www.resistenze.org - osservatorio - genere resistente - 01-05-20 - n. 748

A.Kollontaj: Il lavoro delle donne durante la guerra

Alexandra Kollontaj | marxists.org 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

1921

Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna (*)

IX conferenza

Oggi analizzeremo il lavoro delle donne durante la dittatura del proletariato. Possiamo, grazie alla visibile esperienza della Grande Rivoluzione russa, convincerci che ogni passo verso il comunismo avvicina effettivamente le donne alla loro totale e universale liberazione. Ma prima di affrontare la situazione delle donne nella repubblica proletaria dei soviet, dobbiamo ancora analizzare brevemente il periodo della Grande Guerra mondiale imperialista, un periodo che ha preparato il terreno alla dittatura del proletariato.

La guerra del 14/18 era stata fino a quel momento la guerra più sanguinosa nella storia dell'umanità. Vi parteciparono i maggiori Stati d'Europa e d'America. La società borghese capitalista venne scossa nelle sue fondamenta e la produzione capitalistica completamente destabilizzata. Milioni di lavoratori furono strappati dai loro luoghi di lavoro e gettati nei campi di battaglia. Ciò nonostante non doveva in alcun modo avvenire una limitazione della produzione. Al contrario.

Il carattere della produzione si modificò notevolmente. Al posto dei beni di consumo ordinari, l'industria si mise a produrre macchine da guerra e di morte. Ogni paese aveva bisogno, per vincere, di un'industria di armamenti in espansione che garantisse la produzione di esplosivi, di cannoni eccetera. L'esito della guerra sarebbe potuto essere favorevole solo se vi fosse stato un legame organico continuo tra fronte e retroguardia. Questo perchè il destino degli eserciti non si decideva solo sul campo di battaglia. La corsa agli armamenti tra i vari paesi era almeno altrettanto importante. L'ampliamento della produzione presupponeva un potenziale sufficientemente ampio in termini di forza lavoro. Poiché l'industria bellica era un ramo della produzione della grande industria capitalista, essa impiegava anche manodopera non qualificata. Così dopo la mobilitazione generale, le donne, le figlie, le sorelle e le madri dei soldati occuparono i posti rimasti vacanti nelle officine. Abbandonate da coloro che "sostenevano economicamente la famiglia", le donne si affrettarono a provvedere al proprio mantenimento. I padroni accolsero a braccia aperte questa manodopera a buon mercato, da un lato perché le donne sostituivano perfettamente gli uomini che erano in fondo alle trincee, dall'altro perché aumentavano i profitti. In questo periodo, tra la dichiarazione di guerra e la smobilitazione, registriamo un aumento costante del lavoro femminile. Lo stesso vale per i paesi neutrali per i quali la Prima Guerra mondiale è stata un ottimo affare. Per questo motivo essi integrarono naturalmente tutta la forza lavoro disponibile, uomini e donne, nella produzione.

La situazione della donna nella società si modificò in modo prodigioso. La società borghese, che fino ad allora aveva insistito sul fatto che le donne occupassero il loro giusto posto in casa, esaltava adesso il «patriottismo» delle donne pronte a diventare «soldati nelle retrovie» e a svolgere un lavoro nell'interesse dell'economia e dello Stato. E intellettuali, politici e abili giornalisti fecero coro unanime con i membri della classe dominante per chiedere alla donna di "compiere i suoi doveri civici" e raccomandarle di non indugiare troppo "in cucina" o "con i figli", in quanto era meglio per lei servire la patria, il che significava chiaramente che era meglio per lei vendere al ribasso la propria forza lavoro ai trust delle armi. Il lavoro delle donne si è imposto in tutti i settori dell'industria. Era soprattutto il più diffuso nell'industria metallurgica, nella produzione di esplosivi, uniformi e conserve alimentari, prodotte direttamente per il fronte. Ma anche altri ambiti furono invasi dalle donne, settori che fino ad allora erano stati loro completamente vietati. Basti ricordare come, durante la guerra, le vediamo comparire nei ruoli di conducenti di tram e di treni, nonché autisti di taxi, facchini, guardiani, scaricatori e camionisti femminili. Molte donne lavoravano nelle miniere o nei cantieri edili e svolgevano lavori faticosi e dannosi per l'organismo femminile. Il numero delle impiegate nei servizi pubblici, come ad esempio le poste, si moltiplicò all'infinito. Le donne svolgevano i loro compiti con tutta la coscienza e la serietà dei neofiti, ossia il meglio possibile. Tra il 1914 e il 1918 il lavoro delle donne aumentò tra il 70 e il 400 per cento nei vari settori. Nell'industria metallurgica tedesca tale percentuale è stata addirittura del 408%. In Francia il numero delle donne in questi ambiti è raddoppiato. In Russia, spesso, le donne rappresentavano la maggior parte della forza lavoro di molte professioni. Anche nelle compagnie ferroviarie russe, dove le donne erano tollerate prima della guerra solo come operatrici di pulizia o casellanti il numero delle donne raggiunse il 35% del personale. Anche in Francia milioni di donne dovevano lavorare nella produzione. In Inghilterra il numero delle operaie aumentò di un milione e mezzo e in Germania di due milioni. Nel complesso, il numero delle donne che lavoravano in Europa e in America aumentò di circa dieci milioni.

