www.resistenze.org - pensiero resistente - dibattito teorico - 20-07-23 - n. 873

Intervista a Kemal Okuyan

MLToday | mltoday.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/07/2023

Kemal Okuyan è Segretario Generale del Partito Comunista Turco (TKP). Ai primi di febbraio del 2023 ha pubblicato un articolo intitolato "Riflessioni ad alta voce sul movimento comunista internazionale», che sollevava seri interrogativi sull'unità del movimento mondiale e si domandava come rafforzare l'unità rivoluzionaria. Abbiamo chiesto al compagno Kemal di elaborare i punti da lui illustrati nel suo articolo di febbraio. Ecco le sue risposte alle nostre domane scritte.

Che cosa ti ha spinto a scrivere "Riflessioni ad alta voce sul movimento comunista internazionale"?

Sappiamo tutti che in tutto il mondo, all'interno della sinistra in generale e in particolare tra i partiti che si definiscono comunisti, vi sono serie divergenze di opinione. Benché profonde, queste divergenze appaiono velate, quasi nascoste. Non esiste un vero dibattito. E l'assenza di dibattito non ha nulla a che fare con la cortesia o con la diplomazia. In realtà non disponiamo delle basi per un dibattito. Con il termine «dibattito» mi riferisco ovviamente a un processo che implica interazione, trasformazione e perfino, se necessario, disintegrazione. Ho voluto richiamare l'attenzione su questa situazione estremamente inquietante ed evidenziare una prospettiva storica che a mio avviso ha qualcosa a che fare con le sue origini.

A più riprese citi la necessità di «punti di riferimento», definendo le 21 condizioni per l'ammissione all'Internazionale Comunista nel 1919 «l'espressione più cristallina di questi punti di riferimento».

L'Internazionale Comunista adottò dei parametri molto esigenti al momento della sua fondazione. A prescindere dal fatto che tali parametri fossero o meno realistici, ritengo che vi siano alcuni aspetti storici tuttora attuali nell'intervento del 1919. È deplorevole che l'enfasi che rileviamo nella fondazione del Comintern nel 1919, comprese le 21 condizioni per l'adesione, venga generalmente attribuita esclusivamente alla congiuntura rivoluzionaria di quell'anno. Questo approccio mi sembra estremamente rischioso. Certo, è chiaro che nel 1919 i bolscevichi, convinti di poter sferrare il colpo di grazia al capitalismo, vollero imporre ai partiti europei una trasformazione molto drastica, che sotto alcuni aspetti non era realistica. Gli interventi del 1920, che seguirono immediatamente questi sviluppi e che cogliamo anche nell'opuscolo L'estremismo, malattia infantile del comunismo, costituiscono sotto alcuni aspetti quasi un'antitesi della posizione assunta l'anno precedente.

In seguito, al VII Congresso dell'Internazionale Comunista, rileviamo parametri alquanto diversi. Il rischio sta proprio in questa percezione: i nostri punti di riferimento erano diversi nel 1919 quando la rivoluzione era imminente, diversi durante la ritirata e completamente diversi sotto il fascismo. Tuttavia, sotto molti aspetti la cornice tracciata nel 1919 alla fondazione dell'Internazionale Comunista conteneva principi validi in ogni periodo, compreso quello attuale!

I partiti comunisti non possono operare per mezzo di strategie e posizioni teoriche diverse in condizioni che sono l'esito di una relativa stabilità nei Paesi capitalisti e in una situazione oggettivamente rivoluzionaria. Dopotutto, di solito le rivoluzioni scoppiano all'improvviso, inaspettate. Se non si possiedono una strategia rivoluzionaria e un corrispondente livello di organizzazione, si rischia di lasciarsi sfuggire la rivoluzione. È senz'altro corretto agire con tattiche e mezzi diversi a seconda del periodo, ma un partito comunista non può modificare continuamente i propri punti di riferimento.

Questo è particolarmente importante oggi, quando è opinione diffusa che i rapporti di forza sullo scenario internazionale non favoriscano affatto l'applicazione di una strategia rivoluzionaria da parte della classe operaia. Questa valutazione può apparire ragionevole e realistica sotto alcuni aspetti, ma adottando una concezione di lotta che tiene conto esclusivamente dei rapporti di forza esistenti, il rischio è che nell'eventualità di una crisi rivoluzionaria in cui verosimilmente il capitalismo potrebbe entrare (e di cui a intervalli cogliamo forti segnali) ci ritroveremmo incapaci di agire.

Ma come hai osservato, nel 1920 alcuni di questi punti di riferimento vennero meno, e nel 1934-35 emerse un orientamento alquanto diverso. A che cosa riconduci questo sviluppo? 

