a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
Dizionario enciclopedico marxista
Premessa A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z
Tattica, Tatticismo, Tecnica, Teoria, Teoria critica, Terrorismo, Terzo mondo, Tesaurizzazione, Totalità, Tradeunionismo, Trasformismo, Trotskismo, Trust,
E' la sopravvalutazione della necessità di accettare dei compromessi in
determinate condizioni e di adeguare la strategia
e la prospettiva di ampio respiro alle condizioni concrete, dimenticando così
la necessità della lotta per la realizzazione degli obiettivi rivoluzionari. E'
stato criticato dai principali esponenti del movimento comunista internazionale
come espressione di opportunismo e della volontà di collaborazione con le
classi dominanti.
Con questo nome sicomprendono
forme diverse di attività pratiche; qui, il riferimento è limitato a quelle
impegnate nella produzione materiale mediante l'uso organizzato degli elementi
e delle forze naturali, derivante dalla conoscenza scientifica della natura.
L'interesse di Marx e Engels per la tecnica è continuo; essa è la forma
concreta in cui sisvolge «il
ricambio organico» dell'uomo con la natura, il modo effettivo di essere dei
processi di produzione, lo schema intorno al quale si organizza la fabbrica. I
suoi progressi cambiano il mondo naturale, creano nuove fonti di ricchezza,
determinano la qualità del lavoro.
In pari tempo le nuove invenzioni tecniche diventano strumenti di distruzione e
di dominio nelle mani di coloro che controllano il potere attraverso la
proprietà dei mezzi di produzione; questa contraddizione ha portato all'interno
del marxismo a diverse valutazioni della tecnica, specialmente in tempi recenti
di fronte al suo eccezionale sviluppo e alla sua presenza massiccia nella vita
quotidiana.
Così hanno preso corpo ipotesi che guardano la tecnica come un elemento non
separabile dal capitalismo; è il caso, per esempio, di certe correnti del marxismo occidentale che identificano
la tecnica con la «logica del dominio»; l'uso della tecnica ai fini del dominio
di classe non sarebbe infatti un provvedimento dall'esterno preso in un secondo
tempo ma sarebbe già incluso negli scopi generali della tecnica stessa. Secondo
Marcuse la tecnica contiene già come proprio scopo quello di organizzare gli
uomini in modo da favorire gli interessi della classe dominante; donde il
tramonto del concetto di rivoluzione com'era inteso da Marx, cioè come liberazione
della scienza e della tecnica dal dominio di classe; infatti un simile concetto
di rivoluzione presuppone una continuità dell'apparato tecnico che
costituirebbe un «legame totale» tra il vecchio e il nuovo modo di produzione.
Ora è fuori di dubbio che la tecnica, al pari della scienza e di qualsiasi
altra attività, sia condizionata dal o asservita al capitalismo e con ogni
probabilità è anche vero, come sostengono taluni, che è stata sviluppata e
utilizzata più per assicurare il massimo controllo della forza-lavoro dentro e
fuori la fabbrica, che per portare a un livello ottimale i processi di
produzione; ma è altrettanto sicuro che la semplicistica e meccanica
identificazione tra tecnica e capitalismo non ha niente a che vedere col punto
di vista del marxismo. Scriveva Marx in proposito:
«Poiché le macchine, considerate in sé, abbreviano il tempo del
lavoro, mentre, adoperate capitalisticamente, prolungano la giornata
lavorativa, poiché le macchine in sé alleviano il lavoro e adoperate
capitalisticamente ne aumentano l'intensità, poiché in sé sono vittoria
dell'uomo sulla forza della natura e adoperate capitalisticamente soggiogano
l'uomo mediante la forza della natura, poiché in sé aumentano la ricchezza del
produttore e usate capitalisticamente lo pauperizzano, ecc., l'economista
borghese dichiara semplicemente che la considerazione
delle macchine in sé dimostra con la massima precisione che tutte
quelle tangibili contraddizioni sono una pura e semplice parvenza della ordinaria realtà, ma che in sé, e quindi nella teoria, non ci sono affatto. Così risparmia di doversi
ulteriormente stillare il cervello, e per giunta addossa al suo avversario la
sciocchezza di combattere non l'uso
capitalistico delle macchine, ma le macchine
stesse»(Il Capitale, libro I, p. 486).
