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a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino


Dizionario enciclopedico marxista


S


 

Socialismo

 

E' il periodo storico della transizione dal capitalismo al comunismo; viene definito da Marx anche come fase inferiore della società comunista.

La proprietà statale dei mezzi di produzione e la dittatura del proletariato possono essere considerate come le principali e più generali caratteristiche che distinguono il socialismo da tutte le altre epoche storiche.

Come il comunismo anche il socialismo è stato teorizzato più volte in diverse epoche. Le prime vere e proprie teorie socialiste, elaborate in modo relativamente organico e coerente, risalgono al secolo XVIII e soprattutto ai primi decenni del XIX. Infatti è solo a partire da questo periodo che il proletariato inizia ad assumere le caratteristiche di una classe autonoma, capace di elaborare, attraverso gli intellettuali organicamente legati ai suoi interessi una nuova concezione della società e una vera e propria dottrina del socialismo.

Marx ed Engels dedicarono un apposito capitolo del Manifesto del Partito Comunista all'analisi critica delle dottrine che, in diversa misura, si ispiravano al socialismo. L'importanza di questa analisi risulta evidente osservando che

«Il socialismo moderno, considerato nel suo contenuto, è anzitutto il risultato della visione, da una parte, degli antagonismi di classe, dominanti nella società moderna, tra possidenti e non possidenti, salariati e capitalisti; dall'altra, della anarchia dominante nella produzione. Considerato invece nella sua forma teorica, esso appare all'inizio come una continuazione più radicale, che vuol essere più conseguente, dei principi sostenuti dai grandi illuministi francesi del XVIII secolo. Come ogni nuova teoria, esso ha dovuto anzitutto ricollegarsi al materiale ideologico preesistente, per quanto avesse la sua radice nella realtà economica» (Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, p. 67).

Marx ed Engels distinguono tra socialismo reazionario, socialismo conservatore borghese e socialismo e comunismo critico-utopistici.

Al socialismo reazionario appartennero in primo luogo quei settori dell'aristocrazia francese e inglese che, allo scopo di contrastare lo sviluppo della nascente società capitalistica, si appellarono demagogicamente alla denuncia delle condizioni di vita della classe operaia, mentre erano essi stessi rappresentanti dei privilegi della vecchia società feudale; questa corrente fu chiamata da Marx ed Engels del socialismo feudale. Al socialismo reazionario appartennero anche i sostenitori di una concezione piccolo-borghese che, in Francia e in Inghilterra, pur avendo colto alcune delle contraddizioni caratteristiche della società capitalistica, non furono poi in grado di proporre un'alternativa realmente progressiva. Il più importante esponente di questa corrente, che Marx ed Engels chiamarono del socialismo piccolo-borghese, fu l'economista svizzero Sismondi, il quale sostenne la necessità di un ritorno al corporativismo precapitalistico. Anche coloro che, in Germania, pretesero di essere giunti al «vero» socialismo semplicemente in seguito a un'esposizione puramente letteraria e filosofica di idee che non avevano alcun legame con la realtà tedesca, sono da considerarsi rappresentanti del socialismo reazionario. Esponenti di questa corrente furono tra gli altri: M. Hess, K. Grün e B. Bauer.

Il socialismo conservatore borghese, di cui Proudhon fu il più famoso esponente, sostenne in modo abbastanza sistematico che la lotta di classe nella società moderna doveva essere abolita, ma ciò non veniva concepito come il risultato dell'abolizione del modo di produzione capitalistico, bensì era presentato come conciliazione pura e semplice di interessi di classe in realtà opposti. Marx ed Engels denunciarono questi tentativi come oggettivamente coerenti con gli obiettivi della borghesia.

Il socialismo e comunismo critico-utopistici furono senz'altro i più importanti tra i movimenti precedenti al marxismo, sia storicamente che sotto il profilo teorico. Saint-Simon, Fourier, il comunista Cabet in Francia e Owen in Inghilterra possono essere considerati gli esponenti più rappresentativi di questa tendenza. Le loro teorie costituirono una prima critica radicale della società capitalistica, condotta tuttavia senza che ad essa corrispondesse un'adeguata analisi scientifica delle condizioni storiche e materiali che possono formare le premesse per la nascita di una vera e propria organizzazione socialista della produzione.

«Gli inventori di questi sistemi ravvisano bensì il contrasto tra le classi e l'azione degli elementi dissolventi nella stessa società dominante, ma non scorgono dalla parte del proletariato nessuna funzione storica autonoma, nessun movimento politico che gli sia proprio ... Al posto dell'azione sociale deve subentrare la loro azione inventiva personale; al posto delle condizioni storiche dell'emancipazione, condizioni fantastiche; al posto del graduale organizzarsi del proletariato come classe, una organizzazione della società escogitata di sana pianta. La storia universale dell'avvenire si risolve per essi nella propaganda e nell'esecuzione pratica dei loro piani sociali» (Manifesto, p. 63).

Nell'esaminare le teorie dei socialisti utopistici, Marx ed Engels distinsero nettamente tra gli aspetti effettivamente critici e rivoluzionari delle loro concezioni e quelli più legati al periodo storico in cui ebbero luogo i loro «esperimenti» di costruzione di piccole comunità organizzate in modo comunitario, che fu contraddistinto dall'ancora oggettivamente scarso sviluppo materiale del proletariato. Inoltre se l'utopismo poteva essere compreso e giustificato storicamente negli anni precedenti al 1830, esso divenne nei seguaci dei primi socialisti critici un grave limite che li spinse a svolgere un ruolo negativo nei confronti della coscienza rivoluzionaria della classe operaia.

«L'importanza del socialismo e del comunismo critico-utopistici è in ragione inversa allo sviluppo storico. A misura che la lotta tra le classi si sviluppa e prende forma, questo fantastico elevarsi al di sopra di essa, questo fantastico combatterla perde ogni valore pratico, ogni giustificazione teorica. Perciò anche se gli autori di questi sistemi erano per molti aspetti rivoluzionari, i loro scolari formano sempre delle sette reazionarie. Essi tengono fermo alle vecchie opinioni dei maestri, in opposizione al progressivo sviluppo storico del proletariato» (ivi, p. 65).

Più coerentemente legato alla lotta della classe operaia fu, in Inghilterra, il Cartismo che divenne un vero e proprio movimento politico in seguito all'adesione di una parte consistente della classe operaia alle rivendicazioni proposte nella «Carta», in cui erano affermati i diritti fondamentali dei lavoratori. Il Cartismo può essere considerato come il diretto precursore del movimento socialista nel senso moderno della parola. Tuttavia, soprattutto per la mancanza di una teoria rivoluzionaria che ne guidasse l'azione, il suo sviluppo fu oggettivamente limitato al periodo precedente al 1848.
Se il socialismo utopistico criticava la società capitalistica e denunciava più o meno coerentemente lo sfruttamento degli operai perché «ingiusto», Marx ed Engels, attraverso l'elaborazione della concezione materialistica della storia (Materialismo storico) e la scoperta del modo concreto in cui si sviluppa la produzione di plusvalore e del ruolo fondamentale che esso svolge nella produzione capitalistica, hanno fondato il socialismo scientifico.

Sul significato che deve essere attribuito all'espressione «scientifico» sono sorte e sono attualmente in corso numerose discussioni e polemiche. Risulta immediatamente evidente, infatti, che la teoria proposta dal marxismo non può essere considerata una scienza in tutto e per tutto identica, in quanto all'oggetto studiato e al metodo di analisi, alle discipline scientifiche che vengono solitamente definite «naturali» ed «esatte». Tuttavia gli stessi Marx ed Engels si riferirono più volte alle loro concezioni definendole scientifiche (Scienza). Una prima motivazione può essere ricercata nel fatto che con ciò intendevano sottolineare le differenze profonde che separano il materialismo storico dalle interpretazioni dei socialisti utopistici. Ma esiste anche un motivo inerente in modo diretto al contenuto e al metodo della loro analisi della società capitalistica.

