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sommario > Capitolo 10. [M. Michelino:1970-1983 - La lotta di classe nelle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni]

ALLEGATI

Riportiamo in questo capitolo alcuni scritti significativi che possono chiarire ulteriormente il clima di lotta in fabbrica negli anni ’70-’80, sia per quanto riguarda la lotta contro la repressione padronale e poliziesca che quella del PCI e del Sindacato.

La lotta degli operai del reparto Forgia della Breda Fucine contro la nocività raccontata nelle pagine seguenti ottenne risultati significativi. Uno dei risultati più importanti ottenuti da questi lavoratori nel 1981 fu la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali per 5 giorni la settimana.
Per restare meno tempo a contatto con le sostanze nocive (amianto, cromo, fumi, olii minerali, rumori assordanti, calore, ecc.) gli operai lottarono per avere le pause. I lavoratori a caldo (magli, presse trafile, forni) ottennero pause fino al 40% dell’orario di lavoro. Questo significava che, su 8 ore di lavoro, 3 ore e 20 minuti erano di pausa autogestita dalla squadra; le restanti 4 ore e 40 minuti erano di prestazione lavorativa effettiva.

Riproporzionata sui turni, dove si lavorava 7 ore e 30 minuti perché mezz’ora di mensa era pagata come a tutti i turnisti metalmeccanici, significava 3 ore di pausa e 4 ore e 30 di lavoro. Questo risultato fu ottenuto partendo da una serie di lotte iniziate con obiettivi diversi, a cominciare da quella per l’aumento dell’ “indennità di disagio”, che si trasformò nella “conquista” della riduzione dell’orario.
Anche se i lavoratori erano convinti di avere ottenuto una vittoria senza aver dato nulla in cambio, in realtà - come ci rendemmo conto più tardi - quella “conquista” non fu senza contropartite. L’accordo sulle 35 ore siglato tra il Consiglio di Fabbrica e la Direzione aziendale stabiliva che i lavoratori in 7 ore facessero la produzione che prima si faceva in 8 ore, facendo figurare che l’ultima ora di pausa era fatta fuori dalla fabbrica. Naturalmente lo stesso discorso veniva riproporzionato sui turni.

In questo modo, la Direzione aveva il vantaggio di avere comunque la produzione di un intero turno di 8 ore, risparmiando i costi di gestione degli impianti (corrente elettrica, gas, usura macchine, ecc.) di un’ora e gli operai avevano il vantaggio di uscire dalla fabbrica un’ora prima.
Questo accordo fu duramente contrastato a livello dell’Associazione padronale. L’Intersind di Milano (Associazione dei padroni pubblici, corrispondente all’Assolombarda dei padroni privati) si rifiutò di sottoscrivere tale accordo, che riduceva la giornata lavorativa, che quindi venne firmato solo a livello aziendale. Tuttavia l’accordo, che limitava la giornata lavorativa a parità di salario, non portò ad alcun aumento dell’occupazione, limitandosi a farci contenere le perdite occupazionali.

La lotta del reparto Forgia sulla richiesta di adeguamento dell’indennità 5 (così si chiamava l’indennità di caloria dovuta ai lavoratori a caldo) ha rappresentato uno dei momenti significativi di questo ciclo di lotte.

Riproporre oggi la cronaca di questa lotta, così come è stata scritta allora dai protagonisti, insieme ad altri documenti inediti, è utile per capire attraverso quali contraddizioni si sviluppò la lotta.



(Intervento pubblicato sul Bollettino dei comitati contro la repressione)
Intervento di un compagno del
GRUPPO OPERAIO BREDA FUCINE DI SESTO S. GIOVANNI

La situazione del proletariato e delle sue avanguardie
L’acuirsi della crisi economica a livello mondiale segna il fallimento delle illusioni e dei fronzoli prerivoluzionari che hanno imprigionato in questi anni il movimento rivoluzionario del proletariato.
Le varie teorie sulla classe operaia integrata, garantita, sui nuovi soggetti rivoluzionari, sulla caduta della legge del valore, sul “siamo tutti proletari”, sono franate miseramente davanti alla cruda realtà.

La crisi economica ha dimostrato ancora una volta la transitorietà del modo di produzione capitalistico.

Ed è in questa situazione che incominciano a muoversi nelle fabbriche alcuni strati operai, nel tentativo di difendere i loro interessi. Ma il danno arrecato al movimento rivoluzionario dalle teorie sopra citate è stato consistente; per le avanguardie rivoluzionarie il fatto di riconoscere il fallimento di tali teorie unito alla necessità di farvi definitivamente i conti costituiscono il punto di partenza per la ripresa del movimento rivoluzionario della classe.

Le classi sociali che traggono la loro origine dalla divisione del lavoro non sono affatto scomparse, e i teorici dell’ “operaio sociale”, che individuano nel proletariato industriale i garantiti. hanno mistificato su di una prima importantissima questione: l’esistenza delle classi anche in fabbrica.
Nella fabbrica, oltre al padrone, ai dirigenti, alle guardie e agli impiegati, quasi tutti portano la tuta, compresi i tecnici e i capi; ma cosi come non è la tuta che determina l’appartenenza a una classe, non sono neanche i comportamenti soggettivi o politici a determinare le classi, ma è il ruolo che ciascun individuo o insieme di individui svolge nella produzione e riproduzione della vita sociale che determina l’appartenenza a una determinata classe.

E qualsiasi rivoluzionario che in fabbrica non faccia questa prima iniziale battaglia per scindere gli interessi della grande massa proletaria da quelli delle altre classi, al di là delle buone intenzioni, di fatto contribuisce a mantenere l’egemonia dell’aristocrazia operaia sugli strati bassi e in generale della borghesia sul proletariato. Quindi non i comportamenti, ma la posizione che occupa nella produzione e il rapporto col macchinario, sono le cause oggettive che fanno del proletariato industriale la classe rivoluzionaria, l’unica antagonista diretta del capitale.

Crisi e repressione

L’esempio della Fiat, con il licenziamento dei 61 e la cassa integrazione per i 23 mila, è forse quello più significativo per la rilevanza assunta, e dimostra come, al di là delle fantasie di qualcuno, la ricerca del massimo profitto è sempre l’obiettivo, perseguito dai capitalisti.

Infatti, nella crisi, i singoli capitalisti e lo stato (in quanto capitalista collettivo) sono costretti a portare avanti i processi di ristrutturazione per rendere più competitive le loro merci sul mercato mondiale e la repressione diventa quindi necessaria per stroncare qualsiasi tentativo di organizzazione indipendente della classe.

La ristrutturazione degli apparati repressivi dello stato e del comando in fabbrica sono quindi funzionali all’estorsione del plusvalore dagli operai e alla fase che attraversa il capitale per adeguare al ciclo economico la sovrastruttura politica.

Ruolo del Pci, del sindacato e degli ex-rivoluzionari del ‘68

In nome della difesa dell’“economia nazionale” il PCI e il sindacato, controllato dai partiti parlamentari, in fabbrica sabotano qualsiasi lotta che esca dal loro controllo e, in nome della “lotta al terrorismo”, svolgono una vera opera di delazione nei confronti delle avanguardie. Stroncare qualsiasi lotta che fuoriesca dalla disciplina del sindacato e dalla linea dei sacrifici è ormai l’obiettivo del PCI per legittimarsi come unico rappresentante della classe operaia. E gli esempi non mancano, come si è visto ultimamente anche alla Breda Fucine, dove in un reparto (Forgia) gli operai che sono scesi in lotta su rivendicazioni economiche si sono scontrati non solo con la direzione, ma anche con il PCI e il CdF. Oltre alle intimidazioni il PCI, per sabotare la lotta, ha organizzato squadre di crumiri i cui elementi di punta erano i suoi militanti nel reparto. Il ruolo antioperaio del PCI e del CdF si è talmente evidenziato agli occhi degli operai che questi ultimi hanno dichiarato un’ora di sciopero contro il CdF, per le posizioni assunte nella lotta.

In questa operazione repressiva un posto rilevante lo occupano anche gli exrivoluzionari che, sull’onda delle lotte operaie degli anni scorsi e facendo leva sul loro passato “rivoluzionario”, si sono ormai piazzati negli esecutivi dei CdF, negli apparati sindacali e nello stesso PCI. In molte fabbriche alcuni di questi fanno parte del comando ai vari livelli e sono le punte avanzate della politica antioperaia. Alla Breda Fucine, per esempio, due compagni del gruppo operaio, di cui uno delegato, sono stati sospesi dalla FLM soltanto per aver espresso giudizi diversi dal PCI e dal CdF sullo stato e sul terrorismo, e un ruolo determinante in questo l’hanno avuto gli ex-rivoluzionari.

I risultati della politica dei sacrifici

I sacrifici imposti in questi anni ai proletari dai capitalisti e dalla cosiddetta linea dell’EUR, come condizione necessaria per il superamento della crisi, sono serviti solo a peggiorare ulteriormente le condizioni materiali dei proletari. L’abolizione delle 7 festività e il conseguente allungamento dell’orario di lavoro, il blocco dell’indennità di contingenza sulle liquidazioni, il primo ritocco alla scala mobile (eliminazione dal paniere di luce, trasporti e giornali), la diminuzione della forza-lavoro occupata attraverso l’espulsione dalle fabbriche di migliaia di operai in cassa integrazione, la fiscalizzazione degli oneri sociali. Queste alcune delle misure anticrisi che dovevano essere, secondo le dichiarazioni dei sindacati e dei partiti che sostenevano il “governo di unità nazionale”, le soluzioni temporanee necessarie per uscire dalla crisi e aumentare l’occupazione. Sono servite solo per ridurre i salari reali e aumentare il numero dei proletari disoccupati. In ogni paese la borghesia ha fatto la stessa operazione, vanificando quindi i tentativi di ogni frazione del capitale di rendere più competitive le proprie merci; questa è la situazione attuale. da cui la borghesia parte per imporci altri sacrifici.