Le macchine, prodotto materiale della tecnica, hanno dunque un valore d'uso che non viene meno per il mutamento
del modo di produzione; la tecnica e la scienza fanno parte del processo di
intervento dell'uomo sulla natura, sono elementi costanti di questo processo,
«recitano la loro parte ... in tutti i tempi e in qualunque circostanza», sono
condizioni dell'esistenza umana. Identificarle con la formazione
economico-sociale che le amministra è un modo di spacciare il capitalismo come
«elemento naturale immutabile»; infatti accanto alla versione critica di questa
identificazione, sopra accennata, ne esistono altre di tendenza diametralmente
opposta.
E' il caso, per esempio, delle dottrine ispirate alla tecnostruttura, termine con il quale si
indica in poche parole lo stato maggiore delle grandi imprese, provvisto di
tutte le conoscenze scientifiche e tecniche necessarie per decidere delle
attività dell'impresa non più in base al profitto immediato di un capitalista
ma nel generale interesse della produzione intesa in senso astratto svincolata
dalle vecchie formule del capitalismo, della classe, dello sfruttamento; cose
del passato che la tecnologia, intesa
come scienza che ha per oggetto le singole tecniche, avrebbe liquidato
sostituendovi l'orientamento del mercato, l'assicurazione graduale degli operai
alla tecnostruttura, la programmazione a lunga scadenza, la razionalizzazione
della produttività. Tutto ciò forma la tipica ideologia del neocapitalismo.
All'avanzamento, al progresso e alla diffusione della teoria intesa come corpo
organico di conoscenze dello sviluppo storico, sociale ed economico, i classici
del marxismo hanno sempre attribuito un'importanza decisiva. E' infatti alla
qualità stessa del suo apparato teorico che il marxismo deve le sostanziali
differenze con altre teorie ispirate a propositi di giustizia sociale ma
unilaterali, lontane dalla realtà, incapaci di fornire spiegazioni convincenti
e soprattutto senza la consapevolezza del rapporto esistente tra il momento
teorico e la prassi. La critica più
aspra della società borghese e delle sue ingiustizie non spiega ancora perché
le cose stiano così e non altrimenti, non dice niente sul modo in cui funziona
il capitalismo, non porta ad alcuna conoscenza dei motivi della sua riuscita e
della sua affermazione; questo è accaduto nel socialismo premarxista che
criticava
«... il vigente modo di produzione
capitalistico e le sue conseguenze, ma non poteva darne una spiegazione, né
quindi venirne a capo: non poteva che respingerlo semplicemente come un male.
Quanto più esso inveiva contro lo sfruttamento della classe operaia,
inseparabile dal modo di produzione capitalistico, tanto meno era in grado di
spiegare chiaramente in che cosa consista e come sorga questo sfruttamento»
(Engels, Antidühring, p. 33).
Solo una teoria saldamente ancorata alla realtà poteva togliere dalla
confusione e dall'impotenza le forze che gravitavano intorno a questo
«socialismo delle invettive»; una teoria, precisa Engels, che non si limitasse
a guardare prevalentemente le conseguenze del capitalismo ma affrontasse il
problema delle sue cause e dei suoi complessi meccanismi interni.
Si capisce allora l'importanza attribuita alla teoria nell'ambito del marxismo
e appare chiara la necessità di svilupparla ulteriormente con nuove ricerche; è
grazie al proprio rigore, all'efficacia nell'analisi della realtà, al suo
affermarsi come costante punto di riferimento nelle questioni pratiche di ogni
genere che la teoria del marxismo si definisce in modo così specifico da
potersi costituire in espressione rivoluzionaria del proletariato.
L'abbandono, tacito o conclamato, dell'interesse teorico corre parallelo alla
rinuncia dei principi essenziali del marxismo; nel 1899 la socialdemocrazia era
in una fase di grave sbandamento teorico al quale facevano riscontro iniziative
politiche assai poco convincenti per dei partiti operai; dietro le rispettabili
parole d'ordine contro il dogmatismo, il «dottrinarismo», la «mummificazione
del pensiero» si celavano - come Lenin doveva constatare un paio di anni dopo -
«l'indifferenza e l'impotenza nei riguardi dello sviluppo del pensiero teorico»
e ciò era connesso con il fatto «che la grande diffusione del marxismo è stata
accompagnata da un certo abbassamento del livello teorico» dovuto all'adesione
«di molta gente la cui preparazione teorica era infima e persino nulla», spinta
a entrare nel movimento «in virtù della sua importanza pratica e dei suoi
progressi pratici».
