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- osservatorio - genere resistente - 16-12-18 - n. 695
A. Kollontaj: Il lavoro femminile nella comunità agricola e nella produzione artigianale
Alexandra Kollontaj | marxists.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
1921
Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna (*)
IV conferenza
Analizzeremo ora le condizioni di vita delle altre classi. Quali diritti avevano nel Medioevo le donne delle città e delle campagne, come vivevano? Cominceremo dalle contadine. Per loro è difficile parlare in termini di diritti nel corso di un periodo così spietato come il Medioevo e mentre regnava esclusivamente la legge del più forte. Contadini e contadine erano servi del loro "signore". E' tutto detto. Il potere del proprietario terriero sui contadini era senza limiti.
Per comprendere le relazioni tra la cavalleria, i boiardi o proprietari terrieri nobili ed i contadini, dobbiamo cercare di comprendere chiaramente ciò che stava alla base del feudalesimo. L'economia del feudalesimo era completamente dipendente dalle grandi proprietà rurali sulle quali regnavano i padroni assoluti - cavalieri e guerrieri - che dominavano il paese. Terre e campi del patrimonio del grande proprietario terriero erano coltivati dai contadini che disponevano di loro propri lotti familiari. I contadini certamente non erano più schiavi come nell'antichità greca, romana o egiziana (essendo lo schiavo proprietà privata del suo padrone e perciò, un individuo non libero, mentre il contadino, era libero), ma si trovavano in una situazione di dipendenza economica e politica tale che il loro asservimento era inevitabile e diventarono presto i servi del proprietario terriero.
Naturalmente, cavalieri e boiardi si accaparravano le terre migliori. Per sopravvivere, i contadini erano costretti ad affittare le terre signorili per le quali pagavano molto, inizialmente in natura, più tardi in denaro e dovevano anche compiere servizi quotidiani per il loro signore. In origine, questo stato di fatto non era regolamentato giuridicamente, le leggi sulla schiavitù propriamente detta apparvero solo ben più tardi (in Russia, nel XVI secolo). Abbiamo a che fare qui con una conseguenza di questa legge del più forte che conferiva al signore un potere illimitato sui contadini.
Nel Medioevo, il proprietario non possedeva soltanto la terra, deteneva anche poteri politici straordinari. Nella pratica, ciò significava che aveva piena disposizione del suo patrimonio: emanava decreti, aumentava tasse, infliggeva pene e condanne a morte e distribuiva feudi. Così ogni grande signore proprietario terriero finisce per regnare su tutta una serie di piccoli signori e proprietari che gli erano sottoposti e che, a loro volta, comandavano i nobili che erano a loro inferiori. La gerarchia nobiliare, costituita da proprietari terrieri (signori) e dai principi e in altri paesi, da signori feudali e da vassalli (dove i secondi si trovavano in posizione inferiore rispetto ai primi) era nata. Questa rete di subordinazione e di dipendenza reciproca garantiva la stabilità del feudalesimo e rafforzava l'autorità dei principi e dei signori. In questa catena aristocratica, i contadini erano condannati ad una vita che somigliava più o meno a questo: cieca obbedienza al signore e duro lavoro, di cui i contadini stessi non raccoglievano i frutti, destinati soprattutto ai signori dei castelli che si occupavano a dilapidarli.
Qui, la posizione della contadina non si distingue affatto da quella del contadino. Tutti e due sgobbavano instancabilmente dalla mattina alla sera e guadagnavano per loro solo sofferenze, disprezzo e assenza totale di diritti. A quel tempo, solo le proprietà dei signori erano rispettate. Loro soli avevano diritti. Il fatto che il contadino fosse schiavo come sua moglie, contribuì a diminuire o a addirittura cancellare le differenze. Uomo e donna si piegarono insieme sotto il giogo della signoria.
Nella vita familiare tuttavia, il servo sottomesso e spogliato di ogni diritto non si comportava differentemente dal signore e padrone nei confronti di sua moglie e dei suoi bambini. Come il cavaliere nel suo castello comandava la moglie dotata di titoli nobiliari, il contadino esercitava la tutela sulla sua. Mentre il cavaliere era autorizzato a giocare sua moglie ai dadi o a chiuderla in un convento, il contadino da parte sua, poteva cacciarla o venderla all'asta al mercato. Quando la proprietà privata riescì ad imporsi nell'ambito della classe contadina, il diritto paterno e perciò il diritto dell'uomo sulla donna e i bambini, ne uscì rafforzato. Da quel momento anche i contadini si misero a contrarre matrimoni d'interesse e non più matrimoni d'amore. È vero che questi ultimi erano spesso contrastati dai signori che ordinavano semplicemente ad Ivan di tale villaggio di sposare Maria di tal altro. Così la contadina serviva due padroni allo stesso tempo, il suo signore, a cui doveva la propria sussistenza e suo marito.
