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- osservatorio - mondo - politica e società - 05-07-21 - n. 795
I pilastri della società statunitense e il blocco economico nei confronti di Cuba
Enzo Pellegrin
05/07/2021
Nonostante molti parlino, in modo un po' frettoloso, di imminente decadenza del ruolo degli USA nello scenario mondiale, il recente incontro del G7 ha dimostrato che l'Amministrazione USA, nel momento in cui lo reputa indispensabile, è in grado di esercitare appieno il suo ruolo di potenza egemone all'interno del blocco neo-liberista occidentale.
Le posizioni ufficialmente assunte al termine del vertice hanno riflettuto in pieno la direzione imposta dall'amministrazione Biden, soprattutto nei confronti degli immediati concorrenti diretti degli altri blocchi economici (Cina e Russia), ma anche nei confronti di altri paesi che costituiscono una sfida più o meno storica ai leader statunitensi. Tali capisaldi riproducono quelli riassunti a gennaio di quest'anno da Greg Godels (1); la nuova presidenza ha palesato una propensione alla belligeranza, economica e militare, nei confronti del concorrente cinese più temuto, da un lato rinvigorendo l'attenzione militare del sistema Pivot to Asia di Obama, dall'altro proseguendo l'utilizzo - alla maniera di Trump - delle sanzioni economiche e politiche come arma di guerra. Tali armi non si limitano al contrasto dei concorrenti economici e militari più forti, ma coinvolgono anche le economie di paesi come Cuba, Venezuela, Nicaragua, Iran - per citare gli esempi più all'ordine del giorno - economie strette in un duro cappio economico, che la nuova amministrazione USA è ben lungi dall'allentare. Il blocco economico cubano riveste particolare durezza, trattandosi non di mero embargo, ma di vero e proprio blocco. Tale misura, secondo il diritto internazionale, viene attuata in stato di guerra con la nazione colpita. Dal momento che gli Usa non hanno mai dichiarato guerra a Cuba, esso si rivela completamente illegittimo. (2)
Allo stesso modo, non pare essere stata messa in campo una diversa politica nei confronti della condotta di segregazione razziale e dell'aggressività bellica sinora perseguita dal governo di Israele, e più volte incoraggiata con atti palesi dalla precedente amministrazione Trump (uno su tanti: lo spostamento a Gerusalemme dell'Ambasciata Usa).
Diviene allora fondamentale riflettere su quali siano i "pilastri" che sostengono l'Amministrazione Biden negli Usa. L'identificazione dei gruppi in grado di esercitare egemonia economica e politica puà informare sul contenuto e sulle azioni della potenza egemone, nei confronti degli stati e dei popoli nel suo mirino.
Quali fossero i "pilastri della società", se lo chiedeva anche George Grosz, nella sua famosa ed omonima opera. Con la straordinaria capacità di sintesi simbolica dell'arte, Grosz dava una risposta fondamentalmente materialista. Come figure di un incubo, l'artista raffigurava due politici borghesi, un giornalista, un prete e dei soldati, i cui volti hanno in comune un ghigno mostruoso. Dal cervello del militante con la svastica sulla cravatta fuoriescono idee di guerra, propagate con l'egemonia volkischer raffigurata dal boccale di birra, e con la violenza della spada. Particolarmente godibile la coppia giornalista/politico prussiano, legati da un associazione contenente-contenuto: il giornalista ha sul capo un cappello -pitale, mentre il cervello del politico è occupato dagli escrementi. Sullo sfondo, "il prete ha il volto e gli occhi chiusi dell' ubriacone, stordito per estraniarsi dalle contraddizioni, sembra anelare felice la fuga dalla realtà. I soldati eseguono la tragedia della guerra portando morte e distruzione nella società civile, simboleggiata dal palazzo già in fiamme" (3).