Infatti l'affermazione della necessità di una trasformazione in senso socialista della produzione e della società non è, nel marxismo, fondata su considerazioni di carattere esclusivamente morale o ideologico, ma è, secondo l'espressione di Marx stesso, dimostrata sulla base dell'analisi delle contraddizioni fondamentali del modo di produzione capitalistico, condotta, appunto, in modo scientifico, principalmente grazie a una nuova concezione dell'economia politica e delle sue categorie. Per il marxismo le classi in lotta tra loro esistono, e sono storicamente esistite, soltanto in presenza di particolari condizioni storiche della produzione (Divisione del lavoro); inoltre la fase capitalistica della lotta di classe può essere superata solo con la dittatura del proletariato; infine la soppressione delle classi e l'estinzione dello Stato potranno essere ottenute soltanto dopo che la produzione realizzata con mezzi di produzione di proprietà statale abbia determinato nella stessa società socialista le condizioni storiche per la nascita del comunismo.

Il proletariato, e in particolar modo la classe operaia, può, realizzando la sua egemonia o dittatura, porre le basi per il superamento della divisione in classi non solo e non principalmente perché, come giustamente affermavano i socialisti utopistici, è la classe che soffre più di tutte le altre, ma soprattutto perché è la sola parte della società che, per il posto che occupa nei rapporti di produzione, deve, per diventare classe dominante, abolire e distruggere la proprietà privata dei mezzi di produzione e con ciò stesso abolire «anche le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe».

Socialismo in un solo paese

 

Il complesso dei problemi politici ed economici che si presentarono nel processo di edificazione del socialismo in URSS e l'andamento delle lotte rivoluzionarie nei paesi occidentali dopo la prima guerra mondiale posero immediatamente ai bolscevichi la questione se fosse possibile l'instaurazione del socialismo anche in un solo paese, accerchiato politicamente, militarmente ed economicamente dalle nazioni capitalistiche, o se invece esso avesse come unica garanzia di sopravvivenza lo scoppio della rivoluzione in Europa.

La teoria della rivoluzione permanente di Trotskij (trotskismo) negava appunto la possibilità del socialismo in un solo paese, affermando invece la necessità che essa fosse preceduta dalla vittoria della rivoluzione proletaria nei principali paesi dell'Europa occidentale. Sottovalutando sia la funzione dei contadini, sia la capacità di egemonia della classe operaia sugli altri strati sociali, per Trotskij infatti la rivoluzione bolscevica sarebbe inevitabilmente venuta a scontrarsi con quelle masse contadine, col cui concorso i comunisti erano giunti al potere. Le contraddizioni di un governo operaio, in un paese economicamente arretrato e a maggioranza contadina, quindi potevano avere soluzione solo su scala internazionale, attraverso la «rivoluzione mondiale del proletariato».

Questa impostazione rovesciava integralmente quella di Lenin - che concepiva la dittatura del proletariato come basata sull'alleanza fondamentale del proletariato coi contadini - e si risolveva in una visione mitica della rivoluzione in Europa e in una concezione sostanzialmente attendista per quanto riguarda la politica interna e i grandi compiti di trasformazione socialista nell'economia. Al contrario Lenin, pur tenendo presente l'importanza della rivoluzione in Occidente per lo stesso consolidamento della rivoluzione in Russia, non attribuiva ad essa un'importanza altrettanto decisiva e anzi in alcuni suoi scritti sembra dirigere la propria analisi verso la possibilità di una soluzione rivoluzionaria nei paesi orientali: egli si basava sullo studio dello sviluppo ineguale dell'imperialismo e sul fatto che gli antagonismi nel sistema imperialistico mondiale determinano la sua rottura più probabile proprio in quei paesi dove la catena del fronte capitalistico è più debole. La vittoria del socialismo in un solo paese, anche se capitalisticamente meno sviluppato e continuando il capitalismo ad esistere in altri paesi, era dunque possibile e probabile.

«La parola d'ordine degli Stati Uniti del mondo, come parola d'ordine indipendente ... potrebbe ingenerare l'opinione errata dell'impossibilità della vittoria del socialismo in un solo paese e una concezione errata dei rapporti di tale paese con gli altri. L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile il trionfo del socialismo all'inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente» (Lenin, Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa, in Opere scelte, voi unico, p. 152).

Stalin (Stalinismo) riprese e teorizzò la questione del socialismo m un solo paese, all'interno della sua impostazione generale della costruzione del socialismo e della trasformazione dell'economia (Pianificazione) nell'URSS. Nel 1924, partendo dall'analisi di Lenin, esaminò i motivi per cui il corso della rivoluzione aveva preso un andamento diverso da quello prevedibile nel 1917 (cioè lo scoppio della rivoluzione anzitutto nei paesi occidentali) e come invece procedesse in modo originale, attraverso il distacco di paesi coloniali e semicoloniali dall'imperialismo (come cioè la rivoluzione procedesse dalla «periferia»). Su questa base Stalin indicò nel consolidamento dell'economia socialista e dello Stato sovietico l'elemento principale per il rafforzamento della rivoluzione in tutto il mondo, denunciando l'illusorietà e l'avventurismo della linea trotskista del- l'esportazione della rivoluzione in Occidente; operazione impossibile nel momento in cui l'Europa stava attraversando un periodo di relativa stabilizzazione capitalistica e mentre l'intera situazione internazionale non induceva a prevedere una rivoluzione mondiale.

Al contrario per Stalin esistevano le condizioni interne per l'edificazione economica in senso socialista, anche se, per l'accerchiamento capitalistico e la minaccia di un intervento armato straniero, la vittoria del socialismo nell'URSS non poteva essere considerata come definitiva, ma anzi il pericolo di una restaurazione capitalistica rendeva necessario l'appoggio del proletariato europeo, alla cui lotta un'Unione Sovietica rafforzata avrebbe a sua volta recato maggior sostegno. Così Stalin poneva la questione:

«La vittoria del socialismo in un solo paese non è fine a se stessa. La rivoluzione vittoriosa in un paese deve considerarsi non come entità a se stante, ma come un contributo, come mezzo per affrettare la vittoria del proletariato in tutti i paesi. Poiché la vittoria della rivoluzione in un solo paese, in Russia nel nostro caso, non è soltanto il risultato dello sviluppo ineguale e della disgregazione progressiva dell'imperialismo. Essa è in pari tempo l'inizio e la premessa della rivoluzione mondiale ... Se è giusta la tesi che la vittoria definitiva del socialismo nel primo paese che si sia liberato è impossibile senza gli sforzi concordi del proletariato di più paesi, non è men vero che la rivoluzione mondiale si svilupperà tanto più rapidamente e profondamente quanto più sarà efficace l'aiuto del primo paese socialista alle masse operaie e lavoratrici di tutti gli altri paesi» (Stalin, La rivoluzione d'Ottobre e la tattica dei comunisti russi, in Opere scelte, vol. unico, p. 517).

Se la critica di Stalin alla rivoluzione permanente giustamente rilevava l'illusorietà della speranza di una rivoluzione mondiale, il rapporto tra rafforzamento dello stato sovietico e lotta dei comunisti europei, e non solo europei, storicamente si risolse in alcuni casi in una subordinazione degli interessi di quest'ultima a quelli dell'URSS, attraverso indicazioni e direttive che, se rispondevano alle esigenze di sviluppo e di lotta della società sovietica, scarsamente potevano avere una presa sulle realtà specifiche europee, costituendo anzi spesso un freno per un'elaborazione originale dei partiti comunisti.

Società

 

Una definizione generica che non tenga conto delle forme concrete nelle quali la società si manifesta, è dubbio possa essere di qualche utilità. Definizioni elementari, come quella secondo cui la società è la totalità degli uomini in una certa epoca della storia, non sono significative dal punto di vista del marxismo in quanto trascurano un fatto di estrema importanza, e cioè che gli uomini costituiscono effettivamente la società, ma all'interno di questa dipendono dai rapporti sociali che essi stessi hanno creato nel corso della storia.

