoluzione vittoriosa consiste nella realizzazione del "massimo possibile in un singolo paese per lo sviluppo, il sostegno, il risveglio della rivoluzione in tutti i paesi" (V.I. Lenin, Polnoie Sobranie Sochinenii, vol. XXIII, pag. 385).
 
Stalin e lo stato.
 
"La questione del potere è la questione fondamentale di ogni rivoluzione", insegnava Lenin. La presa del potere è, per Stalin, solo l'inizio, dopo il quale occorre mantenere, rafforzare e rendere irreversibile il potere conquistato. Poiché la borghesia, rovesciata in un singolo paese, resta ancora per lungo tempo, a causa di svariati fattori, più forte del proletariato che ne ha abbattuto il dominio, la rivoluzione deve dotarsi dello strumento della dittatura proletaria come sua base fondamentale per perseguire fin dall'inizio tre obiettivi principali:
 
schiacciare la resistenza della borghesia e qualsiasi suo tentativo di riprendere il potere;
 
organizzare la costruzione del socialismo, riunendo intorno al proletariato le masse lavoratrici per guidarle verso la liquidazione di tutte le classi;
armare la rivoluzione, per prepararla alla lotta e alla difesa contro l'imperialismo.
 
Nel lungo periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, la borghesia immancabilmente continua a coltivare la speranza di restaurare il proprio potere, speranza che quasi sempre si trasforma in tentativo di restaurazione. Inoltre, tra il proletariato e la borghesia, si colloca una larghissima e articolata massa di piccola borghesia, oscillante e indecisa, che oggi può appoggiare il proletariato, ma domani, alle prime difficoltà, può gettarsi nuovamente nelle braccia dell'avversario di classe.
 
La borghesia, dopo il suo rovesciamento in un singolo paese, resta comunque e a lungo più forte del proletariato. La sua perdurante forza si basa sulla potenza del capitale internazionale e sulla solidità dei legami con esso; sul perdurare di una serie di vantaggi di fatto, dalla disponibilità di denaro, che la rivoluzione non può immediatamente abolire, alla maggiore esperienza in politica, nell'organizzazione della produzione e, soprattutto, nell'ambito militare; infine, sulla diffusione della piccola produzione, che genera il capitalismo in modo selvaggio e in una dimensione di massa; se è abbastanza facile per il proletariato eliminare i capitalisti, non è così semplice annientare i piccoli produttori, con i quali, invece, occorrerà convivere per un lungo periodo, trasformandoli e rieducandoli a poco a poco con un lento e attento lavoro organizzativo.
 
La dittatura proletaria è quindi "la più impietosa guerra della nuova classe contro un nemico più potente, contro la borghesia, la cui resistenza è decuplicata dal suo rovesciamento", "la lotta ferma, sanguinosa e incruenta, violenta e pacifica, militare e economica, educativa e amministrativa contro le forze e le tradizioni della vecchia società" (V.I. Lenin, Polnoie Sobranie Sochinenii, vol. XXV, pagg. 173 e 190).
 
La dittatura proletaria, così concepita, non è per Stalin un periodo di breve durata, ma un'intera epoca, quella della transizione dal capitalismo al comunismo, durante il quale non solo si devono creare le condizioni economiche e culturali per la piena affermazione del socialismo, ma si deve anche educare il proletariato ad essere in grado di dirigere il paese e rieducare la massa piccolo-borghese, orientandola a favore del proletariato e in funzione dello sviluppo della produzione socialista. La dittatura proletaria è quindi anche lo strumento con cui vengono rieducati milioni di contadini, di piccoli proprietari, di impiegati, di funzionari, di intellettuali; è lo strumento con cui si rieducano anche i proletari, liberandoli dai pregiudizi e dalle incrostazioni piccolo-borghesi.
 
La dittatura proletaria è il dominio del proletariato sulla borghesia. Gli opportunisti confondono artatamente la "presa del potere" con la "formazione del governo", ma quest'ultima rappresenta soltanto un cambio di gabinetto che lascia immutato il vecchio ordinamento economico e politico, servendo piuttosto da "maschera di bellezza" della borghesia, che rimane padrona della situazione. Lo abbiamo visto in Italia, con i governi di centro-sinistra, in Spagna e in Francia con i governi Zapatero e Hollande, in Grecia con i governi guidati dal PASOK, in Germania con quelli socialdemocratici, in Gran Bretagna con i laburisti: in nessun caso vi è stato un avanzamento verso il potere proletario, anzi la borghesia si è abilmente servita di questi governi per colpire sempre più duramente il proletariato e i lavoratori.
 
Stalin ci insegna che "la dittatura proletaria non è un cambio di governo, ma è un nuovo stato, con nuovi organi di potere, nel centro e nelle periferie, è lo stato del proletariato che è sorto dalle rovine del vecchio stato borghese". Essa non nasce nell'ordinamento borghese, ma nel corso della sua rottura dopo il rovesciamento della borghesia, nel corso delle espropriazioni dei capitalisti, nel corso della socializzazione dei mezzi di produzione, nel corso, insomma, della rivoluzione proletaria violenta.
 
Lo stato è sempre e ovunque lo strumento con cui una classe domina sulle altre. In questo senso, lo stato proletario non fa eccezione. Stalin sottolinea, però, una differenza sostanziale tra lo stato proletario e gli altri stati. Tutti gli stati storicamente esistiti si sono caratterizzati come dittature di una minoranza di sfruttatori contro una larghissima maggioranza di sfruttati. La dittatura proletaria ribalta questo aspetto, in quanto dittatura della maggioranza di sfruttati su una minoranza di sfruttatori. Stalin definisce la dittatura proletaria come "il dominio, non limitato dalla legge e basato sulla violenza, del proletariato sulla borghesia, con la comprensione e il sostegno dei lavoratori e delle masse sfruttate".
 