Ma la realtà ha dimostrato che i sacrifici di ieri hanno preparato i licenziamenti di oggi e quelli di oggi stanno preparando quelli ancora più massicci di domani.

E questo incomincia ad essere compreso dagli operai. L’esigenza dell’organizzazione di classe per resistere agli attacchi del capitale incomincia oggi in certi settori del proletariato a trasformarsi in tentativi di organizzazione indipendente e su questo bisogna lavorare, avendo però coscienza che limitarsi, come avanguardie rivoluzionarie, ad organizzare la resistenza operaia senza porre all’ordine del giorno la necessità della costruzione del partito e la questione del potere politico, significa perdere l’occasione che la crisi del capitale ci fornisce.

La lotta contro la repressione in fabbrica

L’importanza dell’avanguardia, la giustezza della sua linea, trovano oggi il terreno migliore per la verifica. Dove in questi anni le avanguardie hanno lavorato è stato possibile organizzare momenti di lotta e rispondere in un certo modo alla repressione.
Alla Breda Fucine, durante la lotta a cui prima ho accennato, i carabinieri usando il pretesto del sequestro di un capo ad opera delle BR, hanno fatto irruzione nelle case di 23 operai (di cui una decina alla Forgia). Lo scopo intimidatorio era evidente, anche perché la maggior parte degli operai perquisiti non erano le cosiddette avanguardie, ma operai “normali”, che avevano avuto il solo torto di essere stati i più attivi nelle lotte che ci sono state ultimamente in fabbrica e ormai per questo probabilmente considerati dagli informatori dei carabinieri “irrecuperabili” alle “regole democratiche”; questo fatto ha spaventato alcuni operai, perché solo un idiota può dire come ha sostenuto anche qualcuno in questa assemblea, che l’intimidazione non fa paura.

Ma il fatto stesso che, nonostante che il clima di caccia alle streghe fosse forte e che il CdF abbia avallato l’operazione poliziesca, gli operai della Forgia si siano riuniti in assemblea approvando un comunicato di condanna delle perquisizioni e di solidarietà a tutti i perquisiti, dimostra che qualcosa nelle fabbriche sta cambiando. Da qui dobbiamo partire. Perché le masse operaie, per usare un termine adoperato da molti in questa assemblea, non scioperano quando vengono arrestati dei compagni?

Su questo dobbiamo cominciare a discutere. Da parte mia penso che lo sciopero di solidarietà con i compagni arrestati sia un obiettivo che tutti i gruppi operai devono perseguire, ma finché gli operai non avranno coscienza della lotta contro lo sfruttamento e dei loro interessi di classe questo obiettivo salvo casi isolati sarà da realizzare. Bisogna partire da questa realtà, altrimenti si scambia questa con i propri desideri e ciò non fa avanzare di un millimetro l’emancipazione del proletariato.

Sul ruolo delle OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti) in fabbrica

Noi, come tutti i compagni che in questi anni si sono opposti alla linea dei sacrifici, siamo sempre stati considerati probabili terroristi o fiancheggiatori, e di tentativi di incastrarci ne sono stati fatti molti, anche se finora, fortunatamente per noi, sono sempre falliti. Ma quando gli operai stanno facendo i primi passi nella lotta su questioni economiche, sulla difesa elementare dei loro interessi, pensare che una serie di azioni, o meglio l’uso che di queste fa l’avversario di classe, non creino disorientamento, non creino problemi, significa non capire niente della dinamica della lotta di classe.Infatti, mentre eravamo in lotta, quasi giornalmente venivano trovati volantini BR (sempre uguali) nel reparto, nello spogliatoio del reparto, sotto le panchine dell’assemblea, davanti alle cabine dove lavoravamo, con una insistenza tale che non sapevamo più se erano le BR o qualcuno del PCI che usava questi fatti per farci passare come brigatisti, preparando la strada all’intervento poliziesco. E questo ha pesato negativamente sulla lotta, altro che balle.

Un’ultima questione sulle proposte uscite dal dibattito

Penso che la proposta sull’amnistia sia una proposta riformista che disorienta il movimento di solidarietà con i compagni in galera, che serve solo a creare illusioni in alcuni settori del movimento
rivoluzionario sostenendo l’idea che è possibile già oggi la liberazione dei compagni imprigionati (di tutti naturalmente, non del singolo compagno) senza la conquista del potere politico.

Convegno del 30-31.5.1981 sulla repressione tenuto alla Palazzina Liberty di Milano
(Lettera pubblicata sul giornale “Operai contro” - Febbraio 1983)

BREDA Fucine: 31 operai della Forgia rifiutano la tessera del sindacato

Da oltre due anni è stata sospesa la tessera sindacale a due compagni del Gruppo Operaio Breda Fucine.
Pubblichiamo la lettera che gli operai di un reparto della Breda Fucine di Sesto San Giovanni hanno consegnato al CdF e alla FLM nel mese di maggio assieme alle loro 31 tessere. Tralasciamo i cognomi delle persone citate, come espressamente richiesto nella lettera inviataci.

“In questi giorni sono state consegnate agli iscritti al sindacato della Breda Fucine le nuove tessere del 1983 con esclusione di due operai: Michele M. e Antonio A. Su di essi pende da oltre due anni una proposta di sanzione disciplinare da parte del CdF sulla quale la segreteria FLM non si è ancora pronunciata.
Nel frattempo ai suddetti operai è stata sospesa la tessera, ma non il pagamento della quota che viene regolarmente trattenuta. I firmatari della presente ritengono inaccettabile il protrarsi di tale ambiguità e sollecitano una posizione definitiva sulla intera questione, anche sulla base delle seguenti considerazioni:

1) Le motivazioni del CdF precedente risultano non solo imprecise, ma anche offensive, nella loro gravità, sia verso i due operai, sia nei confronti di coloro che li hanno eletti a rappresentarne gli interessi nel reparto. Infatti dopo la decisione e i pesanti giudizi espressi dal CdF non solo Michele M. veniva rieletto, ma lo stesso Antonio A. risultava eletto, per la prima volta, delegato nel reparto Torneria.
Evidentemente l’affrettato e pesante giudizio espresso dal precedente CdF, “indegnità morale di appartenere alla FLM”, non è condiviso dagli operai che hanno scelto di farsi rappresentare nei propri interessi da questi compagni, esprimendo così una diversa valutazione della moralità di classe. Cosi non è avvenuto per il personaggio che ha sollevato le pretestuose accuse contro i due operai, l’ex delegato Piero B., che ha scelto la strada del disimpegno, dimettendosi dal CdF per “motivi personali”.

2) In cosa consistono le accuse mosse da questo individuo, che hanno portato alla decisione del CdF? È noto come, per anni, in concomitanza con le più roboanti azioni di terrorismo certe forze politiche abbiano cercato di strumentalizzare tale fenomeno per isolare e mettere a tacere, come fiancheggiatori del terrorismo, una serie di posizioni critiche verso la politica dei sacrifici e la svendita degli interessi operai. Piero B., in particolare, nel corso di un convegno contro il terrorismo, lanciava pretestuose accuse contro Michele M., reo di non aver sottoscritto un documento del CdF che azzardava una serie di analisi su tale fenomeno, insinuando addirittura possibili convivenze. La comprensibile reazione dell’interessato veniva poi completamente stravolta, col chiaro scopo di accreditargli tendenza alla violenza: “assalire... con ingiurie il portavoce del CdF... e minacciandolo di fare poi i conti... “. Così il documento del CdF riporta una frase che invece era: “I conti politici li faremo in fabbrica tra gli operai”.

Ugualmente venivano stravolti, i commenti sull’accaduto espressi nel reparto dall’operaio Antonio A. di fronte a numerosi testimoni, che veniva così accomunato al Michele M. nella proposta di allontanamento dall’FLM. Bisogna inoltre ricordare che il documento del CdF sul terrorismo e la proposta disciplinare contro i due operai, è stata invece sottoscritta anche da un delegato allineato su tutte le scelte del CdF, e poi arrestato come appartenente alle B.R.
Sulla base di queste considerazioni, i seguenti operai esprimono la piena fiducia e solidarietà verso i compagni di lavoro che si sono sempre battuti in difesa dei loro interessi e considerano il tentativo di estrometterli dal sindacato come una estromissione delle loro stesse posizioni. Perciò a1legano alla presente le rispettive tessere sindacali finché il provvedimento non sarà revocato.”.


Cronaca di una lotta di reparto alla Breda

(Articolo pubblicato sulla rivista “Operai e teoria” del luglio 1981)
La lotta per le 280 lire attraverso i volantini e i manifesti inviatici dal Gruppo di operai

Breda Fucine-Forgia: un reparto di provocatori

Come una semplice lotta sulla nocività scatena contro gli operai la direzione, il consiglio di fanbbrica e la repressione dello stato.
A cura di M.M.

Pubblichiamo con brevi cenni di cronaca i volantini e le mozioni di una lotta in un reparto della Breda Fucine. Sicuramente questi documenti chiariscono, meglio dei soliti commenti o bilanci, i contenuti e l’andamento contraddittorio della lotta di fabbrica in questa fase. In questi anni relativamente pacifici, nonostante i clamori delle diverse frange sociali e le loro velleità armate, i centri vitali del capitale non solo hanno continuato a funzionare ma sono stati fortificati; una fitta rete di controllo è stata tesa nelle più importanti fabbriche per prevenire e soffocare qualsiasi pericolo di insorgenza operaia.

Stratificato in vere e proprie classi, il comando di fabbrica è stato perfezionato per tenere gli operai inchiodati alle macchine, sottometterli e disciplinarli ai piani produttivi, estorcerne il massimo plusvalore. Ma la costrizione del capitale non basta. Alle rigide regole del profitto bisogna affiancare la persuasione, agire all’interno degli operai tramite finti operai che ne conoscano tutte le contraddizioni e le debolezze, agire su queste per deviare e riassorbire qualsiasi tentativo di lotta indipendente.