Va premesso che - almeno ad opinione di chi scrive- nei sistemi e nei blocchi oggi economicamente dominanti, l'ideologia dei vari sistemi, sia per gli USA sia per i suoi concorrenti, svolge il ruolo di falsa coscienza, e di cortina fumogena, ostacolando l'identificazione dei soggetti e il loro reale funzionamento.
Ciò comporta una riflessione sulla relazione intercorrente tra i vari soggetti, anche a livello globale. Non può darsi una corretta riflessione sui pilastri della società USA, senza una riflessione su alcune caratteristiche strutturali e sovrastrutturali delle relazioni interimperialistiche moderne.
Al di là delle varie teorie sulla struttura e sull'essenza dell'imperialismo, possono darsi per assodate, e comuni ai più avvicinabili approcci, alcune generalizzazioni empiriche sulle caratteristiche oggettive del fenomeno dell'imperialismo moderno.
La prima consiste nel fatto che, accanto al dominio delle singole potenze imperialiste su altre nazioni, vi sono anche relazioni imperialiste tra "blocchi di nazioni". All'interno di tali relazioni, il singolo blocco imperialista si appropria sistematicamente del valore prodotto dal blocco di nazioni dominato. Ciò rappresenta il funzionamento dei rapporti economici e viene reso possibile da due fondamentali fattori:
le condizioni della struttura economica dei paesi dominanti e dominati,
le condizioni non economiche, o meglio sovrastrutturali, configurate nelle conseguenti istituzioni politiche, giuridiche, culturali e dalle condizioni militari.
Queste "condizioni" delle società non sono solo interne ai singoli paesi dominanti e dominati. Nell'imperialismo moderno, più che nel passato, sono presenti e influenti - con altalenante importanza e valore - sovrastrutture di dimensione transnazionale. Si manifestano in forma di Organizzazioni Internazionali, in grado di influire e condizionare i rapporti economici internazionali e le cosiddette Catene Globali del Valore (GVC), nella direzione determinata dalla egemonia del Paese o del Blocco che le ha costruite a tale scopo.
Senza dubbio, il preminente blocco economico occidentale ha costruito organismi che regolano il credito finanziario internazionale (FMI, WB), organismi che regolano il commercio internazionale e lo scambio di risorse (WTO), organismi di controllo ed uso della forza militare (NATO) e organismi che regolano le contraddizioni politiche tra gli Stati (e tra i blocchi) spesso a vantaggio delle forze e dei blocchi egemoni (ONU, con particolare riferimento alla composizione del Consiglio di Sicurezza).
Sovrastrutture diverse sono però emerse in concomitanza con la fase di risacca dell'egemonia mondiale dei vari blocchi, e dell'emergere di blocchi concorrenti. Nell'epoca aurea di maggior successo del neoliberismo, i trattati globali come il WTO e la WB potevano, con approssimazione accettabile, dirsi vertici quasi globali. Le fabbriche del mondo create da quel tipo di neoliberismo, a proprio vantaggio, per usarle come arma economica contro altri blocchi concorrenti, hanno però dato vita a concorrenti nuovi nel dominio globale. Ciò determina una intensificazione delle contraddizioni interimperialiste, una contesa dell'egemonia, una perdita di potere del vertice, e l'emergere dei cosiddetti trattati di partenariato su scala regionale, sovrastrutture che riflettono questo cambiamento di rapporti fondamentali. (4)
Si può, in via generale, accettare un'altra generalizzazione empirica sull'imperialismo moderno: il sistema di egemonia informa non solo le relazioni tra i blocchi, ma le relazioni interne ai blocchi. All'interno di un blocco vi sono i/il Paesi/e Egemoni/e, i quali si appropriano, sia del valore dei blocchi dominati su scala transnazionale, sia del valore prodotto o appropriato dalle altre potenze imperialiste all'interno del blocco, ma soggette alla sua egemonia. I paesi egemoni sono altresì in grado di imporre alle altre potenze imperialiste del proprio blocco le condizioni per la riproduzione della loro subordinata egemonia, attraverso la preponderanza politica, la superiorità militare ed il potere ideologico. Tutto ciò ovviamente coesiste con l'importanza residua degli stati nazionali, che rimane ancora grande, e col fatto che ogni stato nazionale abbia proprie particolari relazioni interimperialiste, accanto ai blocchi.