A questo insieme di cose risalivano le tendenze a mettere in secondo piano, se
non a dimenticare o rifiutare, i principi essenziali del marxismo, in vista di
effettivi o ipotetici risultati pratici; rifacendosi alla Critica del programma di Gotha, Lenin
ricorda che Marx stesso aveva scritto ai capi del partito di cercare tutti gli
accordi necessari ai fini pratici del movimento, ma di non fare mai «commercio
dei principi», né concessioni sul piano teorico.
Tutta la questione è riducibile dunque a un punto centrale:
«Senza teoria rivoluzionaria non vi può
essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto
in un periodo in cui la predicazione opportunistica di moda è accompagnata
dall'esaltazione delle forme più ristrette dell'azione pratica» (Che fare?, p. 55).
L'abbandono degli interessi teorici o il loro spostamento in sfere lontanissime
dall'attività pratico-politica è dunque, come si è detto, uno dei modi per
ignorare i principi essenziali del marxismo e il loro contenuto rivoluzionario;
la rivendicazione del ruolo della teoria non vuol dire privilegiare il piano
teorico rispetto agli altri sui quali si svolge la lotta di classe, ma
semplicemente ricordare la loro stretta connessione. Né, d'altra parte, ha mai
voluto dire attaccamento statico e astratto, in una parola, dogmatico, alle
idee elaborate dai fondatori del marxismo.
«Noi non consideriamo affatto la teoria
di Marx come qualcosa di finito e di intangibile; siamo convinti, al contrario,
ch'essa ha posto soltanto le pietre angolari di quella scienza che i socialisti
devono far progredire in tutte le
direzioni se non vogliono farsi distanziare dalla vita» (Lenin, Il nostro programma, in Marx-Engels-Marxismo, pp. 100-101).
Accanto all'uso della parola teoria nel senso di base teorica del marxismo se
ne trova al suo interno un altro il cui senso si può cogliere facilmente
nell'opposizione a pratica o a prassi.
In proposito sono da considerare almeno questi punti: Marx e Engels elaborarono
per la prima volta una teoria comprensiva dell'intero campo della realtà, al
cui interno è contenuta la richiesta di essere giudicata non per mezzo degli
abituali strumenti teorici ma dal confronto con l'attività pratica degli
uomini; una teoria cioè che affida il giudizio su se stessa, sulle sue
asserzioni e sui suoi procedimenti, alla verifica dei fatti concreti.
La richiesta di questo giudizio proviene dalla convinzione scientifica che ogni
teoria dipende dal grado di sviluppo della produzione materiale in un dato
momento storico, vale a dire dal grado di sviluppo dell'attività pratica degli
uomini che crea perciò anche le condizioni per il livello intellettuale del
singolo; la situazione è sintetizzata da una celebre frase: «L'esistenza di
idee rivoluzionarie in una determinata epoca presuppone già l'esistenza di una
classe rivoluzionaria».
Una teoria è contemporaneamente una parte della scienza
in quanto insieme di conoscenze scientifiche e il risultato, il prodotto, della
scienza in quanto attività di ricerca che ha per oggetto fenomeni reali. Si
comprende allora come ogni teoria abbia la sua origine nella pratica o, meglio,
come questa costituisca tra l'altro la sfera comune, il punto d'incontro tra il
pensiero che produce la teoria e la realtà alla quale si riferisce.
L'espressione teoria critica (della società, del capitalismo) è un modo,
diverso da altri, di indicare il marxismo in quanto analisi scientifica della
realtà o di una sua parte; la differenza non è di solito puramente verbale ma
ha alcune implicazioni.