L’aristocrazia operaia e i suoi rappresentanti più politicizzati nei CdF e negli apparati sindacali assolvono a questo compito con la perseveranza che deriva dall’esigenza di difendere i propri interessi: la spartizione degli avanzi di plusvalore estorto agli operai.
Ma con la crisi che avanza i loro argomenti risultano sempre meno convincenti: sacrifici, produttività, licenziamenti, riduzione del salario. Il massimalismo riformista ha poco spazio quando si dimostra che “la salvezza dell’economia nazionale” passa attraverso la rovina degli operai. Neppure le nuove leve riescono a rivitalizzarne le tematiche.

Ripescati tra i resti disciolti degli ex rivoluzionari (LC, MLS, ecc.), rivalutato il loro ruolo di ex contestatori e accolte le tiepide critiche al sindacato che hanno dato loro una certa fama di sinistri tra gli operai, questi elementi sono accolti negli esecutivi dei CdF per riverniciarne le insegne logore.
Quasi tutti i volantini del CdF qui pubblicati sono partiti da queste teste d’uovo.
E’ in questa situazione che gruppi di operai delle lavorazioni più dure e nocive, gli strati più sfruttati della classe, cominciano a muovere i primi passi. Operai senza storia, senza organizzazione, senza teoria, spinti soltanto da interessi materiali che la crisi ha suscitato.

“La salute non si vende” afferma il CdF; “la salute non si paga” fa eco la direzione. “La vostra lotta non è pura, i sacri principi non contemplano l’indennità 5” afferma Lotta Comunista. “Per lottare contro la nocività dovete arruolarvi nei gruppi armati” proclamano i rappresentanti del “vero partito”.
Operai che siano riusciti ad attraversare tutti questi ostacoli, potranno ben costituirsi in classe!

Inizia la lotta

Gli operai della Forgia (magli, presse, trafila) si riuniscono in una prima assemblea il 20.1.81 durante la pausa di mensa; dopo una fitta discussione sulla questione della nocività del reparto e della inconsistenza del salario decidono di uscire con un ordine del giorno da affiggere nei reparti.

Mozione approvata all’unanimità dagli operai della Forgia riuniti in assemblea il 20.1.1981
Gli operai del reparto Forgia (magli, presse, trafila) riuniti in assemblea, dopo ampio dibattito, hanno rilevato che:

1) in Forgia la lotta alla nocività è uno dei principali obiettivi, ma nonostante alcuni cambiamenti le condizioni di lavoro nel loro complesso non sono affatto mutate;
2) la necessità ci costringe a lavorare in un reparto che sicuramente è il più nocivo di tutta la fabbrica con lavorazioni particolari; siamo esposti al caldo, agli sbalzi di temperatura, alle vibrazioni, al fumo e a decine di altri disagi, alcuni dei quali si possono ridurre ma non eliminare (es. caldo, rumore, ecc.);
3) l’indennità 5, bloccata ormai da anni, non è più adeguata al salario, e ciò è di fatto una riduzione di questo istituto;
4) la salute non si paga, ma ciò non vuol dire che il rapporto tra indennità e salario debba diminuire come di fatto è avvenuto;
5) pertanto i suddetti lavoratori chiedono al CdF di farsi interprete delle loro esigenze verso la direzione, aprendo una trattativa per adeguare l”indennità 5 in rapporto al salario attuale nella cifra di lire 280 orarie.

Questa mozione viene consegnata al CdF il 21.1.81 con richiesta da parte del delegato del gruppo omogeneo di porla all’ordine del giorno nella prossima riunione.
Dopo alcuni giorni (il 27.1.81) il CdF, in una lunga riunione, discute la mozione degli operai della Forgia (magli, presse, trafila) e si pronuncia contro la richiesta dell’adeguamento con un solo voto contrario, quello del delegato del gruppo omogeneo. Accoglie però la proposta di un’assemblea e decide che questa non sia limitata agli operai che hanno presentato la richiesta (cioè a quelli che lavorano “a caldo”), ma sia aperta a tutti e tre i gruppi omogenei della Forgia (segantini e molatori). Il giorno dopo si tiene l’assemblea retribuita stabilita dal CdF: quest’ultimo si schiera apertamente contro la richiesta, nonostante che la maggioranza dell’assemblea, con moltissimi interventi, ribadisca la necessità di adeguare l’indennità. L’assemblea si conclude nella più grande confusione con duri scontri e insulti tra delegati e operai.
Il 30.1, approfittando della pausa di mensa del turno normale, si svolge un’assemblea di bilancio e dopo un’ampia discussione viene approvato il seguente comunicato.

Comunicato approvato dall’assemblea degli operai della Forgia (magli, presse, trafila) di venerdì 30.1.81, con un solo voto contrario
Il 21.1.81 s è tenuta in Forgia, presente tutto il CdF, l’assemblea degli operai del reparto, per discutere l’adeguamento dell’indennità 5.
Il CdF in questa assemblea si è schierato contro la richiesta della maggioranza degli operai di adeguare l’indennità 5 - ferma dal 1969 - al salario attuale percepito, dimostrando ai presente qual’è la sua concezione della democrazia. Su un’ora di assemblea programmata, tre quarti d’ora il CdF li ha usati per spiegare che non era d’accordo, tanto che - per potersi esprimere - gli operai hanno dovuto prolungare l’assemblea con mezz’ora di sciopero.

A parte gli atteggiamenti provocatori dell’esponente dell’esecutivo incaricato di tenere la relazione del CdF, che ha più volte minacciato di andarsene davanti alle contestazioni che gli facevano gli operai che intervenivano, le motivazioni del rifiuto del CdF di farsi carico di questa richiesta si possono riassumere nelle seguenti posizioni:
1) la salute non si paga e chiedere l’adeguamento dell’indennità 5 significa chiedere l’adeguamento dell’indennità di morte;
2) questo onere economico (280 lire orarie rivendicato per 50 persone) potrebbe portare l’azienda a chiudere la Forgia.

Ora su queste posizioni il CdF, visto fallito il tentativo di convincere gli operai della Forgia, cerca di schierare gli operai degli altri reparti nel tentativo di isolarci, facendoci comparire come corporativi.
Così, oltre alla direzione, abbiamo contro anche i “nostri rappresentanti”.
Ma la falsità delle argomentazioni sostenute dal CdF è facilmente dimostrabile:
1) nella pratica, non con le chiacchiere ma con le lotte per far mettere gli aspiratori, per migliorare l’ambiente di lavoro, abbiamo dimostrato che per noi la lotta alla nocività è uno dei principali obiettivi, per cui abbiamo lottato in prima persona, e le 280 lire richieste per noi sono l’adeguamento di questo istituto, e non il prezzo con cui barattare la nostra salute;
2) che l’azienda possa chiudere la Forgia solo perché rivendichiamo l’adeguamento di un istituto ormai inadeguato, oltre che un ricatto e una minaccia, è un preciso suggerimento che il CdF fa alla direzione.
Inoltre, non si vede perché l’azienda possa spendere centinaia di milioni all’anno - senza pericolo di chiusura - per la “pasqualina” dei capi, degli impiegati e dei dirigenti, e invece rischi la chiusura per pochi milioni (una decina all’anno) per adeguare il salario di chi effettivamente produce.
Operai della Fucine, la nostra lotta non è corporativa, ma è una lotta per la difesa dei nostri interessi. E’ una lotta che apre prospettive per tutti gli altri lavoratori e il tentativo di mettere gli operai degli altri reparti contro quelli della Forgia è utile solo alla direzione.

Questo comunicato viene diffuso in tutti i reparti e in mensa da quattro squadre di operai.
Il giorno 6.2.81 l’esecutivo del CdF esce con un comunicato in cui attacca gli operai in lotta ed il delegato.

Chiamiamo le cose con il loro giusto nome!
Il reparto “Forgia” ed in particolare il gruppo “Magli-Presse-Trafile” ha aperto un problema di rinnovo di una indennità di reparto.
Poiché in fabbrica è apparso un comunicato approvato in una assemblea fuori orario di lavoro, tenuta dal delegato di reparto, in cui si esprimono pesanti giudizi sull’operato del Sindacato e del C.d.F., riteniamo opportuno chiarire quanto segue:


1) La situazione economica del nostro Paese ed in particolare la pesante inflazione creano grossi problemi di difesa del potere di acquisto delle paghe e dei salari. In questo senso, quello di difendere il potere di acquisto dei lavoratori, il Sindacato ha conquistato nel periodo luglio ‘79-febbraio ’81:
a - aumento CCNL medio di L. 43.000 mensili
b - contingenza: L. 136.173 mensili
c - accordo aziendale medio di L. 45.000 mensili
Su tali importanti livelli di recupero, gioca un ruolo fortemente negativo il crescente aumento delle trattenute fiscali. Oggi il movimento sindacale ritiene indispensabili due livelli di intervento:
a) la conclusione della vertenza con il Governo per:
- modificare le percentuali di trattenute fiscali e dei valori delle detrazioni
- stabilire un sistema più efficace di tutela dei redditi familiari;
b) la preparazione della piattaforma dei contratti nazionali di lavoro e quindi i valori e i criteri anche delle richieste salariali.
Riteniamo quindi ingiusto nascondersi dietro altri problemi quali quello della nocività per rivendicare
aumenti salariali, anziché chiamare le cose con il loro giusto nome:

DIFESA DEL POTERE D’ACQUISTO

e pertanto le lotte e le attese dei lavoratori vanno indirizzate nella giusta direzione.
2) Le lotte per migliorare l’ambiente di lavoro sono state, dal ’69 in poi, un punto centrale dell’azione del Sindacato e del C.d.F. della BREDA Fucine; la coerenza e la linearità di comportamento, da quel periodo in avanti, ha permesso di conquistare elementi che in precedenza erano risolti a qualche lira con la quale veniva ripagata la perdita della salute ed in molti casi la morte prematura.