Il cavaliere e i suoi figli non avevano alcun riguardo per le contadine. Per "la Signora del suo cuore", ovviamente di nascita nobile, il cavaliere era capace di vegliare notti intere, a piedi nudi e nonostante il freddo gelido, come dimostrazione di amore e ammirazione. In compenso, riguardo alle donne e alle ragazze dei contadini, lo stesso uomo si comportava nel modo più ignobile e senza alcun ritegno. Per rallegrare le sue bevute era capace di ordinare il raduno di tutte le giovani donne del villaggio più vicino. E se una contadina avesse avuto la disgrazia di piacergli, faceva cacciare il marito dalla sua casa. In qualsiasi momento il signore aveva il potere di trasformare botteghe e annessi del suo castello in un harem. Così la cavalleria, pur celebrando in versi la gloria delle donne, schiacciava senza pietà la volontà e i sentimenti delle donne del popolo. Era un periodo buio e prolifico di malattie di ogni tipo.
È soltanto verso la fine del Medioevo che i contadini iniziarono a rivoltarsi contro gli abusi dei signori. Le donne svolsero un ruolo molto attivo nel corso delle sommosse contadine. In occasione della "Jacquerie" (rivolta dei contadini francesi nel 1358), le donne furono quelle che dimostrarono più entusiasmo nel bruciare i castelli e massacrare gli abitanti a colpi di ascia o di forconi. Fatti simili si raccontano a riguardo delle donne dei lollardi in Inghilterra (setta religiosa del XIV e XV secolo a carattere sociale e che subisce dure persecuzioni), delle donne dei contadini tedeschi, degli hussiti e dei seguaci di Thomas Münzer. Gli storici descrivono le contadine rivoltose come creature vendicative, insensibili e sanguinarie che superavano in crudeltà anche la rabbia scatenata dei contadini. Come poteva del resto essere diverso? Le contadine, per diritti e consuetudini stabiliti contro di loro e che derivavano dal diritto patriarcale, conducevano una vita da cani. Subivano l'autorità del capofamiglia e non erano nulla di diverso che bestie da soma. Aravano, raccoglievano e governavano il bestiame. Nessun lavoro era troppo duro. Queste condizioni sono del resto invariate nelle regioni più arretrate e retrograde della Russia e in altri paesi economicamente sottosviluppati. La contadina non aveva alcun diritto mentre occupava lo stesso posto del contadino nell'ambito della produzione. Com'era possibile?
Abbiamo già detto che il sistema economico nel Medioevo era fondato sulla proprietà privata. Ma, dove prevale la proprietà privata non è data importanza al lavoro, né al suo diretto risultato - intendo con ciò la produzione di beni di consumo indispensabili - ma solo ai guadagni, grazie al diritto di utilizzo della proprietà privata, del lavoro altrui, cioè ai profitti. Vi ricordate certamente che gli schiavi in Grecia erano i veri produttori di tutte le ricchezze e quali ricchezze! Tuttavia, il lavoro degli schiavi non aveva alcun valore agli occhi dei greci. Non erano considerati qui come forza lavoro e coloro che sfruttavano questa forza lavoro erano i soli a essere riconosciuti socialmente. Questo chiaramente significava che i proprietari ottenevano un massimo profitto sfruttando i loro schiavi. Non andava differentemente con il lavoro dei servi. L'avvento della proprietà privata comportò la disgregazione dell'azienda agricola in piccole unità indipendenti. Tuttavia prati e foreste erano ancora proprietà comunale. Ogni servo possedeva la sua fattoria che non apparteneva alla donna, ma all'uomo: il marito, il padre o il fratello. Questa concezione del diritto che si basa sulle abitudini patriarcali si sviluppò e si rafforzò.
Si deve anche tenere conto di quanto segue: nonostante la sua posizione subordinata nell'ambito della famiglia, la donna godeva tuttavia di una certa stima nel suo clan, in particolare nelle società derivate dagli ex popoli agricoli, avendo vissuto un periodo matriarcale. Per ciò che riguarda la posizione della donna, la schiavitù tra francesi, inglesi e tedeschi non prendeva forme così marcate come nelle tribù di pastori, come gli Unni e i Tartari che terrorizzavano i contadini pacifici dell'Europa con le loro invasioni.
