a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
Dizionario
enciclopedico marxista
E' la tendenza a interpretare ogni genere di fenomeni, compresi quelli storici
e sociali, nei termini di una «meccanica», vale a dire di una logica nella
quale le corrispondenze tra due eventi tra loro connessi da rapporti di causa
ed effetto, di azione e reazione, sono considerate dirette, esclusive, senza
alcuna mediazione. In questo senso la nozione di meccanica ha ben poco a che
fare con la disciplina scientifica omonima della fisica moderna.
Quando nel marxismo si parla di interpretazione meccanicistica di un certo
fenomeno si vuol dire che questo è preso in esame come se fosse la parte di un
meccanismo, nell'accezione tecnica del termine, di cui si possiedono il disegno
e i principi di funzionamento e che, di conseguenza, muoverà inevitabilmente
quella parte nel modo e nell'ordine previsti. E' evidente che in questo senso
un'interpretazione meccanicistica è l'opposto di un'interpretazione dialettica.
Un esempio classico di meccanicismo è quello della tendenza a connettere
direttamente un'ideologia con la base economica dalla quale indubbiamente
deriva, senza tenere nel giusto conto le molteplici mediazioni che si
frappongono tra i due momenti come la qualità delle ideologie preesistenti da
cui quella considerata trae le proprie caratteristiche teoriche, il rapporto
con la collocazione dei gruppi sociali che la producono, il ruolo e gli scopi e
la natura delle istituzioni nelle quali viene elaborata, e via dicendo.
In questo caso la mancanza di mediazione, cioè di uno o più elementi
intermedi che rendono possibile o condizionano l'interazione tra i due elementi
terminali, dà l'impressione di una corrispondenza automatica, meccanica nel
senso qui specificato, che non permette l'esatta conoscenza del fenomeno con
tutte le conseguenze che ne derivano.
Indica
1'insieme delle teorie economiche che riguardarono, prevalentemente nel XVII
secolo, lo sviluppo e le caratteristiche del capitalismo commerciale o
mercantile nei secoli immediatamente precedenti (capitale commerciale).
Il mercantilismo costituisce la fase di transizione tra il pensiero economico
medievale e l'economia politica
classica e riflette sul piano ideologico i problemi concreti del periodo
storico al quale si riferisce.
I teorici del mercantilismo, come è ovvio, insistettero costantemente su tutto
ciò che era connesso con la vendita, al punto di aver ben poco interesse per la
produzione di ciò che si doveva vendere, e di confondere moneta e capitale;
la regola più generale era quella deducibile dall'equazione: moneta abbondante
= commercio florido, e la ricchezza di una nazione era calcolata sulla base del
suo patrimonio in moneta e in metalli preziosi.
Poiché era l'epoca della formazione degli Stati nazionali (Nazionalità nazione) non mancarono le
giustificazioni teoriche di tutte quelle misure (monetarie, protezionistiche,
ecc.) che rinsaldavano l'unità nazionale; si può anzi dire che la richiesta di
interventi di vario genere da parte dello Stato costituisce un tratto
essenziale dell'intero corpo delle teorie mercantilistiche.
Inuna
prima accezione, che è anche la più antica, indica il luogo nel quale si
svolgono gli scambi di merci. La storia registra
l'esistenza di mercati fin dai tempi più remoti: in ogni economia fondata sullo
scambio e sulla divisione del lavoro i mercati sono del
resto indispensabili. Mutate nel corso dei tempi le condizioni dello scambio,
il vecchio mercato è stato sostituito dalla borsa che è pur sempre un
mercato dove le merci non sono fisicamente presenti ma ugualmente vendute e acquistate,
seguendo regole particolari; la borsa valori è una borsa specializzata
in cui gli oggetti di compravendita sono titoli di Stato, titoli azionari,
moneta straniera, ecc.
Da quando Marx ne trattò in dettaglio nel libro III del Capitale (sezione
V, capitolo XXVII) si sono avuti grandi mutamenti; trent'anni dopo Engels
poteva scrivere:
«Nel 1865 la Borsa rappresentava ancora
un elemento secondario nel sistema capitalistico ... era ancora in quei
tempi un luogo dove i capitalisti si sottraevano l'uno all'altro i capitali
accumulati, ed interessava gli operai soltanto come nuova dimostrazione
dell’universale azione corruttrice dell'economia capitalistica e come conferma
delle parole di Calvino, che la predestinazione, alias il caso, decide
già in questa vita della salvezza e della dannazione della ricchezza, cioè del
piacere e della potenza e della povertà, vale a dire della privazione e della
servitù» (Studi sul Capitale, p. 114).