Così in alcune opere «teoria critica» viene principalmente usata per
sottolineare che il marxismo è una descrizione scientifica dei meccanismi di
riproduzione del capitalismo e della società che questi esprime; essendo
descritte anche le molteplici contraddizioni al loro interno, la teoria non può
che risultare critica nei loro confronti. In tale contesto sono sviluppati
alcuni temi e contenute certe premesse: per esempio che la teoria, coincidendo
col punto di vista della classe operaia, assume il carattere storico di
«ideologia» rivoluzionaria o anche, su un altro piano, che la teoria in quanto
costruzione puramente scientifica lascia aperti i problemi della partecipazione
personale nel senso di impegno politico (Etica).
In altre opere l'espressione teoria critica intende piuttosto accennare al fatto
che nel marxismo, teoria sviluppata a partire da altre teorie preesistenti, il
sapere borghese, il pensiero di un'epoca, compie la propria autocritica.
Infine vi sono altri autori che usano la stessa espressione per segnarne il
distacco dalla prassi; detto molto schematicamente, per ricondurre il marxismo
allo stato di pura teoria indubbiamente critica nei confronti dell'attuale
società, ma incapace ormai di realizzarsi in un movimento di lotta veramente
rivoluzionario, a causa dello strapotere dell'attuale capitalismo (Sistema). E' questa, per esempio, la tesi di
alcuni esponenti della Scuola di Francoforte come Adorno e Horkheimer.
Adozione di metodi violenti nella lotta politica. Il terrorismo è stato
adottato sia nel corso di una rivoluzione dalla classe rivoluzionaria per
mantenere il potere, sia come forma di ribellione individuale o di piccoli
gruppi.
Nel corso della Rivoluzione francese il Comitato di salute pubblica presieduto
da Robespierre, come il governo di ogni paese invaso da eserciti stranieri e
dilaniato da congiure e sommosse, si affidò a una giustizia rapida e sommaria,
tanto che il periodo fu chiamato Terrore e preso ad esempio di gestione
«terroristica» del potere.
La classe operaia abbandonò il metodo del terrorismo individuale, che pure era
stato una forma istintiva ancora primitiva e disorganizzata di lotta dei
lavoratori, non appena fu in grado di realizzare forme superiori di
organizzazione e di lotta, in seguito allo sviluppo della coscienza di classe e
alla comprensione della necessità dell'organizzazione politica (cfr. Engels, La condizione della classe operaia in Inghilterra).
Tutti i più importanti partiti di ispirazione marxista criticarono duramente ed
espulsero dalle proprie organizzazioni gli esponenti che teorizzavano o
praticavano il terrorismo, poiché la loro attività forniva un pretesto per la
repressione alle classi dominanti e finiva quindi per costituire un freno allo
sviluppo dell'azione politica dei lavoratori.
Il terrorismo restò, così, prerogativa delle correnti anarchiche e fu
teorizzato in particolare da Bakunin. Nella Russia zarista il settore
«nichilista» del populismo sviluppò negli
ultimi decenni del 1800 un'intensa attività terroristica. Lenin affrontò il
problema, distinguendo la necessità della repressione dei tentativi
controrivoluzionari (Controrivoluzione) da parte
della classe operaia nella società socialista, dai fenomeni di terrorismo
individuale.
Esiste un'altra forma più recente di terrorismo, che consiste nell'attività di
gruppi o centrali eversive, organizzati con la complicità dell'apparato statale
borghese, autori di stragi o di omicidi politici, allo scopo sia appunto di
terrorizzare i cittadini e di rendere plausibile il ricorso a misure
eccezionali di repressione, sia di decapitare i movimenti progressisti dei loro
migliori dirigenti. Nell'ultimo dopoguerra sono state aperte inchieste per
fatti del genere a carico della mafia, di organizzazioni fasciste, della CIA,
ecc.
Nella terminologia marxista esiste anche il termine terrorismo economico che indica l'attività di indiscriminata
distruzione delle forze produttive
messa in opera dalla borghesia quando si ritiene minacciata dalla crescita
politica e organizzativa della classe operaia, oppure per piegare la resistenza
della classe operaia stessa in occasione di importanti conflitti contrattuali.
Attività di questo tipo sono, oltre alle speculazioni, le contraffazioni dei
bilanci e dell'entità reale dei profitti, le serrate
e le esportazioni massicce di capitali.
