www.resistenze.org - pensiero resistente - imperialismo - 31-03-14 - n. 492

Le ripercussioni del conflitto Stati uniti-Russia, o come dividere le zone d'influenza e i mercati

Rapporto della Commissione relazioni internazionali del Partito Comunista Libanese sulla situazione politica in Libano e nella regione araba

Marie Nassif-Debs * | lcparty.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Prima parte
Seconda parte

Il Libano, tra le crisi della regione e quelle del regime politico

Nel mentre si moltiplicano i progetti degli imperialisti per tenere sotto il loro controllo la regione araba, e la Russia tenta di ricostituire questa regione in un senso utile ai suoi interessi, il popolo libanese deve fronteggiare delle crisi diversificate ma sovrapposte e legate fra loro. Di queste, tre sono gli elementi importanti: la crisi siriana e le sue ripercussioni su tutti i livelli della vita libanese; il ritorno del problema israelo-palestinese, dopo essere stato accantonato per parecchi anni (a seguito dell'insuccesso dell'aggressione israeliana del 1982); lo stato di avanzata putrefazione del regime confessionale libanese che per il Libano diventa un imminente pericolo esistenziale.

1 - Le ripercussioni della crisi siriana

La crisi siriana attuale, che fa seguito a 30 anni di presenza armata siriana nel Libano e di diretta intromissione negli affari interni libanesi, costituisce una delle ragioni essenziali dei dissensi politici tra le due parti della borghesia libanese riunita sotto i nomi di "8 e 14 marzo" [il gruppo detto del "8 marzo" è filo-siriano e filo-iraniano, invece quello del "14 marzo" è costituito dei partiti politici legati agli Stati uniti e all'Arabia saudita]. Questi dissensi si esprimono, soprattutto, in una mobilitazione sunnita-sciita ad oltranza, il cui punto di partenza è stata la guerra imperialista contro l'Iraq, compiuta sotto la bandiera del progetto del "Nuovo Medio oriente" che Bush figlio aveva lanciato (appoggiandosi ai due progetti, uno di Henry Kissinger e l'altro di Zbigniew Brezinski), per dividere il Medio oriente in mini-stati confessionali deboli e in guerra fra loro. Tutto ciò per consentire all'imperialismo - in particolare a quello Usa - di mantenere il controllo sulle riserve petrolifere e di gas presenti in questa regione ma anche sulle loro vie di trasporto. A ciò va aggiunta, beninteso, la volontà di dare a Israele la possibilità di trasformarsi nello "Stato degli ebrei del mondo", cosa che ricerca dal 1948.

Ecco perché il Libano vive, già da tre anni, una mobilitazione religiosa e confessionale, che ricorda gli inizi di tutte le guerre civili che ha vissuto e si manifesta nelle esplosioni di violenza itinerante, da Tripoli a Sidone e verso la Bekaa a nord passando da Beirut. L'acutezza di questa escalation di violenza è aumentata in seguito all'intromissione dei due partiti della borghesia libanese, i due gruppi del 8 e del 14 marzo, nel conflitto siriano, malgrado le posizioni prese dal governo libanese che aveva chiamato, approvato su questo da tutte le grandi potenze internazionali e regionali, ad una politica di "neutralità" nei confronti della crisi siriana, il cui scopo era di "proteggere" il Libano delle ripercussioni negative di questa crisi!

Oggi, con l'aumento dei combattimenti tra le forze armate del regime, sempre sostenute da Russia e Iran, e quelle delle confuse tendenze dell'opposizione, ivi compresi i raggruppamenti ultra religiosi, sostenute dall'asse Washington-Unione europea-Arabia saudita-Turchia, cosa che trasforma la situazione in un conflitto internazionale nel vero senso della parola, è diventato "normale" che la crisi siriana superi le frontiere di questo paese, verso il Libano. Questo sconfinamento si esprime nei conflitti confessionali continui, come accade in Iraq: esplosioni terroristiche, autobombe guidate da kamikaze, assembramenti alle frontiere di forze oscurantiste giunte dai campi di profughi palestinesi, ma anche dei paesi del Golfo, del Magreb arabo e dai paesi europei e africani, che si confrontano con le altre forze che appoggiano il regime siriano… Così, non passa settimana senza che ci sia un attentato terroristico con decine di morti e feriti, per non parlare dei danni lasciati dai razzi e da altre armi lanciate dalle regioni siriane vicine alle frontiere.