Vale la pena di ricordare le conquiste più importanti:
- investimenti per il risanamento ambientale
- pause per ridurre l’esposizione dei lavoratori alle nocività (calore- rumore -ecc.) e quindi per ridurre la quantità di ore di lavoro
- riduzione dell’orario di lavoro per ridurre il tempo totale di permanenza in fabbrica e nel reparto.

La coerenza è indispensabile se si vogliono fare avanzare le nostre conquiste; dal luglio di quest’anno, i lavoratori della Forgia delle Fucine, primi in Italia, lavoreranno per quattro settimane 30 ore settimanali invece di 40, mantenendo integro il salario.
Da questa fruttuosa strada non intendiamo tornare indietro.

3) Coerenza: abbiamo ripetuto più volte che è necessaria chiarezza, linearità e coerenza per non far sprecare lotte, energie, salari ed entusiasmi inutilmente ai lavoratori.
Non ci sembra di trovare questi attributi nelle azioni del Delegato dei Magli-Presse-Trafile. Infatti, il Sindacato, il Consiglio di Fabbrica ed il Delegato stesso, hanno definito con i lavoratori le richieste per la piattaforma aziendale e con la partecipazione del menzionato Delegato hanno condotto le trattative senza mai sentirlo evidenziare elementi di dissenso, contrattando tra l’altro (ma forse era distratto) il superamento della “pasqualina” proprio per una maggior giustizia ed unità dei lavoratori.

Fuori da ogni polemica, vogliamo invitare inoltre lo stesso Delegato ad una rilettura più attenta dei numerosi accordi sull’ambiente di lavoro in Forgia da cui, ne siamo certi, troverà materia per continuare la battaglia “per non barattare la salute” ogni volta che la Direzione, e questo è già capitato, cerca di non rispettarli.
Tutta la Fabbrica, nelle prossime settimane, contribuirà attraverso le “Assemblee di reparto” e “Generale”, a definire le linee di azione del Sindacato.
Sesto S. Giovanni, 6 febbraio 1981.

Si apre un dibattito nel reparto e in tutta la fabbrica sul comunicato dell’esecutivo: nel frattempo l’assemblea degli operai dei lavori a caldo (magli, presse, trafile), che aveva dato mandato al delegato di presentare la richiesta al capo del personale, attende che si svolga l’incontro.
Il giorno 13.2.81 si decide l’assemblea: dopo aver ascoltato il resoconto del delegato sull’incontro con il capo del personale, gli operai decidono un programma di lotta ed i presenti approvano all’unanimità il seguente comunicato, raccogliendo 18 mila lire per ciclostilarlo.

Mozione approvata all’unanimità nell’assemblea della Forgia Magli Presse Trafila del 13.2.81
Qual’è il vero nome!
L’esecutivo del CdF dopo essersi schierato contro la maggioranza nell’assemblea della Forgia (magli presse trafila segantini molatura), e senza aver informato sull’andamento di tale assemblea il resto della fabbrica, si è però affrettato a rispondere con un attacco al comunicato approvato nella successiva assemblea di reparto.
In questo modo l’esecutivo non intende certo convincere gli operai della Forgia, di cui conosce bene la posizione, ma spargere dubbi fra gli operai degli altri reparti sulla giustezza della nostra lotta. Questo grave tentativo di isolamento viene giustificato col proposito di “chiamare le cose col loro giusto nome”. Vediamole.

Al punto 1) l’esecutivo ci ricorda che in tre anni tra contingenza, contratto nazionale e aziendale abbiamo conquistato ben 214.173 lire mensili. La cifra in entrata è specificata fino ai centesimi, quella in uscita invece viene definita con alcuni fumosi aggettivi “ruolo fortemente negativo .... delle trattenute fiscali”. E’ un bel sistema per fare i conti, lo stesso che usano governo e Confindustria per ridurci il salario. Ci rinfacciano quanto ci viene concesso per sopravvivere (gonfiando anche le cifre) ma nascondono quanto ci viene rubato con trattenute, aumento dei prezzi, stangate governative e soprattutto attraverso lo sfruttamento in fabbrica. Ma oggi nessuno può più negare l’impoverimento reale degli operai (e ciò è risultato ben evidente anche nell’ultima assemblea generale), per questo l’esecutivo si affretta a ricordarci la strategia del recupero con:

1) la cosiddetta vertenza sulle “percentuali fiscali”, senza però dire che questa è impostata solo per “non appiattire i salari” ovvero per premiare la professionalità e allargare ancora le distanze tra gli strati alti, dirigenti, capi, ecc., dagli operai (senza parlare del nuovo furto del 5%);
2) un sistema “più efficace di tutela dei redditi”, senza però dire che questo è un modo originale di definire l’attacco alla scala mobile già ventilato dal governo e dai vari burocrati sindacali;
3) la definizione della nuova piattaforma nazionale, senza però ricordare che questa è sempre vincolata alla politica dei sacrifici. I risultati delle precedenti li abbiamo già sperimentati. Dovevano servire ad aumentare l’occupazione ed invece sono aumentati solo i profitti padronali. Dopo essere stati costretti ai sacrifici, migliaia di operai delle principali fabbriche oggi vengono buttati per strada, mentre il nostro salario si riduce sempre di più.

E’ un bel modo di chiamare le cose col giusto nome!

Questo comunicato viene distribuito in mensa il giorno 16.2.81 da quattro squadre di operai su tutti i turni.
Martedì 17.2.81 dalle ore 8.30 alle ore 9.00 avviene il primo sciopero. Su 7 impianti del gruppo omogeneo ne funzionano 3, grazie al
fatto che spostano i crumiri formando squadre nuove. Su 45 operai delle lavorazioni a caldo gli scioperanti sono 31, 14 i crumiri.

La reazione della direzione è immediata. Convoca tutto il CdF a cui chiede conto dei motivi della lotta. Durante l’incontro il CdF si dissocia
dalla lotta, scaricando sugli operai e sul delegato presente all’incontro la responsabilità. Il discorso del capo del personale si può
riassumere così:
1)il CdF non mi ha presentato alcuna richiesta;
2)il delegato del gruppo omogeneo ha fatto quindi una richiesta a titolo individuale, come rappresentante degli operai, ma non a nome del CdF, per cui prendiamo atto della sconfessione del CdF;
3)quanto alla richiesta, quello che dovevamo spendere lo abbiamo speso nel contratto aziendale firmato nel luglio dell’80, per cui non abbiamo più disponibilità economiche;
4)condividiamo in pieno la posizione del CdF, “la salute non si vende”, ed è su questo principio che definiamo gli investimenti nel reparto.

Il 19.2.81 avviene il 2° sciopero stabilito e il giorno 20.2.81 si tiene nuovamente l’assemblea per fare il punto della situazione. Il 24 e il 26.2.81 si tengono gli altri scioperi stabiliti.
Nel frattempo, davanti alla tirata d’orecchi della direzione , il CdF usa i militanti del PCI, alcuni capisquadra ed alcuni delegati per organizzare il crumiraggio su alcuni magli, formando squadre miste. Il 27.2.81, durante l’ora di mensa, si tiene l’assemblea (presente un membro dell’esecutivo). Viene denunciato il ruolo anti-operaio dell’esecutivo e gli operai si pronunciano per la continuazione della lotta dando nuovamente mandato a una delegazione di ricercare un incontro con la direzione.

Il giorno 5.3.81 una delegazione di 3 operai viene ricevuta dalla direzione ed espone nuovamente le richieste. La risposta è la seguente: se trovate una mediazione con il CdF, se cioè la richiesta viene dai “rappresentanti dei lavoratori” possiamo trattare, altrimenti niente da fare.

Si sciopera contro il CdF per la prima volta alla Breda
Il giorno dopo, venerdì 6.3.81, in assemblea con sciopero di un’ora, dalle 8.30 alle 9.30, la delegazione incontratasi con la direzione fa un rapporto sull’incontro. Dopo ampio dibattito l’assemblea degli scioperanti decide di mandare una delegazione di massa all’esecutivo
perché cambi atteggiamento sulla lotta.
Su mandato dell’assemblea, lunedì 9.3.81 una delegazione di 10 operai si reca negli uffici dell’esecutivo. Il discorso della delegazione, più o meno, è il seguente: “Secondo la direzione l’unico ostacolo alla trattativa siete voi, per cui se decidete di opporvi ancora alla richiesta ci saranno scioperi di protesta contro di voi, in quanto vi state ponendo come altra controparte”. L’esecutivo, imbarazzato, assicura che presenterà ufficialmente la richiesta per dimostrare che l’ostacolo è solo la direzione e su questa assicurazione la delegazione torna nel reparto a riferire agli altri operai.

Mercoledì 11.3.81 una delegazione di 4 operai eletti dall’assemblea e 2 rappresentanti dell’esecutivo si incontrano con la direzione. Davanti alla timida apertura manifestata dalla direzione sulla possibilità di una trattativa, l’esecutivo - con un repentino voltafaccia - ribadisce nuovamente di essere contro la lotta. Risultato: la direzione risponde nuovamente picche.

La delegazione degli operai in lotta decide di fare un comunicato dichiarando un’ora di sciopero con assemblea per il giorno dopo, per informare gli operai sull’esito dell’incontro.
A questa assemblea si presenta anche un membro dell’esecutivo, presente all’incontro con la direzione, che - dopo aver sentito la relazione della delegazione - interviene dando le sue spiegazioni: prima viene invitato dagli operai ad andarsene e poi viene espulso dall’assemblea che decide, con un voto di astensione, di effettuare uno sciopero di protesta contro il comune atteggiamento della direzione e del CdF per mercoledì 18.3.81.

Il giorno fissato, dalle ore 8.30 alle ore 9.30, si effettua lo sciopero e squadre di operai girano per i raparti affiggendo e distribuendo un comunicato approvato dall’assemblea.