Le cause di questo sviluppo sono evidenti: da un lato, la mancanza di manodopera e dall'altro il basso prezzo di questa. L'incremento artificiale dei beni di consumo e la partecipazione degli uomini alla guerra hanno fatto precipitare le donne nel mercato del lavoro. Lo stipendio del marito non era più sufficiente per il mantenimento della famiglia. Non solo le donne sole - vedove di guerra, mogli di soldati richiamati e donne nubili, ma anche donne i cui uomini non erano ancora partiti in guerra - dovevano cercare un lavoro di complemento, dato che il denaro della famiglia non bastava a coprire i bisogni. Ora, in tutti i paesi e in tutti i settori dell'industria, i salari delle donne erano inferiori a quelli degli uomini. In generale, i salari delle donne nei quattro anni di guerra possono essere stimati a un terzo o a metà dei salari degli uomini. La miseria nera ha fatto precipitare le donne nelle fabbriche, nei laboratori, negli uffici e nei trasporti pubblici. Per aumentare i profitti i padroni non avevano scrupoli a sfruttare le lavoratrici. Il "sacro dovere della donna", la maternità e altre belle parole, la debolezza della donna rispetto all'uomo e quindi il fatto che fosse inammissibile che la donna lavorasse in mestieri maschili, tutto questo era stato completamente dimenticato. In ogni caso, se i padroni avessero mai avuto questo tipo di idee sulle proprietà particolari del "sesso debole", la loro rapacità e il richiamo del profitto avrebbero fatto in modo di dimenticarle presto. Ora erano fermamente decisi a trarre il massimo profitto da queste rappresentanti del sesso debole.