A ciò si aggiunge un altro fatto pericoloso: l'aumento del numero dei profughi siriani, che ha superato il milione e mezzo (alcuni fanno la cifra di 2 milioni), e che con centomila nuovi profughi palestinesi che vanno ad aggiungersi ad altri 450mila, fanno si che una persona su due in Libano sia un profugo. Il pericolo di una tale situazione non sta solamente nel fatto che questi profughi portano con sé ogni tipo di problema sul piano sicuritario, ma anche problemi socioeconomici in un paese devastato da un debito galoppante e dove imperversa una crisi economica senza soluzione.

Tutto ciò fa aumentare la disoccupazione a vista d'occhio, con la manodopera libanese sostituita dai lavoratori siriani (e palestinesi) meno qualificati, è vero, ma molto meno remunerati. In più, i prezzi delle derrate alimentari e di prima necessità aumentano, in un paese che conta il 20 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà, senza dimenticare i problemi causati dalla necessità di trovare un riparo ai profughi e posti nelle scuole per le decine di migliaia di bambini siriani… Nel frattempo, gli altri paesi vicini alla Siria, la Turchia e la Giordania particolarmente, hanno chiuso, e da molto, le loro frontiere all'afflusso dei profughi, mentre i regimi arabi e i paesi cosiddetti "amici della Siria" non hanno fatto quasi nulla per aiutarli.

2 - Il progetto di una nuova guerra israeliana contro il Libano

Oltre alla crisi siriana e alle sue ripercussioni sulla vita politica e sociale, la possibilità di una nuova aggressione israeliana contro il Libano, del sud in particolare, resta dominante. Così si spiegano le violazioni quotidiane della "linea blu", o frontiera temporanea tracciata dall'ONU in seguito all'aggressione del 2006, alle quali si dedica l'esercito israeliano. Tuttavia, occorre aggiungere che queste violazioni non trovano alcuna reazione da parte dei contingenti di UNIFIL, che si accontentano di trascrivere ciò che accade nei rapporti inviati al segretario generale… e questa mancanza di reazione ha incoraggiato il governo israeliano a spingersi più lontano ancora, tentando di appropriarsi di più di 335 chilometri quadrati di acque territoriali libanesi, in seguito alla scoperta di un nuovo campo petrolifero.

Ma le aggressioni e minacce non si fermano qui. Manovre militari vengono continuamente effettuate lungo le frontiere libanesi (l'ultima è di un mese fa), con il pretesto di fare fronte alle possibili operazioni della resistenza. Aggiungiamoci le dichiarazioni di certi responsabili israeliani, fra cui Benjamin Netanyahu, riguardo al pericolo creato da una nuova partecipazione di Hezbollah al governo, e le affermazioni del comandante delle forze aeree, Amir Eschell, su un nuovo piano militare che mira a bombardare le regioni abitate e le infrastrutture, non solo del sud, ma anche di Beirut e nella Bekaa. A pretesto vengono prese "le migliaia di basi costruite da Hezbollah e che minacciano Israele". In più, Amir Eschell dichiara spavaldamente che "le capacità israeliane d'attacco degli obiettivi libanesi su larga scala sono, oggi, moltiplicate per 15 rispetto al 2006".