Gli operai della Fucine reparto Forgia denunciano a tutta la fabbrica e all’opinione pubblica
Dopo oltre un mese di lotta la Direzione ha concesso un incontro per discutere le richieste avanzate dal reparto, contro la nocività e per la rivalutazione dell’indennità 5 bloccata da 12 anni. La Direzione aveva sempre rifiutato di entrare nel merito della trattativa se a presentare ufficialmente la richiesta non fosse stato il CdF, mentre questo organismo rifiutava categoricamente di farlo. La situazione si sbloccava solo quando una folta delegazione di operai della Forgia si presentava negli uffici del CdF minacciando di scioperare contro di esso.

Ma durante l’incontro con la direzione, cui partecipavano due membri dell’esecutivo e una delegazione del reparto composta da quattro operai, il CdF non solo si guardava bene dal sostenere le richieste, ma si scagliava contro ogni possibilità di intesa minacciando, nel caso le richieste della Forgia fossero state accolte , di aprire una vertenza su tutte le indennità della fabbrica. Questo atteggiamento ricattatorio e strumentale (il CdF non ha nessuna intenzione di rivalutare alcuna indennità) dava modo alla direzione di fare marcia indietro anche sui timidi accenni di apertura che si erano prospettati. Così CdF e padronato si sono trovati perfettamente d’accordo nel respingere le nostre richieste, entrambi spinti da nobili principi.

La salute non si vende! afferma il CdF. La salute non si paga! risponde in coro la direzione. Il fatto però che la nostra salute si consuma quotidianamente in un reparto dove il lavoro è il più pesante e nocivo della fabbrica, e che questo consumo è sottopagato non commuove i nostri filantropi. Il capannone non sarà alzato, fumo, calore, rumore continueranno a rovinarci la salute, ma l’importante è che il sacro principio sia salvo. Un aumento di 280 lire l’ora rovina la salute agli operai che lavorano per 500.000 lire al mese. Ai parlamentari invece questo non succede, 500.000 lire è l’ultimo aumento mensile che si sono concessi come indennità da aggiungere ai due milioni e mezzo che già percepivano.

Il ruolo assunto dal CdF in questo incontro non è un fatto isolato e dimostra come si attuano in pratica i famosi discorsi di Lama e Berlinguer sulla democrazia sindacale in un Consiglio tenuto in mano dal PCI. Infatti:
1) nonostante la richiesta fosse presentata dalla stragrande maggioranza del reparto con votazione in assemblea, il CdF si schierava contro dimostrando quanto contano le decisioni degli operai;
2) quando abbiamo deciso di far partire ugualmente la lotta, il CdF usciva con un volantino di condanna per isolarci dal resto della fabbrica, cercando di metterci contro gli altri reparti, spargendo la voce che siamo per la monetizzazione della salute e non per il risanamento dell’azienda;
3) prima di ogni sciopero si è cercato di convincere individualmente gli operai a desistere sguinzagliando alcuni delegati e gli iscritti al PCI in una aperta opera di crumiraggio;
4) dopo un mese di lotta il CdF rifiuta ancora di prendere qualsiasi impegno anche per il futuro, come l’inserire il problema dentro la prossima piattaforma contrattuale.

Per questo insieme di motivi gli operai della Forgia riuniti in assemblea con sciopero il 12.3.81, presente un membro dell’esecutivo, decidono:
1) la denuncia pubblica dell’atteggiamento del CdF anche alla stampa;
2) uno sciopero di 1 ora da effettuarsi mercoledì 18 per protesta contro il comune atteggiamento del CdF e della direzione.

Chiediamo agli operai della Breda Fucine di sostenere ancora gli operai della Forgia in lotta e solidarietà da parte degli operai delle altre fabbriche.

Comunicato deciso dall’assemblea (con un astenuto) degli operai della Forgia in lotta.

A questo punto Lotta Comunista (2 operai), attaccati nella precedente assemblea perché contrari allo sciopero (il sindacato è pur sempre un’organizzazione degli operai), decidono di tirarsi indietro.
Rimangono in fabbrica chiedendo un’ora di permesso. Da questo momento Lotta Comunista non partecipa più agli scioperi e alle assemblee.
E’ il primo cedimento sul fronte della lotta. In seguito cedono anche alcuni operai che non vedono possibilità d sbocco.
Cogliendo al volo la situazione il CdF con un comunicato decide di indire un’assemblea di tutti i gruppi omogenei sotto il tetto del vecchio
capannone della Forgia.

Lo scopo di questa assemblea è chiaro: cercare di metterci in minoranza rispetto agli operai degli altri gruppi omogenei, prendendo a
pretesto lo sciopero effettuato contro il CdF. Fra gli operai delle lavorazioni a caldo la cosa non è molto chiara, infatti alcuni scioperanti decidono di non partecipare all’assemblea, anche se la maggioranza è presente. L’assemblea, tenuta da un funzionario di zona della FLM, dura quasi due ore e mezza e alla fine viene votata la seguente mozione di sostegno alla linea sindacale.

Mozione approvata dall’assemblea del reparto Forgia
I lavoratori del reparto Forgia riuniti in assemblea per valutare la situazione determinatasi nel reparto stesso hanno approvato il seguente documento:
1. La situazione politica ed economica e gli stessi gravi provvedimenti di politica economica recentemente approvati rischiano di aggravare le condizioni economiche e di difesa del potere di acquisto di grandi masse di lavoratori, di pensionati, ecc.
2. In questo contesto la forza dei lavoratori organizzati deve essere utilizzata per imporre, per conquistare
livelli di difesa e di crescita delle condizioni di vita e di lavoro nella fabbrica e nella società.
E’ per questo che è necessario in questo momento evitare di frantumarsi in mille piccole situazioni,
ognuna delle quali si ancori ad una situazione (nocività, ecc.) particolare per realizzare invece momenti
di lotta generalizzata capaci di difendere l’occupazione ed il potere di acquisto dei lavoratori.

Ancora una volta occorre con chiarezza chiamare le cose per nome
LOTTA ALLA NOCIVITA’

Da un lato c’è la lotta alla nocività con le sue coerenze, la sua gradualità, ma comunque sempre centrata ad evitare che i lavoratori siano esposti al rischio, si ammalino, ottenendo pause, riduzioni della durata del lavoro, investimenti per i miglioramenti ambientali.

LOTTA PER DIFENDERE IL POTERE DI ACQUISTO
D’altra parte invece c’è la necessità di continuare la lotta per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori attraverso:
- i rinnovi contrattuali nazionali
- i rinnovi contrattuali aziendali
- la contingenza
- il peso dell’imposizione fiscale.

In questo contesto, per quanto concerne la difesa del potere d’acquisto, si rivendica una più incisiva azione unitaria di tutto il movimento sindacale, sia per quanto concerne la politica economica governativa, in particolare a partire dall’imposizione fiscale, sia per ciò che riguarda la preparazione della piattaforma per i prossimi rinnovi contrattuali.
Per l’ambiente, la nocività, la salute si ribadisce la centralità di una lotta che riduca l’esposizione al rischio e che crei le condizioni per non ammalarsi, che pretenda l’applicazione e il miglioramento degli accordi, il risanamento ambientale, che esiga l’applicazione della riduzione d’orario e la sua graduale estensione.
Votazione: a favore 49, contrari 24, astenuti 4.
23-3-81
Esecutivo del Consiglio di Fabbrica

Questa mozione ha solo lo scopo di isolare gli operai del gruppo omogeneo (magli-presse-trafila); la sua genericità e il fatto che non si contrapponga apertamente alla lotta è significativo. Dopo alcuni giorni di dibattito nel reparto e in tutta la fabbrica, venerdì 27.3.81 si decide un’altra ora di sciopero con assemblea in cui viene stilato e approvato il seguente comunicato.

Ancora manovre contro gli operai in lotta
Il CdF della Breda F., per rispondere allo sciopero di protesta e recuperare consensi, ha organizzato un’assemblea con il chiaro intento di isolare gli operai in lotta della Forgia; allo scopo sono stati convocati anche i gruppi omogenei “Segantini e Molatori” che non sono interessati alle lavorazioni a caldo; sono separati anche fisicamente dalla Forgia con un pannello divisorio, non sono quindi interessati all’indennità 5.

Ma il C.d.F. non aveva alcuna intenzione di affrontare questo problema. Servivano solo un po’ di voti in più per mettere in minoranza gli operai in lotta e approvare una mozione da contrapporre alle loro richieste. Infatti nonostante che le richieste e i voti dei diretti interessati alle lavorazioni a caldo fossero ancora la maggioranza, la mozione è passata (anche con il contributo qualificate dei due capi). E’ ancora il sistema per mettere gli operai l’uno contro l’altro e colpirli entrambi.
Infatti, cosa si afferma in questa mozione? Quelli che l’hanno approvata dopo averla sentita appena leggere velocemente in assemblea, farebbero bene a rileggerla con più attenzione. In essa non troveranno niente che possa riferirsi ad una reale difesa degli operai e sorvola senza rispondere ai precedenti argomenti espressi nei comunicati della Forgia.

Al punto 1) ci ricorda che le stangate governative rischiano di aggravare le nostre condizioni. Ci vuole una bella faccia tosta, dopo che per anni proprio il sindacato è stato il più accanito sostenitore della politica dei sacrifici, costringendoci all’attuale situazione di miseria. Ma si sa, il rischio è dovuto alla mancanza di una seria programmazione delle stangate da concordarsi col sindacato.
Al punto 2) il C.d.F. ci richiama all’ordine ricordandoci che “la lotta generalizzata” è meglio di quella “frantumata”. E’ una bella scoperta! Se siamo costretti a dure lotte nei reparti è proprio perché non esiste una lotta generale sugli interessi operai. La cosiddetta lotta per l’occupazione, la difesa del potere d’acquisto, ecc., ha dimostrato pienamente i suoi scopi e i suoi risultati: non solo non è aumentata l’occupazione, si licenzia proprio nelle grandi fabbriche, i sacrifici li abbiamo fatti solo per accrescere i profitti dei padroni e spianare la strada al potere del PCI e dei burocrati sindacali, mentre il potere d’acquisto esiste solo per chi ha potuto concedersi forti aumenti (vedi magistrati, parlamentari, ecc.).