Per il marxismo l'analisi delle diverse forme di società parte da quella dell'organizzazione dei rapporti di produzione succedutisi nel corso della storia. Marx utilizza prevalentemente l'espressione società civile, ripresa criticamente da Hegel, per indicare la società moderna:

«La società civile comprende tutto il complesso delle relazioni materiali fra gli individui all'interno di un determinato grado di sviluppo delle forze produttive. Essa comprende tutto il complesso della vita commerciale e industriale di un grado di sviluppo e trascende quindi lo Stato e la nazione, benché, d'altra parte, debba nuovamente affermarsi verso l'esterno come nazionalità e organizzarsi verso l'interno come Stato. Il termine società civile sorse nel secolo diciottesimo, quando i rapporti di proprietà si erano già fatti strada fuori del tipo di comunità antico e medievale. La società civile come tale comincia a svilupparsi con la borghesia; tuttavia l'organizzazione sociale sviluppantesi immediatamente dalla produzione e dagli scambi, la quale forma in tutti i tempi la base dello Stato e di ogni altra sovrastruttura idealistica, continua ad essere chiamata con lo stesso nome» (Marx- Engels, L'ideologia tedesca, in Opere V, pp. 74-75).

Occorre rilevare che espressioni come società antica, società feudale conservano il loro valore indicativo in quanto rinviano alle situazioni specifiche di carattere «storico-economico», ovvero si presentano nel loro aspetto complessivo di formazione economico-sociale propria delle rispettive epoche.

Da quanto detto si comprende la ricchezza delle implicazioni e dei rinvii presenti nel concetto di società; tra gli altri quello contenuto nella definizione marxiana dell'uomo come «l'insieme dei suoi rapporti sociali». Con ciò Marx vuole indicare l'infondatezza di quelle filosofie che immaginano l'uomo astratto, in quanto separato dalla realtà sociale in cui si situa (Genere e specie).

Gli sviluppi ulteriori del marxismo hanno accentuato la distinzione marxiana tra società civile e Stato, analizzando i modi specifici attraverso cui lo Stato si sviluppa come occultamento e difesa dei rapporti di classe presenti nella società civile (Stato, Struttura e sovrastruttura).

Tra i fenomeni che meglio evidenziano l'influenza esercitata dalla società nel suo insieme sugli individui, vi è quello della socializzazione, che è stato diversamente interpretato. Può essere definita da un lato come il processo attraverso il quale la stessa personalità del singolo individuo viene determinata dal «ruolo» che egli esercita nella società, e dall'altro come il fatto che ogni individuo partecipa, in diversa misura, a «funzioni sociali», come per esempio il lavoro, l'attività politica, ecc.

Società per azioni

 

Per società (ragione sociale) si intende l'associazione contrattuale tra due o più persone che uniscono i mezzi di cui dispongono al fine di svolgere un'attività che porti un profitto; i mezzi possono essere di natura molto diversa ma sempre in forma di merce, valutabili cioè nei termini quantitativi necessari a stabilire le quote di partecipazione individuale.

La società per azioni è un tipo particolare di società tra i molti possibili contemplati dalle leggi: la sua caratteristica consiste nel fatto che le quote di partecipazione individuale sono rappresentate da azioni, titoli o attestati di credito che certificano la condizione di socio e la grandezza della sua quota di capitale.

In origine le società per azioni raccoglievano i fondi necessari alle loro attività tra i possessori privati di somme di denaro, ne gestivano l'impiego attraverso l'opera di dirigenti ed erano soggette al controllo dei soci e azionisti che lo esercitavano secondo le norme giuridiche in vigore; successivamente le quote vennero fornite anche da altre società e, in molti paesi, dallo Stato che utilizzava in tal modo il denaro pubblico proveniente in gran parte dalla pressione fiscale sulle classi subalterne. In questo caso le vecchie norme sul controllo delle società per azioni non solo sono divenute inefficaci ma sono indifferenti agli interessi specifici di quelle classi - escluse da ogni controllo e da ogni decisione - a cui appartengono i fondi investiti.

Fin dal loro sorgere le società per azioni fornirono l'occasione di ipotizzare la fine della produzione capitalistica privata e con questa del marxismo che ne aveva sviluppato la critica. Non fu difficile a Engels mostrare l'inconsistenza di simili tesi che avevano trovato un'eco anche nei partiti della II Internazionale: «Io conosco - scriveva nel 1891 - una produzione capitalistica in quanto forma sociale, in quanto fase economica» e al suo interno modalità diverse, tra cui la produzione da parte del singolo imprenditore che «sta diventando ogni giorno di più un'eccezione»; di questo passo, continuava, i trust, «che dominano intere branche dell'industria» e per i quali si può parlare ancor meno di produzione privata in senso stretto, non sarebbero più elementi del modo capitalistico di produzione.

Le società per azioni sono alla base dei cambiamenti di cui si occupava Engels e che avrebbero ben presto portato ai grandi complessi monopolistici e alle società finanziarie internazionali sia nelle forme riprese da Lenin ne L'Imperialismo, sia in quelle attualmente operanti. Allora come oggi gli ideologi borghesi hanno tratto da queste varianti del modo di produzione capitalistico lo spunto per dichiarare ormai inapplicabile l'analisi marxista alla presente formazione economico sociale come se in essa fosse cessata la produzione per il profitto, lo sfruttamento della forza-lavoro, la sottomissione del lavoro al capitale (Neocapitalismo).

Sociologia

 

E' la scienza che studia la società. Il termine venne introdotto intorno al 1830 da A. Comte (Positivismo), il quale nella sua classificazione delle scienze la inserì al livello più elevato quanto a complessità, intendendola come la scienza che doveva fornire i criteri per l'organizzazione razionale della società. Tuttavia la sociologia cominciò ad assumere le caratteristiche di «scienza» autonoma, con propri metodi di ricerca, che sono prevalentemente fondati sull'indagine statistica, nella seconda metà del XIX secolo. Negli USA la sociologia ha avuto un grande sviluppo finalizzato alle esigenze produttivistiche (Produttivismo) proprie della società capitalistica. Il marxismo ha spesso criticato gli stessi presupposti teorici su cui questa sociologia si è costituita come tentativo di scienza esatta, simile alle scienze naturali.

«La sociologia è ... un tentativo di ricavare "sperimentalmente" le leggi di evoluzione della società umana in modo da "prevedere" l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia. L'evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla quantità alla qualità; passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico. In ogni caso ogni sociologia presuppone una filosofia, una concezione del mondo, di cui è un frammento subordinato» (Gramsci, Quaderni del Carcere, p. 1532).

Secondo la concezione marxista infatti, l'analisi della società, delle classi e di tutti i problemi che normalmente vengono considerati oggetto della sociologia, non può essere separata dall'economia politica e, più in generale, dal materialismo storico.

Esiste una «sociologia marxista» nel senso di una scienza della società, colta in alcuni suoi aspetti specifici, che assume come orientamento generale la concezione marxista.

Sociologismo

 

Indica la tendenza ad applicare a problemi che richiederebbero criteri interpretativi diversi, i metodi e gli strumenti di analisi propri della sociologia. In concreto si intende sottolineare con questo termine, che comporta una valutazione negativa, la tendenza a ridurre entro i limiti di una scienza puramente descrittiva i fenomeni sociali, senza alcuna preoccupazione per le loro cause. Fu denunciata come «filo-padronale» fin dagli anni trenta da alcuni studiosi.

Soggettivismo

 

(Oggettivismo Soggettivismo).

Sottoproletariato

 

Termine tradotto impropriamente dal tedesco Lumpenproletariat che significa «proletariato straccione»: Marx e Engels lo usarono per indicare quella parte del proletariato che aveva perso la sua connotazione di classe. Era composto in primo luogo da coloro che a causa dell'eccedenza di mano d'opera erano disoccupati cronici o occupati irregolarmente, e si caratterizzava come una massa di persone che vivevano costantemente al di sotto delle condizioni medie della classe operaia, escluse dal processo produttivo e perciò stesso ai margini dei consueti rapporti sociali a ciò relativi.