Le donne erano meno preparate degli uomini a difendere i propri interessi di classe. Erano meno coscienti e più inesperte. Mentre i padroni si riempivano le tasche, le donne erano convinte di lavorare per la patria. I padroni sfruttavano queste illusioni senza vergogna e assegnavano alle loro operaie solo una parte di ciò che gli operai avrebbero ricevuto per lo stesso lavoro. Se un operaio, ad esempio, veniva pagato 42 marchi a settimana, all'operaia ne toccavano solo 8. Se le donne lavoravano a cottimo, raramente i loro stipendi superavano un terzo di quelli dei loro colleghi maschi. Forse le donne si applicavano meno o lavoravano meno coscienziosamente? Assolutamente no. I padroni e i loro ideologi affermavano, d'altronde, che la produttività non aveva affatto sofferto del fatto che i lavoratori erano stati sostituiti dalle operaie. La minore produttività del lavoro femminile in alcuni settori è stata in gran parte compensata da una maggiore produttività in altri. Questa realtà è stata statisticamente dimostrata. In alcuni paesi, ad esempio in Italia, i padroni amavano assumere donne non solo perché non disponevano di manodopera maschile in quantità sufficiente, ma semplicemente perché le donne avevano la reputazione di essere "più docili e più accomodanti degli uomini" e perché ritenevano che fossero particolarmente adatte per lavori che necessitavano coscienza professionale, meticolosità e tenacia. Il re del cannone in Germania, Gustav von Bohlen und Halbach, disse senza mezzi termini: il "lavoro delle donne è la melodia del futuro". In molti luoghi i padroni organizzarono officine che occupavano solo donne e in cui la fabbricazione dei prodotti richiedeva una particolare abilità. I giornali borghesi destinati ai tecnici hanno intonato innumerevoli lodi sulla forza lavoro femminile, ponendo l'accento su un aspetto in particolare, sul fatto che le donne erano più adatte all'apprendimento degli uomini. Un ingegnere di nome Stern, ad esempio, scrisse: "Le donne sono molto più obbedienti, moderate e più desiderose di apprendere che i loro colleghi maschi." La stampa borghese ha persino richiesto durante la guerra il servizio di lavoro obbligatorio, una sorta di mobilitazione organizzata dei "soldati delle retrovie" e una formazione tecnica speciale per i settori bellici. Purtroppo, i padroni non furono gli unici a fare questo discorso, anche le femministe borghesi e i patrioti lo ripresero in coro, con in testa Lily Braun che reclamava l'introduzione di un servizio patriottico di guerra per le donne. All'epoca, nelle organizzazioni femminili borghesi si affermava: "È assolutamente urgente e necessario realizzare la mobilitazione di tutta la popolazione maschile e femminile." Le donne social-patriottiche della Germania e della Francia sostenevano senza riserve i capitalisti nei loro sforzi di sfruttamento della forza lavoro femminile. Il social-patriota francese, Albert Thomas, suggerì addirittura di trarre un vantaggio maggiore da questa forza lavoro. Ed è esattamente quello che è successo in Russia e in tutti i paesi vinti dalla guerra omicida..

Il fatto che le donne siano state integrate nella vita economica non è stato di per sé dannoso, né reazionario. Al contrario, è così che sono state migliorate le condizioni per la futura liberazione della donna. Non è stato il lavoro delle donne in sé, ma lo sfruttamento di quest'ultimo ad essere dannoso. Se i padroni realizzavano profitti sui bassi salari delle donne, sapevano anche usare abilmente il loro lavoro contro le organizzazioni e il lavoro maschile meglio pagato. Inoltre, essi aumentavano ulteriormente i loro profitti sfruttando le operaie al limite delle loro possibilità. Il lavoro notturno e gli straordinari erano la regola. Quasi tutte le leggi sulla protezione del lavoro femminile furono abrogate. Senza scrupoli, i padroni imponevano alle donne i lavori più dolorosi e dannosi per la loro salute. Fu allora che venne alla luce la natura deleteria e ripugnante del capitalismo. Nella sua insaziabile ricerca del profitto, non si preoccupava nemmeno di nascondere il proprio volto dietro buone intenzioni liberali. In Inghilterra le ore di lavoro straordinario sono state rese obbligatorie per le donne. Le giornate di lavoro hanno raggiunto le 12-15 ore. Il lavoro notturno era in quel momento la regola. La borghesia cessò di essere ipocritamente indignata per le conseguenze dannose del lavoro notturno, responsabile in particolar modo della "dissoluzione dei costumi familiari". Persino le poche leggi, così difficilmente conquistate dalla classe operaia per la protezione delle lavoratrici, furono annullate.

Nel tentativo di far abrogare queste leggi, i padroni della Russia zarista si mostrarono particolarmente cinici, mentre queste leggi non riuscivano già prima a frenare l'enorme appetito di questi signori. Il Congresso del comitato di guerra si pronunciò apertamente a favore di un maggior reclutamento di manodopera femminile, questo perché veniva privilegiata la manodopera meno costosa. Questi signori Gulschkow, Konowalow e Rjabuschinskij cominciarono chiedendo per "la durata della guerra" la rapida abolizione del controllo legale del lavoro di donne e bambini. In molte fabbriche della Russia lavoravano ragazze molto giovani di 12 e 13 anni. I padroni stranieri seguirono l'esempio della Russia. L'unica differenza era che il nostro profittatore russo non si nascondeva dietro le parole e riconosceva apertamente che aveva bisogno delle lavoratrici poco costose per "abbattere il lavoro" e non perché mancava manodopera maschile.