È necessario analizzare attentamente le condizioni e le motivazioni. Non voglio scendere nei dettagli in questa sede, ma nei primi anni Venti i bolscevichi erano consapevoli del rischio che la rivoluzione in Europa non sarebbe avvenuta rapidamente come credevano. La difesa e la sopravvivenza della Russia sovietica, l'unica conquista concreta ottenuta sino ad allora, divenne ben presto la questione principale. Esaminando attentamente l'intero periodo, si comprende come l'intenzione fosse rafforzare l'Unione Sovietica sul piano economico, politico e militare, e preparare i partiti comunisti del mondo capitalista per lo scontro successivo.

A tale riguardo, a partire dal 1920 notiamo come il Comintern mise in campo iniziative in linea con le esigenze della politica estera sovietica. Non si possono sollevare obiezioni in tal senso. Tuttavia, se non si tiene conto delle motivazioni sullo sfondo, si rischia di trarre conclusioni errate da L'estremismo di Lenin e da altri interventi analoghi, come il nuovo approccio alla lotta antifascista adottato nel 1935, e di analizzare gli errori e i limiti dei partiti comunisti nell'intero periodo in questione in una prospettiva completamente falsata.

Il presupposto secondo cui nel movimento comunista mondiale sarebbero state presenti tendenze «settarie e avventuriste» fino al 1935, e con il VII Congresso sarebbe stata operata una correzione storica ancora oggi valida va messo radicalmente in discussione. Lo ripeto: il movimento comunista deve formarsi dei punti di riferimento sulla base dell'attualità della rivoluzione. Non intendo certo sminuire gli insegnamenti e le conquiste di un lungo periodo in cui la difesa dell'Unione Sovietica divenne con chiarezza un obiettivo molto specifico e rivoluzionario (un periodo che avrebbe dovuto concludersi nel 1945). Dobbiamo però liberarci della confusione che ha portato i partiti comunisti alla seguente conclusione: «il sistema imperialista-capitalista è forte, i rapporti di forza non sono favorevoli alla classe operaia, e perciò il nostro punto di partenza non può essere l'attualità della rivoluzione».

Citi anche altri punti di riferimento del movimento comunista, come per esempio, prima del 1914, «l'opposizione categorica alla guerra imperialista» e la «non partecipazione ai governi borghesi».

Perfino in un periodo in cui la socialdemocrazia era un movimento che rappresentava la classe operaia e la Seconda Internazionale era riconosciuta come organizzazione rivoluzionaria, notiamo come venissero utilizzati alcuni schemi. Gli schemi non sono di per sé negativi. Se superano la prove dei tempi sul piano teorico e pratico, gli schemi favoriscono la lotta.

Perfino la Seconda Internazionale, il cui declino era iniziato molto prima del 1914, si basava su alcuni presupposti. Sappiamo quale tipo di reazioni si ebbero quando si tentò per la prima volta di violare il principio che vietava di partecipare ai governi borghesi e di designare propri rappresentanti in quei governi. Lo stesso vale per l'«opposizione alla guerra imperialista». In seguito divenne chiaro che opporsi alla guerra non era sufficiente, ma ciò che intendo dire è questo: perfino nel periodo della Seconda Internazionale, che noi critichiamo, i partiti-membri avevano alcune caratteristiche distintive.

Puoi suggerire dei punti di riferimento paragonabili per il giorno d'oggi?

Possiamo chiamare in causa o meno i punti di riferimento, ma è chiaro che oggi i partiti comunisti devono fronteggiare un problema ontologico. Perché continuano a esistere dei partiti comunisti? Qual è la ragione storica per cui oggi esistono partiti comunisti con questo nome e questa identità? Difendere la democrazia? Lottare per la pace? Annientare il fascismo? Contrastare ed eliminare l'imperialismo degli Stati Uniti? Tutte queste battaglie rientrano nei compiti principali dei partiti comunisti. Ma nessuna di esse può costituire la ragion d'essere dei partiti comunisti.

Il comunismo salì alla ribalta politica nel 1847-48 e nel 1917 per un unico scopo: rovesciare il capitalismo e attuare le trasformazioni rivoluzionarie necessarie per l'instaurazione di una società comunista. Questa missione storica non può essere passata sotto silenzio. Servono dei punti di riferimento che siano a essa correlati. In particolare, servono punti di riferimento che incoraggino l'opposizione ideologica e politica alle classi sfruttatrici, sia sul piano internazionale sia su quello locale. Questa questione non ha nulla a che fare con l'esclusione della piccola borghesia urbana e rurale dai processi rivoluzionari, né con il fare sì che la classe operaia stabilisca un'alleanza con loro sotto varie forme. Sappiamo tutti che con «classi sfruttatrici» intendiamo i settori della classe dominante dei Paesi capitalisti che sono rappresentati nella sfera politica da svariati soggetti - dal nazionalismo al liberalismo, dal conservatorismo alla socialdemocrazia.

