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La guerra economica spiegata ai principianti (e ai giornalisti) (4/4)

Maurice Lemoine | medelu.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/08/2017

Parte 1 Parte 2 Parte 3

Parte 4 (fine)

Il valore della moneta americana annunciato ogni mattina attraverso questo sito web sin dalla sua creazione nel 2010 è diventato "il" riferimento per chi vuole acquistare dollari sul mercato nero (e per chi li vende). In quale modo i creatori di Dollar Today stabiliscono il prezzo della moneta? Sulla base della variazione sui tassi praticati dagli uffici di cambio di... Cúcuta (città di frontiera, lato colombiano)!

Tale bizzarria ha origine nella "résolution numéro 8" emanata dalla Banca della Repubblica (la banca centrale colombiana) il 25 maggio 2000, durante il governo di Andrés Pastrana. Di conseguenza, se questa stabilisce la parità del peso, sua moneta nazionale, con il bolivar, essa consente agli operatori di confine, al di fuori di ogni controllo, di fissare i propri tassi. Cosa che fanno, manipolandoli arbitrariamente e in modo sproporzionato.

Ci sono diverse centinaia di questi uffici di cambio legali e illegali a Cúcuta. In virtù di un'altra legge colombiana altrettanto sorprendente, questi uffici possono eseguire qualsiasi transazione senza riferire alle autorità di vigilanza, a condizione che siano inferiori a 10.000 dollari - meccanismo utile per riciclare il denaro del narcotraffico.

È dunque questa mafia che, teoricamente, alimenta i dati di Dollar Today. I suoi funzionari vivono, come si conviene, a Miami, dove svolgono la loro attività. Il più famoso di questi è Gustavo Díaz. Ex militare, ha partecipato al colpo di stato del'11 aprile 2002 contro Chavez e fu nominato vice capo dell'ufficio militare (Casa Militar) durante il breve "governo" del presidente de facto Pedro Carmona. Espulso dall'esercito, nel 2005 ha chiesto asilo politico negli Stati Uniti e naturalmente lo ha ottenuto.

Esaminando questa configurazione mafiosa, si impone una conclusione: è con il sostegno di Washington e delle autorità di Bogotá che è stata messa in atto questa distorsione economica, permettendo di svalutare artificiosamente la moneta venezuelana e di aumentare l'inflazione (720% nel 2016, dati FMI). Il 10 luglio 2015, l'economista e analista politico Tony Boza ha spiegato che DT non è una pagina web, "ma il meccanismo che la Colombia ha inventato per aggredire l'economia venezuelana; è un atto di guerra; è l'equivalente di un Plan Colombia, economico, contro il Venezuela [1]". Intervistato lo scorso giugno, Luis Salas dice la stessa cosa: "Per riuscire a posizionarsi come tasso di cambio di riferimento, sono necessarie capacità organizzative e di comunicazione che una pagina web, di per sé, non ha".

Cosa che Gustavo Díaz conferma a modo suo. Mentre la Banca centrale del Venezuela accusa i responsabili di DT di ricadere sotto i colpi della legge federale americana Racketeer Influenced and Corrupt Organizations (RICO), egli afferma: "Il nostro timore è che ci sia un processo, che si conoscano così tutte le persone che lavorano con noi e che il governo [venezuelano] possa attaccarle direttamente. C'è molta gente dietro di noi [2]".

Storicamente, sugli oltre 2.300 chilometri di frontiera comune, gran parte della vita "sociale" venezuelano-colombiana si è basata sul contrabbando. Un contrabbando "tradizionale", simile a quello osservabile in qualsiasi area di confine, indipendentemente dal continente. Ovviamente si entra in un traffico di natura diversa, allorché se ne rileva l'ampiezza, quando 12.210 tonnellate - 12.210 tonnellate! - di beni alimentari, di cui sono crudelmente lasciati sprovvisti i venezuelani vengono intercettate al confine, tra gennaio e novembre 2014, da parte delle forze della Commissione nazionale per la lotta al contrabbando. Per una tonnellata recuperata di questo "contrabbando d'asportazione", quante giungono a destinazione (con la complicità in un certo numero di casi, di guardie nazionali o militari venezuelani)? Dato il loro prezzo sovvenzionato in Venezuela, il valore di latte, zucchero o... della carta igienica, può essere moltiplicato per dieci arrivando da paesi vicini.