In altri paesi, invece, i magnati dell'industria nascondevano i loro "calcoli" dietro discorsi patriottici nebulosi. Le donne dovevano, da Giovanna d'Arco in poi, salvare la patria e impegnarsi al fronte come soldati, non a cavallo e con l'arma al pugno, ma in fabbrica, dietro una macchina, mentre i profittatori si riempivano le tasche.

Il lavoro delle donne è stato quindi considerato assolutamente inevitabile ovunque. Mentre erano nuove nel mercato del lavoro, le donne, durante la guerra, furono assunte in tutti i settori produttivi in cui si affermarono con decisione.

Ma, in realtà, cosa ne risultò per le stesse operaie? La loro situazione sociale era diversa? Avevano una vita migliore? Sappiamo già che il ruolo della donna nella società è determinato dal suo lavoro nella produzione.

Questa tesi è stata confermata durante la Prima guerra mondiale? Dobbiamo ricordare una volta per tutte che, sotto il dominio del capitalismo, non è il lavoro salariato che conta, ma solo il lavoro dell'"organizzatore", quindi del padrone. Ciò ci permetterà di capire che, nonostante il crescente numero di lavoratrici salariate, la situazione della donna nella società borghese non può in alcun modo migliorare. Al contrario, la situazione della donna lavoratrice durante la guerra è stata insopportabile. Gli orari di lavoro estremamente difficili e avendo cessato di essere limitati per legge, portarono ovunque a un peggioramento dello stato di salute e come è stato dimostrato statisticamente, ad un aumento della mortalità delle donne. La società borghese fu certamente preoccupata per la diffusione della tubercolosi e di tutta una serie di altre malattie, conseguenze dell'esaurimento generale, ma, eccitata dai profitti che realizzava grazie alla guerra, preferì allontanare lo sguardo da questi fatti sgradevoli qualificandoli come "inevitabili tributi di guerra". Le condizioni di vita delle operaie peggiorarono di giorno in giorno. L'intensificazione del lavoro, i ritmi infernali, le giornate interminabili e soprattutto l'inflazione permanente, abbassarono ancora il tenore di vita della classe operaia. Lo stile di vita borghese, da parte sua, non si modificò affatto. La famiglia tradizionale continuò ad esistere e le donne dovettero svolgere i compiti domestici loro assegnati come in passato. Quando finalmente, dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro, le operaie, impiegate, telefoniste o conducenti tornavano a casa, dovevano uscire immediatamente e prendere posto nelle code interminabili per comprare il cibo, la legna o il petrolio necessari per il pasto della famiglia. In ogni caso, le code davanti ai negozi erano la regola sia a Londra, che a Parigi, Berlino, Mosca o San Pietroburgo, insomma, assolutamente ovunque nel mondo. Il che costringeva le persone a lunghe e noiose ore di attesa. Molte donne si ammalarono e persero il controllo dei loro nervi. Le nevrosi e le malattie mentali si moltiplicarono, mentre l'inflazione provocava una denutrizione permanente. I neonati venivano al mondo privi di pelle, ciechi o rachitici. Morivano prima ancora di aver potuto distinguere la notte dal giorno. Le loro madri erano troppo stanche. E aggiunto a tutte queste privazioni fisiche, nascosto nell'ombra come una minaccia sorda, l'angoscia permanente per i propri cari - coniugi, figli o fratelli - partiti al fronte. E' stato uno spettacolo unico di desolazione: sangue e orrore al fronte; privazioni e lacrime in casa.

Ma cosa ha fatto la borghesia dopo aver pubblicamente espresso le sue lodi sulle "donne patriote"? La società borghese ha proposto, ad esempio, di alleviare la situazione delle lavoratrici in questi terribili anni? Dopotutto, il lavoro delle donne nelle retrovie aveva aumentato in modo decisivo le possibilità di successo della guerra. Se la borghesia avesse rifiutato di riconoscere i diritti della donna, avrebbe dovuto logicamente essere indotta almeno a proteggere le lavoratrici dal "doppio onere" che loro incombeva. Ma questo problema non è riuscito nemmeno a sfiorare le classi possidenti. Per tutta la durata della guerra, la borghesia non ha fatto praticamente nulla per alleviare la vita delle donne, né per liberarle dal peso dei loro compiti domestici. (Per i figli delle operaie l'unico aiuto si limitava alle opere private di beneficenza.) "Prima la guerra, poi faremo in modo di rimettere tutto in ordine. "