La lotta tra le due forme di proprietà della terra, cioè da un lato la proprietà privata e dall'altro, la proprietà comunale, era lungi dall'essere completa. In Russia, questo diritto di possesso collettivo restò in vigore molto a lungo grazie al sistema del mir (assemblea ndt) e fu abolito soltanto sotto il regno di Nicola II dalle leggi del ministro Stolypin. Per l'economia del villaggio, la donna rappresentava un'importante forza lavoro. La prosperità dipendeva tanto dal suo che dal lavoro del contadino. È per questo che poteva assistere in numerosi casi alle decisioni del villaggio, mentre riguardo a suo padre o a suo marito, non aveva praticamente voce in capitolo. Alle riunioni, anche gli anziani erano pronti ad ascoltarla. In una provincia russa, un'usanza autorizzava le contadine - in particolare in occasione dell'assenza del loro marito - ad assistere alle riunioni del mir e ciò nonostante la perdita dei loro diritti ancestrali ed il fatto che il pater familias aveva considerevolmente allargato le sue prerogative. Le cose iniziarono veramente a cambiare per la contadina soltanto con l'introduzione, particolarmente umiliante, dello status di nuora. A partire da questo momento l'uomo poteva ridicolizzare e maltrattare impunemente sua moglie. Questo status significava che la donna, nel caso in cui il marito fosse partito per l'estero, doveva restare presso il suocero ed avere con lui rapporti sessuali.
La posizione della contadina serva si distingue tuttavia a vantaggio di quella della sua omologa nobile. Nonostante il signore esercitasse un potere illimitato sui suoi contadini, forzando i loro matrimoni e le loro separazioni e praticando il famoso e degradante ius primae noctis, nell'ambito dei contadini chiaramente c'erano più matrimoni d'amore che nella nobiltà. (Lo ius primae noctis significa il diritto del signore di passare la prima notte nuziale con la nuova sposa.) Le ragazze dei contadini avevano maggiori possibilità di decidere i loro matrimoni che le ragazze degli aristocratici. Questo testimoniato anche da canzoni popolari e le leggende.
È interessante osservare che la ragazza del cavaliere che aveva avuto relazioni intime con un uomo prima del suo matrimonio, gettava discredito non soltanto su sè stessa, ma anche su tutta la sua famiglia - in modo che nessun uomo accettasse più di sposarla -, mentre presso i contadini, queste storie non erano in realtà considerate così gravi. Le relazioni prima del matrimonio erano percepite in modo naturale e non apparivano come disonorevoli. Perché? Per ragioni economiche. Presso i contadini di quest'epoca, la forza di lavoro, per le condizioni difficili imposte dal lavoro agricolo, rivestiva un valore particolarmente elevato. Ogni bambino significava forza lavoro supplementare e perciò, vantaggiosa per l'economia contadina. È anche per questo che il contadino poteva adattarsi allo ius primae noctis senza essere altrettanto obbligato a cacciare la propria moglie; non vi vedeva l'apice dell'ignominia, ma una prova sgradevole, niente più. Queste abitudini si modificarono successivamente, quando gli sfruttamenti si individualizzarono e si ridusse la dimensione della proprietà comunale. A partire da questo momento, il padre cacciava la figlia se era rimasta incinta al di fuori del matrimonio e l'adultera era frustata a sangue da suo marito.
Così l'avvento della proprietà privata nei contadini andava di pari passo con l'aggravarsi della situazione della donna, situazione sempre più disperata e insopportabile, spogliandola di qualsiasi diritto. Il cosiddetto "destino femminile" diventò la sorte delle contadine ovunque fosse diffusa la sovranità violenta del grande proprietario terriero, in breve, in ogni sistema economico basato sulla schiavitù e sulla proprietà privata della terra.
Riassumendo, si può descrivere la situazione dell'aristocratica e della contadina come segue: nel corso del Medioevo e per ragioni principalmente economiche, nessuna uguaglianza, nessuna indipendenza, nessun diritto umano fondamentale, nulla di tutto questo era rispettato.
Ora affronteremo la situazione della donna della terza categoria sociale, la borghesia, che, successivamente, si dividerà in due classi opposte e ostili, la borghesia e il proletariato. Abbiamo già parlato della nascita delle città. Si erano sviluppati principalmente a partire dai mercati, centri del commercio e degli scambi, in cui vivevano soprattutto commercianti e artigiani. Per borghesi, intenderemo solitamente le donne degli artigiani e dei commercianti che non svolgono un ruolo autonomo. Cosa che era probabilmente conseguenza del fatto che i commercianti lavoravano generalmente con merci straniere, cosa che richiedeva una mobilità e un'indipendenza che la donna semplicemente non possedeva. È soltanto verso la fine del Medioevo (nel XIII e XIV secolo) che lo scambio delle merci fu effettuato da commercianti intermedi, anziché essere diretto, come era il caso tra due produttori, cioè tra un artigiano ed un contadino o due artigiani di professioni diverse.