Questa definizione di sottoproletariato non si applica però sempre all'uso che del termine fanno un po' ovunque sia Marx che Engels: talvolta è comprensivo dei «declassati», i rifiuti cioè delle altre classi, i falliti sociali o, per dirla con la definizione di Marx la «schiuma della società», e i bohémiens intellettualoidi non sempre indigenti ma che comunque sono anch' essi rifiuti di una particolare classe.

Il concetto di sottoproletariato è quindi abbastanza fluido e si riferisce oltre che a un gruppo sociale anche a una mentalità, secondo Marx rilevabile perfino a livello dell'aristocrazia finanziaria dove le inclinazioni sono la «riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese». In opposizione al proletariato si può dire che il sottoproletariato esiste al di fuori del lavoro sociale, è parassitario e possiede una mentalità antisociale, individualista, debole e pronta a ogni compromesso; esso costituisce uno strato sul quale la borghesia ha potuto contare nei momenti decisivi della lotta di classe. Marx e Engels si scagliarono contro di esso con particolare violenza in quanto erano stati testimoni di eventi storici che si erano conclusi nelle più crudeli repressioni dei primi moti operai. Nel 1848, per esempio, la borghesia per schiacciare gli insorti di Parigi raccolse le «guardie mobili» tra i sottoproletari opportunamente prezzolati. Questi

«... in tutte le grandi città [formano] una massa nettamente distinta dal proletariato industriale, nella quale si reclutano ladri e delinquenti di ogni genere, che vivono dei rifiuti della società - gente senza un mestiere definito, vagabondi, gens sans feu et sans aveu, diversi secondo il grado di civiltà della nazione cui appartengono, ma che non perdono mai il carattere di lazzaroni» (Marx, Le lotte di classe in Francia, p. 61).

Oggi non è possibile parlare di sottoproletariato in questi termini, in quanto la sua configurazione sociale è assai cambiata; ovviamente il presupposto rimane l'esistenza di una sovrappopolazione (Sovrapproduzione) che, per Marx, non è solo un effetto dello sviluppo del capitalismo ma una delle condizioni stesse per la sua riproduzione. Trattandosi quindi di un fenomeno strutturale, solamente in una società i cui rapporti di produzione siano radicalmente cambiati potrà scomparire. Tuttavia la classe operaia deve assumere su di sé il problema non solo in quanto classe liberatrice della società ma anche per evitare di lasciar spazio a strumentalizzazioni da parte delle forze conservatrici e fasciste. Anzi proprio in una prospettiva di radicale mutamento sociale essa deve porsi come forza egemone in grado di sollecitare la partecipazione attiva e il potenziale di lotta di tutti coloro che, in un modo o nell'altro, sono da questo sistema oppressi o emarginati (Egemonia).

Soviet

 

E' l'organismo costituito in Russia da operai, soldati e contadini a partire dal 1905 come strumento di potere statale alternativo all'apparato burocratico militare zarista (Burocratismo).

I soviet in origine erano soltanto il tentativo di un effettivo controllo operaio sulla produzione e sulla ripartizione dei prodotti. Fin da principio si presentarono tuttavia non come organismi di partecipazione al potere statale, ma come l'espressione di un tipo di potere qualitativamente diverso, analogo a quello che già si era realizzato nella Comune di Parigi.

La repressione distrusse il soviet di Pietrogrado nel 1905. Dodici anni dopo i soviet si ripresentarono come formazioni in parte spontanee e in parte legate al Partito Operaio Socialdemocratico Russo e ben presto costituirono un tessuto di organismi di democrazia diretta, i cui funzionari erano eleggibili e revocabili secondo la volontà popolare e senza formalità burocratiche.

Nel breve spazio di tempo tra il febbraio e l'ottobre del 1917 la politica del partito bolscevico di «dare tutto il potere ai soviet» permise la costituzione di una salda organizzazione militare e rivoluzionaria, che fu determinante per il successo della rivoluzione.

I soviet diventarono pertanto la principale istituzione statale socialista che ha permesso la soluzione, per la prima volta nella storia, del problema della distruzione dell'apparato statale borghese e della sua sostituzione con il potere popolare:

«... esso (il soviet) permette di unire i vantaggi del parlamentarismo con quelli della democrazia diretta e immediata, cioè di riunire nella persona dei rappresentanti eletti dal popolo il potere legislativo e il potere esecutivo. Nel confronto del parlamentarismo borghese, questo è un progresso d'importanza storica mondiale nello sviluppo della democrazia» (Lenin, l bolscevichi conserveranno il potere statale? in Opere scelte, vol. unico, p. 384).

Sovrapproduzione

 

Fenomeno che si verifica quando il prodotto supera la quantità strettamente necessaria per la riproduzione semplice: «entro la società capitalistica è un elemento di anarchia».

Nella società capitalistica, la sovrapproduzione è soprattutto sovrapproduzione di capitale nelle sue varie forme, come mezzi di produzione, merci prodotte capitalisticamente, capitale monetario ecc., e diventa quindi un fenomeno molto complesso, collegato allo stesso processo di accumulazione del capitale:

«Sovrapproduzione di capitale, non delle merci individuali, - quantunque la sovrapproduzione di capitale determini sempre sovrapproduzione delle merci - significa semplicemente sovraccumulazione di capitale» (Il Capitale, libro III, p. 304).

Alla sovrapproduzione sono strettamente collegate le crisi economiche. Anche l'economia politica classica aveva analizzato il rapporto tra crisi e sovrapproduzione, individuando nella seconda una delle cause della prima. Secondo Marx, la sovrapproduzione non è però solo causa delle crisi, ma è essa stessa un risultato dell'organizzazione capitalistica della produzione, finalizzata alla realizzazione del profitto. In altri termini ogni nuovo capitale addizionale, per poter funzionare come capitale deve produrre profitto e produrne in una quantità adeguata ai crescenti costi della produzione, dovuti al miglioramento delle tecniche, al rinnovo dei macchinari e ad altri fattori. Il volume della produzione non è dunque determinato in base alle esigenze sociali, ma in base alle esigenze del profitto capitalistico. In una società capitalistica in fase di avanzata industrializzazione aumenta costantemente la quantità di capitale necessario per ottenere i profitti che precedentemente potevano essersi realizzati impiegando capitali inferiori Questo fenomeno si verifica a causa di numerosi fattori, tra i quali i principali sono il processo di concentrazione e centralizzazione del capitale e la tendenza alla diminuzione del saggio generale del profitto.

«Poiché il capitale non ha come fine la soddisfazione dei bisogni ma la produzione del profitto, e poiché può realizzare questo fine solo usando dei metodi che regolano la massa dei prodotti secondo la scala della produzione e non inversamente, si deve necessariamente venire a creare un continuo conflitto fra le dimensioni limitate del consumo su basi capitalistiche ed una produzione che tende continuamente a superare questo limite che le è assegnato. Inoltre il capitale si compone di merci e quindi la sovrapproduzione del capitale comporta una sovrapproduzione delle merci» (ivi, p. 310).

Il fenomeno della sovrapproduzione, secondo Marx, mette quindi in evidenza i limiti della produzione capitalistica, che «non costituisce un modo di produzione assoluto ma semplicemente storico, corrispondente ad una certa, limitata epoca di sviluppo delle condizioni materiali di produzione» (Crisi economica).

Sovrastruttura

 

(Struttura e sovrastruttura)

Spartachismo

 

Il movimento teorico e pratico della Lega di Spartaco, l'organizzazione rivoluzionaria costituita nel 1916 dai socialdemocratici tedeschi di sinistra guidati da K. Liebknecht, R. Luxemburg, F. Mehring, K. Zetkin.

Gli spartachisti si distinsero per la ferma opposizione alla guerra e per la lotta contro l'opportunismo e la collaborazione di classe praticata dal Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), dal quale si staccarono nel dicembre del 1918 per dar vita al Partito Comunista Tedesco (KPD) il cui organo ufficiale, Die Rote Fahne (La bandiera rossa), fu fin dai primi numeri il giornale più temuto e detestato dai circoli reazionari tedeschi e dallo stesso SPD.