Tuttavia, il governo borghese offrì un'assistenza alle vittime di guerra, che migliorò in qualche misura le condizioni di vita delle donne dei soldati. Quindi vedove di guerra e orfani ottennero dallo Stato un aiuto regolare e godettero di alcuni diritti; per esempio, non pagavano l'affitto per la loro abitazione. Ma questa regolamentazione non interveniva tanto a favore delle donne, ma piuttosto per «sollevare il morale delle truppe». Nonostante la rendita che gli era concessa, la situazione della moglie di un soldato era ancora pessima. In Russia, questa rendita era ridicolmente bassa. Nell'aprile del 1917 - durante il governo provvisorio di Kerenski - mentre il minimo vitale era di diverse centinaia di rubli, le donne dei soldati non arrivavano a più di 79 rubli al mese.

La crescente mortalità infantile costrinse i governi inglese, francese e tedesco a concedere un certo aiuto alle madri sole. Ma questa attenzione era assolutamente insufficiente. Perché, in realtà, anche le madri di famiglia il cui marito era andato al fronte, vivevano in condizioni peggiori di un tempo. La borghesia non si occupava delle madri e dei loro figli in tenera età. Per questo motivo era altrettanto naturale che durante tutto il periodo della guerra le donne fossero particolarmente agitate. A partire dalla primavera del 1915, le lavoratrici di Berlino organizzarono una massiccia manifestazione in direzione del Reichstag, dove cospirarono Karl Liebknecht e Philipp Scheidemann. Nella maggior parte dei paesi scoppiarono violente rivolte contro la guerra e l'inflazione. A Parigi, nel 1916, le donne assaltarono i negozi e saccheggiarono i depositi di carbone. Nel giugno del 1916, l'Austria conobbe una vera e propria insurrezione di tre giorni durante la quale le donne hanno protestato contro la guerra e l'inflazione. Dopo la dichiarazione di guerra e durante la mobilitazione, le donne si sdraiarono sulle rotaie per ritardare, anche solo di poche ore, la partenza dei soldati verso l'inferno della guerra e della morte.

In Russia, nel 1915, le donne sono state le istigatrici di disordini che si sparsero come una scia di polvere da sparo da San Pietroburgo e da Mosca in tutto il paese. Nello stesso periodo in cui i padroni avidi di profitti esaltavano il "patriottismo femminile" e impiegavano le donne nelle loro fabbriche, le operaie partecipavano attivamente ai movimenti per lo sciopero. La guerra non portò alle donne che un aumento di pene e di preoccupazioni, causa della loro "agitazione" [1AK]. Il 23 febbraio 1917 (l'8 marzo del vecchio calendario), le donne proletarie, in particolare le operaie del tessile di San Pietroburgo, si fecero avanti sulla scena storica ed espressero la collera crescente della classe operaia. Questa insurrezione fu il segnale di partenza per la grande Rivoluzione russa.

Il 26 marzo 1915, a Berna (1ndt), alcune donne socialiste si incontrarono - mi riferisco qui all'internazionalismo e non al nazionalsciovinismo - al Congresso internazionale delle donne, per cercare di spiegare insieme la rivolta delle lavoratrici contro la guerra e di trovare le linee di forza per la loro lotta contro la Guerra mondiale. Fu infatti il primo congresso internazionale dall'inizio della guerra. Permise di delineare due linee principali. La frazione maggioritaria condannò effettivamente la guerra, ma per questo si separò dai social-sciovinisti. La frazione minoritaria, i nostri bolscevichi russi, chiese la condanna dei traditori alla solidarietà internazionale del proletariato e si oppose inequivocabilmente alla guerra imperialista invocando la guerra civile.

Il fatto che si sia svolto il Congresso internazionale delle donne socialiste non è stato un caso. Basti ricordare la situazione sociale sempre più insopportabile delle lavoratrici durante la guerra.

