www.resistenze.org - popoli resistenti - giappone - 19-09-05

Il ciclone Koizumi si abbatte sul Giappone

 

AVVERTENZA IMPORTANTE: In questa analisi delle recenti elezioni anticipate in Giappone sono ripresi alcuni argomenti trattati in un precedente articolo, riguardante i difficili rapporti Cina-Giappone, già pubblicato sul sito (n.111, 10-05-2005). Per una ragione di brevità, alcuni argomenti trattati in quella sede sono stati qui semplicemente richiamati.

 

Domenica 11 settembre si sono tenute in Giappone le elezioni anticipate per il rinnovo della Camera Bassa del parlamento, Shugi-in. 480 i seggi da assegnare, 300 dei quali attraverso collegi uninominali e 180 attraverso liste proporzionali ripartite il 11 blocchi regionali. Questo turno elettorale anticipato si è reso necessario quando il progetto di privatizzazione delle poste giapponesi avanzato dal governo Koizumi è stato bocciato dai deputati, grazie ad una saldatura tra le forze di opposizione e settori consistenti del Partito Liberaldemocratico (PLD), al governo insieme agli alleati del Komeito[i].

In un paese segnato in profondità dal permanere della crisi economica, dove i tempi di lavoro sono disumani e si verifica un suicidio ogni 15 minuti e dove migliaia di giovani rifiutano un sistema scolastico segnato dalla più rigida selezione e competitività, la personalità eccentrica del primo ministro si è abbattuta come un ciclone sull’intero sistema politico.

Al termine di una campagna elettorale segnata da un uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa e con al centro della discussione politica il solo nodo delle poste, Koizumi ha ottenuto una vittoria schiacciante non solamente sulle opposizioni, ma anche rispetto ai “ribelli” e ad alcuni “feudatari” e “capi-corrente tradizionali” del suo partito, conservatore e militarista, una sorta di DC giapponese al governo quasi ininterrottamente dalla fine del secondo conflitto mondiale. In alcuni collegi chiave, dominati da vecchi dignitari feudali del PLD, Koizumi ha inviato dei veri e propri “killers”, come l’ex presentatrice Yuriko Koike, nota per le sue minigonne mozzafiato, o il giovane mago di Internet Takafumi Horie. Con il risultato che alcuni nodi strategici, a partire dalla politica estera e la sicurezza, sono rimasti assolutamente in secondo piano, diverse teste autorevoli sono cadute e la partecipazione al voto è salita fino al 67%, un milione di votanti in più rispetto al non lontano 8 novembre 2003. Se la vittoria di Koizumi era data quasi per scontata alla vigilia, nessuno si attendeva un terremoto di queste dimensioni: il PLD ha ottenuto complessivamente il 38,2% dei consensi (+3,2% rispetto al 2003) e 296 collegi contro i precedenti 212 (219 nella parte uninominali e 77 nel proporzionale). Se a questo aggiungiamo i 31 seggi del Komeito (fermo al 13,2%, in leggera flessione, - 1,5% e –3 seggi), la maggioranza raggiunge i 2/3 del parlamento.


Il Partito Democratico (PD), una sorta di centro-sinistra giapponese, maggiore forza di opposizione, si è fermato al 31% (-6,3%) e 113 seggi (52 nei collegi uninominali e 61 nel proporzionale) contro i precedenti 177, con le conseguenti dimissioni del candidato e leader Okada Katsuya. Non è andata meglio per i “ribelli” del PLD, protagonisti della bocciatura della riforma delle poste. Occorre collocare in questo difficile contesto la tenuta tanto del Partito Socialdemocratico (PSD), quanto del Partito Comunista Giapponese (PCG), forte di 4.920.000 voti (contro i precedenti 4.200.000), corrispondenti ad un 7,25% di consensi (-0,5%), ed in grado di confermare i precedenti 9 seggi (tutti ottenuti nel proporzionale).


Nonostante il risultato, Koizumi ha confermato l’alleanza di governo con il Komeito (forza politica di riferimento dell’organizzazione laico-buddista Soka Gakkai), che continua ad avversare (almeno in teoria) la missione giapponese in Iraq a fianco di Washington, ma che dalla presenza al governo ha ottenuto sussidi per alcuni progetti socio-sanitari.

 

I nodi strategici di fronte al Giappone


In una campagna elettorale dominata da una sorta di delirio populista e dalla riforma delle poste, riguardo la quale i democratici proponevano ricette diverse ma non alternative rispetto a Koizumi[ii], alcuni nodi strategici riguardanti la politica estera e la sicurezza sono rimasti assolutamente in secondo piano, richiamati con forza ed energia dal solo PCG. I comunisti giapponesi, oltre a battersi per un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari e contro l’aumento della tassazione e la privatizzazione delle poste, si sono schierati apertamente contro la presenza della base militare statunitense di Okinawa[iii], denunciando nel contempo l’asse Bush-Koizumi e l’involuzione militarista ed irredentista della politica del governo. A partire dal rinnovo della missione giapponese in Iraq ma concentrandosi soprattutto sulla riforma dell’articolo 9 della Costituzione (una sorta di articolo 11 della Costituzione Italiana) che, se attuata, sancirebbe tanto la possibilità di riarmo per Tokyo non solamente in funzione di “autodifesa”, quanto l’eliminazione dell’embargo sulla vendita di armi e tecnologie. Con Washington pronta ad approfittarne per rilanciare il progetto di scudo stellare. Il Giappone, in questo contesto, diverrebbe un prezioso e potente alleato per gli Stati Uniti nello scacchiere asiatico. Su questo delicato terreno i democratici si sono schierati a favore di una politica estera tendente a favorire le relazioni con gli altri paesi dell’Asia, mentre i comunisti hanno fatto esplicito riferimento alla necessità di costruire una  “diplomazia indipendente”[iv].