Agli inizi del 1919 la situazione precipitava: il governo socialdemocratico espelleva i membri meno propensi a misure repressive, concentrava a Berlino e dintorni i reparti militari più fidati, riuscendo nel contempo ad allontanare dalla città quelli schierati dalla parte degli spartachisti; il 5 gennaio 1919, dopo una grande manifestazione di massa, vi furono tentativi insurrezionali che fornirono l'attesa occasione di scatenare le forze controrivoluzionarie, costituite non solo da truppe regolari ma anche dai cosiddetti Corpi franchi, bande armate di estrema destra, che il socialdemocratico Noske, ministro della Difesa e uomo forte del governo, non esitò a impiegare.

Il 12 gennaio ogni forma di lotta armata era finita ed ebbe inizio la caccia agli spartachisti (comunisti e membri del Partito Socialdemocratico Tedesco Indipendente o USPD), durante la quale Liebknecht e la Luxemburg furono arrestati e poi assassinati; con la «settimana di sangue» l'ordine «democratico» era ristabilito grazie alla collaborazione dei socialdemocratici, dei generali reazionari e dei futuri nazisti dei corpi franchi.

Tutto questo poté accadere anche in conseguenza degli errori degli spartachisti: le indecisioni del Comitato rivoluzionario, gli insufficienti e saltuari collegamenti con i gruppi rivoluzionari delle altre città, la mancanza di un seguito nelle campagne e, come è stato notato, l'incapacità di comprendere e quindi di far comprendere al popolo tedesco che la lotta degli spartachisti era rivolta oggettivamente anche contro l'imperialismo straniero e contro il suo piano di asservimento della Germania ed era quindi una lotta nazionale.

Spontaneismo

 

Concezione che contrappone alla necessità dell'organizzazione consapevole, l'azione spontanea priva di una direzione politica, di una centralizzazione organizzativa, di una prospettiva complessiva verso cui indirizzare la lotta di classe.

Nel movimento operaio e nella tradizione comunista lo spontaneismo si è manifestato come la tendenza a individuare nell'istinto di ribellione degli strati sociali oppressi la garanzia sufficiente per la giustezza di una linea e di una pratica politica, sottovalutando l'importanza della direzione politica e in particolare negando la necessità di inserire le lotte operaie per le rivendicazioni economiche nel quadro di una strategia politica complessiva (Economicismo). L'affermazione che le idee giuste provengono semplicemente dal crescere del «movimento spontaneo» porta alla sottovalutazione del ruolo della teoria rivoluzionaria come guida per la pratica e quindi alla negazione della funzione dirigente dell'avanguardia della classe operaia, cioè al rifiuto del partito.

In particolare lo spontaneismo si manifestò come una reazione all'immobilismo e alla politica di cedimento dei partiti socialdemocratici della Seconda Internazionale, cioè come «una risposta sbagliata per un problema reale»: infatti i suoi teorizzatori contribuirono a suscitare fermenti di ribellione tra le masse, senza tuttavia riuscire a definire con coerenza l'orientamento politico e un'organizzazione razionale (Volontarismo).

Lenin, criticando lo spontaneismo, affermò ripetutamente la necessità di una salda organizzazione e di una direzione politica complessiva sul movimento rivoluzionario, attraverso il partito e le sue organizzazioni. Ciò non implica un giudizio negativo sui fenomeni spontanei di ribellione delle masse, indice delle manchevolezze e dei limiti dei partiti che rappresentano la classe operaia. Secondo Gramsci lo spontaneismo è un fenomeno caratteristico di un'errata impostazione del problema della trasformazione della classe subalterna in egemone: ai comunisti si pone il compito di trasformare l'elemento della spontaneità, «caratteristico della storia delle classi subalterne e anzi degli elementi più marginali e periferici di queste classi» in organizzazione e direzione politica consapevoli. In riferimento all'azione dei comunisti nell'esperienza dell'Ordine Nuovo così Gramsci si esprime:

«Questo elemento di "spontaneità" non fu trascurato e tanto meno disprezzato: fu educato, fu indirizzato, fu purificato da tutto ciò che di estraneo poteva inquinarlo, per renderlo omogeneo, ma in modo vivente, storicamente efficiente, con la teoria moderna ... Questa unità della "spontaneità" e della "direzione consapevole", ossia della "disciplina" è appunto l'azione politica reale delle classi subalterne, in quanto politica di massa e non semplice avventura di gruppi che si richiamano alla massa … Trascurare e peggio disprezzare i movimenti così detti "spontanei", cioè rinunziare a dar loro una direzione consapevole, ad elevarli ad un piano superiore inserendoli nella politica, può avere spesso conseguenze molto serie e gravi. Avviene quasi sempre che a un movimento "spontaneo" delle classi subalterne si accompagna un movimento reazionario della destra della classe dominante, per motivi concomitanti: una crisi economica, per esempio, determina malcontento nelle classi subalterne e movimenti spontanei di massa da una parte, e dall'altra determina complotti dei gruppi reazionari che approfittano dell'indebolimento obiettivo del governo per tentare dei colpi di Stato. Tra le cause efficienti di questi colpi di Stato è da porre la rinunzia dei gruppi responsabili a dare una direzione consapevole ai moti spontanei e a farli diventare quindi un fattore politico positivo» (Gramsci, Quaderni del Carcere, pp. 330-331).

Stakhanovismo

 

Movimento volontario per l'aumento della produttività del lavoro sviluppato nell'URSS a partire dal 1935; il nome deriva da un minatore del bacino del Donetz, Alexei Stakhanov, che nell'agosto del '35 riorganizzò l'impiego delle macchine per il taglio del carbone in modo da assicurarne il massimo rendimento. Dalle miniere di carbone queste innovazioni, che erano poi processi di razionalizzazione tecnico-operativa del lavoro, si diffusero in altri settori produttivi. Sostituito o confuso con altre pratiche aventi gli stessi scopi, si dissolse nel dopoguerra.

Stalinismo

 

In senso stretto il termine indica il contributo teorico e la prassi politica di Stalin nel periodo in cui fu segretario del Partito Comunista dell'URSS (PCUS) e cioè dal 1922 al 1953, anno della sua morte.

In senso ampio e concreto, tenuto conto del prestigio dell'Unione Sovietica in quanto primo Stato socialista e della conseguente influenza sul movimento operaio internazionale, lo stalinismo coinvolge l'esperienza politica e la produzione teorica dei vari partiti comunisti nel corso di un trentennio straordinariamente denso di avvenimenti, durante il quale il consolidamento della Rivoluzione vittoriosa e la sua difesa dall'accerchiamento imperialistico furono i compiti storici decisivi.

Si tratta dunque di un fenomeno estremamente complesso che va ben oltre il semplicistico e riduttivo riferimento alla persona di Stalin, e benché sia ovvio che le sue caratteristiche biografiche abbiano avuto un peso non trascurabile, è altrettanto ovvio che le cause, i modi, i limiti dello stalinismo vanno ricercati altrove e cioè nella sfera oggettiva dei problemi economici, politici e teorici sollevati dall' esistenza stessa dell'URSS.

Così, per esempio, Stalin fu l'unico tra i maggiori dirigenti rivoluzionari a non aver avuto un'esperienza effettiva del mondo occidentale; quando perciò parlava di democrazia, il suo sistema di riferimento era puramente astratto, sprovvisto di contenuti concreti o di modelli reali: era esattamente quello della grande massa dei militanti russi che non aveva conosciuto altro che il regime zarista. Sotto questo aspetto egli rappresentava le idee e le aspirazioni delle masse in modo più omogeneo e spontaneo di altri, ed è questa corrispondenza che gli permise di procedere alla realizzazione dei compiti posti all'URSS dalla situazione concreta.