La donna della classe commerciale era padrona di casa e sposa. La sua attività produttiva si limitava al lavoro domestico che era al tempo chiaramente piuttosto complicato, poiché la soddisfazione delle necessità quotidiane dipendeva esclusivamente da questo. Il lavoro domestico soddisfaceva tuttavia soltanto necessità immediate e non produceva nessuna merce preziosa. Ne derivò una disistima del lavoro della donna. Nella classe commerciale delle città, l'uomo era capo e di solito l'unico capofamiglia.
Andava in maniera molto differente per le donne e le figlie degli artigiani che vivevano del lavoro delle loro mani e non del profitto che i commercianti ottenevano dalla vendita di una merce straniera o dal lavoro improduttivo della contrattazione. Più l'artigiano produceva scarpe, tavole, credenze, selle o abiti, più la sua vita ne era migliorata. Di conseguenza era completamente naturale che l'artigiano cercasse aiuto da sua moglie o dagli altri membri della sua famiglia. Solo così poteva sperare di "organizzare" una bottega. Più mani c'erano, meglio e più rapidamente progrediva il lavoro. I clienti preferivano artigiani che eseguivano l'ordine non appena possibile. Gli artigiani celibi erano dunque obbligati ad assumere aiutanti per competere coi loro concorrenti e le loro famiglie. L'artigiano assumeva apprendisti che potevano così imparare il mestiere e che diventavano successivamente assistenti o compagni di lavoro. Nasce così un modo completamente nuovo di produzione, l'artigianato, con un maestro artigiano al vertice e un intero battaglione di apprendisti e di lavoratori che gli erano subordinati. Questi non erano schiavi, ma lavoratori liberi sotto la direzione del padrone. Gli artigiani si unirono in associazioni, formando delle corporazioni in attesa di regolamentare le relazioni tra clienti e artigiani e attenuare la concorrenza che minacciava di influire seriamente sul tenore di vita dell'artigiano stesso. L'artigianato esisteva parallelamente alla schiavitù dei contadini e completava il sistema feudale.
All'interno dei mestieri artigianali la donna svolse un ruolo importante, particolarmente tra il XII e il XIV secolo. In alcuni mestieri il lavoro delle donne era predominante: ad esempio, nella tessitura, nella preparazione di pizzi coi fusi, di frange, di calze, di borse, ecc. Fino al XIV secolo, il padrone prendeva in apprendistato le ragazze come i ragazzi. Le donne lavoravano con il loro marito. Se il marito moriva, la donna ereditava la bottega e il titolo di padrone, non aveva tuttavia il diritto di assumere nuovi apprendisti. È per questo motivo che poteva proseguire il lavoro di suo marito soltanto se sposava uno dei suoi lavoratori. Questo lavoratore diventava allora maestro a sua volta ed aveva non soltanto ogni libertà di comando, ma anche di allargare i sui affari (con un matrimonio di questo tipo, i diritti dei due padroni di corporazione si accumulavano e permettevano l'aumento del numero di apprendisti, cosa che era naturalmente molto vantaggiosa per il proprietario di una bottega).
Tra il XII e il XIV secolo, il lavoro delle donne era così diffuso nelle numerose città dell'Inghilterra, Germania, Francia e Italia che alcune corporazioni erano composte solo da artigiane. E' il caso della filatura della lana, che da allora è sempre stato appannaggio delle donne e nel Medioevo esistevano specifiche corporazioni di filatrici, di cardatrici e di avvolgitrici. A Colonia, antico centro industriale tedesco, la gilda delle avvolgitrici era molto potente. Sbocciarono in Francia in particolare le due corporazioni che riuniscono le fabbricanti di borse e le modiste. La tessitura dei tessuti di lana era considerata un lavoro esclusivamente femminile. La tessitura, come il lavaggio delle vele, era esclusivamente riservato alle donne. Esisteva anche una corporazione di tessitrici di tessuti delicati e nel XIV e XV secolo, una corporazione di fabbricatrici di corde.