Se invece guardassimo alle ragioni reali di tali minacce, diremmo che il governo israeliano, che prepara un nuovo "trasferimento" della popolazione civile palestinese per mettere le mani su nuove terre e portarci i coloni, vorrebbe persuadere gli ultimi arrivati della propria capacità di proteggerli da ogni reazione che possa avere luogo nel momento in cui questo nuovo "trasferimento", pianificato con Washington, fosse portato ad esecuzione. Tuttavia, ciò non significa che Tel Aviv non possa ricorrere ad una nuova aggressione, approfittando delle divisioni confessionali tra libanesi e delle azioni criminali di certi gruppi terroristici che si nascondono nei campi palestinesi e che utilizzano giovani palestinesi nelle loro operazioni kamikaze.

3 - Lo stato di putrefazione del regime confessionale: pericolo esistenziale per il Libano

Abbiamo spiegato i pericoli legati alle ripercussioni della crisi siriana e anche la possibilità di un intervento militare israeliano. Resta da vedere e analizzare l'evoluzione della situazione interna alla luce di questi due elementi.

La querelle tra i due gruppi della borghesia, detti del 8 e del 14 marzo, hanno portato negli ultimi undici mesi ad una paralisi quasi totale di tutte le istituzioni di potere in Libano.

E se il nuovo governo libanese si è formato, dopo tergiversazioni durate dieci mesi e dieci giorni, questo è dovuto, da una parte alla comune idea di Iran e Arabia saudita riguardo la necessità per i libanesi (dei due lati), di una moderazione aspettando di vedere l'evoluzione della situazione militare in Siria, ma anche a causa della necessità, tanto per gli Stati uniti che per la Russia, di vedere formarsi un governo libanese il cui primo compito sarebbe di procedere nei contratti che permettono l'estrazione di petrolio e gas scoperto in grandi quantità nelle acque territoriali libanesi. Tuttavia, né gli uni né gli altri sono riusciti nei loro intenti. Il governo, nato un mese fa, ha mostrato la sua incapacità nel gestire questi problemi, soprattutto nel campo della sicurezza delle frontiere libanesi, aperte ad ogni tipo di violazione. Inoltre, tutto indica che questo governo sarà altrettanto incapace di condurre a termine le elezioni presidenziali, tanto più che queste elezioni devono avere luogo fra due mesi, tempo insufficiente per trovare una soluzione alla crisi siriana, anche con le nuove vittorie attese sul fronte militare. Quindi, se le elezioni presidenziali non avverranno, dobbiamo attenderci quella deflagrazione generale che molte parti cercano.

4 - La situazione economica

Il carattere di rendita dell'economia libanese continua a fare il bello e il cattivo tempo sul paese, rinforzando in particolare le disuguaglianze, la miseria, la disoccupazione e l'emigrazione, in particolare quella dei giovani quadri.

Soffermiamoci su alcuni indici significativi.

- In primo luogo, i monopoli costituiscono una parte molto importante dell'economia rentier, importanza che cresce in misura sempre maggiore con la sostituzione da parte delle attività commerciali del lavoro in settori produttivi, nell'industria in particolare. Senza dimenticare il ruolo di questi monopoli nel fissare i prezzi dei beni fondamentali, come il gas, tra gli emiri dei taifas (capi politici che rappresentano le confessioni religiose del paese)

- Viene poi l'appoggio fornito dal regime politico libanese alla diffusione culturale dell'economia rentier nel settore immobiliare. Così, i prezzi delle abitazioni salgono al cielo, contrariamente ai salari e alle rimesse. In conseguenza di ciò, la maggioranza dei libanesi, compresa la classe cosiddetta "media", non è in grado di acquistare un appartamento, sebbene le circolari della Banca centrale affermino che il 60% dei prestiti delle banche private siano diretti al settore immobiliare. Tuttavia, e mentre il tasso di interesse imposto dalla Banca centrale non supera l'1%, le banche private hanno approfittato per imporre tassi molto elevati, il che fa si che per riuscire ad acquistare un piccolo appartamento, talvolta si debba pagare tre volte il suo prezzo… esclusi i percettori di bassi salari che proprio non se lo possono permettere.