Da qui, Stalin trae due considerazioni:
 
non esiste la "democrazia pura", buona per tutti, poveri e ricchi, in quanto qualsiasi democrazia ha sempre un connotato di classe; la dittatura proletaria è quindi uno stato democratico in modo nuovo, per il proletariato e i suoi alleati e dittatoriale in modo nuovo, contro la borghesia; nel capitalismo la democrazia è democrazia capitalistica, funzionale alla minoranza di sfruttatori e limitante i diritti della maggioranza di sfruttati, mentre nella dittatura proletaria la democrazia è democrazia proletaria, che è funzionale alla maggioranza di sfruttati, si basa sulla limitazione dei diritti della minoranza di sfruttatori ed è diretta contro di essa;
 
la dittatura proletaria non può affermarsi come risultato dello sviluppo pacifico della società borghese, ma solo come conseguenza della rottura della macchina statuale borghese, dell'esercito borghese, dell'apparato dei funzionari pubblici borghese, della polizia borghese; ciò significa che la rivoluzione proletaria non attua un semplice passaggio in altre mani della macchina burocratico-militare dello stato, ma ne attua la distruzione violenta come precondizione della rivoluzione stessa, sostituendola con una macchina statuale di tipo nuovo.
 
Il potere sovietico (cioè consigliare) è la forma statuale della dittatura del proletariato, l'assetto organizzativo in grado di distruggere la macchina statuale borghese, di sostituirla con una nuova, di schiacciare la resistenza della borghesia, di sostituire la democrazia borghese con la democrazia proletaria. I Consigli hanno la forza per realizzare questo enorme lavoro.
 
Questa forza, secondo Stalin, deriva dal fatto che:
 
i Consigli sono le organizzazioni proletarie di massa più onnicomprensive, in quanto abbracciano tutta la classe operaia nella sua interezza;
i Consigli sono le uniche organizzazioni di massa che riuniscono gli strati popolari alleati del proletariato e, pertanto, facilitano all'avanguardia il compito di direzione politica, rendendola più efficace;
i Consigli sono gli organi più potenti della lotta rivoluzionaria, in grado di spezzare l'onnipotenza del capitale finanziario;
i Consigli sono organizzazioni dirette delle masse stesse, quindi sono gli organi più democratici e più autorevoli nella costruzione e nella direzione del nuovo stato.
 
Il potere consigliare (sovietico) consiste nell'unificazione e formalizzazione dei Consigli locali in un'unica organizzazione statuale del proletariato come classe dominante e come avanguardia degli oppressi e degli sfruttati.
 
I Consigli, inoltre, assommano in sé sia il potere legislativo che quello esecutivo e sono eletti non su base territoriale, ma su base delle unità produttive. Questo fatto consente di attuare un legame diretto tra la classe operaia e i suoi alleati e l'apparato statuale di direzione del paese. Realizzando la continua, stabile e incondizionata partecipazione delle organizzazioni di massa dei lavoratori alla direzione dello stato, il potere consigliare prepara le condizioni per l'estinzione dello stato stesso nella società comunista.
 
Dopo la teoria della rivoluzione ed il concetto di stato vorremmo riportare la discussione sul terreno della costruzione del Partito Comunista in Italia ma esuleremmo dai confini di questo convegno unitario, di cui siamo fieri di esser tra gli organizzatori.
 
Su questo tema diamo appuntamento a tutti i compagni interessati all'Incontro Internazionalista che si terrà a Roma Sabato 6 Aprile alle ore 14.30 presso la Sala di Via Casilina 5 con la partecipazione dei Partiti Comunisti di Grecia, Spagna, Francia, Russia, Ucraina, e Jugoslavia.
 
* Relazione di Marco Rizzo, Segretario nazionale di CSP-Partito Comunista
 

Contributo del PCI M-L |  pciml.org
 
Lotta spietata al revisionismo-opportunismo, nemico del socialismo e del comunismo!
 
Domenico Savio *
 
17/03/2013
 
Care compagne e cari compagni,
 
Innanzi tutto portiamo a questo importante convegno, di cui siamo tra i promotori, il saluto e l'augurio di buon lavoro del Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista. Il titolo di questo nostro intervento è "Lotta spietata e senza frontiere al revisionismo del principio fondamentale del marxismo, e cioè la dottrina della lotta di classe, e fedeltà assoluta ai principi del marxismo leninismo, condizione essenziale per vincere nella rivoluzione e nella costruzione della società socialista".
 
Il revisionismo del principio fondamentale del marxismo, e cioè la dottrina della lotta di classe, è opera scellerata intellettuale e politica dei revisionisti che favorisce la sopravvivenza dell'infame sistema capitalistico. I revisionisti sono i peggiori nemici ideologici e politici della lotta di classe del proletariato e lo sono ancor di più dei borghesi, perché con le loro idee e proposte controrivoluzionarie svolgono opera di persuasione e di deviazione direttamente all'interno del movimento operaio e comunista. Di conseguenza, senza sconfiggere il revisionismo e i revisionisti è impossibile portare a termine la costruzione della società socialista ed edificare quella comunista.
 
