Vladimiro Merlin
Nella discussione che si sta svolgendo circa i cambiamenti in atto, o ritenuti necessari, nella sinistra, vi è un altro argomento molto diffuso: quello del superamento della differenza tra comunisti e socialdemocratici, questa tesi viene sostenuta da più parti sia in modo esplicito che arrivandoci in modo indiretto attraverso “l’innovazione della cultura politica” .
Tra chi sostiene apertamente questa tesi l’argomento più utilizzato sarebbe quello che fondandosi la differenza tra comunisti e socialdemocratici sulla questione della rottura rivoluzionaria o della trasformazione attraverso processi democratici/graduali ne deriva la conseguenza che oggi, in particolare nei paesi più sviluppati, come il nostro, tale diatriba sarebbe completamente superata e quindi non vi sarebbe più alcuna ragione di “dividere” la sinistra tra comunisti e socialdemocratici.
Questo ragionamento è completamente sbagliato per diversi motivi.In primo luogo perché la separazione tra comunisti e socialdemocratici avvenne per il voto ai crediti di guerra, cioè per la scelta di molti partiti socialdemocratici di sostenere la propria borghesia nazionale in quell’enorme massacro che fu la prima guerra mondiale.
Quella scelta sottintendeva l’abbandono dell’internazionalismo proletario e del concetto di unità di classe che accomuna tutti gli sfruttati, indipendentemente dalla nazionalità di origine o dal colore della pelle, e che costituisce il fondamento essenziale di ogni comunista, per aderire al nazionalismo che le borghesie nazionali agitavano per giustificare la guerra.
Se ben guardiamo questo tema è di assoluta attualità anche oggi, tanto più dopo che in questi ultimi anni abbiamo visto il risorgere ed il rilanciarsi di un neocolonialismo, non solo praticato attraverso le guerre scatenate dall’imperialismo, ma anche nuovamente apertamente teorizzato in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Questo nodo fondamentale continua a costituire uno degli spartiacque più importanti tra le forze politiche e sociali che si propongono un reale cambiamento della società e quelle che pur proponendosi, su tutta una serie di questioni con posizioni e concezioni progressiste, si collocano in definitiva all’interno delle compatibilità e dell’accettazione del sistema capitalistico.
E’ chiaro che ben diversa è la situazione, per fare solo alcuni esempi, dell’IRAQ, della Palestina o di altri paesi che sono sottoposti a guerre o dominazione da parte dell’imperialismo , o di sub imperialismi, in questi casi, come è stato per tutte le lotte di liberazione e anticoloniali, si costruiscono anche alleanze e fronti ampi con le borghesie nazionali, non mi dilungo, però su questo aspetto che penso sia chiaro e condiviso.
Il ragionamento che facevo è chiaramente rivolto ai paesi capitalisti ed imperialisti, come è anche il nostro, come lo sono gli USA e gli altri paesi europei.
La storia e l’esperienza ci hanno dimostrato che l’adesione alle guerre imperialiste delle proprie borghesie nazionali,sempre giustificate dai più “nobili motivi”, ed in particolare per portare “civiltà e democrazia”, sono sempre state la premessa per l’accettazione, da parte di forze provenienti dalla sinistra, del sistema sociale dato.
Questo dimostra che uno degli elementi fondamentali che sono stati, e sono alla base della distinzione tra comunisti e socialdemocratici è ancora assolutamente fondato ed attuale, e basta guardare alle posizioni che hanno assunto ed assumono i più importanti partiti socialdemocratici europei sulle varie guerre ( dalla Yugoslavia, all’Iraq, all’Afghanistan ecc.) per rendersene conto, ma anche al ruolo che hanno svolto e svolgono all’interno di strutture come la NATO, di cui conosciamo bene gli scopi e la natura.