Lo sviluppo delle società per
azioni, l'ampliamento rapido del commercio e del credito, lo sfruttamento
delle colonie, i massicci investimenti nei trasporti, nell'agricoltura e nelle
esportazioni-importazioni, fecero in breve tempo della borsa «il rappresentante
più notevole della produzione capitalistica stessa», funzione che doveva
ulteriormente svilupparsi in seguito alla comparsa del capitalismo finanziario.
In una seconda accezione, sorta all'interno delle scienze economiche, la parola
mercato è usata per indicare in astratto la formazione del prezzo di una merce
attraverso il gioco della domanda e dell'offerta, solitamente legato alla concorrenza. Infine vi è una terza accezione,
di origine commerciale, che intende per mercato un'area geografica (per
esempio, i mercati latino-americani) nella quale sono esercitate le attività
commerciali in funzione della domanda e dell'offerta praticate sul luogo.
Una delle
principali e più evidenti caratteristiche della società capitalistica è che in
essa la produzione è in generale produzione di merci (Capitalismo). In altre
parole il rapporto più diffuso che interviene tra gli uomini è lo scambio di
merci. L'analisi del modo di produzione capitalistico, secondo Marx, deve
iniziare con l'analisi della merce:
«La ricchezza delle società nelle quali
predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una immane
raccolta di merci e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò
la nostra indagine comincia con l'analisi della merce. La merce è in primo
luogo un oggetto esterno, una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni
umani di un qualsiasi tipo» (Il Capitale, libro I,p. 68).
Questo oggetto esterno oltre ad avere determinate qualità, che possono
soddisfare i bisogni umani (Valore d'uso), per
essere merce deve avere anche un valore di
scambio. Affinché in una società possano venire prodotte cose che hanno
differenti valori d'uso, e che quindi possano «stare a confronto l'una con
l'altra come merci», è necessario che esistano lavori qualitativamente diversi,
cioè che sia sviluppata la divisione
sociale del lavoro.
«Le merci vengono al mondo in forma di
valori d'uso o corpi di merci, come ferro, tela, grano, ecc. Questa è la loro
forma naturale casalinga. Tuttavia esse sono merci soltanto perché son qualcosa
di duplice: oggetti d'uso e contemporaneamente depositari di valore.
Quindi si presentano come merci oppure posseggono la forma di merci soltanto in
quanto posseggono una duplice forma: la forma naturale e la forma
di valore» (ivi, p. 79).
Marx ha ricercato l'origine di questa duplice forma delle merci nel fatto che
il lavoro che produce merci ha anch'esso un duplice carattere: da un lato è
«dispendio di forza-lavoro umana in forma
specifica e definita dal suo scopo», cioè produce il valore d'uso delle merci,
e dall'altro è «dispendio di forza-lavoro umana in senso fisiologico», cioè
produce valore in generale, che è espresso nel valore di scambio delle merci.
Il valore e la grandezza di valore di una merce non sono qualità di un oggetto,
ma sono l'espressione della quantità di lavoro socialmente necessario per la
sua produzione. A questo proposito Marx parla di feticismo delle merci
per indicare il fatto che nella società capitalistica il rapporto tra lavoro e
valore è mistificato, nascosto dal carattere privato della proprietà dei mezzi
di produzione. Le stesse relazioni sociali tra gli uomini, gli stessi rapporti
di produzione appaiono come rapporti tra cose che hanno in se stesse un valore
di scambio; anche la forza-lavoro, nella
società capitalistica, è una merce, cioè può essere venduta e comprata.
«Quel che qui assume per gli uomini la
forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale
determinato che esiste fra gli uomini stessi. Quindi, per trovare un'analogia,
dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Quivi, i
prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria,
che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini. Così, nel
mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il
feticismo che s'appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come
merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci» (ivi, pp.
104-105).