Infatti Stalin affermava: "E' impossibile finirla col capitalismo, senza aver posto fine al socialdemocratismo nel movimento operaio". Oggi per noi marxisti-leninisti la lotta di classe per il socialismo è ardua, perché, come diceva Enver Hoxha: "Il revisionismo è in ascesa, noi siamo in minoranza, ma andremo avanti, non ci arrenderemo mai. Noi siamo dalla parte del giusto, con noi è il marxismo-leninismo e vinceremo, vinceremo senz'altro. La nostra lotta è difficile, impari, ma giusta e gloriosa". Dunque, non scoraggiamoci per nessuna ragione e puntiamo alla vittoria finale e questo convegno, titolato "Con Stalin per il socialismo", vuole contribuire a meglio orientare il cammino della nostra lotta di classe e rivoluzionaria.
 
Il revisionismo della lotta di classe del marxismo è nato e si è sviluppato quasi parallelamente al marxismo, sicché Marx ed Engels sono stati i primi a individuarne i pericoli controrivoluzionari ideologici e politici e lo hanno combattuto con scritti e attività politica. Basta ricordare la critica di Marx al programma di Gotha della socialdemocrazia tedesca. Marx ed Engels hanno condotto una dura lotta ideologica e politica contro il revisionismo, che ha consentito grandi battaglie rivoluzionarie del proletariato alla fine del XIX secolo. La lotta al revisionismo è continuata senza tregua con Lenin e Stalin, ma, purtroppo, non è stato ancora sconfitto ed anzi si è rafforzato dopo la morte del compagno Stalin, il XX congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica e la caduta della gloriosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e attualmente ne siamo tragicamente accerchiati. Il nostro lavoro ideologico e politico di smascheramento e condanna del revisionismo è reso ancora più difficile dagli inganni che i revisionisti generano nella classe lavoratrice utilizzando, solo apparentemente, un frasario rivoluzionario e i simboli storici del movimento comunista e operaio.
 
Il revisionismo rivede la dottrina della lotta di classe del marxismo snaturandola della sua funzione di classe e trasformandola in politica collaborazionista col nemico di classe, cioè con la classe borghese e il suo sistema di sfruttamento sociale, mediante le politiche economiche del cosiddetto welfare o dello stato sociale, della mediazione tra capitale e lavoro, della cogestione tra padroni e dipendenti, del compromesso istituzionale e della concertazione politico-sindacale tra sfruttatori e sfruttati. Tutto questo attutisce e neutralizza la lotta di classe e fa dormire sonni tranquilli al sistema capitalistico e al potere politico borghese e clericale. I revisionisti per appagare il loro schifoso opportunismo, individualismo, esibizionismo e il godere dei privilegi che la società borghese mette loro a disposizione per ostacolare o contenere la lotta di classe rivoluzionaria del proletariato operano politicamente e programmaticamente alla giornata, nel senso che "Il fine non è nulla, il movimento è tutto", come affermava il revisionista Bernstein. Come senza teoria rivoluzionaria non può esserci lotta rivoluzionaria così senza lotta di classe rivoluzionaria non può esserci prospettiva per il socialismo.
 
La formazione revisionista degli individui dipende da vari elementi, che vanno affrontati ed esaminati dialetticamente. Karl Marx scriveva: "Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è al contrario il loro essere sociale che determina la loro coscienza". Dunque, sulla formazione della coscienza e dei comportamenti revisionisti delle persone possono incidere vari fattori con un impatto diverso sulle persone della stessa provenienza di classe e dello stesso stato sociale, ecco perché il disastroso fenomeno deve essere valutato dialetticamente da persona a persona, da situazione a situazione. Tuttavia talune cause scatenanti della formazione revisionista possono essere rappresentate dalle conseguenze negative dell'idealismo, della religione, dell'egoismo, dell'individualismo, dell'ambizione, dell'esibizionismo, dell'arrivismo, della sete di potere, del desiderio di disporre di privilegi diversamente impossibili, dell'origine di classe, della formazione scolastica e culturale, eccetera, tutti elementi propri della cultura comportamentale della società borghese.
 
Vediamo cosa ha scritto Lenin in "Marxismo e revisionismo" a proposito dell'agire dei revisionisti: "Determinare la propria condotta caso per caso; adattarsi agli avvenimenti del giorno, alle svolte provocate da piccoli fatti politici, dimenticare gli interessi vitali del proletariato e i tratti fondamentali di tutto il regime capitalista, di tutta l'evoluzione del capitalismo; sacrificare questi interessi vitali a un vantaggio reale o supposto del momento, tale è la politica revisionista. Dall'essenza stessa di questa politica risulta chiaramente che essa può assumere forme infinitamente varie e che ogni problema più o meno "nuovo", ogni svolta più o meno inattesa e imprevista - anche se mutano il corso essenziale degli avvenimenti in una misura infima per un brevissimo periodo di tempo - devono portare inevitabilmente all'una o all'altra varietà di revisionismo. Ciò che rende inevitabile il revisionismo sono le sue radici di classe nella società moderna. Il revisionismo è fenomeno internazionale".
 
Lenin continua: "Che cosa rende inevitabile il revisionismo nella società capitalista? Perché il revisionismo è più profondo delle particolarità nazionali e dei gradi di sviluppo del capitalismo? Perché in ogni paese capitalista esistono sempre, accanto al proletariato, larghi strati di piccola borghesia, di piccoli proprietari. Il capitalismo è nato e nasce continuamente dalla piccola produzione. Nuovi numerosi "strati medi" vengono inevitabilmente creati dal capitalismo (appendici della fabbrica, lavoro a domicilio, piccoli laboratori che sorgono in tutto il paese per sovvenire alla necessità della grande industria, come quella delle biciclette e dell'automobile, per esempio). Questi nuovi piccoli produttori sono essi pure in modo inevitabile respinti nuovamente nelle file del proletariato. E' del tutto naturale quindi che le concezioni piccolo-borghesi penetrino nuovamente nelle file dei grandi partiti operai. E' del tutto naturale che debba essere così e sarà così sempre, sino allo sviluppo della rivoluzione proletaria (Noi del PCIML, alla luce dell'esperienza storica vissuta, diciamo sino al completamento della costruzione della società socialista.), perché sarebbe un grave errore pensare che per compiere questa rivoluzione sia necessaria la proletarizzazione "completa" della maggioranza della popolazione".
 