Ma i nostri sindacalisti sono diventati maestri nel far dimenticare ciò che promettevano ieri, contrapporsi a ciò che richiediamo oggi, per promettere tante belle conquiste per domani. Così, mentre con la direzione si cerca di stroncare la lotta nel reparto contro la nocività e per il riadeguamento dell’indennità 5, si promette ancora per il futuro:
“riduzione della durata del lavoro”, sia ben chiaro durata, non intensità! Infatti la produttività resta obiettivo centrale del sindacato; alla trafila già si parla di aumentare i pezzi giornalieri, come già avvenuto alle aste;
“contratti nazionali e aziendali”, quando tutti sanno che restano vincolati alla salvezza dell’economia padronale e quindi si tratta ancora di contenimento salariale;
“contingenza”, proprio mentre governo e sindacato stanno cercando la formula più indolore per eliminarla;
“imposizione fiscale” e questa è la barzelletta finale. Doveva esser la vertenza della salvezza contrapposta alla richiesta di forti aumenti salariali e ci troviamo una nuova trattenuta del 5% e un salario svalutato.

Ma, soprattutto, nella mozione ci si guarda bene dal quantificare qualsiasi obiettivo, sia sulla riduzione d’orario che sulle pause. Potrebbero essere prese in esame e ciò fa paura. Infatti mentre si fanno queste promesse di riduzione per il futuro, i padroni stanno già mettendo in discussione la riduzione già acquisita. Non siamo più disposti alla difesa futura. Vogliamo difendere i nostri interessi nel presente per prepararci a difenderli anche nel futuro.
Venerdì, 27-3-1981
Gli operai della Forgia in lotta
contro la nocività e sull’indennità 5

Martedì 31.3 si tiene un’altra ora di sciopero con assemblea in cui si affrontano una serie di problemi.
Il capo di un reparto vicino alla Forgia è stato sequestrato e legato davanti alla fabbrica con il solito cartello. Da tempo nel reparto in lotta vengono rinvenuti quasi quotidianamente volantini delle BR per confermare la tesi che gli operai in lotta sono probabili terroristi. Si decide di continuare comunque la lotta per tenere viva la protesta sulle condizioni di lavoro in Forgia.

INTERVIENE LA POLIZIA

Venerdì 3.4.81 la polizia irrompe nelle case di 13 operai: 6 sono scioperanti della Forgia (tra cui il delegato). La reazione degli operai, seppure in un clima di forte tensione, è immediata.
Lunedì 6.4.81 durante la pausa di mensa si riunisce l’assemblea delle lavorazioni a caldo e, dopo il dibattito, approva il seguente comunicato.

Perquisite le case di 13 operai
Venerdì 3 aprile, verso le 6 del mattino, decine di agenti della polizia giudiziaria e carabinieri, su mandato di perquisizione della Procura di Monza, armi in pugno, hanno fatto irruzione contemporaneamente nelle case di 13 operai della Breda Fucine.
Trattati come criminali, con le armi puntate contro, fra lo spavento dei familiari costretti ad assistere all’insolita scena e la curiosità dei vicini, questi operai hanno visto le loro case messe a soqquadro dagli agenti, che le hanno perquisite da cima a fondo.

Il motivo, stando al mandato di perquisizione, è il seguente: “... dalle indagini preliminari finora svolte emergono concreti elementi in ordine al sequestro di Salvatore Compare, per ritenere che nelle abitazioni dei suddetti operai possono rinvenirsi documenti di contenuto eversivo od oggetti illegalmente detenuti o di provenienza illecita”.
Quali siano questi “concreti elementi” naturalmente agli operai perquisiti non è stato detto, ma - visto che tutte le perquisizioni hanno dato esito negativo - quali siano gli “elementi concreti è facilmente immaginabile.

Chi sono infatti questi operai?
Cinque sono della Forgia (tra cui il delegato), che è attualmente in lotta per l’adeguamento dell’indennità 5; gli altri 4 sono del reparto Giunti che, guarda caso, proprio in questi giorni sono scesi in lotta contro la nocività; altri 4 sono della Torneria.

Di questi 13 la maggioranza è costituita da operai di reparti in lotta e da una parte del Gruppo operaio della Breda Fucine, che da anni si batte in fabbrica contro la politica dei sacrifici. Quindi il tentativo è abbastanza scoperto: far passare come probabili terroristi gli operai che lottano per i loro interessi; stroncare il dissenso operaio in fabbrica contro l’aumento dello sfruttamento e la linea dei sacrifici; intimidire chi nella lotta comincia a prendere coscienza dei propri interessi, per mantenere il clima di pace sociale necessario all’aumento dei profitti.

Operai della Fucine,
con l’alibi della lotta al terrorismo, come in un disegno preordinato, si tenta di implicare gli operai che lottano per i propri interessi nel sequestro di un capo che - tra l’altro - la maggioranza neanche conosceva. Si cerca di creare un clima di caccia alle streghe, di far passare per terroristi e criminali gli operai in lotta contro l’aumento dello sfruttamento.
Tutto ciò nel tentativo di farci piegare la testa, instaurando un clima di sospetto e paura molto utile a chi ha interesse a farci tacere.
Non sappiamo chi ha fornito i “concreti elementi” sul conto di questi operai. Quello che sappiamo per certo è che questa manovra fa molto comodo a chi vuole stroncare la nostra lotta.

Per questo noi operai della Forgia (magli, presse, trafila), mentre denunciamo l’operazione in corso, ribadiamo pubblicamente la nostra solidaretà ai nostri compagni e a tutti gli operai perquisiti.
Comunicato approvato dall’assemblea
degli operai della Forgia (magli, presse, trafila
)
6.4.81

Sempre lo stesso giorno esce anche un comunicato del CdF.

Comunicato
Venerdì 3.4.81tra le 4 e le 6 del mattino sono state sottoposte a perquisizione le abitazioni di alcuni lavoratori della Breda Fucine; queste perquisizioni sono state messe in relazione con le indagini sul sequestro del caporeparto S. Compare.
Nel prendere atto che queste iniziative rientrano nei compiti che la magistratura può e deve autonomamente assumere nella conduzione delle indagini, riteniamo necessario ribadire la volontà del CdF e della FLM di garantire la limpidezza e la trasparenza di ogni iniziativa , il pieno rispetto delle leggi e della libertà individuale col preciso e coerente impegno di arrivare al più presto alla verità sugli atti terroristici verificatisi nella nostra azienda.

Il CdF riafferma che queste azioni non possono in nessun caso suonare come condanna pregiudiziale nel confronti dei lavoratori interessati e sottolinea che le divergenze e le contrapposizioni di carattere sindacale non possono e non debbono essere intese come elementi di giudizio sui fatti che riguardano il terrorismo.
Esecutivo del Consiglio di Fabbrica

Nel frattempo si viene a sapere che il numero degli operai perquisiti è intorno alla ventina, perché oltre a quelli denunciati nel comunicato degli operai della Forgia, anche 3 militanti di Lotta Comunista e altri operai hanno ricevuto la visita della polizia.
Le perquisizioni riescono in parte ad intimidire. Il dibattito in fabbrica sui mandanti delle perquisizioni continua. Ampi settori di operai in tutti i reparti li mettono in relazione alla lotta in corso. Le tesi maggioritarie sono due: alcuni sostengono che i nomi li abbia forniti la direzione, altri sostengono che invece sia stato il PCI e i suoi uomini nel CdF. Martedì 7.4 anche il Gruppo operaio della Fucine interviene sull’argomento con un comunicato affisso in tutta la fabbrica, sostenendo espressamente la seconda ipotesi, mentre Lotta Comunista sull’argomento tace, perché “ci sono problemi più importanti da affrontare”.

QUALE LIBERTÀ?

Ancora una volta con l’alibi della “caccia al terrorista”, la repressione antioperaia viene presentata come un fatto normale, per impedire ogni forma di solidarietà o di protesta degli operai. Il CdF e la Flm, nel loro comunicato, si affrettano a ricordarci che “..queste iniziative rientrano nei compiti che la magistratura può e deve autonomamente assumere”. Così basta l’interessata segnalazione di qualche anonimo ruffiano perché la polizia irrompa, con le armi spianate, nelle nostre case, sotto gli occhi terrorizzati dei nostri bambini e dei nostri parenti, additati al caseggiato e in fabbrica come elementi da evitare perché pericolosi.

Ma non c’è da scandalizzarsi! La magistratura può e soprattutto deve, anche se non esiste alcun indizio concreto se non la necessità di intimidire e mettere a tacere gli operai che non si sottomettono alla politica sindacale dei sacrifici e alla dittatura del Pci in fabbrica - infatti per una strana coincidenza quasi tutti gli operai sono colpevoli di aver organizzato le lotte nei reparti contro la nocività, per aumenti salariali, denunciando il peggioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro.

Chi dunque può avere interesse a queste operazioni reazionarie? Il CdF si affretta a mettere le mani avanti e scrive: “le divergenze e le contrapposizioni di carattere sindacale non debbono essere intese come elementi di giudizio nei fatti che riguardano il terrorismo”. Che grande prova di democrazia! Neppure il più fascista dei tribunali avrebbe la sfrontatezza di condannare qualcuno sulla base delle sue posizioni sindacali. Risulta invece che la direttiva del PCI di segnalare gli “elementi sospetti” in fabbrica sia stata eseguita alla lettera anche alla Breda Fucine ed è chiaro che i criteri di queste segnalazioni seguono un percorso ben preciso: eliminare e mettere a tacere ogni forma di protesta alla sua politica antioperaia in cambio della scalata al governo.

