www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 24-11-08 - n. 251

da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol IX, Teti Editore, Milano, 1975
trascrizione a cura del CCDP

CAPITOLO IX

La crisi economica nei paesi capitalisti negli anni 1929-1933

1 Il sorgere e lo sviluppo della crisi economica mondiale
2 Gli Stati Uniti d'America
3 Il Giappone
4 La Germania

5 LA GRAN BRETAGNA

LA CRISI ECONOMICA IN GRAN BRETAGNA. LA SITUAZIONE DEI LAVORATORI

Durante il periodo della stabilizzazione relativa del capitalismo lo sviluppo industriale fu in Gran Bretagna più lento di quello di altri paesi capitalisti. L'imperialismo britannico, già allora, stava perdendo posizioni nella produzione capitalistica e nel commercio mondiale. Nel 1929 il volume della produzione industriale raggiunse appena il livello d'anteguerra.

La crisi economica, sopraggiunta tra la fine del 1929 e l'inizio del 1930, investì tutti i rami dell'economia nazionale. Essa si manifestò all'inizio con una rilevante riduzione della produzione industriale. La fusione della ghisa e dell'acciaio, la fabbricazione di apparecchiature elettriche si ridussero della metà negli anni della crisi; le costruzioni navali scesero all'88%, l'industria meccanica al 70%.

L'industria tessile funzionava al 33-40% al di sotto delle sue possibilità. Nell'Inghilterra nord-orientale, nella Scozia, nel Galles del sud, nel Lancashire meridionale una notevole parte delle aziende era inoperosa.

L'agricoltura, che aveva sofferto anche prima d'allora una lunga crisi cronica, versava anche essa in una grave situazione. I prezzi dei prodotti agricoli dal 1930 al 1932 si ridussero del 34%.

Un grave danno subirono il commercio estero e il sistema finanziario e creditizio. Il volume del commercio estero si ridusse di più della metà. Il valore della sterlina scese nel 1931 di un terzo. Per la prima volta nella storia del paese divenne passiva non soltanto la bilancia commerciale, ma anche la bilancia dei pagamenti, e il governo fu obbligato ad abolire ufficialmente lo standard aureo. La crisi peggiorò bruscamente la situazione delle masse lavoratrici. Circa 3 milioni di operai vennero gettati sul lastrico dai capitalisti. Sulla base dei dati ufficiali, nel 1932 erano disoccupati il 22% di tutti gli operai e in alcuni rami dell'industria (carbonifera, metallurgica e cantieristica) si giungeva sino al 61%. Come conseguenza della flessione dei più importanti rami dell'industria, nel Galles, nel Lancashire e in Scozia apparvero le cosiddette "zone depresse". Molti operai e le loro famiglie furono obbligati ad abbandonarle. Crebbe il numero degli scioperi. In tre anni e mezzo di crisi (dal 1930 al 1933) si contarono nel paese 1430 sospensioni del lavoro, con la partecipazione di 1.260.000 lavoratori per un totale di 18 milioni di giornate lavorative. Il maggior numero di scioperi venne registrato fra i tessili.

LA POLITICA DEL GOVERNO LABURISTA

Il governo laburista MacDonald - in carica dal giugno 1929 - non mantenne le sue promesse pre-elettorali sull'aumento del livello di vita delle masse lavoratrici, sul ripristino della giornata lavorativa di 7 ore per i minatori, sul miglioramento della situazione dei disoccupati e degli operai parzialmente occupati eccetera. Con il pretesto di una "verifica" dello stato d'indigenza, esso ridusse i sussidi di disoccupazione e giunse persino a toglierli completamente ai disoccupati.

Nel campo della politica estera i laburisti furono obbligati, subito dopo l'andata al potere, ad attuare una delle più importanti richieste degli elettori, il ristabilimento dei rapporti diplomatici con l'Unione Sovietica. Ma in tutte le altre questioni l'indirizzo del governo MacDonald in politica estera non si distinse per nulla da quello dei conservatori.

Per uscire dalla crisi il governo intensificò lo sfruttamento delle colonie e soffocò il movimento di liberazione nazionale dei popoli dell'India e dell'Egitto.

La politica seguita, contraria agli interessi delle masse popolari, provocò nel paese grandi proteste, scioperi, dimostrazioni, marce della fame dei disoccupati. Il 6 marzo 1930, giornata internazionale di lotta contro la disoccupazione, presero la parola in affollati comizi i capi del partito comunista Harry Pollitt, William Gallacher e altri. Essi sottolinearono che il compito principale, nella situazione che si era creata, era lo sviluppo di una lotta più organizzata e decisa contro il capitale, e la creazione di un fronte operaio unico.

D'altra parte la borghesia monopolistica chiedeva insistentemente al governo laburista l'approvazione di "misure più decise" per assicurare il superamento della crisi con un ulteriore attacco al livello di vita dei lavoratori. A questo scopo, nell'estate del 1931 una speciale commissione governativa, sotto la presidenza del banchiere May, propose misure straordinarie di "austerity" e in primo luogo una riduzione delle spese per le assicurazioni sociali e l'aumento delle imposte indirette. Lo zelo del governo laburista nel realizzare questo programma di "economie" approfondì il malcontento delle masse popolari. Nel paese si sviluppò un forte movimento di resistenza sotto la parola d'ordine "Nemmeno un penny a spese degli operai!". Si ebbero dimostrazioni, comizi, raccolte di firme su petizioni di protesta. Il movimento fu sostenuto dagli iscritti di base del partito laburista; persino una parte dei ministri laburisti fu costretta a schierarsi contro le proposte di May.