E' il
processo attraverso il quale un valore d'uso
diventa merce; nel modo di produzione capitalistico è caratterizzato
dall'impiego di lavoro non retribuito e dalla conversione dei mezzi di
produzione in «mezzi di assorbimento di lavoro non pagato». A questo processo
non sfuggono valori d'uso particolarmente esaltati dall'ideologia borghese,
come i prodotti dal lavoro artistico e intellettuale; nel caso poi delle opere
d'arte che si presentano in forma di oggetto unico (dipinti, sculture, ecc.) si
crea un vero e proprio mercato con tutto l'insieme
delle operazioni commerciali che vi sono connesse; notava Marx che la
«produzione spirituale» più elevata «trova misericordia agli occhi del
borghese» soltanto se si presenta come un mezzoadeguato a produrre
ricchezza materiale.
Né alla mercificazione sfugge l'uomo stesso,ridotto a cosa (Reificazione); nei Manoscritti del
1844 il fenomeno è indicato come produzione di «merce umana» che porta a un
essere tanto spiritualmente che fisicamente disumanizzato e che è soggetta alle
leggi del mercato:
«La domanda di uomini regola
necessariamente la produzione di uomini, come di ogni altra merce. Se l'offerta
è assai maggiore della domanda, una parte dei lavoratori cade in mendicità o
muore di fame. L'esistenza del lavoratore è così ridotta alla condizione di
esistenza di ogni altra merce. Il lavoratore è divenuto una merce, ed è una
fortuna per lui se può offrirsi all'uomo. La domanda, da cui dipende la vita
del lavoratore, dipende dall’umore dei ricchi e dei capitalisti» (in Opere
III, pp. 255-256).
Nel Capitale il tema della mercificazione umana è ripreso in rapporto
alla vendita della forza-lavoro e alle
condizioni di sfruttamento in fabbrica.
L'insieme
degli impianti, macchine, strumenti, attrezzi che costituiscono la condizione
indispensabile per ogni genere di processo produttivo; essi rientrano tra le forze di produzione, e costituiscono,
sotto il profilo economico, il capitale fisso di un'impresa.
I mezzi di produzione sono in ogni momento storico l'espressione del livello
tecnico e delle esigenze produttive del momento stesso.
Per il
marxismo ogni formazione sociale può venire compresa nelle sue caratteristiche
essenziali solo se si analizzano i presupposti materiali su cui si sviluppa.
«Secondo la concezione materialistica,
il momento determinante della storia, in ultima istanza è la produzione e la
riproduzione della vita immediata ... la produzione di mezzi di sussistenza, di
generi per l'alimentazione, di oggetti di vestiario, di abitazione e di
strumenti necessari per queste cose» (Engels, L'origine della famiglia,
della proprietà privata e dello Stato, p. 33).
Il modo di produzione dei beni materiali, il modo con cui si ottengono i mezzi
di sussistenza necessari all'uomo per riprodurre le proprie condizioni di vita,
costituisce per il marxismo la forza principale che determina i caratteri di
una società, il suo sviluppo, le condizioni e i modi del passaggio da una
formazione economico-sociale a un'altra. Questo aspetto materiale della vita
umana è quello che ne condiziona tutti gli altri, indicando nello sviluppo
della produzione materiale la base per la trasformazione del pensiero e dei
suoi prodotti.
«Il modo di produzione della vita
materiale condiziona il processo della vita sociale, politica e spirituale. Non
è già la coscienza dell'uomo a determinare il suo essere, ma al contrario, il
suo essere sociale a determinare la sua coscienza» (Marx, Per la critica
dell'economia politica, p. 5).
Da questo punto di vista la storia dello sviluppo della società diventa la
storia dello sviluppo della produzione e in particolare la storia dei modi di
produzione, i cui cambiamenti sono condizione per il mutare del regime sociale
e delle istituzioni politiche a esso corrispondenti. Tale movimento viene
determinato dalla contraddizione fondamentale tra le forze produttive e i rapporti di produzione, che presi nel
loro complesso rapporto formano la struttura di un modo di produzione. Se lo
stato delle forze produttive indica con quali strumenti di produzione gli
uomini producono i beni materiali loro necessari, il tipo di rapporti di
produzione determina il possesso dei mezzi di produzione e in particolare il
suo carattere collettivo o privato. Sulla base di questa analisi Marx
determinò, a partire dall'esame storico del modo di produzione capitalistico (Capitalismo),
le principali forme economiche che l'avevano preceduto.
«A grandi linee, i modi di produzione
asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere definiti le epoche
progressive delle forme economiche della società. I rapporti borghesi di
produzione sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione
sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, bensì in
quello di un antagonismo che emerge dalle condizioni sociali di vita degli individui.
Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano
nello stesso tempo le premesse materiali per la soluzione di questo
antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude, dunque, la preistoria
della società umana» (ivi, p. 18).