Operai, solidarizzare con i compagni colpiti dalla repressione significa far fallire questa manovra. Nessuno infatti difende gli operai se questi non sono organizzati.
Le utopie del terrorismo non solo non sono servite a difendere le nostre condizioni, ma sono diventate lo spunto per giustificare la repressione degli operai in lotta.
PCI e sindacato svendono la nostra pelle per la loro scalata alla gestione dell’economia capitalistica in crisi e diventano lo strumento della repressione contro gli operai più combattivi.
Organizzarci per difendere i nostri interessi di classe è oggi un compito immediato per ogni operaio cosciente.
Gruppo operaio
Breda Fucine


La lotta ormai è stata bloccata, ma il clima di agitazione e il dibattito continuano. E’ in questa situazione che si inserisce il ritrovamento di un manifesto delle BR che prende posizione sulla lotta alimentando così le voci sparse dal PCI e dal CdF sui probabili “fiancheggiatori”.

VENERDI’ 15 MAGGIO E’ STATO RINVENUTO UN MANIFESTO DELLE B.R. nei cessi del reparto Montaggio ma, contrariamente al solito, il CdF non ne ha fatto grande pubblicità. Ciò risulta strano anche perché nel manifesto le Br “confermano” una tesi molto cara al sindacato: chi si oppone alla politica dei sacrifici e lotta contro lo sfruttamento in fabbrica è un probabile terrorista o fiancheggiatore.

Sentiamo infatti cosa scrivono i terribili guerrieri delle BR e quali mulini fa girare la loro acquetta: “Costringendo il capo Compare a lasciare il suo sporco ruolo, abbiamo imposto rapporti di forza a favore dei lavoratori, aprendo spazi alla lotta di massa che nei reparti si è espressa in diversi modi contro la nocività, i carichi di lavoro, le condizioni economiche ...”. Come tutti sanno, oltre alla fermata nel reparto Giunti, l’unica lotta che nei reparti si è espressa contro la nocività, i carichi di lavoro e le condizioni economiche è stata quella della Forgia. Questa lotta di minoranza (le masse sono un sogno delle BR) ha dovuto affrontare mille difficoltà e non solo per il rifiuto a trattare della direzione, per il boicottaggio del CdF, per il crumiraggio organizzato dal PCI. Il problema più grosso è stato proprio la divisione al nostro interno, la mancanza di un’organizzazione generale degli operai, di una coscienza di classe che solo lentamente si va ricostruendo tra gli operai. Ciò nonostante abbiamo resistito per oltre un mese con scioperi, assemblee e rifiuto della mobilità. E la questione non è accantonata, la crisi continua e con essa il peggioramento delle nostre condizioni.

Ma ecco che le BR sentono il bisogno di comunicare al CdF e alla Digos che sono stati loro ad “aprirci gli spazi”. Forse risolvendo questi problemi al nostro interno? No, punendo e facendo licenziare un capo reparto del PCI! E’ una convinzione che i teorici delle BR si portano dietro dall’azione cattolica: i cattivi vanno puniti! Un’altra l’hanno imparata a scuola: cambiando un professore cattivo con uno più buono, la promozione è più facile. In fabbrica è diverso. Un capo, un dirigente non è che un funzionario del capitale, può essere sostituito in qualsiasi momento senza che il capitale sia stato neppure scalfito, né che gli operai ne siano avvantaggiati. Al contrario, la passeggiata del signor  Compare è stata il pretesto e la maggior giustificazione alle perquisizioni e alle intimidazioni contro gli operai più attivi nella lotta e un pesante condizionamento per i più incerti (tra l’altra la lotta era già partita prima che le BR aprissero i loro “spazi”). Questa è la sola attestazione di merito che le BR possono vantare: la caccia alle streghe scatenata in fabbrica per reprimere, con l’alibi della lotta al terrorismo, gli operai in lotta.

Ma vediamo quali obiettivi ci propongono le BR, “chiari e unificanti per tutta la classe” con “al centro la parola d’ordine: il piano di ristrutturazione non passerà!” Chi lo ferma? La speranza è la forza della fede. Solo che la ristrutturazione capitalistica è passata sugli operai nonostante 10 anni di proclami delle BR e continua a passare per il semplice fatto che, finché esiste il capitale, questo si ristruttura.

Le BR dovrebbero dire “il capitale non passerà!” e poi spiegarci come si fa. Ma le BR non si fanno imbrigliare dalla realtà:
“Nessun investimento tecnologico deve passare per aumentare la produttività e lo sfruttamento o per togliere posti di lavoro, ma solo per diminuire la fatica ed eliminare la nocività”. Siamo al controllo degli investimenti, ma armato. Forse così i padroni si convinceranno a investire non più per il profitto ma per la salute e la piena occupazione degli operai.
“Non deve passare alcun aumento dello sfruttamento ... tutte le condizioni nocive vanno abolite”.
Sono le stesse promesse che il sindacato ripete da anni per abbellire il capitale creando l’illusione che con la lotta per le riforme (e col PCI al governo) tutto ciò possa realizzarsi in questo sistema. Dieci anni di lotta armata con morti e galere piene di compagni, quando per propagandare questi obiettivi bastava iscriversi al sindacato? Cosa ci ha risposto il CdF sulle 280 lire? La nocività va abolita. E sui contratti? Non soldi ma investimenti per l’occupazione. Ristrutturazione e produttività? Solo per diminuire la fatica e lo sfruttamento.

Ma le BR con la stessa concezione del “contropotere” e la stessa fantasia di trasformare il capitale senza che gli operai abbiano conquistato il potere politico, propongono un metodo di lotta più cattivo credendo che questo li assolva dall’opportunismo teorico.
“Per portare avanti questo programma occorre ... costruire in ogni reparto, squadra... organismi di massa che siano politici e militari, che siano clandestini...”. Siamo al pansindacalismo armato. Probabilmente le BR conoscono alla perfezione le opere complete di Tex Willer ma hanno sbagliato epoca. Non c’è bisogno del fucile per il controllo degli investimenti. Ma soprattutto, se gli operai decidessero di organizzarsi politicamente in reparti e squadre armate non chiederebbero limitazioni allo sfruttamento ma la sua abolizione con l’abolizione del capitale.
Per concludere: forse su una cosa le BR hanno ragione. Bisogna proprio essere clandestini perché nelle assemblee e nei reparti sarebbe un problema sparare simili stronzate.
Gruppo Operaio
Breda Fucine

Le provocazioni continuano. Un delegato provoca ad arte un incidente che scatena il CdF: Il suo comunicato viene massicciamente affisso in tutti i reparti. E’ il migliore riconoscimento del fatto che la lotta della Forgia, seppure stroncata, ha lasciato il segno.

Comunicato
Ieri sera, presso il deposito delle biciclette della Italtrafo, il delegato Stefano Sala del reparto Forgia è stato aggredito e percosso da un lavoratore della Forgia stessa.
Questo nuovo fatto è il culmine di un clima di tensione e di provocazione che da alcuni giorni il “GRUPPO DI OPERAI” sta creando in Forgia; l’aggressione non è contro il singolo, ma contro il ruolo che svolge sala in quanto membro del Consiglio di Fabbrica.
L’aggressione ed il clima di provocazione è il risultato di una tensione che si è determinata nel reparto dopo il clamoroso fallimento di una lotta su obiettivi sbagliati condotta dal “GRUPPO DI OPERAI” in contrapposizione al CdF
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Il CdF, poiché l’aggressione a Sala ha comportato medicazioni al C.T.O. con prognosi di dieci giorni e ciò comporta un iter giudiziario, ha deciso di sostenere collettivamente tale iter.
Al tempo stesso il CdF esprime la propria solidarietà al delegato Sala per l’aggressione subita e la più ferma condanna per una prassi di lotta politica che troppe volte degenera dal confronto dialettico tra legittime posizioni diverse per arrivare ad atti di violenza, alle diffamazioni nei confronti del CdF e dei delegati.
Il CdF invita la Direzione ad astenersi da atti strumentali tesi ad applicare fuori dal luogo di lavoro i regolamenti previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, ritenendo che tale fatto investa il rapporto politico tra CdF, un lavoratore ed il “GRUPPO DI OPERAI” ed investa leggi che regolano la civile convivenza tra i cittadini.
Approvato con un voto contrario.
5.6.81
Esecutivo del Consiglio di Fabbrica


Dalla provocazione alla repressione
Visti fallire i tentativi di recuperare consensi alla famigerata politica dei sacrifici, il CdF da tempo ricorre alla montatura politica per intimidire e isolare gli operai che lottano per i propri interessi.

Caduto nel ridicolo il tentativo di farli passare come probabili terroristi, ha ora deciso di assumersi in proprio il compito della repressione, denunciando alla magistratura un operaio della Forgia con l’accusa di aggressione. Pretesto: un diverbio causato, probabilmente ad arte, da un delegato del PCI.
Così un operaio, che tutti nel reparto conoscono e stimano, che viene in fabbrica per la sudata pagnotta (e non per fare il burocrate a tempo pieno), si trova da solo di fronte alla magistratura ed alla direzione, accusato proprio dai cosiddetti “rappresentanti dei lavoratori”.

Come giustifica il CdF questa gravissima scelta? Quali prove esibisce? Nessuna, afferma soltanto che si tratta di una aggressione, pensando che questo basti a convincere gli operai. Eppure ci sono numerosi testimoni che possono dimostrare come si sono svolti i fatti. Perché non si è convocata un’assemblea per chiarire l’accaduto? Ma vediamo i fatti, perché ognuno possa giudicare usando la propria testa:

Durante una normale discussione, l’operaio che si vuole perseguire si era permesso un giudizio sullo sciopero di giovedì 4 giugno, diventato obbligatorio e non più una libera scelta per il semplice fatto che direzione e CdF staccano la corrente. Il delegato del PCI lo insultava e minacciava con le testuali parole: ”Tu mi hai rotto i c..., ti faccio un c... così”. Già questo linguaggio chiarisce le intenzioni del delegato, chi ha assistito alla discussione può confermarlo.

1) I due si incontravano casualmente fuori dalla fabbrica mentre ritiravano le biciclette nel box dell’Italtrafo. Anche qui i testimoni possono confermare che entrambi si strattonavano, quindi con identiche responsabilità. Piuttosto sarebbe da soppesare la minaccia precedente espressa dal Sala nel reparto. Il CdF, al contrario, cerca di far passare come aggressione ciò che è stato un diverbio, anche se increscioso e da evitare.