Per ciò che interessa la nostra analisi, gli Stati Uniti si pongono come potenza egemone all'interno del blocco imperialista occidentale.
Al loro interno, tale nazione appare costantemente informata da un tipo di capitalismo che alcuni definiscono con infelice espressione neoliberista, altri ancora liberal-meritocratico. Chi scrive, è lontano dall'accettazione del termine neoliberista, in voga soprattutto nelle sinistre ed incline a dipingere una forma buona di convivenza del capitalismo- Per quanto riguarda il termine liberal-meritocratico, essa è in realtà volta a descrivere caratteristiche peculiari di un tipo di capitalismo, per differenziarle da altre forme di capitalismo politico o socialdemocratico, senza alcun obiettivo di giustificazione o valutazione. Anche il termine "meritocratico", senza nessuna volontà di dipingere in modo positivo il concetto di meritocrazia, semplicemente vuole sottolineare che nel sistema sociale si ottengono risultati e successi nella misura in cui si riesce a valorizzare il capitale. In questo senso, il concetto di meritocrazia è il velo pudico attraverso il quale si giustificano, fittiziamente, le diseguaglianze prodotte dai rapporti economici della società di mercato. Branko Milanovic, nell'opera Capitalismo contro Capitalismo osserva che nel capitalismo da lui definito liberal meritocratico, nelle classi dirigenti, si combinano i più alti redditi da lavoro, associati ai più alti redditi da capitale, nelle mani di sempre meno persone. Statistiche alla mano, osserva come tali classi dirigenti tendano a sposarsi, creare una famiglia e riprodursi, sempre con analoghi soggetti abbienti, riproducendo ed amplificando nel tempo la diseguaglianza e la povertà dei ceti inferiori.(5) In questo senso, la cosiddetta meritocrazia diviene termine in parte sovrapponibile e comunque collegato al concetto di plutocrazia. L'acquisizione del potere politico segue questo schema e necessita sempre di ingenti somme di denaro.
Proprio a questo proposito, tornando agli USA, il funzionamento del sistema politico è un esempio preclaro del detto: "follow the money". Per l'elezione dei senatori e dei membri della camera dei rappresentanti, in media sarebbero necessari almeno 100 milioni di dollari a testa, che salgono vertiginosamente per l'elezione alla massima carica presidenziale, ma rimangono elevati anche per le elezioni dei governatori e delle assemblee interne degli stati, nonché per le città importanti. Il denaro giunge alla politica attraverso due principali canali: o direttamente da individui ricchi vicini ai principali partiti, o attraverso i cosiddetti "gruppi di interesse", o lobbies, che hanno qualcosa da guadagnare dall'elezione di un particolare uomo politico o di una particolare amministrazione.
La gran parte degli analisti tradizionali di politica americana considera fondamentali e predominanti nel gioco politico 5 principali lobbies:
Industria pesante ed armamenti: coordina la propria attività direttamente col Pentagono
Industria petrolifera, collegata al settore bancario internazionale
Agricoltura e chimica
National Rifle Association, potente lobby dell'industria di armi leggere
La lobby cosiddettaq sionista od ebraica.
Alcuni analisti aggiungono alle suddette anche la lobby delle banche americane, ma ricordano che, avendo questa lobby un diretto coordinamento e un legame continuo con la Federal Reserve, non necessita di una attività lobbistica giornaliera. Tale importante pilastro lavora sull'economia tramite la Federal Reserve, da un lato, e tramite la pressione bancaria su Wall Street, dall'altro.
L'attuale profilo dei fundraisers pubblicati da Joe Biden mette quantomeno in subbuglio tale divisione. Un ruolo rilevante nella campagna del Presidente lo hanno giocato le Big Data/web Corporations.