Alla morte di Lenin, col quale aveva avuto non pochi né lievi contrasti, Stalin diede il via all'opera di mistica esaltazione del capo scomparso che rifletteva certamente il dolore del popolo russo, ma che aveva ben poco in comune con quanto Lenin nel corso della sua vita aveva insegnato. Questo fatto, apparentemente marginale, conferma la capacità di Stalin, istintiva o studiata che fosse, di muoversi in sintonia con le aspettative popolari più dirette e immediate; inoltre sottolinea un tratto essenziale dello stalinismo: la mitizzazione di Lenin, l'assolutizzazione della parola di chi aveva detto «quanto a me, sono anch’io in filosofia uno che cerca».

L'atteggiamento contradditorio di Stalin in proposito è ben noto: da una parte sosteneva che il marxismo «non conosce formule immutabili obbligatorie per tutte le epoche», che «è nemico di ogni dogmatismo», che la teoria marxista-leninista non può essere considerata «come una raccolta di dogmi, come un catechismo, come un credo»; dall'altra attaccava tutti coloro che volevano «trasformare la questione del bolscevismo di Lenin da assioma in problema che ha bisogno di uno studio ulteriore».

Lo stalinismo fu impregnato di simili contraddizioni e di altre ancora che rendono molto difficile isolare i suoi aspetti positivi da quelli negativi e darne conseguentemente un giudizio obiettivo. Numerosi studiosi hanno tentato di analizzarlo denunciandone, in sostanza, la concezione formalistica e la difesa «amministrativa» dei principi del materialismo dialettico e storico, lo schematismo dogmatico nell'elaborazione culturale e nella politica nei confronti degli intellettuali e dello sviluppo scientifico e artistico.

Sulla base di un'oggettiva necessità di centralizzazione del sistema governativo e amministrativo, si accentuò sotto Stalin una forma di direzione dello Stato verticale e accentrata che si estese a tutti gli aspetti della vita del Paese, riducendo progressivamente il peso delle istituzioni democratiche di base e le forme di controllo popolare e di governo dal basso; il burocratismo, in altri termini, divenne dominante.

La mancanza di un dibattito e di una reale democrazia popolare fu la causa della mancata comprensione delle differenze tra le contraddizioni all'interno del partito e quelle all'esterno, determinando una confusa identificazione tra politica di partito e politica di Stato, particolarmente evidente a livello dei rapporti internazionali.

La tesi staliniana sull'inasprimento della lotta di classe durante la fase di costruzione del socialismo era esatta, come dimostrarono gli sconvolgimenti e i conflitti che accompagnarono la collettivizzazione delle campagne e il primo piano quinquennale, ma fu seguita dall'erronea valutazione dei successi ottenuti quando, nel 1936, venne data per estinta la lotta di classe che si riaffacciava in forme nuove in seno alla società sovietica.

Per quanto riguarda il movimento comunista internazionale, accanto ai meriti della III Internazionale nell'analisi dell'imperialismo e della natura di classe del fascismo, che crearono le condizioni per combatterlo vittoriosamente e per l'avanzamento della lotta rivoluzionaria in tutto il mondo, vanno addebitate allo stalinismo direttive e misure che ebbero non poche conseguenze negative.

Nel 1956 al XX Congresso del PCUS, il rapporto segreto di Krusčev fondava la destalinizzazione sulle due critiche fondamentali del culto della personalità e della «violazione della legalità socialista»: mancò invece l'analisi della base reale di quelle deviazioni e ciò ebbe conseguenze negative e involutive nella successiva storia dell'URSS e nell'esperienza di altri partiti comunisti. Di più, con un procedimento di condanna globale tanto astratto quanto lo era stato prima quello di plauso incondizionato, si disconoscevano gli indubbi meriti di Stalin nella guida della durissima e vittoriosa guerra contro l'aggressione nazifascista, il suo ruolo decisivo di grande dirigente che seppe chiamare a raccolta l'intero popolo russo nel momento in cui si giocavano le sorti del mondo civile.

Da quanto si è detto appare evidente che un giudizio non superficiale né propagandistico sullo stalinismo è tutt'altro che facile; la sua caratteristica principale fu, secondo alcuni studiosi, una «russificazione» del marxismo intesa nel senso più ampio possibile, vale a dire come appropriazione di un pensiero e di una pratica - concepiti altrove - nei termini delle qualità, positive e negative, di un popolo con una storia tanto diversa da quella dei popoli dell'Europa occidentale. In questa interpretazione potrebbe essere inclusa la tendenza a trovare a ogni costo giustificazioni teoriche, all'interno dei classici, per ogni genere di operazioni dettate dalla necessità e senza scelta, che è un altro dei caratteri salienti dello stalinismo.

Stato

 

Nella concezione materialistica della storia è l'istituzione giuridico-politica sorta per il controllo degli antagonismi di classe, che si pone come strumento di potere della classe dominante di cui è l'espressione.

«Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato dei possessori di schiavi al fine di sottomettere gli schiavi, così lo Stato feudale fu l'organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale» (Engels, L'origine della famiglia, p. 202).

Lo Stato non è dunque sempre esistito, la sua costituzione è legata alla comparsa della proprietà privata e delle classi e la sua forma segue l'evoluzione dei rapporti di produzione: ma la sua sostanza, che è quella di stabilire un «ordine» per la legalizzazione e il consolidamento del dominio, non muta. Di conseguenza esso cesserà di esistere solo nella società comunista, quando sarà eliminata la struttura economico-sociale che ne è alla base.

Nella società capitalistica lo Stato tende sempre più ad affermarsi come un'entità distinta e sovrapposta alla società e ad accentuare il carattere di «macchina oppressiva»; ciò è dovuto al fatto che nello Stato moderno, così come si è andato formando dopo il periodo feudale, il potere ha assunto un carattere fortemente centralizzato, per il quale si è dovuta creare un'organizzazione burocratica e parassitaria di funzionari, che lo ha sempre più estraniato dalla società.

«La burocrazia è il formalismo di Stato della società civile. Essa è la coscienza dello Stato, la volontà dello Stato, la forza dello Stato in quanto è una corporazione (...) dunque una società particolare, chiusa, nello Stato» (Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto, in Opere III, p. 52).

Tuttavia la democrazia borghese presenta per il proletariato dei «grandi vantaggi»; essa infatti non solo afferma le libertà politiche che permettono lo sviluppo del proletariato stesso ma, nel farlo, scopre i propri limiti e le proprie contraddizioni. Infatti i concetti di sovranità popolare e di uguaglianza dei cittadini, che sono i cardini teorici su cui essa poggia, sono contraddetti dal permanere della proprietà privata dei mezzi di produzione: ne deriva che la libertà per la stragrande maggioranza dei cittadini è puramente formale.

«La situazione stessa della borghesia come classe genera inevitabilmente, nella società capitalistica la sua incongruenza nella rivoluzione democratica, il proletariato come classe, per la sua stessa situazione, è costretto ad essere conseguentemente democratico» (Lenin, Le due tattiche della socialdemocrazia, in Opere scelte, vol. unico, p. 73).

La democrazia reale e completa per tutti i cittadini si potrà avere nella società comunista, quando non esisteranno più lo sfruttamento e l'oppressione di classe con tutti gli effetti a ciò connessi; tra l'attuale democrazia borghese e quella comunista deve necessariamente intercorrere un periodo nel quale il proletariato, come classe dominante, esercita il potere in nome della maggioranza sulla minoranza, cioè la dittatura del proletariato.

«Il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere» (Engels, Lettera a Bebel, in Lenin, La Comune di Parigi, p. 42).

Secondo Lenin questa fase è legata a condizioni specifiche: essa è ovunque necessaria per il passaggio al comunismo, ma non dappertutto assume le stesse forme e gli stessi modi di attuazione, i quali dipendono anche dall'atteggiamento della classe antagonista, la borghesia. Così ad esempio il problema della restrizione del voto non era per Lenin un «problema generale della dittatura», ma era connesso alle condizioni particolari di ogni singola rivoluzione.