Nel XIV secolo, l'Inghilterra contava tante donne, quanto uomini, in 495 gilde su 500. Una legge promulgata nella metà del XIV secolo da Edoardo III ci permette di immaginare l'importanza del lavoro delle donne nelle varie corporazioni lavorative: infatti questa legge contiene regolamenti sui diritti delle donne occupate nelle industrie della birra, nelle panetterie, nei laboratori di tessitura ecc. In Inghilterra erano due i lavori femminili che erano particolarmente diffusi: la locandiere e la lavandaia. Anche la birraia era considerata un lavoro tipicamente femminile. Le donne si sono imposte in particolare anche nei seguenti lavori: la tessitura, la pigiatura del panno, il filatura del lino, il ricamo d'oro, la fabbricazione delle candele, il cucito, la panetteria, la fabbricazione di pizzi, calze e frange.
La preparazione dei bagni e dei lavaggi è stata sempre appannaggio delle donne. Anche il lavoro di parrucchiera era esercitato da donne. E se le donne non erano rappresentate nel grande commercio, il piccolo commercio era quasi esclusivamente nelle mani delle donne. Ciò era particolarmente vero verso la fine del Medioevo. Le donne offrivano rumorosamente al mercato polli, oche, fiori, frutta, ortaggi e altri prodotti di consumo. Molte tra loro vendevano anche vecchi abiti.
Quando una corporazione era composta da uomini e donne, queste ultime generalmente beneficiavano degli stessi diritti dei primi. Fino al XIV secolo, nelle città tedesche come Monaco, Colonia o Danzica, ogni padrone poteva impegnare come apprendista indifferentemente un ragazzo o una ragazza. Ad Amburgo e a Strasburgo, la corporazione dei tessitori era composta soltanto da donne. Le donne lavoravano anche nelle botteghe del cuoio, nelle oreficerie ed appartenevano alla gilda delle filatrici d'oro.
Il lavoro delle donne nei mestieri artigianali ebbe alla fine una tale estensione, che si finì per doverlo regolamentare con decreti. Il padrone di un atelier di oreficeria poteva prendere a suo servizio al massimo soltanto tre fanciulli, le donne continuavano tuttavia a lavorare come aiutanti. Nel 1920, i fabbricanti di tappeti proibirono il lavoro delle donne incinte, da un lato per favorire la loro gravidanza, dall'altro per rallentare la concorrenza tra donne.
Più tardi, nel XV e nel XVI secolo, quando la concorrenza tra gli artigiani era particolarmente inasprita, si iniziò a rifiutare l'entrata delle donne nelle corporazioni. Tuttavia, in occasione del periodo di espansione dell'artigianato, il lavoro delle donne svolgeva un ruolo importante nelle città.
Il motivo per cui il lavoro femminile fosse così tanto diffuso è dovuto al fatto che la borghesia del Medioevo contava una maggioranza di donne. Le statistiche di molte città del XIII e del XIV secolo mostrano che c'erano circa da 1.200 a 1.250 abitanti donne ogni 1.000 abitanti uomini. Ci sono stati periodi in cui la parte femminile della popolazione era ancora più numerosa. La carenza di uomini obbligava queste donne a guadagnarsi da vivere, non riuscendo ad accedere al matrimonio.
L'eccedenza della popolazione femminile nelle città è spiegabile con il grande salasso degli abitanti di sesso maschile causato dalle guerre incessanti. Queste guerre sterminarono un numero incalcolabile di esseri umani, in particolare uomini. Contemporaneamente si assisteva ad un esodo massiccio di donne dalle campagne alla città, esodo che rappresentava per alcune la sola possibilità di sottrarsi alla tirannia del grande proprietario terriero. Per sfuggire alla schiavitù, la figlia del contadino era obbligata a trovare un lavoro in città. Il figlio del contadino invece poteva partire per la guerra come soldato. Per una donna le sole scappatoie erano il convento o la città.
Le donne andarono dunque in città per garantire con il loro lavoro, la loro vita e sovente quella dei loro bambini. Se non vi riuscivano, restava sempre la possibilità di vendere il proprio corpo. Questo modo di guadagnare denaro era così diffuso che le prostitute formarono in molte città le loro corporazioni. Queste corporazioni furono legalizzate dai notabili delle città e le prostitute perseguitarono spietatamente qualsiasi donna che cercasse di prostituirsi al di fuori delle organizzazioni ufficiali. Ecco perché era molto difficile guadagnarsi da vivere come prostituta al di fuori delle corporazioni femminili, cioè dei bordelli.