Google, tramite Alphabet, ha finanziato la campagna del 2020 con 21 milioni di dollari complessivi (6), l'80 per cento dei quali è andato a candidati democratici. Biden ha ricevuto 4,3 milioni di dollari (7).
Microsoft ha impegnato 17 milioni di dollari, la maggiorparte dei quali per candidati democratici e ha finanziato Biden con 2,3 milioni di dollari. Bezos di Amazon ne ha destinati 2,2. 1,7 milioni ha stanziato Apple e 1,5 milioni Zuckerberg. Pochi, a confronto, i soldi arrivati da Twitter (solo 200mila dollari arrivati attraverso un fondo dei dipendenti della web company), nonostante la mediatizzata querelle sull'espulsione di Trump dal social media, sempre secondo i dati reperiti sul sito opensecrets.org. (8)
Recenti analisi in campo borghese (9) compiono interessanti osservazioni sul funzionamento della lobby ebraico-sionista, spesso amplificato dal mondo dei media o da analisti di propaganda. Si parte dalla consistenza numerica degli ebrei americani, meno di 5 milioni su 263 milioni di americani, per sostenere che il voto ebraico a livello nazionale non ha la forza sufficiente a decidere i risultati delle elezioni nazionali, ma al limite quelle di alcune città, come New York e Los Angeles. Tuttavia, al di là del dato sulla pressione elettorale, ciò che diviene rilevante è il funzionamento integrato della lobby ebraica e sionista, basato anche qui su interessi incrociati di tipo economico. Invero, circa 16 miliardi di dollari sono stanziati ogni anno dall'amministrazione federale e dagli enti collegati al Governo in favore dello Stato di Israele. L'integrazione degli interessi si comprende molto bene allorquando già 3,1 miliardi riguardano spese militari che ritornano direttamente nei forzieri di imprese della lobby dell'industria pesante e degli armamenti, per lo più Lockeed, Boeing, Northrop Grumman, General Dynamics, Ametek, UTC Aerospace e Raytheon. Altri 1,2 miliardi sono concessi allo Stato della stella a sei punte per programmi di sviluppo che coinvogono anche qui imprese americane.
Secondo un report di Pressenza, nel quadro dell'accordo di assistenza per la sicurezza 2019-2028, gli Stati Uniti hanno accettato, con riserva di approvazione del Congresso, di versare ad Israele 3,8 miliardi di dollari all'anno come finanziamento militare estero, di cui la maggior parte deve essere spesa in armi di fabbricazione americana. Secondo la NBC [National Broadcasting Company, azienda radiotelevisiva statunitense, ndtr.], ciò rappresenta circa il 20% del budget israeliano destinato alla difesa e quasi i tre quinti del finanziamento militare estero degli Stati Uniti nel mondo. Vi sono poi singoli programmi supplementari, come quello corposo del 2011, dove gli Usa hanno versato 1,6 miliardi di dollari supplementari per il sistema antimissile israeliano Iron Dome, parti del quale sono fabbricate direttamente in USA.
Vi sono poi le somme erogate in modo coperto. Sempre nell'analisi di cui in nota (9) si stima che una cifra tra i quattro e i cinque miliardi di dollari sia fornita dalle agenzie di spionaggio ed intelliìgence americane, per operazioni di destabilizzazione in Africa, America Latina e terzo mondo. Per tali operazioni coperte si ritiene che Israele abbia offerto la propria consulenza sul riciclaggio delle somma (Panama di Noriega) o per lo spionaggio di comunità e villaggi (Africa e India) (10)
Insomma un immenso intreccio di cospicui interessi economici che lega le lobby dell'industria pesante e degli armamenti, le lobby delle global data corporation, la lobby sionista - ebraica. Questo porta alla considerazione che laddove esiste una lobby ebraica che agisce, non può che essere sionista, e condividere ogni obiettivo collegato all'imperialismo americano, compresa la pressione che gli USA esercitano sul Sudamerica e su Cuba.