Noi aggiungiamo che il parlamentarismo della società borghese, definito da Lenin "cretinismo parlamentare", è un'altra perla borghese dei revisionisti, che, quando hanno la possibilità, sostituiscono la lotta di classe del proletariato con la vergognosa gestione istituzionale degli affari della borghesia. Ma possiamo essere certi che il revisionismo, che è una dolorosa spina nel fianco della lotta di liberazione del proletariato dall'oppressione e dalla schiavitù capitalistica e che è una variante politica del sistema istituzionale borghese, morirà e sarà seppellito per sempre con il completamento della costruzione della società socialista, allora i revisionisti di tutte le specie e di tutti i tempi saranno chiamati a risponderne, processati e condannati dalla storia. Qui è bene precisare che quando il nostro Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista si presenta alle elezioni borghesi non lo fa per andare a gestire, come fanno i revisionisti, le istituzioni capitalistiche che lotta per abbattere, ma esclusivamente per portare la lotta di classe rivoluzionaria e rivendicativa del proletariato italiano anche all'interno delle istituzioni nemiche.
 
Ma sino ad oggi chi sono stati e chi sono i revisionisti italiani? La revisione in Italia della lotta di classe del marxismo nasce pressappoco con la nascita del partito socialista italiano nel 1892 ed è causa della scissione di Livorno del 1921, da cui nasce il Partito Comunista d'Italia. Prosegue durante la lotta antifascista e segue la sorte della definitiva capitolazione borghese e imperialistica del suddetto partito socialista italiano, mentre si ravviva con Palmiro Togliatti nel 1943-1944 con la trasformazione del PCd'I da partito di classe e rivoluzionario in partito interclassista, che abbandona la via rivoluzionaria al socialismo, che elabora la strategia suicida della via italiana al socialismo e che decide di cogestire le istituzioni borghesi italiane. Da quel momento la fine ingloriosa del partito comunista italiano è segnata a morte e a passaggi progressivi sempre più di natura borghese, clericale e capitalistica giunge alla sua miserabile scomparsa il 3 febbraio 1991.
 
Ma il revisionismo italiano non muore col partito comunista italiano, anzi, ancora una volta, si rinvigorisce e prosegue il suo cammino umiliante per la lotta di classe rivoluzionaria del proletariato del nostro paese col nascente partito della rifondazione comunista, guidato prima da Sergio Garavini, poi da Fausto Bertinotti e ultimamente da Paolo Ferrero, da cui nascerà il partito dei comunisti italiani, guidato da Oliviero Diliberto, e anche sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola, tutti campioni del revisionismo italiano più scadente e deprecabile che farebbero impallidire i loro predecessori trotschisti e kruscioviani.
 
Ma più che revisionisti è meglio definirli liquidazionisti del marxismo, come il loro predecessore Gorbaciov, visto anche che alle ultime elezioni politiche per conquistare un posto al sole nel parlamento borghese si sono letteralmente mascherati nella coalizione di Pier Luigi Bersani del partito democratico o nella lista, altrettanto borghese e capitalistica, di rivoluzione civile, guidata da Antonio Ingroia: che vergogna! E poi vi sono molti altri cancrenosi revisionismi e revisionisti, come quello del partito comunista dei lavoratori, guidato dal trotschista Marco Ferrando, anch'egli, con altri campioni del neorevisionismo italiano, proveniente da rifondazione comunista. E non parliamo della galassia trotschista, che a livello sovranazionale si ritrova nella quarta internazionale. Inoltre, non tutti quelli che si definiscono marxisti-leninisti lo sono effettivamente. Purtroppo i revisionisti fanno presa su molti compagni e lavoratori che non hanno ancora un'adeguata formazione ideologica e politica marxista-leninista.
 
Nessun borghese e nessun revisionista s'illuda, perché la dottrina marxista della lotta di classe, che è di natura esclusivamente rivoluzionaria, presto riprenderà il sopravvento, interrotto con la morte del compagno Stalin, e percorrerà un lungo e vittorioso cammino sino all'edificazione della società comunista pulendo l'umanità intera da tutte le scorie lasciate nel corso dei secoli dall'oscurantismo idealistico e religioso e dal dominio padronale.
 
Così come non esiste una "terza e superiore fase del marxismo-leninismo", presuntuosamente elaborata da taluni e collegata al pensiero di Mao Tse Tung, perché i principi e la strategia rivoluzionaria del marxismo-leninismo sono unici e legati indissolubilmente al pensiero e l'opera di Marx, Engels, Lenin e Stalin e all'esperienza storica del bolscevismo, questa è la sola strada possibile che consente la vittoria della rivoluzione proletaria, la costruzione della società socialista e l'edificazione di quella comunista.
 
Insomma, la teoria rivoluzionaria e la lotta di classe rivoluzionaria del marxismo e del marxismo-leninismo attualmente sono accerchiate e combattute da tutte le parti, da nemici interni ed esterni al movimento operaio e comunista nazionale e internazionale. Spetta a noi il compito di spezzare l'accerchiamento del revisionismo e dobbiamo farlo innanzi tutto nel nome di Stalin, così come lui e il Partito Comunista bolscevico si liberarono del trotschismo e dei suoi sabotatori della costruzione del socialismo.
 