Grazie alla sua partecipazione alla produzione, l'artigiana conduceva una vita completamente diversa dalle sue contemporanee contadine ed aristocratiche. Aveva voce in capitolo rispetto alle decisioni relative alla politica di produzione della città; gestiva i suoi profitti e partecipava attivamente alle numerose feste e bevute dell'epoca. Era innegabilmente indipendente e libera. Nella stessa Russia, che viveva ancora nel XVI secolo l'era del Medioevo, la donna della città aveva una posizione più vantaggiosa dell'aristocratica. Ciò era particolarmente vero per le città libere di Pskov, di Novgorod ed altre. Martha Posadwitz, sindaco di Novgorod, la grande, ne fu un esempio vivente, lottando appassionatamente per la libertà della sua città e contro il saccheggio e il vandalismo della nobiltà.
Questo dimostra che le donne facevano politica e che ciò non risultava ovviamente riprovevole agli occhi dei borghesi. Nel caso degli artigiani, il rapporto tra coniugi era molto più egualitario e si basava su un riconoscimento reciproco nell'ambito della famiglia borghese. Questo stato di fatto si spiega abbastanza bene come segue: nel Medioevo, molte donne partecipavano in modo attivo alla produzione delle botteghe artigiane delle città, in un periodo in cui l'artigianato locale era la forma economica dominante. Il fatto che uomini e donne fabbricassero prodotti di medesimo valore attenuava considerevolmente le abitudini patriarcali e l'esercizio del diritto dell'uomo sulla donna fu momentaneamente eliminato.
Non occorre tuttavia sopravvalutare l'importanza del ruolo della donna nell'economia delle città e nel sistema di produzione in generale dell'epoca. Anche se un grande numero di donne garantiva la propria sussistenza, la grande maggioranza di loro rimaneva oppressa, dipendente dal lavoro del marito a cui badava la famiglia. Queste donne fornivano un lavoro che occupava nell'economia un posto di secondo piano. Era dunque naturale che i diritti delle artigiane e dei membri femminili delle gilde non fossero assolutamente uguali a quelli dei loro mariti e dei loro fratelli. Non potevano pretendere un'uguaglianza totale di diritti finché la maggioranza delle donne - o almeno una gran parte di loro - non avesse prodotto merci ed effettuato un lavoro utile per l'insieme della società. In ultima analisi, l'uomo era e restava il produttore principale e il creatore di tutte le ricchezze e di tutti i prodotti, indipendentemente dalla sua posizione. È anche per ciò che la donna rimase spogliata dei propri diritti nell'ambito della società e dello Stato e che la sua dipendenza nel matrimonio e nella famiglia restò invariata.
Gli storici borghesi vedono di solito il Medioevo come un'epoca benedetta, dove la vita di famiglia degli abitanti delle città era felice e dove la donna di città beneficiava di un'indipendenza e di una stima ragionevoli. Anche le donne più anziane vengono descritte come adulate dagli uomini. Con la penna di questi scrittori borghesi il Medioevo intero appare con un'aurea di romanticismo. Sappiamo tuttavia ciò che era la realtà. Conosciamo la crudeltà e la barbarie di quest'epoca. Le donne, qualunque sia stata la loro classe sociale, vivevano per la maggior parte in condizioni difficili ed erano esposte a qualsiasi tipo di sofferenza inimmaginabile, conseguenza dell'oscurantismo dell'epoca. Si diffuse in questo periodo la credenza aberrante che la donna fosse "uno strumento del diavolo". Il cristianesimo diffuse "la mortificazione della carne" introdusse esercizi di preghiera fino all'esaurimento e inoltre predicò il digiuno e l'astinenza. La Chiesa cattolica non esigeva soltanto il celibato dai suoi sacerdoti e dai suoi monaci, attendeva la stessa cosa dal resto della popolazione. Il matrimonio era considerato come espressione della concupiscenza della carne. La Chiesa, nonostante ne avesse fatto un sacramento, non considerava meno la vita coniugale, ma come un abbandono al peccato. In occasione del concilio di Mâcon (Francia, 585) nel IX secolo, la Chiesa dichiarò che qualsiasi vero cristiano doveva sottoporsi "alla mortificazione della carne". Ci è facile immaginare le conseguenze che comportarono tali concezioni sul corpo e sui bisogni umani della donna.
