a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
Dizionario enciclopedico marxista
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U
Questo termine indica tanto la nota corrente di pensiero che nel Rinascimento
cambiò radicalmente l'ideologia medievale della persona umana, quanto, per estensione,
ogni filosofia che consideri direttamente l'uomo come oggetto centrale della
propria ricerca (Antropologia). Da qui
l'interpretazione del marxismo come forma contemporanea di umanesimo sviluppata
da non pochi marxisti. A parte le differenze specifiche riscontrabili al suo
interno questa interpretazione si può riassumere nei due punti seguenti:
– il marxismo è in sostanza una nuova concezione della persona umana che si
basa su premesse scientifiche e materialistiche; la critica dell'economia
politica mette in luce i modi di dipendenza dell'uomo dalla formazione
economico-sociale di cui è pane e che pure egli stesso ha creato e continua a
far vivere; nel contempo svela i meccanismi attraverso i quali le formazioni
cambiano e si dissolvono;
– il comunismo è la realizzazione più compiuta dell'umanesimo: perciò questo
comprende come momento essenziale la lotta, la pratica necessaria alla sua
affermazione; è, per usare le parole del filosofo polacco Adam Schaff,
«umanesimo militante».
Da quanto detto si comprende che l'umanesimo marxista non intende certo porsi
come generica filosofia dell'uomo né come forma di interesse per l'uomo in
astratto: qui il lamento sulla sua condizione si arresta sempre prima di arrivare
alle cause. Né d'altra parte può essere confuso con quelle tendenze vaghe,
quando non apertamente ostili a ogni ipotesi di potere reale da parte del
proletariato, che possono essere assimilate alla formula del «socialismo dal
volto umano».
Detto questo, e riconosciuto all'umanesimo marxista il merito di aver
denunciato certe forme di marxismo troppo inclini a chiudersi in un rigore
scientifico separato dalla considerazione delle condizioni umane, è tuttavia
necessario chiedersi se e quale senso reale abbia parlare di umanesimo marxista
oltre i limiti di una certa genericità. Che Marx e Engels non abbiano mai avuto
in mente di elaborare una teoria scientifica per il puro e semplice amore della
scienza è un dato di fatto che emerge da tutte e da ciascuna delle loro opere (Etica); da qui a registrare come specifico
umanesimo questa caratteristica del marxismo vi è una notevole differenza che
molti marxisti trovano, in sostanza, riduttiva.
Questo termine, che letteralmente vuol dire «che non è in nessun luogo», viene
usato nel marxismo in due modi diversi, uno negativo e l'altro positivo.
Il primo è legato al rifiuto di una corrente di pensiero che riprendeva, più o
meno consapevolmente, un tema illustrato da Tommaso Moro in una celebre opera
dal titolo significativo Della migliore
costituzione di uno Stato e della nuova isola di Utopia (1516); essa
può essere considerata il prototipo di tutte le opere successive in cui si
descrivevano, talvolta fin nel dettaglio, Stati o società ideali. Con la
differenza che nella prima metà del secolo XVI la «nuova isola» era la
manifestazione di un grande pensiero critico nei confronti della realtà di quel
tempo; tre secoli dopo, quando vivevano ancora Fourier e Saint-Simon, era una
nobile moda letteraria i cui seguaci si sarebbero ben presto appellati «alla
filantropia dei cuori e dei portafogli borghesi». A questo «socialismo e
comunismo critico-utopistici», senza mai disconoscerne i meriti, viene opposto
il socialismo scientifico che non comporrà «romanzi» su una futura società
ideale ma studierà il «movimento reale» che porta alla trasformazione della
società. L'utopia come «ricetta per le cucine dell'avvenire» viene bandita da
Marx e da Engels. Il secondo modo di intendere l'utopia si fonda su questa
considerazione: pur non contenendo specifiche anticipazioni sulla futura
società il marxismo implica più di un generico riferimento alla fine delle
classi, dello sfruttamento, dello Stato; quest'epoca nuova dell'umanità è lo
scopo del marxismo stesso. A meno di non catalogarlo come un'analisi della
società presente senza altri fini che la sua corretta descrizione, senza alcuna
richiesta, di un qualsiasi impegno personale; in tal caso né il «partito» né
l'azione avrebbero un senso. Da qui l'affermazione che l'utopia, intesa come
risultato lontano ma non immaginario, come obiettivo storico generale indicato
dalla conoscenza scientifica dello sviluppo della società, ha nel marxismo una
funzione di stimolo all'attività rivoluzionaria. Ernst Bloch, per esempio, ha
chiamato «utopia concreta» la forza latente ma operante «di una realtà ultima
che influisce concretamente su quella attuale».