Però la preparazione e il trionfo della rivoluzione socialista possono avvenire solo avanzando rigorosamente nell'alveo del marxismo-leninismo, tracciato dai nostri grandi maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin e Stalin. Innanzi tutto dobbiamo lavorare, sul piano ideologico e politico e a viso aperto e senza timore alcuno, per la sconfitta dell'influenza nefasta sulle masse lavoratrici e popolari del revisionismo e del neorevisionismo, cioè quello di nuova fattura, che tra sentimentalismi, infatuazioni e movimentismi penetra più facilmente tra i giovani, che il potere dominante del sistema borghese, clericale e capitalistico ha de-ideologizzato, ridotto alla fame e precluso ogni possibilità di vita dignitosa. Bisogna procedere con fedeltà assoluta ai principi del marxismo-leninismo, alla scienza del materialismo dialettico e del materialismo storico e alla lotta di classe e rivoluzionaria del proletariato.
 
I capisaldi di questa lotta sono la crescita del partito di classe e rivoluzionario, che in Italia, secondo la nostra analisi e valutazione ideologica e politica della situazione attuale, corrisponde al Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista, la lotta di classe rivoluzionaria, la conquista rivoluzionaria del potere politico alla classe lavoratrice, la dittatura del proletariato, come unica e potente arma di costruzione del socialismo, la distruzione dello stato borghese e la costruzione di quello proletario, la collettivizzazione di tutte le attività sociali, la pianificazione economica e la creazione delle condizioni che consentono il passaggio all'edificazione della società comunista e l'affermazione del principio nella società socialista "da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro" e in quella comunista "da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo bisogno".
 
Nel tempo presente la grave, profonda e prolungata crisi di sovrapproduzione di merci e capitali del sistema capitalistico, con la sua espansione imperialistica sull'intero globo terrestre, a causa della principale contraddizione della società capitalistica consistente nella natura sociale della produzione e nell'accaparramento privato della ricchezza prodotta e nella proprietà privata dei mezzi di produzione, sta determinando conseguenze sociali devastanti per tutti i popoli della Terra, dove le forze produttive sono bloccate per l'esistenza di masse ingenti di disoccupati da una parte e l'esigenza crescente dall'altra di generi alimentari e di prodotti industriali.
 
Da questa situazione di degrado complessivo dell'esistenza delle masse lavoratrici e popolari discende il nostro convincimento che oramai esistono le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista, ma, purtroppo, per varie ragioni mancano ancora quelle soggettive, a causa, principalmente, proprio dell'accerchiamento e del condizionamento della cultura disastrosa del revisionismo, dell'opportunismo, dell'economicismo, del movimentismo, del pacifismo, dello spontaneismo e, non ultimo, dell'estremismo, malattia infantile del comunismo. Come l'era schiavistica e quella feudale anche l'infame sistema capitalistico - sfruttatore, schiavizzatore e massacratore delle masse lavoratrici e popolari - è destinato a scomparire dalla faccia della Terra ed è già sul viale del tramonto, dobbiamo accelerare la sua morte ed evitare di trovarci nel vortice distruttivo della sua definitiva implosione.
 
Quest'anno ricorre il 60° anniversario della morte del compagno Stalin, maestro del proletariato internazionale, educatore del marxismo-leninismo, esempio di abnegazione rivoluzionaria per la conquista del socialismo e del comunismo sulla Terra, costruttore della gloriosa Unione Sovietica e del socialismo realizzato nel ventesimo secolo, continuatore dell'opera di Lenin, trionfatore sul nazifascismo, nemico feroce e irriducibile del capitalismo e dell'imperialismo e demolitore delle tesi revisioniste, opportuniste ed economiciste dei principi del marxismo-leninismo. La sola circostanza che oggi siamo qui a ricordare umilmente la grandiosità del suo pensiero e della sua opera immortali, oltre che la sua immensa umanità e vicinanza al proletariato di tutti i paesi, ci riempie di gioia, ci inorgoglisce e ci sprona ad andare avanti sulla via maestra della rivoluzione e della costruzione del socialismo in Italia e nel mondo intero.
 
Il compagno Stalin si è cimentato particolarmente sulla costruzione vittoriosa del primo stato socialista al mondo e sui problemi nuovi che tale lavoro comportava, dopo la dolorosa sconfitta della Comune di Parigi del 1871 e delle rivoluzioni del 1905 e del febbraio 1917 in Russia. Egli è stato un esempio perfetto del rivoluzionario comunista, della dedizione esistenziale assoluta alla causa del comunismo, dell'organizzatore politico straordinario delle masse proletarie e stratega impareggiabile nella conduzione della lotta di classe e a capo dell'eroica e gloriosa Armata Rossa.
 
Formatosi alla scuola del marxismo e condividendo il pensiero e la strategia di Lenin, artefice della Rivoluzione d'Ottobre, condottiero instancabile delle armate proletarie nella guerra civile contro l'aggressione imperialistica portata alla vittoriosa Rivoluzione d'Ottobre, studioso della "Questione nazionale" e cofondatore con Lenin della Terza Internazionale nel 1919 e dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nel 1922 e relatore sul progetto di Costituzione dell'U.R.S.S. del 1936, Stalin dal 1902 al 1917 venne arrestato sette volte dal regime zarista con altrettante evasioni dal carcere e dalla deportazione in Siberia. Il suo nome di nascita è Josif Vissarionovic Giugasvili, ma scelse il soprannome di Stalin, che in russo significa "Acciaio" e con il quale è meglio conosciuto, stimato e amato in tutto il mondo, un soprannome che più di ogni altro si addice alla sua personalità di irriducibile combattente per il socialismo e il comunismo.
 