Ciò è stato patentemente dimostrato dalla recente votazione all'ONU sulla risoluzione per la rimozione del blocco economico all'Isola: l'unico paese che ha votato contro insieme agli Stati Uniti è stato appunto Israele. Persino i governi in gran parte fortemente teleguidati dagli USA (Colombia e Ucraina) hanno messo in campo un'astensione, a fianco del governo di estrema destra del brasiliano Bolsonaro.
A proposito del blocco nei confronti di Cuba, non appare peregrino formulare una considerazione ipotetica che collega la gran parte dei "pilastri" della società USA. La rimozione del blocco all'economia cubana spaventa il mondo economico americano perché potrebbe rendere Cuba una terra di conquista di concorrenti economici globali. Potrebbe essere assurdo, perchè il mantenimento del blocco potrebbe spingere già da ora i concorrenti economici di altri blocchi ad entrare in collaborazione con l'isola, indebolendo il blocco. Tuttavia, i collegamenti economici globali sono ancora molto forti. Un grosso concorrente economico vende i suoi prodotti anche nei paesi controllati dal blocco USA. Un manufatto prodotto a Cuba incontrerebbe, col blocco, difficoltà enormi, restrizioni di mercato, aumenti dei costi e quindi della competitività, soprattutto nel campo dei prodotti a prezzo contenuto.
Sciolto il bloqueo, l'entrata di Cuba in uno scenario di rapporti economici più liberi, porterebbe i peggiori nemici commerciali alle porte degli States, e soprattutto in una posizione d'oro per l'egemonia politica e commerciale nel Sudamerica.
Gli stessi analisti occidentali individuano con precisione questo recente teatro di scontro economico. L'interesse della Cina per l'America Latina è volto alle materie prime industriali, energetiche e agricole: dal rame e minerale di ferro alla soia. La Cina è il principale partner commerciale di Brasile, Cile, Peru e Uruguay ed è il secondo più importante per molti altri Paesi del Sudamerica. La gran parte degli investimenti cinesi e dei mutui di denaro nella regione sono diretti alla produzione ed esportazione di materie prime verso il Paese asiatico. Gli investimenti cinesi dal 2005 al 2019 contano 130 miliardi di dollari, di cui 60 in Brasile e quasi 27 in Peru. I progetti energetici hanno rappresentato il 56% di tutti gli investimenti e quelli nel settore minerario il 28%. CDB e China Ex-Im Bank sono i maggiori prestatori di denaro. Dal 2005 al 2020 l'ammontare dei mutui è stato di 137 miliardi di dollari. Diciannove Paesi del Sudamerica partecipano alla Belt and Road Initiative. Accanto agli interessi economici, resta l'interesse cinese ad isolare Taiwan nell'importante teatro sudamericano. Solo quindici Paesi nel mondo hanno relazioni diplomatiche con Taiwan, nove di questi sono in Sudamerica. Nel 2017-2018, la Cina è riuscita a convincere Panama, Repubblica Dominicana ed El Salvador a interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan per stabilirle con la Cina. In questi tre Paesi la presenza cinese è aumentata in modo considerevole soprattutto nei settori costruzioni, telecomunicazioni, elettrico e bancario. Gli USA hanno iniziato a contrastare questi sforzi per isolare Taiwan, nel quadro della più generale preoccupazione per le sorti della nazione asiatica, ma soprattutto nell'ottica della loro politica di accerchiamento della Cina (Pivot to Asia).
In sostanza, i principali pilastri della società americana sono i principali sostenitori, come nel quadro di Grosz, della politica estera militare e commerciale del blocco USA, anche quando tale politica ostacola indirettamente gli interessi economici di alcuni paesi all'interno del blocco (11).
Qualcuno ha concluso che non c'è nessun interesse degli USA che le sue lobby non desiderino. Materialmente osserverei che gli interessi degli USA sono buona parte di ciò che desiderano i pilastri della sua società.