Nel linguaggio corrente indica genericamente i Paesi in via di sviluppo
dell'Africa e dell'Asia. Il «primo mondo» sarebbe l'Europa, il «secondo» gli
Stati Uniti. Questa distinzione assume un significato antropologico e
cronologico in quanto l'Europa viene considerata come il primo insieme di
nazioni che hanno determinato, con la loro civiltà e la loro cultura, lo
sviluppo storico mondiale.
L'uso di distinguere in «mondi» i popoli dei vari continenti ha avuto origine
probabilmente nella cultura europea dei primi anni del XIX secolo. Lo stesso
concetto di «Terzo Mondo» sottosviluppato sembra essere il prodotto di un certo
senso di superiorità (eurocentrismo), che la cultura borghese europea ha sempre
manifestato nei confronti di Paesi «colonizzati».
I comunisti cinesi intendono per Terzo Mondo l'insieme dei «Paesi non
allineati» alle grandi potenze che lottano per la realizzazione di un «fronte
unito dei popoli del Mondo contro l'imperialismo».
E' la sottrazione di denaro alla circolazione e la sua «cristallizzazione» come
tesoro.
Secondo Marx, è un fenomeno che appare necessariamente con lo sviluppo dello
scambio ed è parallelo alla stessa comparsa del denaro.
Nel processo di tesaurizzazione la merce viene venduta non per comprarne
dell'altra, ma per sostituirla con denaro: viene cioè cambiata la forma di
merce in forma di denaro e «questo cambiamento di forma diventa, da semplice
intermediario del ricambio organico, fine a se stesso». Il denaro come tale non
ha praticamente valore d'uso: l'oro non è ricercato che in misura trascurabile,
allo scopo di farne strumenti o ornamenti. Viene ricercato e ammassato perché
incorpora valore di scambio, perché è lavoro materializzato.
L'usura è una delle forme tipiche della tesaurizzazione e può essere
considerata come una delle premesse storiche del sorgere del capitalismo, anche
se non in senso strettamente cronologico:
«Soltanto dove e quando
sussistono le altre condizioni del modo di produzione capitalistico, l'usura costituisce
uno dei fattori che concorrono alla formazione del nuovo modo di produzione,
rovinando da un lato i signori feudali e la piccola produzione, dall'altro lato
centralizzando le condizioni del lavoro e trasformandole in capitale» (Marx, Il Capitale, libro III, p. 695).
Nella società capitalistica la tesaurizzazione non sussiste più in forma
autonoma, come nel periodo precedente, ma diventa un momento del processo di
accumulazione, precisamente quello della formazione del capitale monetario da
impiegare nel processo produttivo. Può anche, naturalmente, rimanere un fine
soggettivo del capitalista: ma anche in questo caso lo scopo determinante è
quello dell'accumulazione.
«Mentre la tesaurizzazione, come forma
autonoma di arricchimento, scompare col progredire della società borghese, essa
cresce, viceversa, di pari passo con esso, nella forma di fondi di riserva dei mezzi di pagamento» (ivi, libro I, p. 174).
Indica la relazione tra le parti che costituiscono un'unità, un intero, e
l'unità stessa: in altri termini si parla di totalità quando più parti sono
riunite e ordinate in modo tale da costituire un intero.
Questa relazione è perciò diversa da quella che lega tra loro gli elementi di
una semplice somma, per il fatto di considerare l'esistenza di un ordine tra le
parti, grazie al quale esse formano una costruzione articolata. E' la stessa
differenza che passa tra i mattoni in quanto parti costitutive di un mucchio e
i mattoni in quanto parti costitutive di un muro: non vi è dubbio che tutte e
due sono costituiti da mattoni, ma questi nel muro hanno tra loro rapporti
particolari dipendenti dalla comune appartenenza a quella costruzione
articolata, quell'insieme ordinato, quell'intero che è appunto il muro; nel
mucchio invece i mattoni appaiono ammassati disordinatamente, i loro rapporti
sono lasciati al caso, tutto quel che si può dire, infine, è quanti sono (Dialettica).