Stalin eccelse, con Lenin, nella definizione della natura di classe e rivoluzionaria del partito di classe per poter condurre alla vittoria qualsiasi rivoluzione socialista: il Partito come avanguardia e come reparto organizzato della classe operaia, come forza suprema dell'organizzazione di classe del proletariato, come forza epuratrice dagli elementi opportunisti, come strumento della dittatura del proletariato e come traghettatore dal socialismo al comunismo. Ossia un Partito di natura bolscevica, forgiato dai principi del marxismo-leninismo, fondato sul principio del centralismo democratico e della subalternità dell'istanza inferiore a quella superiore.
 
L'esperienza storica del movimento operaio e comunista ci hanno ampiamente dimostrato che solo un Partito di siffatta fattura ideologica e organizzativa può condurre alla vittoria una rivoluzione socialista. Oggi per lavorare alle future rivoluzioni socialiste e per riprendere il cammino verso il socialismo in ogni paese c'è bisogno di un simile Partito, che in Italia, come abbiamo già detto, per noi corrisponde al Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista, di cui ho l'onore di essere il segretario generale.
 
A proposito della natura del partito Stalin afferma: "Il partito deve porsi alla testa della classe operaia, deve condurre dietro di sé il proletariato e non trascinarsi alla coda del movimento spontaneo", come fanno i revisionisti, aggiungiamo noi. E ancora: "Il partito è la forma suprema dell'organizzazione di classe del proletariato", senza un tale partito il proletariato non può fare e vincere la propria rivoluzione sociale né tantomeno può costruire la sua società socialista. Stalin ha dedicato tutto se stesso alla causa del socialismo e rispondendo a un compagno ha detto: "Può essere certo, compagno, che anche per l'avvenire sono pronto a sacrificare per la causa della classe lavoratrice, per la causa della rivoluzione proletaria e del comunismo universale, tutte le mie forze, le mie capacità e, se necessario, tutto il mio sangue, goccia a goccia" (dalla "Pravda" del dicembre 1929): di compagni di tale tempra abbiamo bisogno oggi.
 
Ecco, all'interno di un importante discorso, cosa disse Stalin al XIX congresso del PCUS: "… E' necessario raggiungere un tale sviluppo culturale della società che assicuri a tutti i membri della società uno sviluppo completo delle loro capacità fisiche e intellettuali, affinché i membri della società possano ricevere un'istruzione sufficiente per diventare attivi fattori dello sviluppo sociale, abbiano la possibilità di scegliere liberamente una professione, non siano inchiodati per tutta la vita, in seguito alla sussistente divisione del lavoro, a una professione qualsiasi… Per questo occorre prima di tutto diminuire la giornata lavorativa per lo meno sino a sei e poi a cinque ore. Ciò è necessario affinché i membri della società abbiano abbastanza tempo libero per ricevere un'istruzione completa" (da "Problemi economici del socialismo" del 1952). Qui Stalin indica la strada maestra che libera l'umanità dalla schiavitù del lavoro.
 
Stalin ha detto ancora: "So che dopo la mia morte sulla mia tomba sarà deposta molta immondizia. Ma il vento della storia la disperderà senza pietà". In queste poche parole Stalin ha previsto tutte le menzogne, calunnie e maldicenze che i nemici di classe - quali l'imperialismo, il capitalismo, il cattolicesimo e il revisionismo che egli per difendere la costruzione del socialismo aveva combattuto e sconfitto clamorosamente - gli avrebbero versato addosso per dissuadere il proletariato di tutti i paesi dall'organizzare e condurre la lotta di classe per seppellire il capitalismo e costruire il socialismo. E così è stato da subito dopo la sua morte sino ai giorni nostri. Noi oggi siamo qui anche per fare giustizia delle infamie dei nostri nemici di classe e per farlo abbiamo voluto trattare la questione di estrema attualità dello scellerato revisionismo e degli infami revisionisti.
 
Le nuove generazioni di comunisti, le nuove leve di marxisti-leninisti e le organizzazioni giovanili comuniste nazionali e internazionali per percorrere la via maestra marxista-leninista verso la rivoluzione e la costruzione della società socialista devono assumere integralmente il pensiero e l'opera rivoluzionari del compagno Stalin, così come quelli di Marx, Engels e Lenin. La via per il socialismo non è una passeggiata, non è debolezza, non è sentimentalismo né tanto meno compassione per il nemico di classe, che ha usato, sta usando e utilizzerà tutta la sua forza distruttiva per sopravvivere e annientarci, ma è lotta di classe dura, impietosa, determinata e accanita contro il nemico di classe come lo è stata quella del compagno Stalin nell'intero corso della sua vita politica e rivoluzionaria, da lui dobbiamo imparare ad essere comunisti coerenti e combattenti instancabili per il socialismo. Dobbiamo imitarne il coraggio, la fermezza, l'umanità, l'onestà, l'orgoglio e la semplicità di vita.
 