Così Marx argomentava la necessità del passaggio dal capitalismo al
socialismo. Contro gli economisti borghesi che nel modo di produzione
capitalistico vedevano una forma non storicamente determinata e quindi valida
in generale, Marx ne ribadiva il carattere transitorio e relativo.
«L'analisi scientifica del modo di
produzione capitalistico dimostra al contrario che esso è un modo di produzione
di tipo particolare, specificamente definito dallo sviluppo storico; che, al
pari di qualsiasi altro definito modo di produzione, presuppone un certo
livello delle forze produttive sociali e delle loro forme di sviluppo, come
loro condizione storica; condizione, che è essa stessa il risultato storico ed
il prodotto di un processo precedente, e da cui il nuovo modo di produzione
prende le mosse in quanto suo fondamento dato; che i rapporti di produzione
corrispondenti a questo specifico modo di produzione, storicamente determinato
- rapporti, in cui gli uomini entrano nel loro processo di vita sociale, nella
creazione della loro vita sociale - hanno un carattere specifico, storico,
transitorio» (Il Capitale, libro III, p. 235).
E' necessario osservare a questo punto che il partire dal modo di produzione
capitalistico nelle analisi delle forme economiche precapitalistiche si motiva
con il fatto che per Marx esso si presenta come la forma di società più di ogni
altra universale, quella cioè i cui elementi costitutivi permettono di capire
al tempo stesso la struttura e i rapporti di produzione di tutte le forme
sociali precedenti, sul cui superamento e con i cui elementi il capitalismo si
è sviluppato e di cui sopravvivono in esso i residui. Il modo con cui Marx
allora presenta il susseguirsi dei modi di produzione, da quello della comunità
primitiva fino a quello capitalistico, non significa quindi né un'estensione
meccanica delle categorie proprie del capitalismo alle forme precedenti, né
tantomeno una teoria unilineare dello sviluppo storico.
La relazione tra forze produttive e rapporti di produzione non ha nulla di
schematico, bensì acquista il suo reale valore solo all'interno di un esame
preciso del passaggio da una formazione sociale a un'altra, tenendo presente il
quadro complessivo degli elementi economici, storici, culturali e geografici a
cui esso va riferito. Non si tratta quindi di generalizzazioni astratte sulla
base di categorie ritenute assolute. «Qui si tratta soltanto di grandi tratti
caratteristici generali, poiché né le epoche della geologia né quelle della
storia della società possono essere divise da linee divisorie astrattamente
rigorose». Si tratta quindi al contrario di riconoscere nel passato i tratti
caratteristici dei modi di produzione che precedono e preparano lo sviluppo del
capitalismo, usando quelle categorie fornite dall'indagine del capitale per
studiare le forme originali e particolari in cui concretamente essi si
presentano.
«Quali che siano le forme sociali della
produzione, lavoratori e mezzi di produzione restano sempre i suoi fattori. Ma
gli uni e gli altri sono tali soltanto in potenza nel loro stato di reciproca
separazione. Perché in generale si possa produrre, essi si devono unire. Il
modo particolare nel quale viene realizzata. questa unione distingue le varie
epoche economiche della struttura della società» (ivi, libro 11, p. 43).
Il primo
significato, il più diffuso del termine, si ricava da espressioni del tipo
«moneta d'oro» che indicano l'oggetto metallico usato per lo scambio di merci
diverse: una moneta d'oro per una data quantità di un qualsiasi prodotto.
Ciò indica che tale oggetto metallico ha la prerogativa dell'interscambiabilità
nel senso che ogni merce può essere acquistata per suo mezzo; vi è dunque un
criterio di confronto quantitativo che fissa l'equivalenza tra l'oggetto in
questione e gli altri prodotti.
Dal punto di vista storico, una volta manifesti i limiti del baratto e più in generale dell'uso di materiali
non frazionabili, ingombranti, deperibili, la soluzione fu trovata ricorrendo
ai metalli preziosi e semipreziosi (oro, argento, rame) che erano da tempo
utilizzati, data la loro rarità, per la produzione di ornamenti molto ambiti in
quanto segno di distinzione sociale. Nacquero cosi i lingotti di metallo puro
che ben presto portarono un marchio dello Stato a garanzia di giusto peso: la
loro diffusione nell'Asia Minore risale a oltre quaranta secoli or sono, a
circa trenta secoli nell'area della Grecia.