Ma oltretutto, lasciando a parte la questione della guerra, dove sono oggi in Italia ed in europa questi socialdemocratici che si propongono di cambiare la società con “la democrazia e le riforme”? , la caduta dell’Urss e del socialismo reale ha messo una pietra tombale anche su tutte le tendenze “più avanzate“ delle socialdemocrazie, che anche nel nord europa sono approdate al liberismo temperato ( e non è certo questa una casualità), quindi se viene a mancare la condivisione dell’ obiettivo fondamentale del proprio agire politico, come è possibile riunire in un unico soggetto politico comunisti e socialdemocratici ? ( altra cosa è la politica delle alleanze ).
Inoltre anche la socialdemocrazia ha avuto una evoluzione che non può essere ignorata, da Bad Godesberg in poi vi è stato un profondo salto di qualità da parte dei più importanti partiti socialisti che li ha portati dall’accettazione del sistema dato ( e dall’ abbandono del concetto di classe e di lotta di classe, concetto che non a caso si sta lasciando “cadere” anche nell’innovazione in atto nella cultura della sinistra oggi in Italia) a diventare protagonisti della gestione del sistema capitalistico ed imperialista attuale ( basti guardare a Blair o a Schroeder sulla Yugoslavia).
Del resto anche in quelle situazioni in cui sono ancora in campo tendenze più avanzate che fanno riferimento all’internazionale socialista, e penso ad alcuni paesi che una volta si definivano del “3° mondo”, dove la realtà sociale è talmente grave e degradata da spingere anche le forze della sinistra moderata ad assumere alcuni contenuti ed indirizzi più marcatamente progressisti, la differenza, per fare solo un esempio significativo, tra il Brasile di Lula e il Venezuela Chavez, per quanto riguarda la profondità e le prospettive dei cambiamenti in corso, fanno chiaramente capire la diversa natura dei due processi in atto.Ed al di là di modelli astratti ed unici, che abbiamo ben capito non esistono, ci dicono chiaramente che i processi di trasformazione reale della società possono crescere e svilupparsi solo se imboccano chiaramente una strada di tipo socialista, altrimenti rifluiscono nel tentativo di gestire alla meno peggio le contraddizioni del sistema.
Ma in definitiva per quali motivi si dovrebbe procedere ad un assemblaggio eclettico di tutte le forze e le componenti della sinistra?
Da un lato, lo accennavo già nella prima parte di questo articolo, è parte della tendenza del sistema maggioritario e bipolare entro cui ( ed accettando il quale) la sinistra dovrebbe costituire una “massa critica” per non essere “esclusa”.Ma, al di là del fatto che i vari assemblaggi che sono stati tentati ( a sinistra, al centro, ma anche a destra) hanno finora portato a risultati sempre inferiori alla somma delle varie parti che si univano, ed hanno spesso portato a frazionamenti e scissioni che anziché ridurre hanno aumentato il numero dei soggetti in campo, in realtà questo concetto implica il presupposto che una forza comunista ( o anche un partito in generale) non possa aumentare i consensi sulla base di una politica ed una azione sociale che facciano crescere il consenso e l’adesione militante, ma che per aumentare il peso politico si debbano inglobare altri “pezzi” ( altri partiti ) ognuno dei quali porterebbe con sé il proprio pacchetto di militanti, voti ecc., cosa che come abbiamo visto per lo più non si realizza.
La conseguenza più deleteria di questa concezione, però, sta nel fatto che pensando di non poter conquistare, più di tanto, consenso alle proprie idee ( che è poi la trasformazione sociale) si inglobano nel soggetto politico altri “pezzi” di idee più o meno influenzate dall’egemonia del pensiero dominante con il risultato che mentre si parte con l’obiettivo di “facilitarsi” la strada si finisce con il “cambiare strada” e trovarsi irregimentati in un sistema bloccato di alternanza.
E’ evidente che al fondo di questa concezione vi è anche la non percezione, o comunque la sottovalutazione, delle gravi contraddizioni che il sistema capitalistico genera a livello sociale, economico e politico, che sono la vera base su cui si può costruire e far crescere il consenso per un partito che vuole cambiare questa società ( e non ci sono scorciatoie).