La rivoluzione socialista e la costruzione della società socialista se necessario vanno difese con ogni mezzo necessario, diversamente non avrebbe senso fare una rivoluzione e poi farcela scippare dalla decaduta borghesia. Puliamo costantemente la tomba di Stalin dalle immondizie che il nostro nemico di classe, a partire dalla falsa sinistra comunista revisionista, opportunista, socialdemocratica ed economicistica, gli riversa quotidianamente sopra. Nel suo nome svolgiamo l'arduo lavoro di educatori del marxismo-leninismo e avanziamo sulla strada maestra della rivoluzione e della costruzione della società socialista. Stalin rappresenta la discriminante, nel senso che chi è contro Stalin è contro il comunismo, è un anticomunista e favorisce il revisionismo che riconduce al capitalismo, così come è tragicamente avvenuto nell'ex Unione Sovietica e nei paesi ex socialisti dell'est europeo e non solo.
 
Ecco cosa ha scritto di Stalin il compagno Gheorghi Dimitrov, segretario dell'Internazionale Comunista: "Imparare da Stalin il marxismo creativo, imparare da Stalin a costruire il Partito bolscevico, imparare da Stalin a rafforzare i legami con le masse di tutte le condizioni, imparare da Stalin a lottare contro la socialdemocrazia, imparare da Stalin l'audacia rivoluzionaria e il realismo rivoluzionario, imparare da Stalin a essere impavidi nel combattimento e spietati verso il nemico di classe, imparare da Stalin a superare con volontà inflessibile tutte le difficoltà e a vincere il nemico, imparare da Stalin a essere fedeli sino in fondo alla causa dell'internazionalismo proletario: ecco le condizioni principali per preparare e conquistare la vittoria della classe operaia".
 
Compagno Stalin, nostro Maestro, a 60 anni dalla tua dolorosa e insostituibile perdita qui riaffermiamo solennemente che mai i nemici di classe, interni ed esterni al movimento comunista e operaio nazionale e internazionale, riusciranno a cancellare la tua memoria e la tua opera dalla coscienza del proletariato del mondo di tutti i tempi, mentre il tuo insegnamento di vita continuerà ad essere una guida sicura verso la rivoluzione, il socialismo e il comunismo per tutti i popoli della Terra e le future generazioni di combattenti comunisti e sino a quando il sole del comunismo non illuminerà l'intero Pianeta e oltre. Noi comunisti abbiamo il dovere di distruggere il capitalismo prima che questo distrugga l'umanità intera!
 
Viva Stalin, Viva il suo insegnamento di lotta e di vita!
 
Firenze, 17 marzo 2013.
 
* Domenicosavio@pciml.org - Segretario generale del P.C.I.M-L.
 


Nel 60° anniversario della morte di Stalin
 
Contributo di Amedeo Curatoli
 
17/03/2013
 
Nell'onorare la memoria di Stalin, che insieme al Partito e ai popoli sovietici, seguendo gli insegnamenti di Lenin, è stato il principale artefice del primo Stato socialista divenuto la seconda potenza mondiale, dovremmo mettere in luce i difensori odiernidi quella esperienza storica, e denunciare invece i suoi detrattori i quali, come se non fossero bastati Trotski e il XX Congresso del Pcus, hanno inventato nuove diffamazioni ai danni di Stalin, anzi del cosiddetto "Stalinismo" sotto l'aspetto di nuove filosofie e nuove categorie per abbellire la società borghese imperialista e infangare il comunismo.
 
C'è uno storico statunitense (Grover Furr) dell'Università di Montclair nel New Jersey che rovistando negli archivi statali di Mosca che sono stati via via desecretati, ha trovato e tradotto in inglese (dal russo) una serie di documenti di straordinaria importanza e finora sconosciuti, che smentiscono TUTTE (sottolineato tutte) le infamanti accuse che Krusciov ha rivolto a Stalin nel famigerato rapporto "segreto" passato alla Cia prima ancora che ai Partiti "fratelli". Furr ha pubblicato un libro "Krusciov lied" (Krusciov ha mentito) che dovrebbe essere letto e studiato dai marxisti leninisti. Sul sito di questo professore di storia medievale, sbocciato, potremmo dire, nel paese più anticomunista del mondo ma che è, per la legge dantesca del contrappasso, uno dei più strenui e convincenti difensori dell'Unione Sovietica dell'epoca di Stalin, sul suo sito, dicevamo, vi si trovano tradotte anche le suppliche inviate da Bucharin al Plenum dell'Ufficio Politico del Pcus prima di essere giustiziato (1938). Queste suppliche rivelano quanto infame e mentitore sia stato questo personaggio. Il sito è:
http://msuweb.montclair.edu/~furrg/research/bukharinappeals
 
Bucharin, che si prostra ai piedi del Partito dicendo di aver confessato tutti i suoi crimini, non svela però che il Ministro degli Interni dell'epoca, Ezhov, (che ricoprì questa carica dal 1937 al 1939), faceva parte della congiura trotskista. Ezhov, profittando ad arte del legittimo e comprensibile clima di sospetto che si diffuse in tutta l'Unione Sovietica in seguito alle agghiaccianti confessioni dei congiurati trotskisti e buchariniani divenuti spie dei nazisti e del fascismo giapponese, mandò a morte, consapevolmente, CENTINAIA DI MIGLIAIA di innocenti per tramandare, dell'Unione Sovietica, l'immagine di un Paese che metteva in atto massacri indiscriminati. Furr ha tradotto gli interrogatori di Ezhov che portarono alla sua condanna a morte. Si trovano nel sito:
http://msuweb.montclair.edu/~furrg/research/ezhov042639eng.html
 
Nel commentare l'operato di Ezhov, lo storico statunitense conclude che in effetti le cosiddette "Grandi purghe" non furono opera di Stalin ma di Bucharin, il quale -come abbiamo visto- anche sul punto di morire si rifiutò di rivelare la vera identità politica di Ezhov il quale poté quindi compiere, prima di essere scoperto, la sua scellerata opera di assassino, dall'alto della carica pubblica che ricopriva.
 