Molto più tardi (700 a.C.) comparvero in Lidia monete d'oro nel senso stretto
del termine: dischi metallici del peso di pochi grammi che introducevano negli
scambi a base di metalli preziosi anche i piccoli produttori, fino allora
tagliati fuori dall'uso dei lingotti e costretti al baratto, data la modesta
quantità di prodotti di cui potevano disporre. Le monete metalliche avevano
vantaggi notevoli: potevano essere coniate in dimensioni diverse, misurabili
dal loro peso, non erano deperibili, erano facilmente trasportabili.
Il problema che ora sorge è quello del criterio in base al quale fu stabilito,
nelle varie epoche, che una moneta d'oro o d'argento, ovvero il suo peso in
metallo, poteva essere scambiata con una data quantità di merce; questo
criterio non poteva essere che lo stesso in virtù del quale si era concordata
in vari luoghi e momenti l'equivalenza allo scambio di trenta capre con un
cavallo da tiro, di sei quintali di sale con tre quintali di grano, di venti
braccia di tela con cinque quintali di ferro, ecc.; in breve: di x merce A con
y merce B. Tale criterio era quello della quantità di lavoro socialmente necessario
contenuto in ciascuno dei prodotti; l'oro, per esempio, difficile da trovare e
poi da estrarre dal proprio minerale conteneva una quantità di lavoro socialmente
necessario quindici volte superiore a quella dell'argento. Una moneta d'oro del
peso di un grammo poteva perciò essere scambiata, in un dato momento dello
sviluppo delle tecniche estrattive e metallurgiche, con quindici grammi di
argento o anche con otto chilogrammi di ferro. Uscendo dalla sfera dei metalli
e, fermo restando il riferimento a un dato luogo e a un dato momento, la moneta
in questione poteva essere usata per l'acquisto di trecento grammi di caffè o
di settantacinque grammi di tè, ecc.; occorrevano invece più monete per un
abito, un orologio, una poltrona in pelle, ecc.
La moneta d'oro diventa in questo caso l'equivalente generale, cioè una merce, nei cui termini tutte le altre definiscono
il loro valore; la moneta non ha in tal caso
altro valore d'uso che quello di funzionare come termine di riferimento per
ogni altra merce; questo fatto diventa evidente quando la coniazione delle
monete avviene sotto il controllo di autorità pubbliche. Si comprende ora cosa
intende Marx quando afferma
che la moneta in generale è una figura del denaro
in quanto mezzo di circolazione; nel prezzo,
cioè nel nome di denaro delle merci, è rappresentata una certa quantità d'oro
espressa in peso; nella circolazione questa quantità deve confrontarsi con la
merce mantenendo lo stesso nome, cioè come moneta. Il prezzo di una merce, vale
a dire la quantità d'oro nella quale può essere idealmente trasformata, si
esprime quindi nei termini monetari della scala di misura dell'oro.
Perciò, osserva Marx, dire che un quarter di grano equivale a un'oncia
d'oro vuol dire, in Inghilterra, che equivale a tre sterline, 17 scellini e l0
pences; in Olanda che equivale a 21 fiorini, in Francia a 110 franchi, ecc.; il
valore di scambio delle merci è dunque registrato come nome monetario e
il denaro diventa moneta di conto ovvero elemento per determinare il
prezzo delle merci, per «contare» in unità di misura monetaria come una merce
qualsiasi viene considerata dal punto di vista del valore di scambio.
Dal greco mònos:unico. Sistema filosofico che designa qualunque atteggiamento pretenda
derivare tutta la realtà da un unico principio, affermando che i termini
opposti di «natura» e «spirito», «anima» e «corpo», pur nella differenza dei
loro significati e delle loro attività, debbano avere per base un'identità
fondamentale. L'impegno principale di ogni concezione monista è quello di
tendere alla conciliazione tra il pensiero e i suoi oggetti, attraverso un'idea
di ragione che postuli la necessità di un principio unitario per la spiegazione
del molteplice.
Il monismo può venire concepito sia in senso idealistico che in senso
materialistico, ma l'elemento comune delle due tendenze si riassume nel fatto
che per il monismo la molteplicità del reale e dei fatti è vera solo se si
risolve nell'unità; ogni singolo accadimento rimanda a una totalità di accadimenti e situazioni. L'aspetto
sostanziale è allora il riferirsi necessario di ogni ente, evento e
manifestazione naturale e umana, a un principio che li riassuma e ne metta in
luce le interazioni e le connessioni.