Note:
1) Greg Godels, Ed ora la guerra fredda di Biden, 28.1.2021, Resistenze.org n. 777
2) Andrea Puccio, Embargo o blocco, non solo una questione semantica, 26.5.2020, Cubadebate.it "Il blocco invero è attuato attraverso l'isolamento totale di un paese allo scopo di asfissiare la sua economia. L'embargo è una misura che viene presa per far rispettare una obbligazione contratta fra due contraenti e non rispettata. Secondo il diritto internazionale il blocco può essere promosso da una nazione verso un'altra in caso di guerra; non esiste il blocco pacifico. Cuba non è certo in guerra con gli Stati Uniti e tanto meno ne minaccia gli interessi. È per questo che si può parlare di un provvedimento illegale e illegittimo. Il blocco può essere quindi considerato una dichiarazione di guerra, è per questo che il governo statunitense continua a chiamarlo embargo, anche se di fatto sta portando avanti una guerra non dichiarata verso Cuba dal 1959. (http://it.cubadebate.cu/notizie/2020/05/26/embargo-o-blocco-non-solo-una-questione-semantica/ )
3) Nell'immagine, George Grosz, I Pilastri della Società, 1926, Neuenationalgalerie, Berlin.
4) Molti analisti fedeli all'impostazione leniniana dell'imperialismo sembrano convergere su questo punto di fondo. Alcuni si soffermano, come i comunisti greci e spagnoli, sull'emergere delle nuove rivalità economiche: l'economia mondiale è caratterizzata da pochi monopoli e da un processo di concentrazione e centralizzazione del capitale. Le economie dei differenti paesi continuano ad avere una forte interdipendenza, ma si intensificano contraddizioni in un pianeta territorialmente ripartito in zone di influenza in disputa, in cui emergono paesi come Cina, Brasile, Russia, India e Sud Africa quale minaccia della leadership mondiale degli USA, logorati dalla crisi di sovrapproduzione. In particolare, l'intensificazione delle contraddizioni si sviluppano tra USA e Cina. Tuttavia, soprattutto i comunisti greci insistono sulla continua importanza delle borghesie "nazionali". "Di conseguenza, le condizioni per la riproduzione allargata del capitale dei gruppi monopolistici, delle società per azioni, continuano a formarsi in modo sostanziale nel quadro dello stato-nazione e nelle varie alleanze interstatali capitaliste a cui partecipano. Questo vale e determina le forme di tassazione, le condizioni di prestito, i livelli salariali, la protezione tariffaria, i sussidi statali per le esportazioni, le sovvenzioni statali e le agevolazioni alle imprese. Allo stesso tempo, ogni stato-nazione borghese utilizza la sua forza economica, politica e militare per sostenere i suoi gruppi monopolistici nazionali nella competizione a livello internazionale. A prescindere dalla potenziale composizione dell'azionariato multinazionale, ogni gruppo monopolistico ha legami e riferimenti verso uno specifico stato borghese e le relative alleanze imperialiste. In ultima analisi, ogni società per azioni ha come base l'economia capitalista di uno specifico stato, ed è su questo terreno oggettivo che acquisisce la capacità di esportare una parte del suo capitale. Lo Stato borghese nazionale rimane quindi l'organo di base per la salvaguardia del predominio economico dei monopoli, la concentrazione e centralizzazione del capitale in concorrenza con processi simili in altri stati." Partito Comunista di Grecia, Perché si dice che alla base dell'economia vi è lo stato-nazione?, Rizospastis, 9.2.2017, XX Congresso del Partito, tradotto su Resistenze.org n. 624 https://www.resistenze.org/sito/te/pe/dt/pedthc13-018976.htm. Ma vedi anche recentemente Nuevo Rumbo, redazione, Congresso del centenario: dibattito sul carattere della nostra epoca e l'imperialismo contemporaneo, Resistenze.org n. 791, https://www.resistenze.org/sito/te/pe/dt/pedtle28-024017.htm. I com unisti transalpini sembrano invece rimarcare la contraddizione interimperialista USA-UE/Russia, nel campo delle produzioni di energia a basso costo (Partito Comunista Rivoluzionario di Francia (PCRF), Russia contro USA/UE: contraddizioni interimperialiste e minaccia di guerra sullo sfondo della crisi economica e sanitaria!, in resistenze.org n. 791, https://www.resistenze.org/sito/os/dg/osdglf01-024036.htm, forse, a parere di chi scrive, sottovalutando l'aspetto che tale relazione produttiva potrebbe anche essere generatrice di avvicinamento, più che di contraddizione, tra questi due blocchi, in vista della preminente sfida della Cina ad entrambi.