Secondo Engels, ripreso in tutto da Lenin, la dittatura del proletariato non è più lo Stato nel senso proprio del termine: in essa sono già posti elementi di «autogoverno della società», per i quali lo Stato cessa di essere un corpo estraneo dando così inizio alla sua estinzione. In concreto le cose sono andate diversamente da come Lenin aveva previsto, ma va ricordato che nel periodo in cui egli si era occupato di questo argomento non era ancora prevedibile la costruzione del socialismo in un solo paese, né l'accerchiamento capitalistico dell'URSS, con le note conseguenze sul piano interno (Socialismo). Da rilevare la lotta di Lenin al burocratismo nel quale erano insite serie minacce alla democrazia socialista fondata soprattutto sulla partecipazione delle masse alla gestione politica.

La concezione marxista dello Stato ha dunque capovolto quella propria della storiografia (Storia) precedente fino ad Hegel: laddove questa si dibatteva in una contraddizione insolubile tra uno Stato dotato di vita autonoma indipendente dalla base materiale su cui si fondava e gli individui in carne e ossa che agivano nella società, il materialismo storico rivela il nesso tra lotta di classe e Stato, tra classe dominante e Stato, tra rapporti di produzione e Stato e poiché questo nesso è mediato dal momento politico istituzionale (diritto, leggi, ecc.) ne deriva «l'illusione che la legge riposi sulla volontà e anzi sulla volontà strappata dalla sua base reale, sulla volontà libera».

Storia

 

Termine usato per indicare tanto le vicende storiche quanto il loro racconto, vale a dire tanto i fatti che costituiscono la storia quanto il loro studio, la cui corretta denominazione è invece storiografia

Per il marxismo la storia è il processo di appropriazione consapevole della natura da parte dell'uomo, realizzato per mezzo del lavoro. Il punto di partenza per una considerazione con- creta della storia è così descritto da Marx:

«... dobbiamo cominciare col constatare il primo presupposto di ogni esistenza umana e dunque di ogni storia, il presupposto cioè che per poter "fare storia" gli uomini devono essere in grado di vivere. Ma il vivere implica prima di tutto il mangiare e il bere, l'abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni, la produzione della vita materiale stessa, e questa è precisamente un'azione storica, una condizione fondamentale di qualsiasi storia, che ancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente per mantenere in vita gli uomini» (L'ideologia tedesca, in Opere V, p. 27).

La storia va dunque intesa come il succedersi delle generazioni che svolgono queste attività utilizzando le condizioni di produzione elaborate in precedenza in nuove forme e circostanze.

Questo modo di affrontare i problemi posti dall'interpretazione delle vicende storiche nel loro complesso costituisce il nucleo del materialismo storico; la conoscenza della storia, secondo Marx, può essere dunque scientifica (Scienza) quando non ignora questa «base reale», quando non esclude dalla propria indagine il rapporto dell'uomo con la natura che è il presupposto dell'esistenza stessa della storia; si comprende quindi l'importanza dell'affermazione:

«Noi conosciamo un'unica scienza, la scienza della storia. La storia può essere considerata da due lati, distinta nella storia della natura e nella storia degli uomini. Tuttavia i due lati non possono essere separati; finché esistono uomini storia della natura e storia degli uomini si condizionano a vicenda. La storia della natura, la cosiddetta scienza naturale, qui non ci riguarda; dovremo invece soffermarci sulla storia degli uomini perché quasi tutta l'ideologia si riduce o a una concezione falsata di questa storia o a un'astrazione completa da essa» (ivi, p. 14).

Storicismo

 

Questa parola è stata coniata alla fine del secolo scorso per definire l'interpretazione della storia elaborata da G. Vico; entrata nell'uso corrente molto più tardi, essa indica la tendenza a collocare qualsiasi problema o argomento all'interno del processo storico; in questo senso il termine storicismo è stato poi applicato anche a filosofie precedenti, come a quella hegeliana; ed è secondo alcuni applicabile al marxismo che in effetti ha ripreso criticamente la concezione dialettica dello sviluppo storico propria di Hegel.

Il materialismo storico, infatti, considera ogni epoca e ogni modo di produzione ad essa corrispondente come storicamente determinata, cioè come destinata ad essere sostituita, a un certo grado del suo sviluppo, da una società che la superi, fondandosi sulla radicale negazione dei rapporti di produzione prece- denti. Inoltre per il marxismo lo sviluppo storico è determinato essenzialmente dalle contraddizioni che danno origine alla lotta di classe.

Engels, riassumendo i punti essenziali della concezione hegeliana che costituirono un momento fondamentale per l'elaborazione del materialismo storico, afferma che:

«... la vera importanza e il carattere rivoluzionario della filosofia hegeliana ... consistevano appunto nel fatto che essa poneva termine una volta per sempre al carattere definitivo di tutti i risultati del pensiero e dell'attività umani ... Allo stesso modo della conoscenza, la storia non può trovare una conclusione definitiva in uno stato ideale perfetto del genere umano; una società perfetta, uno "Stato" perfetto sono cose che possono esistere soltanto nella fantasia; al contrario, tutte le situazioni storiche che si sono succedute non sono altro che tappe transitorie nel corso infinito dello sviluppo della società umana da un grado più basso a un grado più elevato. Ogni tappa è necessaria, e quindi giustificata per il tempo e per le circostanze a cui deve la propria origine, ma diventa caduca e ingiustificata rispetto alle nuove condizioni, più elevate, che si sviluppano a poco a poco nel suo proprio seno; essa deve far posto a una tappa più elevata, che a sua volta entra nel ciclo della decadenza e della morte» (Engels, Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, p. 20).

Occorre tuttavia osservare che il marxismo contraddice lo storicismo qualora si presenti come relativismo storico, cioè come negazione della possibilità di esprimere giudizi validi sulla natura degli avvenimenti che si presentano nelle varie epoche. Infatti secondo la concezione materialistica della storia, nelle varie società si sviluppano delle tendenze che oggettivamente favoriscono o contrastano il progresso (Scienza). Questa concezione rifiuta anche le forme di storicismo legate a filosofie di tipo idealistico o comunque tendenti a considerare la storia in modo astratto, indipendentemente dal suo supporto materiale. Gli sviluppi ulteriori del marxismo, in particolare nell'opera di Gramsci, approfondirono l'analisi storica condotta secondo i criteri di quello che viene definito storicismo dialettico. Gramsci giunse a definire il marxismo come «storicismo assoluto», che non solo si sforza di spiegare storicamente il passato, ma anche se stesso, che è cioè «il massimo "storicismo", la liberazione totale da ogni "ideologismo" astratto, la reale conquista del mondo storico, l'inizio di una nuova civiltà».

Strategia e tattica

 

I due termini, desunti dal linguaggio militare, indicano le forme attraverso cui si realizza la direzione complessiva della lotta di classe:

«La capacità strategica e tattica del partito è la capacità di organizzare e unificare attorno all'avanguardia proletaria e alla classe operaia tutte le forze necessarie alla vittoria rivoluzionaria e di guidare di fatto verso la rivoluzione approfittando delle situazioni oggettive e degli spostamenti di forze che esse provocano sia tra la popolazione lavoratrice che tra i nemici della classe operaia. Con la sua strategia e con la sua tattica il partito dirige la classe operaia nei grandi movimenti storici e nelle sue lotte quotidiane. L'una direzione è legata all'altra ed è condizionata dall'altra» (Gramsci, Tesi di Lione, p. 50).

Sono dunque elementi vitali per la strategia e la tattica l'analisi delle condizioni storiche in tutti i loro aspetti e delle possibilità d'azione del proletariato di fronte ad esse, l'agitazione dei problemi e degli obiettivi e la propaganda della linea del partito con lo scopo di legare ad esso, attraverso la difesa e la lotta per le loro rivendicazioni, le masse lavoratrici.

In particolare la strategia determina, in una data fase storica, la direzione dell'obiettivo principale del proletariato, cioè fissa la prospettiva generale e il relativo piano complessivo della disposizione delle forze. Essa quindi è relativa a tutta un'epoca storica, di cui traccia la tendenza e gli sviluppi in senso rivoluzionario.