Senza dubbio il lavoro della donna aumentava continuamente durante la guerra, ma in condizioni tali che, lungi dal migliorare la situazione delle lavoratrici, esse contribuirono ancor più ad aggravarla. Solo le donne degli speculatori e dei padroni e le donne appartenenti ai ceti sociali benestanti erano le uniche a beneficiare della guerra. In definitiva, furono gli strati parassitari della società ad accontentarsi di consumare e di lapidare il reddito nazionale e non di produrre, a trarre profitto dalla guerra.

Ora, i mali e le sofferenze del popolo operaio assunsero proporzioni sconosciute; la congiuntura della guerra favorì una rapida ridistribuzione di alcuni settori dell'industria e diede origine a massicce interferenze dove la meccanizzazione della produzione era estremamente sviluppata. Questo processo facilitò l'afflusso di lavoratrici non qualificate nella produzione. Il lavoro delle donne divenne così un fattore importante per l'economia nazionale, ormai bisognava fare i conti con esso e le organizzazioni economiche (sindacati padronali e operaie) riconobbero senza riserve l'importanza della manodopera femminile. Il lavoro delle donne occupava una nuova posizione. L'antica fraseologia sui doveri della donna «come moglie e casalinga» cessò anch'essa di avere corso.

Con la smobilitazione e il passaggio a un'economia di pace, nei paesi capitalisti si manifestano evidenti tendenze a respingere le donne dalla produzione. La disoccupazione femminile conosce una recrudescenza. Il fatto è che tutti i paesi avendo partecipato alla guerra furono colpiti negli anni 1918 e 1919 da una grave crisi economica. La smobilitazione degli eserciti e la transizione dalla produzione di armamenti a una produzione di pace hanno fatalmente provocato tutti i fenomeni patologici che accompagnano un crollo economico. Questo blocco economico è stato ovviamente ulteriormente aggravato dalla rovina finanziaria delle grandi potenze, dall'indebitamento reciproco, dalla mancanza di materie prime e dalla miseria stridente della popolazione. La crisi che conobbero Inghilterra, Francia, Germania e altri paesi europei nel periodo 1918-1919 comportò un arresto della produzione in moltissimi settori industriali, la chiusura di diverse fabbriche e il licenziamento di numerosi operai.
Le donne persero in modo massiccio il loro posto di lavoro. Ma la gravità della crisi che ha colpito tutti i lavoratori non è stata da sola responsabile della crescente disoccupazione femminile. Anche nei settori industriali che continuavano a funzionare normalmente, i padroni cominciarono a respingere le donne in strada. Se prima un datore di lavoro aveva la possibilità di scegliere sul mercato del lavoro tra un rimpatriato dal fronte e un'operaia, sceglieva di preferenza quest'ultima. Può sembrare paradossale, ma alla fine gli operai erano poco cooperativi, richiedevano salari più elevati ed erano effettivamente meglio retribuiti. In altre condizioni sociali, i padroni avrebbero ovviamente privilegiato la manodopera femminile più a buon mercato, ma non dobbiamo dimenticare che la smobilitazione avvenne in un momento in cui la popolazione era di umore rivoluzionario.
Da quando la classe operaia russa ha aperto la strada alla rivoluzione d'Ottobre, regnò tra le classi lavoratrici degli altri paesi un clima di crescente tensione e opposizione. Coloro che erano tornati a casa erano nervosi ed esasperati, sapevano usare un fucile e si erano abituati a guardare la morte in faccia. Se i padroni avessero osato rifiutare il lavoro a questi uomini impazienti e amareggiati, il sistema borghese avrebbe certamente rischiato una minaccia mortale. I padroni si resero conto di questa situazione e accettarono di rinunciare ad una parte dei profitti che avevano ottenuto fino a quel momento dal lavoro più economico delle donne. Furono costretti a difendere il loro predominio di fronte alla minaccia bolscevica. Le precauzioni politiche allora prevalsero sui calcoli economici. Così in Germania, Inghilterra, Francia e Italia, le donne patriottiche, le "eroine del lavoro" e i "soldati delle retrovie" di ieri dovevano cedere il loro posto ai soldati rimpatriati di oggi.