5) Branko Milanovic, Capitalismo contro Capitalismo, cap. 2 Il capitalismo liberal meritocratico, Persino autori come John Goldthorpe e Michelle Jackson in un saggio del 2008 pubblicato da Stato e Mercato mettono a nudo la grande contraddizione della meritocrazia: da un lato vorrebbe essere una giustificazione etica delle disuguaglianze nella società di mercato, ma al tempo stesso, per realizzare lo sbandierato concetto di potere e ricchezza al merito, dovrebbe postulare uno Stato fortissimo, capace di contrastare alla radice le condizioni di maggior favore dovute alla nascita e al censo, Stato che la liberaldemocrazia non digerirà mai impegnato su questo settore.
9) Come funziona la lobby sionista negli Stati Uniti, Limes on line, già pubblicato in Israele terra e Pace, n. 4, 1995.
10) Quali sono i Paesi e le imprese che vendono armi a Israele?, redazione Pressenza, 2.6.2021, https://www.pressenza.com/it/2021/06/quali-sono-i-paesi-e-le-imprese-che-vendono-armi-a-israele/ : ""Israele dispone di un'industria degli armamenti molto avanzata, potenzialmente in grado di sostenere bombardamenti almeno per un breve periodo", spiega Andrew Smith di CAAT a Middle East Eye. "Tuttavia i suoi principali aerei da combattimento provengono dagli Stati Uniti", precisa riferendosi agli aerei da combattimento F-16 americani che continuano a colpire la Striscia di Gaza. "Anche se Israele è in grado di costruirli sul proprio territorio, sarebbe sicuramente necessario molto tempo prima di poterli assemblare. Per quanto riguarda le munizioni, molte vengono importate, ma io penso che potrebbero essere prodotte in Israele. Evidentemente in questo ipotetico scenario la transizione verso una produzione nazionale di armi prenderebbe del tempo e costerebbe cara. Tuttavia le vendite di armi non dovrebbero essere analizzate separatamente. Si basano su un forte sostegno politico", aggiunge Andrew Smith. "Il sostegno degli Stati Uniti, in particolare, è prezioso per mantenere l'occupazione e legittimare campagne di bombardamento come quella a cui stiamo assistendo."
11) Si pensi ai contrapposti interessi economici di Germania e Usa nel campo dell'energia ed a proposito del gasdotto Nord Stream 2. A marzo di quest'anno, diviene evidente che Nord Stream 2 è uno dei primi obiettivi della nuova amministrazione Biden. Il 20 marzo di quest'anno, il segretario di Stato Usa, Tony Blinken, ha dichiarato che "ogni azienda che sia coinvolta in Nord Stream 2 rischia sanzioni americane ed è invitata a mettere immediatamente fine ai lavori". Nord Stream 2, ha affermato ancora il nuovo capo della politica estera Usa, rappresenta "un cattivo accordo, per la Germania, per l'Ucraina e per tutti i nostri partner in Europa centrale ed in Europa orientale". Ovvero: "Si tratta di un progetto geopolitico russo, destinato a spaccare l'Europa e a indebolire la sicurezza energetica" del Vecchio Continente. (Roberto Brunelli, La sfida Usa-Germania-Russia sul gasdotto Nord Stream 2, in AGI Agenzia Italia, 21 marzo 2021, https://www.agi.it/estero/news/2021-03-21/nord-stream-sfida-usa-germania-e-russia-sul-gasdotto-11867056/ ) Tuttavia, a Berlino prevale il convincimento che Nord Stream 2 non si fermerà. "Le minacce e le sanzioni degli Usa finora hanno avuto un solo risultato: quello di danneggiare le relazioni con la Germania", scrive contemporaneamente l'autorevole quotidiano economico Handelsblatt, "la domanda non è se i lavori per il gasdotto saranno ultimati, ma quando. A detta degli esperti, la data più probabile cade in settembre". Ossia: le misure punitive partite dall'America rappresentano "una notevole escalation" del braccio di ferro intorno al destino della pipeline, "ma finanche nella valutazione degli stessi americani avranno uno scarso effetto", spiega ancora il giornale.