Ciò è condiviso anche dal marxismo la cui posizione filosofica, come Lenin ha
sostenuto, si pone anzi al punto più alto dello sviluppo del monismo, fondando
originalmente una concezione unitaria e integrale del mondo naturale e della
storia umana, spiegando le condizioni e i presupposti necessari al loro proprio
sviluppo, dandone una dimensione e un significato dialettici (Dialettica).
E' in
generale la situazione economica in cui in uno o più settori della produzione o
della distribuzione, un singolo capitalista o, più spesso, un piccolo numero di
proprietari associati, detengono il controllo e il possesso esclusivo dei
capitali operanti in quei settori.
La tendenza alla formazione di monopoli è, secondo il marxismo, una delle
caratteristiche fondamentali del modo di produzione capitalistico. Lo stesso
processo di accumulazione del capitale, cioè la riproduzione su scala sempre
più allargata dei rapporti capitalistici, che è contraddistinta da una sempre
crescente concentrazione e centralizzazione
dei capitali, conduce, secondo Marx, a una vera e propria «espropriazione» da
parte dei proprietari di grandi capitali nei confronti di coloro che posseggono
capitali più piccoli. Infatti con lo sviluppo del modo di produzione
capitalistico non solo «cresce il volume minimo del capitale individuale,
necessario per far lavorare un'azienda nelle condizioni normali», ma
«Nella misura in cui si sviluppano la
produzione e l'accumulazione capitalistica, si sviluppano la concorrenza e il
credito, le due leve più potenti della centralizzazione. Allo stesso tempo il
progresso dell'accumulazione aumenta la materia centralizzabile, ossia i
capitali singoli, mentre l'allargamento della produzione capitalistica crea qua
il bisogno sociale, là i mezzi tecnici di quelle potenti imprese industriali,
la cui attuazione è legata a una centralizzazione del capitale avvenuta in
precedenza» (Il Capitale, libro I, p. 686).
Inoltre l'aumento della produzione di plusvalore relativo (Plusvalore) può avvenire solo a condizione che
si verifichi, nel modo di produrre, un continuo perfezionamento delle tecniche
produttive, e ciò rende necessaria una maggiore disponibilità di capitale
costante. La formazione di grandi proprietà è dunque al tempo stesso il
risultato della concorrenza e la
condizione per ogni ulteriore sviluppo del capitalismo che superi i limiti
ristretti di una prima fase in cui la formazione della proprietà capitalistica
è ancora determinata, in una certa misura, dall'iniziativa dei piccoli
proprietari. In particolare il fattore determinante per la formazione di
monopoli è, come già abbiamo accennato, il processo di centralizzazione dei
capitali. Questo processo avviene, come rileva Marx, in seguito a un semplice
cambiamento nella distribuzione dei capitali già esistenti.
«Il capitale può crescere qua fino a
diventare una massa potente in una sola mano, perché là viene sottratto a molte
mani individuali. In un dato ramo d'affari la centralizzazione raggiungerebbe
l'estremo limite solo se tutti i capitali ivi investiti si fondessero in un
capitale singolo. In una società data questo limite sarebbe raggiunto soltanto
nel momento in cui tutto il capitale sociale fosse riunito nella mano di un
singolo capitalista o in quella di un'unica associazione di capitalisti» (ivi,
p. 687).
La fusione dei capitali sotto la direzione del grande capitale è, infatti, la
caratteristica specifica del monopolio, che consente da una parte la
realizzazione di sovraprofitti e dall'altra uno sviluppo rapidissimo delle
forze produttive. Osserva Marx a questo proposito:
«Il mondo sarebbe tuttora privo di
ferrovie, se avesse dovuto aspettare che l'accumulazione avesse messo in grado
alcuni capitali individuali di poter affrontare la costruzione di una ferrovia.
La centralizzazione, invece, è riuscita a farlo di un tratto, mediante le
società per azioni» (ivi, p. 688).