IL «GOVERNO NAZIONALE» E LA SUA POLITICA

I dissensi sorti nel gabinetto lo condussero alla crisi, e nell'agosto 1931 il governo laburista diede le dimissioni. Nel contempo i leaders laburisti MacDonald, Snowden e Thomas uscirono dal partito e formarono il Gruppo nazionale laburista, effettuando di fatto il loro passaggio dalla parte dei conservatori. Essi infatti si allearono con i conservatori e coi nazional-liberali, che si erano a loro volta staccati dal partito liberale, e formarono un nuovo governo "nazionale", nel quale MacDonald conservò il posto di premier. I leaders rimasti alla direzione del partito laburista, con alla testa Henderson, fecero ricorso a una manovra tattica, nel tentativo di risollevare il proprio prestigio, scosso agli occhi degli operai, passando all'opposizione; MacDonald venne espulso dal partito e dai sindacati.

Poco dopo si tennero le elezioni politiche. Il blocco dei conservatori e dei nazional-laburisti, che si erano presentati sotto il nome di "coalizione nazionale", ottenne 497 seggi, 472 dei quali andarono ai conservatori e 13 ai nazional-laburisti. Il partito laburista subì una grave sconfitta e portò in parlamento soltanto 46 dei suoi candidati. I liberali ottennero 68 seggi.

L'esito delle elezioni permise al "governo nazionale" di rimanere al potere. L'offensiva contro le masse lavoratrici s'intensificò, e MacDonald invitò il popolo a "tirare più strettamente la cinghia" e fece passare in parlamento la legge sulle "misure di economia". Come prima, così anche dopo le elezioni i lavoratori lottarono risolutamente contro i provvedimenti antipopolari del "governo nazionale". Un importante avvenimento fu l'ammutinamento dei marinai delle unità della flotta da guerra britannica che ebbe inizio il 12 settembre 1931 a Invergordon (Scozia settentrionale). In risposta all'ordine di riduzione della paga del 25% i marinai dichiararono che se l'ordine non fosse stato annullato essi si sarebbero astenuti dal servizio. Il 15 settembre i marinai attuarono le loro decisioni, rifiutandosi di obbedire agli ordini dell'ammiragliato di far uscire la flotta in mare. L'azione dei marinai provocò allarme nei circoli governativi e MacDonald si recò a Invergordon per tranquillizzare i marinai, senza esito. I1 17 settembre il governo dovette scendere a concessioni: la paga ai marinai venne ridotta soltanto del 10%. In tal modo i marinai ottennero una parziale vittoria.

Parallelo al movimento degli scioperi si sviluppava quello dei disoccupati, che chiedevano il ripristino dei sussidi di disoccupazione. Nel 1932 si ebbero marce della fame e dimostrazioni, alle quali spesso prendevano parte più di 100.000 persone.

La difficile situazione economica della Gran Bretagna si aggravò anche per l'approfondirsi delle sue contraddizioni economiche e politiche con i dominions, con il movimento nazionale di liberazione dei paesi coloniali e dipendenti e per l'accanita concorrenza delle potenze imperialiste nella conquista dei mercati. Le basi dell'impero britannico vacillavano sempre più.

La borghesia britannica si sforzava in tutte le maniere di evitare il disfacimento dell'impero. Nel 1931 venne approvato il cosiddetto "statuto di Westminster", che concedeva ai dominions il diritto formale di risolvere in modo indipendente le questioni di politica interna ed estera, di scambiare rappresentanti diplomatici con gli altri paesi, di partecipare ad accordi internazionali. I dominions e la Gran Bretagna si associarono nella "British Commonwealth of Nations". L'autentico scopo di questa alleanza era il consolidamento delle posizioni dei circoli governativi della metropoli e dei dominions e la loro lotta comune contro il movimento operaio e di liberazione nazionale.

Sempre nel 1931 la Gran Bretagna creò l'area della sterlina, riunendo attorno a sé diversi Stati (le colonie britanniche e i dominions, i paesi scandinavi, il Portogallo e l'Argentina), la cui moneta dipendeva dalla sterlina. Successivamente il governo di Londra abolì il libero commercio e introdusse il protezionismo per difendere il mercato interno dalla concorrenza internazionale.

Nel luglio-agosto del 1932 alla conferenza dei dominions a Ottawa vennero conclusi accordi sull'introduzione del sistema delle tariffe doganali preferenziali per l'importazione dei prodotti britannici nel mercato dei dominions e viceversa, nell'intento di ostacolare la penetrazione nell'impero britannico delle merci degli altri Stati, in primo luogo di quelle degli Stati Uniti. La conferenza di Ottawa ebbe anche un indirizzo antisovietico: le sue conclusioni furono infatti svantaggiose per il commercio anglo-sovietico. Il 17 ottobre 1932 il governo britannico denunciò l'accordo commerciale anglo-sovietico del 1930, che contemplava il principio della nazione più favorita. Tutte queste misure non potevano tuttavia impedire l'ulteriore acutizzarsi della crisi nell'impero coloniale britannico; essa assunse infatti negli anni successivi un carattere sempre più acuto e profondo.


6 La Francia (prossima pubblicazione)
7 L'Italia (prossima pubblicazione)
8 La Spagna (prossima pubblicazione)
9 I paesi dell'Europa Centrale e Sud Orientale (prossima pubblicazione)