I lavori del gasdotto sono quasi terminati. Poco sarebbe cambiato da questo punto di vista nel passaggio da Donald Trump a Joe Biden: quest'ultimo ha criticato il progetto in varie occasioni, è nota la contrarietà della Francia, imitata da diversi altri Paesi dell'Ue. Gli Americani minacciano ulteriori sanzioni verso coloro che partecipano alla posa delle tubature che si estenderanno per circa 1200 chilometri, oltre a quelle già emesse nei confronti della nave 'Fortuna' e dell'armatore che ne proprietario, l'azienda russa Kvt-Rus, determinando peraltro il ritiro dal progetto di altre impreso, tra cui il colosso assicurativo Axa. In Gennaio, il segretario di Stato francese per gli affari europei, Clement Beaune, ha chiesto "l'abbandono" di Nord Stream 2 dinnanzi alla mano pesante usata dalle autorità russe nei confronti dei sostenitori di Aleksej Navalny, principale voce critica nei confronti di Putin, dichiarazione significativa, se si considera che tra i finanziatori del progetto figura anche il colosso energetico francese Engie. Nord Stream è divenuto crocevia di contrasti geopolitici nel blocco.
Per la Germania, Nord stream 2 è tutt'altro che un cattivo affare, ma soprattutto una necessità energetica, dato l'abbandono del progetto nucleare, opzione che invece la Francia continua ad avere, e gli obiettivi in tema di decarbonizzazione, dato il peso che il carbone esercita ancora sulla produzione di energia tedesca. Per questo Angela Merkel continua a tenere duro sulla necessità di concludere la pipeline, guarda caso attaccata dal nuovo soggetto politico che viene a trovarsi favorito dagli interessi americani, Annalena Barebock, leader dei Grünen la quale ha dichiarato che "Questa impresa è sbagliata dall'inizio alla fine, … Non si tratta di mettere in campo una moratoria, bensì di bloccare completamente il cantiere di Nord Stream 2… Il progetto "rende inutili le sanzioni contro la Russia e contravviene gli obiettivi climatici dell'Europa". Su posizioni non dissimili i liberali dell'Fpd e persino diversi esponenti di spicco della stessa Cdu. Al di là di tali posizioni, e su una posizione contrapposta, vi sono gli interessi immediati dell'economia tedesca, soprattutto a seguito del fallimento dell'Energiewende. La stessa Agenzia Federale della Rete Elettrica, nel suo piano di sviluppo 2021-2035, ha detto chiaro e tondo che alla Germania mancheranno fino a 36 GW di potenza installata, considerando anche il previsto aumento dei consumi dovuto all'elettrificazione dei trasporti e dei riscaldamenti, e ha aggiunto che questa energia andrà necessariamente importata dai paesi confinanti (https://www.netzentwicklungsplan.de/.../netzentwicklungsp...). 36 GW corrispondono a più della metà della potenza nucleare civile installata francese. La Germania di fatto sta al momento sta facendo pressione sulla Commissione Europea affinché il gas venga classificato come "tecnologia sostenibile" e incluso nella tassonomia di progetti finanziabili con i green bond europei.
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