Nel 2016, tra 8.000 e 22.000 litri di benzina illegali sono stati sequestrati quotidianamente prima che giungessero a destinazione. Può essere accusata la differenza abissale del prezzo di vendita tra i due paesi. Ma, ancora una volta, il governo colombiano ha una responsabilità diretta per il saccheggio organizzato della ricchezza del Venezuela. Dal 10 agosto 2001 la legge (colombiana) 681 autorizza i "piccoli importatori di benzina" - come vengono definiti! - a distribuire il combustibile a margine della società nazionale Ecopetrol. Meglio: rendendo legale il contrabbando di combustibile, Ecopetrol si riserva il diritto di acquistare benzina a un prezzo ridotto.

Il 3 maggio 2016, dopo 5.087 ispezioni in oltre 1.500 stabilimenti privati, ma anche pubblici, di distribuzione alimentare e di beni di prima necessità in tutto il paese, il Difensore civico Tarek William Saab dichiara pubblicamente: "Abbiamo riscontrato molti atti illeciti, con la sospetta complicità di funzionari e individui legati a imprese private. La giustizia deve agire con forza e applicare la legge con rigore".

Il 14 agosto, il quotidiano Ultimas Noticias, l'editorialista Eleazar Díaz Rangel inveiva:" In due settimane, ci hanno detto in un rapporto della Grande missione di approvvigionamento sovrano, abbiamo arrestato settanta bachaqueros in questa zona [di Petare; distretto della capitale] (...) Che si sappia, nessuno è stato incriminato anche se ha commesso crimini menzionati nella Costituzione nella Legge sui prezzi equi. Non siamo a conoscenza di alcuna condanna. (...) Non capiamo questa contraddizione. Se non possiamo esigere che i banconi siano forniti e che la produzione aumenti, penso che, sì, dovremmo poter mostrare i risultati delle sanzioni inflitte ai colpevoli di questi delitti previsti dalla nostra Costituzione".

La corruzione? Esiste. Troppo. E a tutti i livelli, anche tra i "chavisti". Le storie abbondano di commercianti stranieri che devono trattare con i "Señores 10%" per ottenere un mercato o fare affari nel paese. Nei porti, non è raro che alcuni doganieri, militari o funzionari richiedano la loro decima per far sbarcare i cargo. "Se gli importatori cercano di sfuggire alle tangenti - denuncia Luis Peña, direttore delle operazioni di Premier Foods, la cui sede si trova a Caracas -, gli alimenti rimangono lì a marcire".

Qui, assistiamo al rinvio a giudizio di un ex manager del Fondo sino-venezuelano per presunta appropriazione indebita di 84 milioni destinati alla produzione di alimenti nel 2011 e nel 2012. La, è l'ex presidente e responsabile dell'impresa mista socialista Leguminosas del Alba, Oscar Pérez Fuentes, che è stato incriminato per la sua responsabilità nel contrabbando di 120 tonnellate di fagioli secchi (maggio 2016). Laggiù, a Miami, il 18 luglio 2014, il "boliborghese" Benny Palmeri-Bacchi è stato fermato all'aeroporto da agenti della Drug Enforcement Administration (DEA). Accusato di traffico di cocaina e riciclaggio di denaro, apparteneva al comitato direttivo della Camera degli imprenditori venezuelani del Mercato comune del Sud (Mercosur) e possedeva, tra il sud della Florida e il Venezuela, una mezza dozzina società di importazione di alimenti.

A Miami, appunto, e nelle ricche città che la circondano, si concentra anche la più grande comunità dei venezuelani della diaspora, soprattutto esuli "anti-chavisti" con conti bancari in alcuni casi alimentati a colpi di traffici, tangenti e bustarelle. La delinquenza non ha colore né ideologia. "Boliborghesi" e borghesi tradizionali lavorano senza difficoltà mano nella mano.

Il 26 maggio 2014, il deputato Ricardo Sandino, presidente della Commissione finanze e sviluppo economico dell'Assemblea nazionale, allora dominata dal Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), informava i suoi colleghi che l'ex Commissione di amministrazione delle valute (Cadivi) aveva approvato lo sblocco di 20 miliardi di dollari per importazioni mai giunte nel paese. Nel giugno del 2014, dopo essere stato rimosso dal governo, Jorge Giordani, che da ministro della Pianificazione e delle Finanze di Chavez, ha regnato sulla vita economica venezuelana dal 1999 al 2014, denunciava che per il solo anno 2012, 25 miliardi di dollari erano stati rubati e sperperati attraverso i meccanismi delle valute.

Nel febbraio 2016, accompagnato da Héctor Navarro, ex ministro espulso dal PSUV nel 2014, alzerà il tiro evocando la somma di 300 miliardi di dollari deviati in dieci anni attraverso l'importazione fittizia e la pratica della sovrafatturazione. Peccato che non abbia approfittato di questo scandalo per fare autocritica sulla sua parte di responsabilità e di certo non fornisce alcuna prova utile a smascherare e rintracciare i delinquenti.