La consapevolezza della totalità, concetto che ha una lunga storia e che fu
ampiamente trattato da Hegel, è uno degli aspetti caratteristici del pensiero
di Marx e di Engels; nelle loro ricerche ogni argomento essenziale fu sempre
considerato in relazione agli altri che nel loro insieme costituivano la
realtà. La totalità è infatti una relazione di estrema importanza nello studio
scientifico di qualsiasi fenomeno, studio che può essere condotto soltanto
isolando il fenomeno stesso dal suo contesto, dalla complessa rete di interazioni
e di rapporti di cui fa parte; questo processo di separazione o di astrazione è
dunque necessario, va compiuto, ma coscientemente, senza cioè dimenticarne mai
il carattere artificioso rispetto a quello che è una realtà.
La consapevolezza della totalità ha sempre un contenuto critico nei confronti
del sapere come viene inteso dalla borghesia, il cui dominio si basa su una
serie infinita di divisioni e di frammentazioni di ogni genere; l'ideale
borghese della scienza prende corpo nella figura dello specialista, profondo
conoscitore di un ristretto settore del reale secondo un'ottica precisa che
esclude ogni riferimento all'insieme. Basti pensare a quello che accade intorno
a un solo fenomeno: il lavoro. Una «specialità» lo analizza sotto l'aspetto
dell'erogazione di uno sforzo fisico e mentale da parte dell'uomo in date
condizioni, un'altra sotto l'aspetto di attività che trasforma la natura,
un'altra sotto l'aspetto giuridico e contrattuale, un'altra ancora come mezzo
per la formazione del valore delle merci e così via; ciascuna per proprio
conto, indifferente per il fenomeno nel suo insieme e in sostanza docile alle
esigenze del dominio di classe. Consapevolezza della totalità non vuol dire,
evidentemente, che il singolo debba conoscere in dettaglio tutti gli aspetti di
un fenomeno o gruppo di fenomeni né la complessa rete dei loro rapporti, ma
semplicemente che deve essere sempre chiara l'astrazione operata per immaginare
nel loro isolamento dal resto dei fenomeni quelli studiati
La totalità può essere considerata a livelli diversi nel senso che all'interno
delle successive divisioni della realtà in settori ulteriormente divisibili si
può assegnare il carattere di intero a un dato insieme di parti che è, a sua
volta, parte di un altro insieme. Così il lavoro è stato considerato qui come
un intero, un tutto diviso in più parti; è ovvio che il lavoro è esso stesso
una parte di quell'insieme che è il modo di produzione e che d'altro canto
ciascuna delle parti in cui si è diviso il lavoro può comparire come un intero
di fronte ad altre possibili suddivisioni in parti.
Va infine considerato che in qualsiasi teoria, sia delle scienze della natura
che di altri campi del reale, un esperimento o un'asserzione o un concetto
trovano un senso e un significato solo nella totalità della teoria stessa, cioè
nel loro confronto con le altre parti dell'intero e con l'intero nel suo
complesso.
Marx ha parlato di «totalità concreta» affrontando il problema del rapporto tra
astratto e concreto (Concreto E Astratto),
Engels di «unità del mondo» a proposito di scienza, di filosofia e di realtà;
ambedue erano convinti del ruolo della totalità nella ricostruzione teorica e
pratica di tutto ciò che il capitalismo mantiene diviso.
Le «trade unions» furono
associazioni di mestiere sorte in Inghilterra nel 1829, che raggiunsero nel '34
carattere nazionale.
Storicamente furono il primo tentativo di associazione degli operai e dettero
l'esempio di quale dovesse essere la via di superamento delle prime forme di
ribellione della classe operaia (Luddismo).
Ben presto l'unione nazionale dovette tuttavia soccombere alla controffensiva
padronale, anche se l'organizzazione locale permise al proletariato inglese di
costituire una rete stabile di associazioni che non avevano carattere puramente
assistenziale, ma ottennero importanti risultati di carattere normativo ed
economico, quali il principio della protezione del lavoro e una legislazione
sociale che imponeva il limite di dieci ore lavorative giornaliere per i
lavoratori adulti.
Da allora il tradeunionismo ha assunto caratteristiche alterne a seconda della
direzione politica che ha prevalso nel movimento operaio inglese, e talvolta ha
risentito di limiti corporativi che non ne hanno permesso uno sviluppo
rivoluzionario.
Tuttavia l'importanza storica di questo movimento, che è la prima forma di
sindacalismo, è senz'altro paragonabile a quella della nascita dei partiti
operai.