Tutte le religioni segnate dal patriarcato si sono rese colpevoli di discriminazione verso le donne, principalmente per avere stabilito nella legge divina l'inferiorità della donna rispetto all'uomo. Il cristianesimo, in origine religione degli schiavi, ma da cui i ricchi e i potenti hanno saputo rapidamente trarre vantaggio, da questo punto di vista ha particolarmente attaccato le donne. Il cristianesimo deve la sua ardua espansione al Medioevo, al suo desiderio di legalizzare la proprietà privata, all'abisso scavato tra le classi e alla violenza verso i poveri. Il cristianesimo elevava la povertà, la dolcezza e la pazienza alla stregua di virtù che i servi senza diritti avevano il dovere di praticare e per i quali un giorno, inoltre, sarebbero stati in gran parte ricompensati. L'effetto soporifero della religione sul pensiero e sulla volontà impediva ogni risveglio: "Credete senza dubitare!". La classe dei grandi proprietari terrieri aveva bisogno di essere sostenuta da Dio stesso per garantire la propria supremazia. "Mortificarsi" era estremamente sgradevole. I cavalieri, i proprietari terrieri o anche i rappresentanti fanatici della Chiesa, rispettavano queste regole sante di vita? No, in nessun modo! Conducevano una vita di vizi disgustosi e lasciavano ai monaci e agli eremiti, il compito "di mortificare il loro corpo". Versavano regalie ai conventi per la redenzione dei loro peccati.
Il cristianesimo era dunque e sotto tutti gli aspetti, una religione molto comoda per i potenti, poiché confermava le classi non abbienti e dominate e in particolare le donne, che appartengono a queste classi, nella loro oppressione e le terrorizzava. La chiamata all'Onnipotente legalizzò il diritto del più forte nell'ambito della famiglia e la sottomissione della donna alla tirannia dell'uomo. Ciò ebbe naturalmente conseguenze catastrofiche sul futuro destino della donna. Il cristianesimo rimproverava alla donna di incitare l'uomo all'amore carnale. I padri della Chiesa del Medioevo compilarono enormi grimori per tentare di provare la natura peccatrice della donna. Resero le donne responsabili della loro concupiscenza. E il popolo, semplice e ignorante, che non aveva imparato a pensare da solo, credeva ciecamente agli insegnamenti della Chiesa.
In realtà, la corruzione dei costumi non diminuì. Nel Medioevo la prostituzione era fiorente e se esaminiamo più attentamente i costumi dell'epoca, scopriamo presto che, sul piano della dissolutezza, non avevano nulla da invidiare al nostro secolo borghese capitalista. Con la comparsa "della doppia morale" che schiacciava con tutto il suo peso la donna, il clima di bigottismo e di ipocrisia continuò a peggiorare. La Chiesa, l'uomo della strada, tutti si occuparono degli affari coniugali e così cominciò la brutale persecuzione delle madri nubili. Spesso attentarono alla vita di queste donne o a quella del loro bambino. Ma fra i crimini cui la religione cristiana ha dovuto rimproverarsi, i peggiori sono stati tuttavia i processi alle streghe.
Il cristianesimo sosteneva la pigrizia dello spirito e il conservatorismo, arretrava dinanzi a qualsiasi innovazione e considerava naturalmente ogni forma di lavoro intellettuale come dannoso. Le scienze, ad esempio, erano perseguitate perché la Chiesa sospettava gli scienziati capaci di scoprire la ciarlataneria religiosa e di incantare gli occhi dei credenti. Tutti coloro che esercitavano un'influenza spirituale sul loro ambiente senza portare una tonaca, erano vigorosamente perseguiti dalla Chiesa.
Ma le donne, "strumenti del diavolo" erano in molti casi chiaramente più colte degli uomini. Il cavaliere era dedito alle sue guerre, ai suoi atti di vandalismo e ai suoi vizi. Si rendeva colpevole di crudeltà indescrivibili, ma il suo cervello non funzionava affatto. Lasciava ad altri il compito di pensare. Se peccava, andava a trovare il suo confessore. E quest'ultimo gli assegnava generosamente l'assoluzione. Per le donne della nobiltà, andava in modo differentemente. La loro cultura più elevata e le responsabilità che prendevano nella conduzione dell'economia feudale, formarono la loro facoltà di pensare e le resero spiritualmente superiori ai loro mariti. Il confessore era costretto ad essere più vigile. Doveva a tutti i costi riuscire a mettere i loro pensieri e la loro volontà sotto la propria influenza. Se non vi fosse riuscito, una lotta spietata sarebbe iniziata tra il confessore e la donna del cavaliere. Controllava se il cavaliere seguiva i saggi pareri della moglie anziché ascoltare il cattivo consiglio del sacerdote o del monaco. La Chiesa non avrebbe mai perdonato tale vittoria alla donna. La braccava e la perseguitava senza sosta, aspettando l'occasione propizia per precipitarla in rovina.Anche le buone qualità di questa donna diventavano per il sacerdote o il monaco armi dirette contro di lei. Quando ad esempio una contadina riusciva a guarire la malattia del suovicino e guadagnava pertanto il suo rispetto e il suo riconoscimento, la Chiesa vedeva in lei una rivale, poiché poteva esercitare un'influenza spirituale su coloro che le erano intorno.