Più stravagante sarà la recente dichiarazione in conferenza stampa del Procuratore della Repubblica Luisa Ortega quando, dopo aver rotto con il potere, affermerà in tono minaccioso, dopo aver accusato il presidente Maduro di "crimini contro l'umanità" per la repressione delle manifestazioni e la convocazione di un'Assemblea costituente, di avere tra le mani "36.124 indagini per casi di corruzione [3]". Senza cadere in facili polemiche, ci domandiamo: com'è possibile che così pochi casi siano stati giudicati durante la sua carica - è stata nominata nel 2007 - e il motivo per cui abbia fatto questa dichiarazione sensazionale dopo essersi unita alle file dell'opposizione e non prima?

In realtà, questa corruzione endemica partecipa all'anarchia della distribuzione dei beni essenziali e al saccheggio dello Stato. Tuttavia, essa non dovrebbe essere considerata l'alfa e l'omega della crisi, imputata per definizione al defunto Chávez o al presidente Maduro. Interrogato sulle famose "società fittizie" ("empresas de maletín"), l'economista Luis Salas risponde: "In un mio lavoro ho dimostrato che, con il controllo dei cambi, le società fittizie create da chavisti o da altri esistono. Ma se esaminiamo la contabilità delle divise emesse dal governo tra il 2003 e il 2012, ci rendiamo conto che sono state monopolizzate dalle grandi imprese, dai monopoli, Polar, Cargill, dai laboratori farmaceutici, dalle aziende automobilistiche... Grosso modo, le aziende fittizie che non hanno importato nulla e che intercettano il denaro rappresentano il 10% della valuta estera concessa. La grande frode è quella delle transnazionali. La destra pone l'accento sulle 'empresas de maletín' per nascondere questa responsabilità" [4].

Attraverso vari meccanismi, la sovrafatturazione esiste, per citarne solo una. Ad esempio, quando le transnazionali acquistano propri prodotti e la società madre applica all'estero prezzi gonfiati. Nel 2012, ultimo anno della gestione Chávez, le importazioni sono state appena di un quinto superiori rispetto al 2003 in termini materiali, per tonnellata o per chilogrammo. Però, sono costate cinque volte di più. "Questo significa che, anche se importiamo quasi la stessa cosa, la crescita non è stata in quantità ma nei prezzi. In un contesto globale di deflazione! Il livello di domanda di valuta è stato totalmente ingiustificato".

Passata inosservata o tollerata quando i prezzi del petrolio erano alti, l'anomalia balza agli occhi non appena diminuiscono le entrate dello Stato e si deve badare al centesimo.

"Lo dico in forma di autocritica, c'era una mancanza di controllo - ammette Iván Gil, evocando quella che viene definita 'intossicazione da valuta' -. Tuttavia, c'è una ragione. Quando Chávez è arrivato al potere, il paese conosceva una povertà superiore al 50%. I venezuelani non mangiavano. Abbiamo vissuto il paradosso dei negozi pieni e degli stomaci vuoti, le persone non avevano soldi. La prima reazione di Chavez è stata dunque quella di dar da mangiare alla popolazione. E questo è stato fatto con tutti i mezzi, attraverso la semina e aumentando le importazioni. Eravamo in grado di acquistare all'estero qualsiasi quantità, avevamo i soldi. Dovevamo farlo e lo abbiamo fatto, ma il costo era molto alto perché a una tale velocità di pagamento del debito sociale, era molto difficile controllare tutto. Sapendo inoltre che, in materia di alimenti, per esempio, lo Stato mancava di strutture per la trasformazione e la distribuzione, abbandonate al settore privato. La sfida di oggi è riconquistarne il controllo, ma non accade dalla sera alla mattina".

Nel frattempo, nel 2014, Freddy Bernal, attuale segretario generale dei Comitati locali di approvvigionamento e produzione (CLAP) e ministro dell'agricoltura urbana, non ha esitato a "mettere i piedi nel piatto": "Non sarebbe cosa malvagia per il governo avere consulenti economici che siano non solo chavisti ma anche economisti! [5]". Vale a dire che non è questione di assolvere da ogni colpa o errore la gestione dei presidenti Chávez e Maduro. Lucidamente, un ex membro del governo guarda la cosa in prospettiva: "Sono consapevole che il potere abbia talvolta esagerato imputando alla guerra economica errori che di cui era esso stesso responsabile - ma aggiunge immediatamente - tuttavia esiste una realtà: una guerra economica esiste, non è né una scusa né una paranoia".