La tattica invece ha per oggetto la linea di azione nelle diverse situazioni concrete che si possono presentare: il compito della direzione tattica quindi è di mettere in primo piano quegli obiettivi intermedi di lotta, quelle formule organizzative, quella politica di alleanze che meglio rispondono alle condizioni concrete della lotta di classe, alle specificità con cui una tendenza generale si realizza nei diversi paesi, nei diversi periodi, all'interno dei differenti strati sociali. Essa ha il compito di trovare nella catena degli avvenimenti «quell'anello particolare aggrappandosi al quale sarà possibile reggere tutta la catena», quell'obiettivo parziale il cui raggiungimento prepara le condizioni e avvicina la soluzione dei compiti strategici. La tattica dunque dipende ed è parte della strategia, nella misura in cui non si svolge isolatamente, ma come episodio inserito in un contesto strategico, che ne fissa i presupposti e le prospettive.

Una concezione della tattica che la riduca a tatticismo diplomatico, non ne comprenderebbe i caratteri di specificazione della strategia. Slegare la tattica dalla strategia oppure negare la prima e vedere solo la seconda, come è tipico del dottrinarismo e del dogmatismo, non vuol dire "salvare" i principi, ma anzi avere di essi una visione astratta, proprio in quanto non se ne individuano i passi politici reali che li concretizzano nelle diverse fasi storiche.

Concepire una strategia svuotata dai suoi contenuti tattici concreti significa riprodurre quel distacco tra obiettivo finale e pratica politica che fu tipico della Seconda Internazionale e del revisionismo.

Struttura e sovrastruttura

 

La struttura economica è definita da Marx come l'insieme dei rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive materiali della società. In altri termini ogni formazione economico-sociale ha una base reale, concreta, che la caratterizza come epoca storica e come modo di produzione, diverso in epoche storiche diverse. La struttura è l'elemento determinante, il fattore decisivo che imprime a una società il carattere generale di un modo di produzione: per esempio la società capitalistica è contraddistinta da una struttura economica dominata dai rapporti di produzione capitalistici e non potrebbe sussistere qualora questi rapporti fossero caratterizzati dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.

A cominciare dal periodo in cui la divisione sociale del lavoro ha assunto un'importanza rilevante e ha condotto alle prime divisioni in classi, sulla struttura - secondo l'espressione di Marx - si «eleva una sovrastruttura giuridica e politica», e alla base reale «corrispondono forme determinate della coscienza sociale». La sovrastruttura è quindi in primo luogo tutto il complesso delle istituzioni, di cui la più importante è lo Stato: secondo Engels «Lo Stato ci si presenta come il primo potere ideologico sugli uomini» .

In secondo luogo appartengono alla sovrastruttura tutte le manifestazioni culturali, artistiche, religiose, filosofiche, morali e in generale tutte le idee che gli uomini elaborano con la loro riflessione. Le sovrastrutture sono il riflesso mediato, cioè non meccanico, ma dialettico, dei rapporti reali che intervengono tra gli uomini nel momento della produzione materiale. Secondo l'espressione di Marx, una società non può essere giudicata per le idee che essa ha di se stessa, così come un uomo non deve essere giudicato per ciò che dice di essere, ma per ciò che fa. Ad esempio nella società capitalistica potrebbe essere dominante per una certa fase una produzione intellettuale improntata al razionalismo e un'organizzazione statale liberale o democratico-borghese, e per un altro periodo una produzione intellettuale sostanzialmente irrazionalista e un'organizzazione statale fascista: ma ciò non modificherebbe, in modo sostanziale, la natura effettiva dell'epoca storica in cui va inserita questa società. Tra struttura e sovrastruttura si verifica, secondo il marxismo, un continuo processo di azione reciproca. A questo proposito Marx ed Engels hanno più volte ribadito che il materialismo storico non dev'essere interpretato come una concezione che privilegia in senso assoluto e schematicamente l'analisi economica della struttura, trascurando lo studio del ruolo che le istituzioni, la cultura, le ideologie e tutti i fenomeni sovrastrutturali, possono esercitare, influenzando in modo talvolta decisivo il corso dello sviluppo storico.

Subalternità

 

E' la condizione di dipendenza e di sottomissione in cui si trovano le classi e i gruppi sociali che sono esclusi dalla direzione dello Stato. Secondo Gramsci, «I gruppi subalterni subiscono sempre l'iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria "permanente" spezza, e non immediatamente, la subordinazione».

La condizione di subalternità è caratteristica di quei gruppi sociali che, per la funzione che svolgono nel mondo della produzione, non sono in grado di unificarsi e organizzarsi autonomamente e di contrastare il dominio e l'organizzazione del consenso che le classi dominanti realizzano nei loro confronti.

Gramsci affrontò, nei Quaderni del Carcere, lo studio della storia dei gruppi sociali subalterni, analizzando le caratteristiche che questi assunsero nelle varie epoche storiche, e la funzione che svolsero. A proposito della società industriale contemporanea, egli osservò che la classe operaia è in grado, per la posizione che occupa nel processo produttivo, di esercitare una funzione egemonica (Egemonia), di «spezzare la subordinazione» in cui è mantenuta dalla borghesia e di costruire, attraverso il partito comunista, un nuovo tipo di Stato. Il termine «subalternità» acquistò così, in Gramsci, un significato polemico nei confronti di quelle concezioni, largamente diffuse nei partiti aderenti alla II Internazionale e nel Partito Socialista Italiano, che rappresentavano una rinuncia all'autonomia culturale, politica e organizzativa della classe operaia, e in ultima analisi erano appunto dovute alla «subalternità» nei confronti delle classi dominanti (Economicismo).

Subimperialismo

 

(Arricchimento della teoria)

Surplus

 

Nella teoria economica il termine indica l'eccedenza di prodotto e quindi di valore, la cui forma, volume e modo di appropriazione e di utilizzazione dipendono dal grado di sviluppo delle forze produttive e dal corrispondente carattere dei rapporti di produzione.

Analizzando il fatto che lo scambio di un prodotto comporta per il suo proprietario qualcosa di più di ciò che egli aveva speso nella produzione della merce, si pone il problema dell'origine di questa eccedenza. Una prima spiegazione, che individuava nello scambio il motivo dell'incremento di valore, considerava l'eccedenza come dovuta al fatto di vendere una merce al di sopra del suo valore. Marx trasferì nella sfera della produzione il potere di creare ricchezza e il surplus utilizzabile per l'accumulazione e, per spiegare la differenza tra la quantità di lavoro contenuta in una merce e il valore della forza-lavoro, introdusse la nozione di plusvalore.

All'interno di questo ordine di considerazioni, il surplus ha avuto nel pensiero economico, diverse e spesso anche opposte definizioni, soprattutto in relazione all'estensione del suo concetto nei confronti dei fenomeni economici: si è distinto, per esempio, tra surplus effettivo e potenziale, indicando con il primo termine la differenza tra la produzione effettiva e il consumo effettivo della società e, con il secondo, la differenza tra il prodotto che si potrebbe ottenere in un dato ambiente naturale e tecnologico e ciò che si potrebbe considerare come consumo indispensabile. Entrambe queste nozioni differiscono da quella di plusvalore: nel primo caso essendo unicamente quella parte del plusvalore che viene accumulata ed escludendo quindi il consumo della classe capitalistica, le spese amministrative, ecc.; nel secondo comprendendo, oltre a ciò, quella parte di prodotto perduto per la sottoutilizzazione degli impianti o per un impiego irrazionale delle risorse produttive.

Si è parlato anche di surplus economico pianificato, riferito al modo di produzione di una società socialista, come differenza tra la produzione ottimale che la società potrebbe ottenere attraverso l'utilizzazione pianificata (Pianificazione) delle risorse e una determinata quota ottimale di consumo. In questo caso il volume del surplus prodotto non sarebbe determinato dai meccanismi del profitto, ma da un piano razionale di organizzazione dei consumi sociali. Dipendendo dal grado di sviluppo delle forze produttive e dei bisogni umani, esso potrebbe risultare sia maggiore che minore del surplus realizzato in condizioni capitalistiche di produzione.