In secondo piano sono rimasti anche i difficili rapporti con la Cina (e la questione del sostegno a Taiwan), identificata per la prima volta apertamente come una minaccia (sul piano economico come militare e geopolitico) nel recente piano quinquennale di difesa varato dal governo di Tokyo. Di particolare importanza si è rivelato, a tal proposito, l’incontro tra il Presidente del Comitato Esecutivo del PCG, Shii Kazuo, ed il Vice-Ministro degli Esteri cinese Wu Dawei, organizzato nel pieno della campagna elettorale, dal quale emerge un utile e coraggioso messaggio di collaborazione e disponibilità al dialogo[v].

 

La prospettiva dei comunisti


La Terza Sessione Plenaria del CC (Tokyo, 6 e 7 aprile 2005) ha dato inizio ad un’intensa campagna di rafforzamento del partito, che ha come momento importante di verifica il 24° Congresso del partito, convocato per il gennaio 2006. L’obiettivo è quello di “rendere il partito abbastanza forte sul piano qualitativo e quantitativo  per ottenere una vittoria alle prossime elezioni nazionali in ogni collegio”. Le elezioni anticipate di domenica sono cadute nel pieno di questo lavoro e non hanno fatto altro che confermare la necessità di accrescere gli sforzi nella direzione indicata[vi]. Il risultato elettorale di tenuta del PCG, certamente inferiore rispetto al picco segnato alle elezioni del 1998 (8.200.000 voti e 15% circa), ottenuto nel contesto del fallimento dei governi di coalizione liberal-progressisti (1993-1996), acquista un valore importante di prospettiva se si considera il consistente arretramento di quella “tendenza bipolare” tanto temuta e denunciata dagli stessi comunisti e se lo si affianca ai risultati positivi degli ultimi appuntamenti elettorali amministrativi, con una partecipazione alle urne inferiore rispetto al voto di domenica (a Naha – Okinawa 10,83% e conferma nel ruolo di primo partito di opposizione; sopra il 15% a Tokyo).



[i] Le poste giapponesi contano 262.000 dipendenti e 25.000 uffici in tutto il paese, disponendo di beni patrimoniali per circa 2.450 miliardi di euro. L’85% delle famiglie possiede conti correnti postali ed il 60% polizze di assicurazione. Se oggi questa enorme massa di liquidità viene investita in Buoni del Tesoro per coprire porzioni di debito pubblico, con la “cura” parte di questi capitali dovrebbero essere dirottati per il rilancio dell’economia nel suo complesso, incluso il settore privato. I costi sociali della privatizzazione, in termini di possibili licenziamenti e razionalizzazioni di uffici sul territorio, non sono noti. Su questo, “La campagna elettorale”, Rainews 24, lunedì 12 settembre 2005.

[ii] Interessante, a tal proposito, il contenuto dell’editoriale di “Akahata”, quotidiano del PCG, del 28 agosto 2005.

[iii] “Akahata”, 26 agosto 2005. Oltre a questo, vale la pena citare tanto un lavoro di inchiesta sulla base risalente al 2000 e contenuto nel sito internet del partito – www.jpc.or.jp -, quanto l’intervista concessa a “Liberazione” (31 gennaio 2004, a cura di B. Steri, “Il moderno Giappone: subordinazione agli Usa e sfruttamento sul lavoro”) da Kichiro Ueda, allora Presidente del Comitato Esecutivo del PCG, nel corso dei lavori del 23° Congresso (Atami, 12 – 17 gennaio 2004).

[iv] L’impegno dei comunisti contro le modifiche alla Costituzione, sancito nel corso della Terza Sessione Plenaria del CC (Tokyo, 6 e 7 aprile 2005, sintesi dei lavori disponibile sul sito), viene confermata in campagna elettorale dall’editoriale di “Akahata” del 27 e da un articolo del 30 agosto. Sulla posizione del Partito Democratico, S. Carrer, “L’impegno dell’anti-Koizumi: meno America e più Asia”, in “Il Sole 24 Ore”, 8 settembre 2005.

[v] F. Rampini, “Giappone, la Difesa non è tabù «Il vero nemico ora è la Cina»”, in “La Repubblica”, 13 dicembre 2004. Un resoconto dell’incontro tra Shii e Wu in “Akahata”, 26 agosto 2005.

[vi] “Dichiarazione del Comitato Esecutivo del Partito Comunista Giapponese sul risultato elettorale”, pubblicata su “Akahata” del 13 settembre 2005.