In difesa di Stalin, i marxisti leninisti dovrebbero tradurre e pubblicare integralmente - sarebbe la prima volta in Italia - i Processi di Mosca del 1936-37 e 38 (che Feltrinelli ebbe il grande merito di stampare in "reprint", in versione francese) editi, in lingue estere all'indomani stesso dei Processi, a cura del Ministero di Grazia e giustizia dell'Urss. Finora, ne sono sempre apparsi stralci, frutto di arbitrarie nonché ignominiose manipolazioni (tali quelle di Silvio Pons e di Pierluigi Contessi) al fine di dimostrare l'indimostrabile: che cioè quei processi sarebbero stati di dubbia veridicità e dunque storicamente del tutto inattendibili. Questi reprint Feltrinelli si trovano nelle principali Biblioteche Nazionali e Universitarie del nostro Paese. E -ripeto- se noi marxisti leninisti ci assumessimo il compito di tradurli e pubblicarli, oltre a dare un solenne ceffone alla cultura trotskista che ha ancora una certa influenza in Italia, renderemmo un grande e meritevole servigio alla Verità storica dell'Urss di Stalin. Se non fossero stati pubblicati integralmente quei processi, e fossero stati conservati negli archivi segreti (dove giace ancora il processo a Tukacewski che non è consultabile perché ancora sotto vincolo del segreto di Stato), probabilmente quegli atti sarebbero stati distrutti. Ma nonostante siano stati dati alle stampe e quindi diffusi in tutto il mondo, Krusciov e poi Gorbaciov ebbero l'incredibile improntitudine di dichiarare falsi quei Processi e "assolvere" gli imputati (TUTTI REI CONFESSI)! della congiura trotskista.
 
Sarebbe bello se da questa Assemblea si uscisse con l'impegno di costituire una Commissione per la traduzione e pubblicazione dei Processi di Mosca.
 
Una esecrabile calunnia al comunismo (e all'Unione sovietica contro cui è scagliata quella calunnia) e che si aggiunge alle innumerevoli, di Trotski e precede quelle di Krusciov, è costituita dalla "teoria" del doppio totalitarismo, nazismo e comunismo, enunciata da Hannah Arendt e condivisa dal filosofo ex-nazista Heidegger e ripresa poi dal "marxista" Hobsbawm. L'ha fatta propria, peggiorandola ulteriormente, anche Toni Negri.
 
Dice Negri: "E' una tragica ironia del destino che, in Europa, il socialismo nazionalista (intende L'Urss) finisse per somigliare al nazionalsocialismo. Questo non significa, come amano pensare gli intellettuali liberali, che gli estremi si toccano". Lui, che invece è un intellettuale che si considera "comunista" ritiene che "il concetto di totalitarismo avrebbe dovuto scavare molto più a fondo (intende dire che non bastano le infamie enunciate dalla Harendt): il totalitarismo consiste nella negazione stessa della vita in società, nell'erosione delle sue basi e nella privazione, sia teorica che pratica, della possibilità di esistenza della moltitudine" (L'Impero pag. 115).
 
Quindi per Negri il totalitarismo è "negazione stessa della vita in società", è "privazione, sia teorica che pratica, della possibilità di esistenza della moltitudine", cioè il comunismo, come il nazismo, è: sterminio di massa.
 
Purtroppo questa sciagurata teoria è stata ripresa anche dal compagno Domenico Losurdo. Sentiamolo: "Accostare Unione Sovietica e Germania nazista per un verso è una banalità(???)"(è un'infamia, non una banalità)… E "per un altro verso" - ci chiediamo? Losurdo così prosegue: "Lo stato d'eccezione permanente non è solo un dato oggettivo. Nel nazismo esso è anche il risultato di un programma politico che, con la sua aspirazione al dominio planetario, finisce con il rendere permanente lo stato di guerra. Considerazioni analoghe (badate: "analoghe") si possono fare per il comunismo: allorquando esso (il comunismo) insegue ossessivamente l'utopia di una società monda da ogni contraddizione e da ogni conflitto,(vi risulta che sia questo il comunismo, compagni?) finisce (questa "utopia") con il produrre una sorta di rivoluzione e guerra civile permanente. Anche da questo punto di vista, la comparatistica è pienamente legittima": E così prosegue (attenzione!): "Giunto al potere in Russia sull'onda della protesta contro questo mondo, il comunismo ha a sua volta comportato il sacrificio di milioni di uomini, ridotti a "materiale grezzo" per la costruzione di una nuova società" ("Il peccato originale del 900", pag.44-45 e pag.74).
 
In ultima analisi, anche per Negri e Losurdo, la teoria del doppio totalitarismo, facendo la "comparatistica" fra gli orrori del nazismo e i sedicenti orrori del comunismo, si riduce a celebrare la democrazia politica borghese come il migliore o il meno peggiore dei mondi possibili.
 
Termino: gli organizzatori di questo Convegno esprimevano l'augurio che esso non fosse solo un episodio occasionale ma anche una "prospettiva di lavoro comune". Bene, penso che dovremmo auspicare un nuovo incontro per discutere fra noi (e cercare di superarla) una grave contraddizione che ci divide: la Cina.
 
Dovremmo analizzarla a fondo questa questione, confrontarci seriamente, sottoporla al vaglio del nostro studio, senza ripetere, da ambo le parti frasi indimostrate: la Cina è capitalista - la Cina è socialista.
 

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