Alla base di queste idee vi è però anche un nodo più teorico e la cancellazione di alcune categorie fondamentali del pensiero comunista e cioè la differenza tra soggetto politico ed alleanze, la differenza tra soggetto politico, blocco storico e blocco sociale.
Come vedete stiamo parlando di concetti che trovarono la loro massima elaborazione teorica nel pensiero di Gramsci, che non risalgono ai primordi del movimento operaio, ma che rappresentano, invece, alcune tra le più valide ed attuali categorie politiche del pensiero comunista ( che non a caso vengono studiate ed utilizzate dalle attuali classi dominanti ).
Non è un caso che assieme al concetto di imperialismo furono proprio queste due categorie di blocco storico e blocco sociale ad essere liquidate per prime nella revisione del pensiero comunista messa in atto nel PRC.
Il partito, il blocco sociale e le forze con cui costruire le alleanze ( sia sociali che politiche) dovrebbero entrare tutte in un unico calderone a costituire il “nuovo soggetto politico”, senza neppure una linea guida o un chiaro indirizzo politico ( ed ideologico, non mi fa paura usare questa parola che oggi, non a caso, è quasi blasfema), ma tutte sullo stesso piano, non c’è da stupirsi se questo eclettismo sfocia nell’accettazione dell’alternanza e del meno peggio oggi, in nome di un futuro sole dell’avvenire che , come fu per il PSI, sfuma sempre più in un orizzonte lontano fino, poi, a tramontare del tutto.
Non è neppure un caso se questo processo conduce sempre più ad una disgregazione del “partito che c’è” ( il PRC) ; cambiando piano piano natura ed obiettivo cambia anche lo strumento, che si trasforma in partito di opinione ed istituzionale.
E questo processo interagisce ed aggrava quello che oggi è il vero grande problema dei comunisti e della sinistra, nel nostro paese, la separazione sempre più grande dalla propria base sociale, l’incapacità di essere reale rappresentanza del lavoro, dei movimenti e dei conflitti sociali.
In Italia, nonostante i decenni di sconfitte ed arretramenti, assistiamo ancora ad una forte capacità di mobilitazione e di lotta , che continua a riemergere a fronte dei grandi problemi e contraddizioni presenti nella nostra società, ma è del tutto evidente l’incapacità dei soggetti politici in campo ( a cominciare dai due partiti comunisti) di saper raccogliere, valorizzare e sviluppare queste potenzialità.
La questione fondamentale in questo momento per i comunisti e la sinistra non è la “mancanza di massa critica” per pesare nelle istituzioni, è la sua scarsissima presenza nella realtà sociale, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, nei quartieri, nelle associazioni, nei comitati ecc., qualche punto in più in percentuale nelle elezioni non modifica ( e non modificherà mai) veramente i rapporti di forza nel centrosinistra e nel paese, se i comunisti e la sinistra non riescono a rilanciare il loro radicamento sociale, se ogni singolo militante nella sua vita di ogni giorno non torna ad essere un riferimento per i suoi colleghi di lavoro,per la gente del suo quartiere, questo è il lavoro che ha reso i partiti comunisti partiti di massa, un lavoro lungo, faticoso, paziente, che da frutti solo se praticato da migliaia di militanti.
Un lavoro che richiede i suoi tempi ( se veramente lo si vuole fare ) e da cui non si può prescindere.
Non ci sono scorciatoie; la trovata “geniale”, l’intervista sagace, la abilità mediatico/televisiva, non possono sopperire ( né sostituire), per un partito che si proponga un reale cambiamento, al radicamento nella società ed alla necessità di essere promotore e attore del conflitto sociale.
Altrimenti quello che si può ottenere è semplicemente la “conquista” di uno spazio elettorale/istituzionale che può consentire anche di recitare la propria parte di “contestatori” e “radicali”purchè non si vada oltre il proprio ruolo, ma soprattutto , in definitiva, ci si collochi all’interno delle compatibilità e della dinamica del sistema politico/istituzionale dato.
Questo è il film a cui stiamo assistendo, ed in cui forse recitiamo una piccola parte, ma non è detto che non si possa cambiare il finale.