La lenta normalizzazione della produzione e il ridimensionamento della crisi del dopo guerra ci permettono di registrare una nuova riduzione della disoccupazione femminile. Ciò non significa affatto che il problema del lavoro delle donne sia a questo punto risolto. Al contrario, data l'attuale fase di sviluppo della produzione mondiale capitalistica, caratterizzata dal processo di concentrazione nella grande industria tecnicamente altamente sviluppata, questo problema rimane invariato. Naturalmente non si tratta di una nuova retrocessione della donna tra le quattro mura della sua casa. Certo, le capacità produttive stanno registrando uno sviluppo irregolare richiesto dall'industria bellica, ma le industrie dei beni di consumo corrente hanno comunque ricominciato a funzionare negli ultimi anni. Ecco perché si assiste di nuovo a una crescente domanda di manodopera e come in passato, il capitalismo è favorevole alla manodopera a buon mercato. Il lavoro delle donne riprende quindi nelle fabbriche.

Tuttavia, lo sviluppo economico negli Stati capitalisti incontra alcune difficoltà: dall'esistenza del lavoro salariato al fatto che gran parte del plusvalore scorre come sempre nelle tasche dei padroni, all'assenza di una pianificazione economica globale (ad esempio una visione d'insieme statistica e un uso razionale di tutte le forze di lavoro disponibili), nonché della sproporzione tra produzione e consumo. Questi fattori limitano in modo insormontabile lo spiegamento delle forze produttive nel quadro del sistema capitalista.

Il sistema di produzione capitalista ha semplicemente raggiunto uno stadio in cui non è più possibile uno sviluppo illimitato delle forze produttive. Lo sviluppo per crisi dell'economia mondiale capitalista da un lato e la vittoria della Rivoluzione socialista in Russia dall'altro, hanno scosso il fondamento del sistema capitalista e l'hanno reso ancora più sensibile alle crisi. Le forze produttive nei paesi capitalisti possono svilupparsi solo in modo rigido e per scosse successive. La curva della congiuntura economica sarà sempre più accidentata. L'alternanza tipica per il capitalismo tra una congiuntura ascendente, un'economia stagnante e la crisi metterà il sistema di produzione capitalista in una situazione sempre più insostenibile. Non c'è alcuna speranza che lo sviluppo delle forze produttive sotto il capitalismo avvenga senza crisi, vale a dire che dobbiamo prepararci in futuro a terribili crisi economiche con conseguenti licenziamenti di massa dei lavoratori. A prescindere dal pericolo permanente della guerra che, finchè dura la politica imperialista, resta sempre attuale. Ma quali prospettive si aprono per il lavoro delle donne nei paesi in cui la classe operaia non è riuscita a rovesciare il sistema capitalista, nei paesi che sono costantemente soggetti a uno sviluppo irregolare e mutevole?

Un ulteriore sviluppo della congiuntura economica a livello sia locale che nazionale comporta un aumento del numero delle donne nella produzione. L'estensione del lavoro delle donne è dovuto, da un lato ai bassi salari delle donne e dall'altro alla crescente domanda di manodopera nei settori dell'industria in espansione. Ad ogni congiuntura ascendente segue inevitabilmente un periodo di stagnazione economica. Risultato: meno offerte di lavoro legali e licenziamenti. I padroni, per ragioni di ordine politico, cercheranno piuttosto di conservare la loro manodopera maschile e licenzieranno le lavoratrici, dato che, per esperienza, creano meno problemi. La relazione che ho appena descritto è nel complesso tipica del capitalismo. Nell'attuale situazione mondiale, questa dialettica (la contraddizione tra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione capitalista privata) appare in una forma particolarmente critica. Ogni nuova crisi provoca sconvolgimenti sempre più violenti nell'intera economia nazionale, assume proporzioni sempre più enormi e si estende a ceti sociali sempre più ampi. Finché il capitalismo non sarà eliminato, il problema del lavoro delle donne, che è parte integrante della problematica generale del rapporto tra lavoro e capitale, rimarrà invariato. Le lavoratrici dei paesi capitalisti non potranno contare su un miglioramento della loro situazione finché il capitale regnerà sul lavoro e la proprietà privata ostacolerà la pianificazione della produzione, del consumo e dell'esportazione. Compagni, dovete rendervi conto che il problema del lavoro delle donne non sarà risolto fintanto che sarà accompagnato dallo spettro della disoccupazione delle donne lavoratrici. Finché ciò non avverrà, un problema così complesso come la "questione delle donne" non potrà essere risolto nella sua totalità.