Mentre media dominanti la occultano sistematicamente, questa operazione di destabilizzazione è responsabile del 70% della crisi mortale che colpisce il paese. Non è accidentale che le principali fasi di "disaprovvigionamento" capitino in momenti specifici, alla vigilia di eventi elettorali - referendum costituzionale (2007), elezioni presidenziali del 2012 e 2013, comunali del 2013, elezioni parlamentari del 2015 - e nella fase attuale battezzata "ora zero" dall'opposizione.

I sacri media: si è tentati di sorridere se trascurassimo la loro enorme responsabilità nella manipolazione dell'opinione pubblica... "In Venezuela, la scarsità di cibo spinge gli abitanti a mangiare gli animali dello zoo", titolava VSD il 16 agosto, 2016. "Cani sono stati abbattuti e macellati in strada per la loro carne", annuncia lo stesso giorno Atlantico. Secondo La Dépêche (19 agosto 2016), "ogni abitante ha perso in media dai tre ai cinque chili", mentre per i suoi colleghi de L'Express", il venezuelano medio ha perso 8,5 kg nel 2016 a causa della crisi alimentare " (22 febbraio 2017) [6]. Erano ovviamente obesi dall'inizio a giudicare dalla sagoma dei partecipanti alle proteste dell'opposizione – gente che muore di fame con super-sofisticate maschere antigas sul naso [7].

Più seriamente, "la penuria ha avuto un impatto significativo su vita quotidiana, abitudini e modelli di consumo" testimonia un "chavista" di base che vive nel centro di Caracas, a La Candelaría. Stimando di aver perso due buoni chili, aggiunge: "C'è ovviamente fatica, una caduta di morale, soprattutto perché veniamo da un'enorme accessibilità in materia di consumi negli ultimi dieci anni..."

Contrariamente a quanto affermano le agenzie di propaganda, il Venezuela non è la nuova Somalia. Secondo l'Istituto nazionale della nutrizione, il paese importa annualmente 138 dollari di alimenti per persona all'anno (82,5 nel 2004) [8]. Aggiungendo la produzione nazionale, ogni cittadino ha una capacità statistica di alimentarsi per 476 kg l'anno (396,3 nel 1999). Tuttavia, fatta eccezione per le classi medie e superiori dove, ad eccezione dei periodi ciclici nei quali scompare un particolare prodotto, il potere d'acquisto permette loro di continuare a rifornirsi qualunque sia il prezzo, tutti i venezuelani sono senza dubbio colpiti dalla crisi. Mentre la "disponibilità energetica" del paese era arrivata nel 2012 a 3.200 calorie/giorno (l'indicatore di un paese sviluppato), questa media è scesa a 2.883 calorie/giorno - una significativa riduzione, ma ancora sopra le raccomandazioni della FAO (2.720).

Senza cadere in un umorismo fuori luogo a causa delle sofferenze dei loro compatrioti, alcuni trovano anche alcuni vantaggi: "Siamo abituati a indici di consumo esagerati. Mentre l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda una disponibilità di 15 chili di zucchero l'anno a persona, noi siamo a 40! Un consumo eccessivo per la salute, ma era un prodotto molto economico perché sovvenzionato...".

Per rispondere all'aggressione multiforme di questa guerra economica, il potere ha ripreso l'offensiva. "Stiamo andando verso un consumo quotidiano più pianificato per razionalizzare l'uso delle valute" - spiega Ivan Gil. Ma stiamo affrontando una sfida. Mentre lo Stato ha drasticamente tagliato la valuta verso privati per l'importazione di alimenti, che ora importa da solo, come possiamo fare per farli arrivare a tutti e allo stesso modo?".

Amministrati dai collettivi degli abitanti, i CLAP forniscono una risposta iniziale, anche se provvisoria e limitata. Distribuendo ogni quindici giorni ai residenti dei quartieri popolari, per 10.870 bolivares, un paniere alimentare che per strada avrebbe un costo di 140.000, cosa che ha riportato il sorriso su molti volti e allentato la morsa della penuria.

Non è insignificante che, nel contesto di violenza esercitata dai commandos dell'opposizione dall'inizio di aprile, il sequestro di camion alimentari e l'attacco a depositi Mercal (magazzini alimentari a prezzi bassi dello Stato e depositi dei CLAP) e dei "Centri di approvvigionamento bicentenario" sembrano essere una priorità. A metà luglio, a Lecheria (Stato di Anzoategui) tra le 50 e 60 tonnellate di burro, pasta, carne, zucchero, latte, riso e così via, sono andate in fumo [9]. Devono far morire di fame le persone per raggiungere il loro fine.