2)Ma il carattere strumentale dell’operazione viene in piena luce se si considera il successivo impegno del CdF nel montare il caso per incastrare l’operaio e “martirizzare” il delegato. Infatti il Sala, su indicazione del CdF, si precipitava nell’infermeria di fabbrica e, per ottenere una prognosi superiore ai 4 giorni e far scattare così “automaticamente” la denuncia, evidentemente non soddisfatto, si trasferiva al CTO dove finalmente riusciva a conquistare i giorni di prognosi indispensabili. Ogni commento è superfluo.

L’operaio continua a lavorare (nonostante abbia avuto anch’egli dal CTO 5 giorni di prognosi per “contusioni abrasive multiple e contusione alla gamba destra”) a differenza di Sala che preferisce fare la vittima.
Qual’è dunque l’obiettivo del CdF? Lo chiarisce il suo comunicato: attaccare e insultare gli operai della Forgia in lotta contro la nocività e il continuo peggioramento delle condizioni economiche. Per questo non esita ad accanirsi contro un operaio nel tentativo di intimidire tutta la fabbrica. Le velleità mortificate del Sala a “rompere” certe parti vengono elevate al rango di un attacco a tutto il CdF. L’operaio diventa “un gruppo di operai”, un diverbio personale diventa la dimostrazione di un “clima di tensione” prodottosi per il “clamoroso fallimento” della nostra lotta.

Ma perché tanto isterismo, se tutto è fallito? Non è, piuttosto, il tentativo di nascondere che a fallire clamorosamente è stata solo la politica dei sacrifici imposti agli operai con le promesse sbandierate e non mantenute sull’aumento dell’occupazione?
Evidentemente il continuo peggioramento delle condizioni operaie e i nuovi attacchi che si stanno preparando al nostro salario (vedi scala mobile) richiedono proprio quel “clima di tensione e provocazione” che il CdF denuncia solo per sguazzarci dentro.

Contro questo tentativo e per esprimere la nostra piena solidarietà all’operaio colpito, gli operai del gruppo omogeneo Magli - Pressa - Trafila hanno subito attuato uno sciopero di protesta di due ore e chiedono la solidarietà di tutti gli operai della Breda per far fallire questo disegno repressivo.
Assemblea del gruppo omogeneo
Magli-Pressa-Trafila


(Introduzione all’opuscolo sulla lettura della busta paga)
Questo opuscoletto, scritto nel 1978 dal delegato della Forgia (Magli-Presse-Trafila), servì ad illustrare e a far comprendere la busta paga a decine di lavoratori. Esso fu anche la base di alcuni corsi tenuti nei reparti durante le ore di pausa o di mensa. La dispensa era formata da un’introduzione generale (che riportiamo di seguito) e dalla fotografia della busta paga di un operaio di 4° livello, divisa in tre sezioni: la prima spiegava il meccanismo di formazione della paga oraria, la seconda riguardava tutte le competenze e la terza il meccanismo di calcolo delle trattenute.

Introduzione
Conoscere il salario e la sua struttura, impadronirsi dei meccanismi che compongono la busta paga e saperla leggere è da sempre un’esigenza comune a tutti gli operai. Nonostante il poco tempo a disposizione, la mancanza di strumenti, la difficoltà di lettura, il lavoratore, l’operaio “che sgobba” è sempre attento alla busta paga. Sono proprio le continue richieste di spiegazione dei meccanismi della busta paga da parte di un numero sempre più consistente di operai il motivo principale che ci ha spinto a costruire questa dispensa.

Nel momento in cui si prepara un ulteriore attacco dei salari sotto il nome di riforma del salario, il fatto che un numero maggiore di operai sia a conoscenza dei meccanismi che compongono la busta paga può aiutare molti lavoratori a capire le ragioni per cui padroni, governo e sindacati vogliono ridurre la parte automatica del salario.

1° parte: Cos’è il salario e come è determinato
Nell’attuale società capitalista ciò che l’operaio vende al suo padrone non è il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro (cioè la capacità lavorativa) che egli mette temporaneamente a disposizione del capitalista per poter vivere.
La forza-lavoro è quindi una merce, e come tutte le merci ha un valore che è determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessario per la sua produzione. La forza-lavoro di un uomo o di una donna non è scindibile dalla sua persona, perché consiste unicamente nella sua personalità vivente. Il suo valore è dato dalla somma dei costi di produzione sostenuti per mantenere e riprodurre l’operaio, non solo come specie ma come “grado” e “qualifica”.

Quali sono questi costi di produzione della forza-lavoro?
Sono i costi necessari per produrre e mantenere efficiente la forza-lavoro o capacità lavorativa dell’operaio.
In altre parole ciò significa che i costi di produzione dell’operaio sono quelli strettamente necessari perché possa crescere e conservarsi, cioè i mezzi di sussistenza necessari mediamente (espressi nel loro prezzo in denaro) per renderlo atto al lavoro, per conservarlo nella condizione di poter lavorare, per sostituirlo quando egli scompare per vecchiaia, per malattia o per morte, con un altro operaio.

Cosa vuol dire concretamente questo? Che oltre ad una certa quantità di oggetti di uso corrente necessari al suo sostentamento, l’operaio ha bisogno di un’altra quantità di oggetti di uso corrente, per allevare un certo numero di figli che debbono rimpiazzarlo sul mercato del lavoro e perpetuare la “razza” degli operai nella misura necessaria, perché l’uomo, come la macchina, si logora e quando non è più adatto al processo produttivo deve essere sostituito da un altro uomo.

Ai costi del mezzi di sussistenza c’è da aggiungere i costi sostenuti per la formazione professionale dell’operaio (apprendistato, un certo grado di istruzione, ecc.), per cui il valore della forza lavoro è dato dalla somma complessiva dei costi di produzione sostenuti per essa.
E’ questa la spiegazione del perché, nel sistema attuale del lavoro salariato, i salari sono diversi a seconda dei livelli.
Nell’attuale società la forza-lavoro di un operaio comune ha un valore minore di quella di un operaio specializzato; e ancora, la forza-lavoro degli operai ha un valore minore di quella di un ingegnere, perché la produzione della forza lavoro di un operaio specializzato o di un ingegnere costa più tempo di lavoro di un operaio generico.
Ecco il motivo del diverso prezzo sul mercato del lavoro.

Salario nominale e salario reale
Così come il prezzo di tutte le merci, anche il salario risente della concorrenza e del rapporto tra offerta e richiesta. Nei periodi di boom economico in cui la richiesta di operai (cioè della merce forza-lavoro) da parte dei capitalisti supera il numero degli operai disponibili, la concorrenza fra operai diventa minima o addirittura nulla e il risultato è un aumento del prezzo di questa merce, cioè il salario.

Quando invece succede il contrario, cioè disponibilità di merci molto superiore alla domanda (eccedenza di operai rispetto alle esigenze del capitale, come nei periodi di crisi), la concorrenza fra operai diventa disperata e il salario diminuisce.
La grande divisione del lavoro, con l’introduzione di nuove tecnologie e nuove macchine nel processo produttivo, ha reso capace un operaio di fare il lavoro di 5, 10, 20 e in alcuni casi di 100 operai e più, e il risultato è stato che la concorrenza fra gli operai è aumentata nella stessa proporzione, nella misura in cui un operaio - con le nuove macchine - è costretto a fare il lavoro di 5, 10, 20 operai.

Con la parcellizzazione del lavoro e l’uso dei robot il lavoro si semplifica. Anche quei lavori dove l’abilità particolare dell’operaio era necessaria tendono sempre più a perdere il loro valore, diventando il lavoro accessibile a tutti.
Inoltre, più il lavoro diventa semplice e prima lo si impara, minimi diventano i costi di produzione occorrenti all’operaio per apprenderlo e quindi più in basso cade il salario, perché esso - come il prezzo di qualsiasi altra merce - è determinato dai suoi costi di produzione.

Quindi, quegli operai che cercano individualmente la soluzione dei loro problemi cercando di conservare la massa del loro salario, lavorando più ore con gli straordinari o aumentando i pezzi nella stessa ora (i cottimisti), o facendo lavoro nero - perché spinti e costretti dal bisogno -in realtà non fanno altro che rendere più gravi le loro condizioni, perché più lavorano e meno salario ricevono.

Questo succede per la semplice ragione che, facendosi concorrenza, spingono anche gli altri ad offrirsi alle stesse cattive condizioni con il risultato di peggiorare, in ultima analisi, le condizioni dell’intera classe operaia.
La tendenza alla diminuzione dei salari, nel regime capitalistico, oltre che motivo di conflitti sindacali, è uno dei motivi che stanno alla base dei contratti aziendali e nazionali.
Spesso, dietro alla demagogia delle “vittorie” e delle “conquiste” si nasconde un’elementare verità: quasi sempre una richiesta di aumenti salariali si rende necessaria per mantenere inalterato il valore del salario.
Ma, anche prescindendo dalla concorrenza, in determinate condizioni la somma di denaro in busta paga può restare invariata e nonostante ciò il salario diminuire perché, aumentando maggiormente il prezzo dei mezzi di sussistenza, con gli stessi soldi l’operaio riceve in cambio meno pane, meno carne, meno verdura, ecc.

Quindi il prezzo in denaro della forza-lavoro, il salario nominale, non coincide affatto con il salario  reale (cioè con la quantità di merci che vengono realmente date in cambio del salario). Per questo, in economia, si distingue fra SALARIO NOMINALE e SALARIO REALE.
Il Delegato della Forgia
del gruppo omogeneo Magli-Presse-Trafila
1978
N.b. Negli anni seguenti vennero ristampate, in occasione dei rinnovi contrattuali, dispense aggiornate con le nuove tabelle, ma l’introduzione rimase la stessa.


FINE