A dire il vero alcuni Stati borghesi sono stati costretti dalla fine della guerra a realizzare tutta una serie di riforme, anche per quanto riguarda la situazione della donna, ma questi compromessi, per i quali le suffragette del secolo scorso avevano combattuto bombe alla mano e che le femministe borghesi, nettamente più pacifiste, avevano invano difeso attraverso innumerevoli petizioni, finirono per essere strappate alla borghesia essenzialmente per due ragioni: grazie all'esempio intimidatorio della Rivoluzione russa da un lato e alla tendenza democratica ampiamente diffusa tra le masse, dall'altro. E per ridurre questa tendenza rivoluzionaria generale e dimostrare ai lavoratori che una rivoluzione sociale non era superflua, che vi erano in realtà altre possibilità per arrivare al potere, la borghesia distribuì elemosine, come la riforma elettorale (compreso il diritto di voto per le donne).

Personaggi come David George Lloyd, Hjalmar, Karl Brandling, Philipp Scheidemann e Gustav Noske "si preoccuparano della felicità e del benessere dei lavoratori" e affermarono di aver conquistato per loro non la totalità del potere politico, ma "una giusta parte" di questo.

In Inghilterra, Germania, Svezia e Austria, se le donne ottennero il diritto di voto dopo la guerra fu per ragioni politiche precise e non come ricompensa per i loro "servizi patriottici".

Ma il diritto formale non apportò alcun cambiamento alla situazione reale delle donne nella società borghese. La donna si ritrovò sempre nello stesso ruolo sociale dopo la guerra, come prima. In tutti i paesi borghesi rimane sempre la serva della famiglia e della società. La riforma della legislazione borghese a favore della donna e le poche leggi volte a parificare la situazione dei coniugi hanno apportato solo modifiche minori. In fondo, nulla è stato veramente cambiato; i vecchi rapporti e la vecchia discriminazione sono stati mantenuti nella loro essenza.

Nei paesi borghesi la questione delle donne non è certo risolta. Al contrario, essa si aggrava sempre più e ciò in funzione della situazione sociale delle donne.

Come possono le donne conciliare la loro vita professionale con quella di moglie e di casalinga?
Come potranno le donne liberarsi del fardello del lavoro domestico che consuma inutilmente la loro energia? Esse potrebbero veramente farne un uso migliore dedicandosi, ad esempio, a lavori scientifici o mettendosi al servizio di un'idea.

I problemi irrisolti - la maternità, l'aborto, la tutela della salute, l'educazione dei bambini - sono ulteriormente rafforzati dal capitalismo. Le donne non sono in grado di spezzare questo circolo vizioso. L'inviolabilità della proprietà privata, il mantenimento del nucleo familiare isolato, la sopravvivenza tenace delle abitudini individualiste, le tradizioni e l'assenza di esperienze sociali collettive hanno incrinato irrimediabilmente la "questione delle donne" all'interno del capitalismo. Persino gli uomini ben intenzionati nei loro confronti saranno impotenti nel risolvere la loro oppressione finché il potere del capitale non sarà spezzato.

Solo con l'avvento e la vittoria del proletariato questo circolo vizioso potrà essere spezzato. L'esperienza della Russia in questi ultimi quattro anni mostra a voi e al proletariato mondiale e in particolare alle donne proletarie, come uscire da questa impasse e come le donne possano liberarsi non in modo formale e superficiale, ma in modo reale e profondo.

Esamineremo come raggiungere questo obiettivo nella nostra prossima conferenza.

Note
1 AK: Solo nella Russia zarista, nel 1915, si sono registrati 156 scioperi e nel 1916 la cifra arrivò a 310.

*) Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna - 12° Conferenza, Éditions "La Brèche", 1978

1ndt: https://www.unive.it/pag/fileadmin/user_upload/dipartimenti/DSLCC/documenti/DEP/numeri/n18-19/02_18e19_-_DeLuca.pdf

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Conferenza 8 (prima parte - seconda parte)
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