I partiti comunisti non hanno una gamma infinita di opzioni per quanto concerne i loro rapporti con la borghesia. In passato, nei Paesi europei in cui il capitalismo monopolistico era fortemente sviluppato, abbiamo visto come il movimento operaio sia rimasto immobilizzato per anni a causa di alleanze fittizie che in realtà si basavano su gruppi capitalisti estremamente reazionari, ed erano complementari al dominio dei monopoli. E ancora oggi questo errore di valutazione non è affatto scomparso.

Consideriamo alcuni esempi ben noti: alla radice degli atteggiamenti filo-Trump o, per contro, filo-Biden, filo-Putin o filo-Erdoğan che riscontriamo di tanto in tanto tra le nostre file sta il fatto che abbiamo abbandonato la semplicità che ci permetteva di concentrarci esclusivamente sulla nostra missione storica. «Nessuna collaborazione con la borghesia ad alcun livello»: ecco un punto di riferimento che possiamo senz'altro accettare. Se poi dovesse presentarsi un'occasione particolare, estremamente particolare che ci imponesse di derogare a tale principio, valuteremo la questione nel caso specifico. Ma per il momento, i partiti comunisti devono innanzitutto rivendicare la loro missione storica.

Nel tuo articolo scrivi: «Ciò di cui abbiamo bisogno è attuare un chiarimento dei riferimenti teorici e politici sulla base dei quali opera ciascun partito comunista». Che cosa intendi esattamente con questa affermazione? Puoi fare degli esempi?

Rispondendo alla domanda precedente ho spiegato l'approccio del TKP con un esempio. Perché vi sia un dibattito sano, è necessario che tutti i partiti comunisti chiariscano le loro preferenze strategiche. Il primo interrogativo è: perché sono partiti comunisti? E quindi: quale tipo di mezzi utilizzano per raggiungere il loro obiettivo? Se per esempio un partito comunista considera quale proprio obiettivo principale, o addirittura unico per un lungo periodo di tempo, l'«instaurazione della democrazia», allora dovrà elaborare una tabella di marcia che costituisca l'estensione naturale di tale obiettivo.

In assenza di un approccio coerente che stabilisca una serie di obiettivi e di mezzi, non c'è nulla di cui dibattere, e l'esistenza stessa del partito comunista può essere messa in discussione. Allargando il discorso ai partiti comunisti al potere, ciò che affermo è che nessun concetto quale pace, democrazia, indipendenza, sovranità, sviluppo o industrializzazione ha il potere di conferire da solo un senso all'esistenza dei partiti comunisti. Come ho già detto, questo è il nostro approccio. Ma se è vero anche il contrario, se cioè altri obiettivi rappresentano da soli una base sufficiente per l'attività dei partiti comunisti, allora vi è una forte necessità di «produzione» teorica e politica in questa direzione.

Hai scritto che abbiamo bisogno di un dibattito coraggioso. Ma osservi anche: «Oggigiorno non disponiamo di un meccanismo funzionale per esaminare le differenze fondamentali che si possono rilevare osservando non soltanto i partiti membri di Solidnet che partecipano agli Incontri Internazionali dei Partiti Comunisti e Operai, ma tutti i partiti che si definiscono comunisti». Come organizzare questo dibattito?

È proprio qui che sta il problema. C'è qualcosa che ci unisce, ma non sappiamo che cos'è. Diciamo di avere un passato comune, ma questo non è del tutto vero. La Rivoluzione d'Ottobre, il retaggio del Comintern, l'URSS in generale sembrano essere forti punti di riferimento storici, ma questa posizione in realtà è fuorviante. Basta scavare un poco sotto la superficie per notare come traiamo conclusioni molto diverse da tutto questo. Quando frequentavo le scuole superiori, a scuola eravamo soliti dibattere aspramente con esponenti di altri gruppi rivoluzionari riguardo alla rivoluzione socialista o alla rivoluzione democratica. Si trattava di discussioni primitive, perfino meccaniche sotto alcuni aspetti; ma discutevamo i problemi reali, l'integrità dei fini e dei mezzi. Inoltre, tutto ciò era dovuto al fatto che avevamo strategie rivoluzionarie diverse.

Ora, perché vi siano simili divergenze, è necessario che vi siano determinate strategie, di questo o quel tipo. Ho l'impressione che i partiti comunisti, in quanto soggetti politici indipendenti, siano rimasti a corto di obiettivi strategici. Sia la prospettiva della rivoluzione sia la strategia sono venute meno, sono come evaporate. In questo senso, il dibattito può permetterci di mettere in luce le nostre debolezze e di affrontare i veri problemi.