Quella che viene definita da Lenin come fase suprema del capitalismo (Imperialismo) ha precisamente inizio dal
momento in cui il monopolio è divenuto la forma di proprietà dominante nella
società capitalistica. La formazione del capitale finanziario (cioè la
compenetrazione, l'unione, tra capitale bancario e capitale industriale, in
altri termini la strettissima collaborazione tra possessori di grandi quantità
di denaro e di grandi impianti industriali) e la sottomissione al capitale
finanziario stesso delle altre forme assunte storicamente dal capitale,
avvenuta approssimativamente a cominciare dai primi anni del '900, ha condotto
alla creazione di associazioni finanziarie (holding)che
detengono il monopolio contemporaneo di più settori della produzione e della
distribuzione. La concorrenza tra singoli individui, che agiscono nell'ambito
di un mercato relativamente ristretto, si è trasformata così in una lotta per
l’estensione del monopolio a settori diversi della produzione e della
distribuzione, per il possesso esclusivo di grandi mercati internazionali, per
l'accaparramento delle materie prime.
Il termine oligopolio indica la presenza di un piccolo numero di associazioni
di tipo monopolistico che controllano la produzione e la distribuzione sulla
base di accordi prestabiliti.
I contadini,
soprattutto i piccoli proprietari e i braccianti, occupano una posizione
fondamentale nei rapporti di produzione capitalistici. La stessa nascita della
società borghese moderna ha avuto come fondamento una profonda trasformazione
dei rapporti di produzione nelle campagne.
Al rapporto feudale (Feudalesimo) e a
quello di mezzadria (spartizione degli utili tra colono e proprietario) si
sostituì da una parte la tendenza allo sfruttamento estensivo delle colture
anche con l'aiuto delle macchine, e dall'altra la necessità per la gran massa
dei coltivatori di vendere la loro forza-lavoro.
Le opprimenti condizioni di vita nonché una certa presa di coscienza da parte
dei contadini, furono all'origine di forme di associazionismo spontanee, che
col tempo divennero leghe e in seguito formarono un vero e proprio movimento
politico organizzato. Il movimento dei contadini costituisce il più valido
alleato del movimento operaio nella lotta di classe.
Il ruolo del movimento contadino è sempre stato oggetto di analisi all'interno
dei partiti comunisti: infatti la stessa origine sociale dei contadini li ha
sempre relegati al margine della vita politica in quanto, come osserva Gramsci,
è molto difficile che i contadini riescano a formare nel loro interno un gruppo
di intellettuali e di organizzatori politici che siano in grado di far valere i
loro interessi.
Anche Gramsci tuttavia rilevò che la partecipazione dei contadini è condizione
indispensabile per la costituzione di un partito comunista e soprattutto per
l'organizzazione e l'attuazione della rivoluzione sociale:
«... i contadini organizzati diventeranno un elemento di ordine e di progresso;
abbandonati a se stessi, nell'impossibilità di svolgere un'azione sistematica e
disciplinata, essi diventeranno un tumulto incomposto, un disordine caotico di
passioni esasperate fino alla barbarie più crudele dalle sofferenze inaudite
che si vanno profilando sempre più spaventosamente».
E aggiunge:
«... la rivoluzione comunista è
essenzialmente un problema di organizzazione e di disciplina (…) ma con le sole
forze degli operai d'officina la rivoluzione non potrà affermarsi stabilmente e
diffusamente: è necessario saldare la città alla campagna, suscitare nella
campagna istituzioni di contadini poveri sulle quali lo Stato socialista possa
fondarsi e svilupparsi, attraverso le quali sia possibile allo Stato socialista
promuovere l'introduzione delle macchine e determinare il grandioso processo di
trasformazione dell'economia agraria» (Gramsci, Operai e contadini, in Ordine
nuovo, 2 agosto 1919, p. 87).
Indica la
presenza all'interno delle masse operaie di orientamenti generali di carattere
economico e politico e di corrispondenti attività di lotta. Le condizioni
economiche e sociali per la nascita del movimento operaio si realizzarono dal
momento in cui il modo di produzione capitalistico prevalse su ogni altro. Il
movimento operaio ha inizio in forma parzialmente organizzata con le prime
associazioni a carattere assistenziale e di mutuo soccorso e successivamente
sindacale nei primi decenni dell'800 in Inghilterra e in seguito in Francia e
in Germania. Esso assunse fin dai primi anni caratteristiche internazionali,
sancite la prima volta nel 1864 con la costituzione a Londra dell'Associazione
Internazionale dei Lavoratori.
Per movimento operaio si intende dunque la generica tendenza a sviluppare forme
di lotta e a costituire associazioni ad essa collegate; da questo punto di
vista è diverso dal partito o dall’insieme dei partiti (Il Partito) della classe operaia, che hanno
livelli organizzativi, teorici e programmatici ben definiti.