Ecco perchè la Chiesa si affrettò a suscitare sfiducia a suo riguardo: il suo lavoro era "opera di Satana" o più semplicemente ancora "stregoneria". Più una donna era intelligente e colta e più correva il rischio di essere definita strega dal clero. Da quel momento la chiesa mise in scena, per molti secoli, una serie di processi alle streghe, durante i quali le donne furono perseguitate e assassinate in modo spaventoso. Tra il XV e il XVII secolo, migliaia di presunte streghe salirono sul rogo. In un solo anno, ad esempio, 700 "streghe" furono bruciate vive nella sola città di Fulda e nella regione che circonda il lago di Como, a nord dell'Italia, non meno di uno centinaio di donne furono giudicate per avere "commerciato con il diavolo". Un'opera specialistica, il Martello della strega, indicava in modo dettagliato come riconoscere facilmente una strega e come comportarsi a suo riguardo nel caso in cui avesse gettato un sortilegio. Numerose vittime di questa "devozione" cristiana crollarono sotto orribili torture, confessando storie incredibili naturalmente completamente inventate. Confessavano di aver assistito "alla festa delle streghe" sul Monte Calvo, che avevano firmato un patto con il diavolo, che si erano trasformate in animali, che avevano stregato uomini o che avevano portato loro disgrazia e malattia, ecc.
Il popolo semplice, ignorante e maltrattato, credeva a tutti questi "peccati", e il clero vi trovava il suo tornaconto. A noi quello che interessa, è il fatto che le donne non erano allora altro che delle figlie obbedienti e serve della Chiesa, altrimenti le persone di mentalità ristretta non avrebbero mostrato tale rabbia contro di loro in occasione dei numerosi processi alle streghe. È soltanto con il tempo che le donne furono definitivamente domate, quando le condizioni economiche tolsero loro ogni iniziativa e persero le loro facoltà intellettuali e pratiche. La persecuzione delle donne per magia e stregoneria cominciò circa a metà del Medioevo. Questo processo una volta intrapreso non sembrava voler più fermarsi. Continuò per numerosi secoli, anche dopo che la donna era stata relegata ai suoi fornelli e ridotta ad essere soltanto il complemento e le spalle del proprio marito.
Riassumeremo la conferenza di oggi come segue: dal IX al XV secolo, dunque l'epoca del feudalesimo e dell'economia naturale, la donna, benché dipendente e sprovvista di diritti, si trovava in una posizione migliore che nell'epoca seguente, che annuncia l'economia capitalista, essendo caratterizzata dall'aumento del commercio, del capitale e della manifattura.
L'aristocratica, responsabile dell'organizzazione domestica del castello, godeva di alcuni privilegi che derivavano dalla sua fortuna, che le conferivano un potere sulle altre classi della società. Ma riguardo al proprio marito, era completamente sprovvista di diritti e secondo la legge, sottomessa.
Non c'era uguaglianza tra i sessi. L'artigiana che, nella sua specificità di rappresentante di un lavoro produttivo, aveva alcuni diritti, non ne aveva nessuno nell'ambito della propria famiglia dove il potere del padrone di casa sulla donna e sui bambini non poteva essere messo in discussione. E accadeva lo stesso nella famiglia contadina. Teoricamente, più simbolicamente e come reminiscenza del passato, il contadino considerava sua moglie, riconoscendola come conservatrice del clan e produttore principale dell'economia; nella pratica, il contadino trattava sua moglie come il suo servo o il suo schiavo. Così viveva la donna nel sistema feudale.
Ma prima di potere definitivamente sbarazzarsi di questo fardello, il ruolo di serva o di schiava priva di qualsiasi diritto, la donna dovette ancora subire dure prove, voglio dire con ciò che essa dovette guadagnare la propria vita come schiava dipendente sotto la sovranità del capitale. Il capitalismo permise alla donna di accedere ad un lavoro produttivo e creò così la condizione necessaria alla lotta delle donne per l'uguaglianza dei diritti e per la sua liberazione. Ma la liberazione definitiva della donna è possibile soltanto in un sistema di produzione più sviluppato della nostra epoca - il sistema comunista - quando le forze della donna verranno usate in modo produttivo per la collettività.
*) Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna - 12° Conferenza, Éditions "La Brèche", 1978