Fai riferimento alla necessità di essere uniti riguardo a quale sia l'obiettivo principale della rivoluzione mondiale. A tuo avviso, questo terreno comune va definito in funzione dell'obiettivo di fare del socialismo un'opzione percorribile. Definire in tal modo il terreno comune dei partiti comunisti non rischierebbe di indurli ad allontanarsi da alcuni programmi legati ai loro Paesi?

Avere un terreno comune non significa perdere il contatto con la realtà del proprio Paese - al contrario, ci permetterebbe di allargare i nostri orizzonti in relazione ai percorsi di intervento nella realtà dei nostri Paesi. Significa portare l'internazionalismo al di là della cultura della solidarietà e preparare il terreno per un'interazione e per un coordinamento rivoluzionari. Un esempio: noi del TKP usciamo da recenti elezioni. Il numero dei nostri voti è stato molto basso, senza alcuna relazione con la forza politica e organizzativa del nostro partito. Non ne siamo orgogliosi; perciò stiamo discutendo sui nostri limiti, sulle ragioni del basso numero di voti.

Tuttavia, il TKP non ha partecipato alle elezioni con l'obiettivo di «ottenere un alto numero di voti»; la nostra priorità non era inviare rappresentanti al parlamento. Il TKP ha partecipato alle elezioni per stabilire legami con i lavoratori in linea con la sua strategia rivoluzionaria, per organizzarsi, per crearsi uno spazio in un Paese caratterizzato da linee di frattura etniche e religiose molto diversificate. Ottenere voti sarebbe stato importante nella misura in cui era in linea con questi obiettivi. Non è andata così, e naturalmente questo ci preoccupa. Tuttavia, non abbiamo modificato i nostri calcoli strategici in funzione del numero di voti che abbiamo ottenuto, perché quando guardiamo al nostro Paese e al nostro mondo ciò su cui ci concentriamo non è occupare un posto nei rapporti di forza interni al sistema, bensì le profonde crepe che si aprono nel sistema stesso, i suoi potenziali punti di crisi.

Sappiamo di non poter fare nulla senza un forte sostegno tra i lavoratori, che viene rispecchiato anche dal voto, ma non misuriamo tale sostegno e il livello di organizzazione soltanto attraverso le elezioni, né intendiamo pregiudicare la nostra missione storica concentrandoci sulla pratica del voto, che oggi ha una meccanica completamente diversa, sul piano della prassi. «Le elezioni passano, il TKP resta»: non siamo noi a dirlo, ma i nostri sostenitori. Non dico questo per dimostrare che il TKP sta adottando l'approccio corretto. Sarà la storia a giudicare ciò che siamo o non siamo stati capaci di fare. Vorrei ricordare però che tutti i partiti comunisti dovrebbero pianificare la loro strategia in linea con la loro missione. Anche un partito piccolo e non ancora molto influente dovrebbe cominciare da qui.

Scrivi: «L'obiettivo non è dividerci. L'obiettivo deve essere contribuire al movimento comunista, che aspira a costituire l'avanguardia di un processo rivoluzionario mondiale eterogeneo e unitario, a trasformarsi in un movimento unitario che superi i suoi elementi individuali». Puoi chiarire meglio? Come dovrebbe essere nel concreto questo movimento?

Una strategia rivoluzionaria richiede un'analisi coerente sul piano sia nazionale sia internazionale, e la volontà di attuare una trasformazione. Sotto questo aspetto, la teoria marxista rappresenta un grande punto di forza. A mio avviso, un partito comunista non ha il diritto di domandarsi se la rivoluzione socialista sia o non sia attuale. Ciò che ci si deve domandare è come prepararsi per la crisi rivoluzionaria nelle condizioni date, e da quali punti e con quali mezzi intervenire. Il punto è: certo, su di noi ricade la responsabilità primaria della lotta nel nostro Paese, ma la lotta nel nostro Paese non è forse parte di un processo rivoluzionario mondiale?

Se abbiamo rispetto per noi stessi, dobbiamo esaminare queste questioni con coraggio, senza accapigliarci lungo il cammino: in tal modo, se non altro prepareremo il terreno per un'interazione strategica in senso rivoluzionario. Se emergeranno strategie diverse, incompatibili, sarà un'opportunità per convergenze sane, e al tempo stesso per divergenze sane. Non dobbiamo avere timore di questo. Perché un'«unità» che venisse preservata senza questo chiarimento non avrebbe alcun valore. Lo sappiamo tutti. Se non andremo alla ricerca di modi per procedere in questo senso, se ci limiteremo a ricordarci continuamente a vicenda la realtà attuale del mondo e a ripeterci che «non è il momento», inevitabilmente finiremo per domandarci se l'esistenza stessa dei partiti comunisti abbia senso o no.


Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.