E' la politica di alleanza parlamentare realizzata in base non alla linea
politica e al programma, ma in base all'accordo su singole questioni
prescindendo dall'orientamento complessivo delle forze che vi aderiscono.
Nacque nel parlamento italiano ad opera di Depretis, che fu il presidente del
Consiglio della cosiddetta Sinistra, che sostituì nel 1876 il quindicennale
governo della Destra. Il trasformismo di Depretis consistette nell'attuazione
dell'accordo parlamentare con gli esponenti della Destra, fondato sulla
sostanziale comunanza degli interessi di classe espressi dai due schieramenti.
Si trattò del tentativo di unificare le correnti risorgimentali che apparivano
inconciliabili nella fase precedente, quando moderati e mazziniani erano sostenitori
di due concezioni notevolmente diverse sulla realizzazione dell'unità italiana.
La politica trasformista fu possibile in quanto le pur deboli tendenze
rinnovatrici presenti nel Partito d'Azione vennero definitivamente abbandonate
in seguito alla pratica clientelistica, che fu caratteristica del parlamento
italiano fin dai suoi primi anni di vita. Secondo Gramsci
«… il cosiddetto
"trasformismo" non è che l'espressione parlamentare del fatto che il
Partito d'Azione viene incorporato molecolarmente dai moderati e le masse
popolari vengono decapitate, non assorbite nell'ambito del nuovo Stato»
(Gramsci, Quaderni dal Carcere, p.
2042).
Termine che indica sia le teorie politiche di L. Trotskij, sia il movimento
politico internazionale che ad esse si richiama.
I motivi peculiari del trotskismo sono essenzialmente la questione della
direzione del partito e il problema della rivoluzione.
Trotskij si oppose a Lenin su queste questioni, non aderendo alle tesi
leniniane dello sviluppo ineguale dell'imperialismo,
della necessità dell'alleanza del proletariato con le masse popolari oppresse e
in modo particolare coi contadini, della costruzione del socialismo anche in un solo paese, della concezione di
un partito di lotta fondato sul centralismo democratico.
Egli fu quindi contrario all'idea che la rivoluzione russa potesse essere
consolidata dall'alleanza degli operai e dei piccoli e medi contadini,
contestando la formula di Lenin della «dittatura democratica del proletariato e
dei contadini» e insistendo sull'azione direttiva del proletariato industriale
cittadino. Questa posizione ne fece già un oppositore della NEP che apriva una fase di necessaria intesa con i
contadini. Divergendo in parte anche dalle indicazioni di Lenin sulla necessità
dell'unità e dell'alleanza di tutte le classi oppresse, Trotskij sviluppò la
sua teoria della «rivoluzione permanente» che vedeva nel potere raggiunto dal
proletariato russo non l'occasione per consolidare intanto il socialismo in un
paese, ma solo un mezzo per promuovere la rivoluzione internazionale: ossia la
rivoluzione russa avrebbe evitato il pericolo di un riflusso
controrivoluzionario e sarebbe andata fino in fondo solo con la «rivoluzione
del proletariato europeo». Trotskij riteneva infatti che il socialismo potesse
nascere solo nei paesi più industrializzati e che pertanto in un paese a
prevalenza contadina come la Russia la rivoluzione fosse un parto prematuro,
senza l'appoggio dei paesi dell'occidente.
Alla base di questa concezione vi era l'idea che il compimento della
rivoluzione dipendesse meccanicamente dal raggiungimento della massima
evoluzione possibile dei rapporti di produzione capitalistici in tutto il
mondo. Nella realtà il concetto trotskista di «esportazione della rivoluzione»
si risolse nell'attendismo in politica interna e nell'avventurismo in politica
estera. Complessivamente quindi, nonostante l'innegabile preparazione teorica e
vivacità intellettuale, il pensiero di Trotskij ha le caratteristiche di una
concezione astratta della politica; non riuscì a rispondere con adeguato
realismo ai grandi problemi posti dalla nascente società sovietica, e fu al
tempo stesso la causa principale del proprio isolamento politico e della
propria sconfitta.
Organizzatosi nella IV Internazionale, come alternativa alla politica della III
Internazionale (Internazionale), il
movimento trotskista subì nel corso della sua storia numerose scissioni,
ponendosi ai margini del movimento operaio e delle sue organizzazioni.