Tanto il FMI che la Banca Mondiale (BM) o la Banca di sviluppo interamericana (IDB) lanciano l'allarme. Secondo le loro ultime dichiarazioni, a metà luglio, "i cento giorni di dimostrazioni hanno lasciato un saldo molto negativo per l'economia venezuelana". A causa di "ore non lavorate, perdite all'esportazione, diminuzione della produzione di energia, riduzione delle vendite, difficoltà di approvvigionamento in siti problematici e costi in salute e sicurezza", stimano un calo del 5% del PIL - l'equivalente del "paro petrolero" (sciopero del petrolio) del dicembre 2002 - gennaio 2003, causando una perdita di 21 miliardi di dollari [10].

Allo stesso tempo e dopo il 2013, mentre Caracas pagava sull'unghia – cosa che le è costata le critiche della sinistra del chavismo – 63,56 miliardi di dollari per il servizio sul suo debito, il "rischio paese" è aumentato del 202%, passando da 768 nel 2012 a 2.323 nel 2016, rendendo proibitivi i prestiti sul mercato bancario internazionale. Se aggiungiamo che la City Bank americana ha chiuso i conti del Venezuela (non quelli individuali, solo quelli del governo), una conclusione s'impone: si tratta precisamente di uno strangolamento economico. Fatte salve le sanzioni annunciate dal "padrone della Casa Bianca", Donald Trump...

E' con la forza del suo avallo che l'opposizione "golpista" ha indetto uno sciopero generale e ha paralizzato il paese, il 26 e 27 luglio, per opporsi all'elezione dell'Assemblea Nazionale Costituente (ANC). Pronti a sorridere, molti dei suoi leader hanno spinto la popolazione a farsi delle riserve di cibo e di prodotti di base per tutta la settimana. Curioso, vero? Dove approvvigionarsi quando, secondo loro, non si trova nulla da nessuna parte, sia nei negozi che nei supermercati?

Senza possibilità di dialogo con un'opposizione unicamente votata al suo rovesciamento, il presidente Maduro, basandosi sull'articolo 348 della Costituzione, ha infatti convocato e fatto eleggere il 30 luglio questa ANC per dare la parola al popolo, "ripristinare l'ordine, fare giustizia e difendere la pace". Il tempo ci dirà se questa grande "raccolta di idee", oltre alla riuscita ri-mobilitazione del "chavismo storico" riuscirà a rispondere alle sfide dell'economia e porterà a una più ampia riflessione collettiva.

In ogni caso, le domande abbondano. Come diversificare le esportazioni? Con che cosa e dove? Come rendere efficaci i controlli? Come possiamo garantire che le merci concesse in valuta estera siano importate? Come, dopo aver democratizzato i consumi, democratizzare la produzione? Come normalizzare la distribuzione dei beni essenziali? Perché non usare misure più radicali e "prendere in mano le cose" quando è necessario: quando manca artificiosamente il pane, è più difficile impacchettare farina che produrre petrolio, cosa che lo Stato fa perfettamente? E perché non nazionalizzare l'industria farmaceutica? Aprire la transizione a dei nuovi attori economici? Aumentare e rendere efficace la proprietà sociale dei mezzi di produzione? Creare delle imprese alternative piuttosto che statalizzare dei settori che sabotano l'economia?

Le risposte a queste domande non devono necessariamente essere introdotte nella Costituzione aggiornata. Ma questa ripresa di iniziativa del chavismo e questo grande progetto senza dubbio renderà possibile porre tali questioni. E parare gli attacchi di una guerra implacabile e sottovalutata contro il popolo e contro l'economia.

Note

1. « Cultura al día », Alba Ciudad, Caracas, 10 juillet 2015.

2. BBC Mundo, 7 mars 2016.

3. El Universal, Caracas, 31 juillet 2017.

4. On peut entre autres suivre les travaux de Luis Salas sur le site 15yultimo.com

5. Entretien sur la chaîne Globovisión rapporté dans El Nacional du 30 juin 2014.

6. D'après une « étude » réalisée par des « scientifiques » de l'Université centrale du Venezuela, l'Université catholique Andrés Bello, l'Université Simón Bolivar, le groupe alimentaire Fundación Bengoa et d'« autres » ONG.

7. « Au Venezuela, la fable des manifestations pacifiques », Mémoire des luttes, 15 juin 2017.

8. « Venezuela : estadísticas alimentarias », Caracas, 8 mai 2017.

9. Lire Marco Teruggi, « Brûler la nourriture : nouvelle tactique de la bataille des trente jours », Venezuela Infos, 13 juillet 2017.

10. El Mundo, Caracas, 17 juillet 2017.


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