- Il dominio sulle proprietà dello Stato. In questo campo, notiamo che i decreti furono firmati da governi diversi per permettere ai capitalisti libanesi di mettere le mani su parti importanti di beni pubblici, in particolare le spiagge e tutto ciò che ne segue come imprese turistiche.

- E mentre lo Stato pensa ad aiutare unicamente il settore turistico e a dare prestiti ai commercianti, l'agricoltura cola a picco e il costo dei prodotti agricoli s'impenna a causa dell'assenza di un qualsiasi impegno da parte del governo, che nega l'aiuto ai piccoli proprietari, tanto nella lotta contro le dannose malattie in agricoltura che contro la concorrenza dei prodotti stranieri. Tuttavia, il settore agricolo avrebbe potuto aiutare molti giovani a trovare del lavoro, limitando l'emigrazione e il trasferimento forzato delle popolazioni rurali verso le città.

- A tutto ciò si aggiunga l'aumento dei tassi di disoccupazione, soprattutto tra i giovani (26%) e i nuovi studi della Banca mondiale che insistono sulla relazione tra l'aumento della disoccupazione e l'economia di rendita. Difatti, la Bm dice che del denaro inviato nel paese dagli emigrati libanesi ne approfittano le sole banche e non partecipa alla creazione di nuovi impieghi, aiutando a ridurre i tassi di disoccupazione e la povertà.

- Non va dimenticato l'aumento del deficit di bilancio che ha raggiunto, secondo i comunicati del ministero delle finanze, i 9,1 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2013, e le stime annunciano che raggiungerà nel 2014 circa il 10% del Pil. Questo deficit è molto pericoloso, soprattutto in un paese dove il debito nazionale ha raggiunto il 137% del Pil e alcuni pensano che questa percentuale andrà crescendo fino a raggiungere il 157% alla fine del 2014. E, se seguiamo fino alla fine tale scenario, c'è da temere che anche il settore bancario possa cadere pericolosamente, particolarmente sul piano della liquidità…

- Infine, notiamo l'aumento del tasso di lavoro di bambini e adolescenti, uno dei più alti a livello mondiale, con più di centomila bambini vittime, secondo la "Commissione nazionale di lotta contro il lavoro dei bambini" e la "Organizzazione internazionale del lavoro" (ILO).

Conclusione

Il Partito Comunista Libanese (PCL) dall'estate 2012 ha attirato l'attenzione sulla gravità della situazione a tutti i livelli, a cominciare dalla crisi socioeconomica, senza dimenticare la possibilità di sedizione e di una nuova guerra civile, sia a causa della crisi siriana che in seguito ai continui tentativi dell'imperialismo statunitense di liquidare la causa palestinese.

Il PCL ha assunto l'iniziativa di chiamare al raggruppamento di tutte le forze politiche e popolari che hanno interesse a preservare la patria, allontanando lo spettro dalla guerra civile. E' stato al centro dell'azione politica per la creazione di uno Stato laico, come lo è stato nelle lotte sindacali nei settori privato e pubblico, pubblico soprattutto, dove per la prima volta lo sciopero generale ha paralizzato l'intero settore.

Oggi, il PCL torna alla carica, chiamando i libanesi a consolidare la loro unità sulle basi di uno Stato democratico e laico, uno Stato che punti al progresso sociale e che possa condurre il paese in senso opposto alle divisioni confessionali, i cui pericoli aumentano di giorno in giorno. Perché solo questo Stato democratico e laico può salvare il Libano delle ripercussioni delle crisi della regione e portarlo fuori dalla situazione socioeconomica nella quale si dibatte dalla fine della guerra civile.

* Marie Nassif-Debs, Segretario generale aggiunto del PCL e responsabile delle Relazioni internazionali


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